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Autore: KukakuShiba    19/09/2016    13 recensioni
DESTIEL teen AU
Il mondo del giovane Dean Winchester incontrerà inevitabilmente quello di Castiel Novak, nuovo vicino di casa, affetto da un handicap invisibile. Insieme, i due impareranno qualcosa di prezioso sull'amicizia, sull'amore e sulla vita.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO DUE
 
“Il suono del silenzio
è tutto l’insegnamento
che avrai”
 
“Angeli di Desolazione” – Jack Kerouac
 
 
 
“Ho detto ciao” – sibilò Dean.
Il giovane schiuse le labbra, sorpreso, e guardò Dean con i suoi grandi occhi blu.
La spavalderia di Dean si ridimensionò ben presto di fronte all’incredibile colore di quegli occhi. Ritirò subito la mano, facendo qualche passo indietro, mantenendo però il contatto visivo con l’altro. Non riusciva a distogliere lo sguardo, sembrava come ipnotizzato. Il blu di quelle iridi era quasi magnetico e mutava continuamente in impercettibili sfumature, dando così l’impressione di essere una creatura vivente.
All’improvviso, la porta di ingresso si aprì e ne uscì un ragazzo, più che ventenne, alto, con i capelli biondi e gli occhi azzurri.
Dean si voltò verso di lui, imitato poi anche dal giovane sul dondolo.
Il ragazzo, vedendo Dean, si fermò di colpo, squadrandolo con un’occhiata.
“Ehi” – disse – “E tu sei…?” – chiese poi, socchiudendo gli occhi.
Dean indugiò un attimo prima di rispondere.
“Ciao…sono Dean Winchester, e abito nella casa qui vicino”.
Il ragazzo si prese un attimo per osservare meglio l’altro da capo a piedi.
“Io sono Balth” – disse infine, porgendo la mano a Dean. Poi si voltò verso il giovane sul dondolo e gli sorrise – “Ehi, Cassie, tutto bene?”
Quel giovane iniziò a muovere entrambe le mani sotto l’occhio incredulo di Dean, componendo gesti precisi e allo stesso tempo sinuosi, come se stesse tessendo qualcosa nell’aria. Balth lo osservava attentamente, annuendo di tanto in tanto.
“Va bene” – asserì, e rivolgendosi a Dean – “Mio fratello Cassie-ahia!” – esclamò, dopo aver ricevuto un pugno sul braccio dal giovane – “Mio fratello Castiel si scusa con te per non averti salutato”.
Dean rimase spiazzato. Cosa diamine era appena successo?
Il ragazzo lesse la perplessità negli occhi di Dean e sorrise leggermente.
“Da dove lo hai salutato?” – domandò Balth.
Dean aggrottò la fronte.
“C-cosa?”
“Da dove lo hai salutato?” – ripeté l’altro.
Dean ci pensò un attimo.
“Dal marciapiede…” – rispose poi confuso.
“Ora capisco” – annuì il biondo – “Dean, giusto?”
“Sì…”
“Vedi…mio fratello è affetto da sordità, ed è per quello che non ti ha salutato” – spiegò Balth – “Semplicemente non ti ha sentito” – fece poi una pausa – “Ma se gli parli di fronte e da vicino, lui ti capisce leggendo le labbra” – continuò poi – “Per comunicare invece…” – si interruppe per guardare di sfuggita il fratello – “Usa la lingua dei segni, per chi la conosce” – concluse, seccato.
In quel momento Dean sarebbe voluto sparire. Si era incaponito e, ammettiamolo, anche un po’ stizzito con quel giovane che non rispondeva al suo saluto. E ora che aveva scoperto il motivo, se ne vergognò moltissimo.
Fissò quel ragazzo di nome Castiel, mordendosi un labbro.
“Ok…nessun problema” – disse piano Dean.
Castiel sorrise e, in quel momento, a Dean il cuore sembrò battere più forte nel petto.
“Vi lascio soli ragazzi, devo aiutare a sistemare là dentro” – disse Balthazar, indicando l’interno della casa con un cenno del capo – “È stato un piacere, Dean” – concluse poi, rientrando in casa.
 
Rimasti soli, i due giovani si guardarono. Dean non riusciva a stare fermo. Continuava a spostare nervosamente il peso da una gamba all’altra, mentre Castiel, ancora seduto sul dondolo e con il libro in mano, gli sorrideva. Dean si fece coraggio e abbozzò un sorriso, avvicinandosi all’altro.
“E così…ti chiami Castiel?” – chiese, un po’ titubante.
Il giovane annuì.
“Io mi chiamo Dean” – disse, sollevando poi un braccio in direzione di casa sua – “E abito là”.
Castiel seguì la direzione del suo braccio, per poi annuire di nuovo.
Dean era imbarazzato, molto imbarazzato. Non sapeva proprio cosa dire. I suoi occhi si posarono sul libro che Castiel aveva in mano. Decise di iniziare da lì.
“Cosa leggi?” – domandò.
Il giovane voltò il libro verso Dean, mostrandogli così la copertina.
Dean non era mai stato appassionato di libri. Tuttavia, gli venne spontaneo aggrottare la fronte, perplesso, di fronte a quella copertina.
“Api? Un libro sulle api?”
Castiel annuì, sorridendo.
“Perché le api?”
Castiel abbassò leggermente lo sguardo, sul volto aveva un’espressione quasi mortificata.
Dean si maledisse subito, dandosi mentalmente dello stupido per aver fatto una domanda che richiedesse più di un semplice sì o no con la testa.
“Scusa, io non…” – arrancò Dean, ma Castiel, all’improvviso, si alzò dal dondolo ed entrò in casa.
“Maledizione!” – smozzicò Dean, pestando un piede per terra.
Si guardò attorno, smarrito. Cosa doveva fare? Andarsene? Rimanere? Per fortuna, poco dopo, il giovane fece nuovamente la sua comparsa sul portico, tenendo tra le mani una penna e un block notes.
Dean si sentì sollevato nel vederlo di nuovo.
“Ti prego, scusami, non l’ho fatto apposta, ho parlato così, senza pensare” – sbottò fuori tutto d’un fiato il giovane Winchester, parandosi di fronte all’altro.
Castiel lo fissò, socchiudendo gli occhi e inclinando leggermente il viso. Si diresse poi verso il dondolo, sedendosi. Picchiettò la mano sul posto di fianco a lui, invitando Dean a sedersi.
Dean si avvicinò lentamente e si sedette al suo fianco.
Castiel aprì il taccuino e iniziò a scrivere qualcosa, mentre l’altro lo osservava attentamente. I capelli neri erano un po’ spettinati, il taglio degli zigomi alto, il profilo del naso dritto, le labbra screpolate. Le dita, che impugnavano saldamente la penna, erano lunghe, eleganti e nell’insieme armoniose.
Castiel smise di scrivere e fece vedere il block notes a Dean.
Non c’è bisogno che ti scusi. Mi sono trovato di fronte a queste situazioni molte volte”.
Dean espirò forte nel leggere quella frase.
Per rispondere alla tua domanda di prima, posso dirti che in generale mi piacciono molto gli animali. Per quanto riguarda le api…sono affascinanti. Sono semplici, niente di complicato. Ma, anche se sono semplici, sono comunque efficienti e importanti. Il lavoro che fanno è importante. Danno vita a qualcosa di straordinario”.
“Sai che non ci avevo mai pensato?” – constatò Dean, alzando le sopracciglia, sorpreso.
Castiel sorrise.
“Scrivi bene, sai?” – aggiunse l’altro, guardando meglio la pagina del taccuino.
Grazie”.
“Io, a dire il vero, non leggo molto” – disse un po’ imbarazzato Dean – “Ok, non leggo affatto” – ammise poi – “È già tanto se apro i libri di scuola”.
Castiel rise.
“Quanti anni hai?” – chiese il giovane Winchester.
Diciassette. Tu?
“Anche io. Mia madre ci aveva visto davvero giusto” – mormorò tra sé Dean.
?
“Oh, no, niente, è una cosa che ha detto mia madre qualche mattina fa, quando ha visto il furgone dei traslochi” – liquidò il giovane, con un cenno della mano.
Castiel lo fissò, con aria interrogativa.
Dean sorrise.
“Ha detto che magari i nuovi vicini avevano ragazzi della mia età”.
Aveva ragione”.
“Già”.
All’improvviso dal portone d’ingresso fece nuovamente capolino Balthazar.
“Mi dispiace disturbarvi ragazzi, ma…Cassie, la mamma ha chiesto di te”.
Castiel abbassò le spalle, arricciando le labbra in un impercettibile broncio.
[…]
“Ha detto che ci sono ancora le tue cose negli scatoloni da sistemare in camera, compresi tutti quei libri che hai deciso di portarti dietro nel trasloco”.
[...]
“Sì, ha detto che lo devi fare adesso”.
[…]
“Sono sicuro che Dean lo puoi rivedere anche domani” – lo tranquillizzò il fratello – “Vero, Dean?” – aggiunse poi, rivolgendosi all’altro.
Castiel si voltò verso il giovane, negli occhi blu una speranza in attesa di conferma.
“Sì, certo” – rispose Dean, sorridendo.
Castiel sorrise a sua volta.
“A domani, allora” – disse il giovane Winchester, alzandosi e congedandosi dai due fratelli.
Dean si incamminò verso casa, voltandosi un’ultima volta per salutare i due con un cenno della mano.
“Ti sei scelto proprio un amico carino, Cassie” – ammiccò il ragazzo, guardando poi Dean allontanarsi.
Castiel alzò gli occhi al cielo e mise in malo modo il block notes tra le mani di Balthazar, prima di rientrare in casa.
Il fratello lo aprì e, leggendo, sorrise.
Cretino”.
 
°°°
 
Quando Dean tornò a casa, era ancora parecchio turbato da quanto successo poco prima.
“Ciao, tesoro" – disse Mary, vedendolo entrare in cucina – “Come è andata in biblioteca? Siete riusciti a combinare qualcosa?”
Dean incrociò gli occhi della madre, ma non rispose.
“Dean?” – lo richiamò piano la donna – “È successo qualcosa?” 
Il giovane sospirò e si lasciò cadere su una sedia.
“Ho conosciuto uno dei nuovi vicini” – mormorò poi.
“Davvero?”
“Sì…è un ragazzo della mia età”.
“Oh, bene” – sorrise lei.
“Ma…” – esitò il figlio.
“Ma?” – lo incitò dolcemente la madre.
“Ecco…temo di aver fatto una brutta figura” – disse Dean amaramente.
“Cos’è successo?”
Il giovane raccontò alla madre quanto accaduto, di quel giovane che non rispondeva al suo saluto, di come lui abbia attirato infine la sua attenzione, del fratello che ha spiegato che…
La madre spostò la sedia e prese posto accanto a lui.
“Mi dispiace davvero per quel ragazzo” – sospirò la donna – “Ma, Dean, tu non lo potevi sapere. Sono sicura che anche lui lo abbia capito”.
“Sì, sì…lo ha capito…abbiamo anche parlato un po’…” – ammise con un forte sospiro – “Parlato…” – mormorò poi, abbassando lo sguardo – “Io ho parlato, lui annuiva e scriveva su un block notes”.
“Dean…”
Rimasero un po’ in silenzio.
“Mi ha chiesto se possiamo rivederci domani” – riprese poi il giovane, fissando il vuoto.
“Beh, mi sembra una cosa positiva, no?” – sorrise Mary.
Dean alzò gli occhi e guardò la madre.
“Dici?”
“Sì, ne sono abbastanza sicura” – annuì lei – “Dai, vai a chiamare tuo fratello. Vostro padre è già rientrato dal lavoro e tra poco è pronto in tavola”.
 
°°°
 
Quella sera i nuovi vicini si apprestavano a consumare la cena nella sala da pranzo.
“Ho saputo che oggi hai conosciuto un ragazzo che vive nella casa accanto” – disse il capofamiglia, rivolto a Castiel.
Il ragazzo riservò un’occhiata di finto rimprovero al fratello e poi, rivolto al padre, annuì.
“E come si chiama?”
[...]
“Senti, Castiel” – disse cauto l’uomo – “Ti va di parlarci un po’ di questo Dean…a voce?”.
Il giovane si irrigidì.
[…]
L’uomo esitò.
“Beh, perché sei in grado di parlare…e lo sai”.
Castiel lo guardò duramente, per poi fare cenno di no con il capo.
“Dai, almeno quando siamo a tavola insieme…” – tentò il padre.
Castiel scrollò nuovamente la testa, in un tacito diniego.
“Ti prego, Castiel…” – lo incitò dolcemente l’uomo.
Il giovane batté la forchetta nel piatto e si alzò velocemente dalla sedia, per poi uscire dalla sala da pranzo e sparire sulle scale che portavano al piano superiore.
A tavola calò il silenzio.
Il padre allontanò da sé il piatto, per poi appoggiarsi contro lo schienale della sedia.
 
“E quindi, con questo ragazzo ha comunicato usando un block notes” – sospirò il padre, rivolgendosi a Balthazar.
Il figlio maggiore annuì.
“Io, davvero…” – si interruppe l’uomo, appoggiando poi i gomiti sul tavolo e massaggiandosi una tempia con la mano.
“James…” – lo richiamò piano la moglie – “Lascialo fare…” – disse poi, posando la propria mano su quella del marito.
“Amelia…tu continui a dire di lasciarlo fare, ma…da quando ha perso l’udito ha parlato sempre meno, per poi smettere del tutto. Lui può parlare e non capisco perché si ostini a non farlo”.
 
“Lui…” – continuò l’uomo – “Lui dovrebbe interagire di più con i ragazzi della sua età…e non stare sempre chiuso in casa a leggere…non aveva amici a Pontiac, non ha più voluto andare in nessuna scuola…”
“James…” – sussurrò Amelia.
L’uomo puntò i suoi occhi blu in quelli della moglie.
“Io vorrei solo il meglio per lui…” – mormorò James.
La donna strinse forte la mano del marito nella sua e annuì.
 
Dopo cena Balthazar salì le scale, diretto al piano superiore. Dopo qualche passo lungo il corridoio si trovò di fronte alla camera del fratello. Posò il dito sull’interruttore collocato sul muro, di fianco alla porta della stanza, e attese.
L’interruttore fungeva da campanello luminoso. Era collegato direttamente ad una lampadina posta all’interno della camera, esattamente sopra lo stipite della porta. Il segnale inviato dall’interruttore consentiva alla lampadina di accendersi e pertanto di far sapere a chi era nella stanza che qualcuno era fuori, in attesa di entrare. Una modifica necessaria, data la situazione di Castiel. Anche il campanello di ingresso della casa presentava una modifica analoga.
Dopo qualche secondo la porta si aprì, e Balth si trovò faccia a faccia con il fratello.
Quando lo vide, Castiel rilassò le spalle e inclinò leggermente il viso, facendo poi cenno al maggiore di entrare.
Il minore si sedette sul bordo del letto, mentre il più grande si avvicinò e, prendendo la sedia della scrivania, la spostò di fronte all’altro, prendendo poi posto.
“Ehi” – disse Balthazar, piegandosi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
Castiel sospirò.
“Senti, papà è stato un po’ insistente, è vero, ma lo sai che dice quelle cose per il tuo bene” – iniziò il maggiore.
[…]
“No, Cassie, non è vero che non capisce, lui…” – tentò il fratello.
[…]
“Nessuno ti vuole costringere a fare una cosa che non vuoi fare”.
[…]
“Lo so che tu stai bene così, ma cerca di metterti un attimo nei nostri panni”.
Castiel aggrottò la fronte.
[…]
“Sì, anche nei miei” – sospirò Balth.
[…]
“E fai bene a continuare a pensare che io sia dalla tua parte, perché è così. Però, Cassie, questa situazione a volte…è pesante, capisci?”
Il minore non riuscì a controbattere.
 
“Sai…mi manca” – mormorò il maggiore.
Castiel lo guardò, con fare interrogativo.
“La tua voce” – sussurrò poi.
E subito i ricordi di Balthazar presero forma nella sua mente.
“Quando non facevi altro che seguirmi dappertutto, e non la smettevi di farmi domande su ogni cosa” – sorrise – “Quando mi leggevi i temi che avevi fatto a scuola, o quando volevi che ti aiutassi a imparare le battute per la recita scolastica. E quando, un giorno, mi dicesti che da grande saresti voluto diventare come me…”
Balth sollevò il busto, per poi appoggiarsi allo schienale della sedia.
“Io non voglio sforzarti a fare niente. E neanche papà. Ma voglio che tu capisca che quando lui si comporta così, è solo perché è preoccupato, perché ti vuole bene e farebbe qualsiasi cosa per te. E anche io”.
Castiel rimase seduto sul letto, incapace di rispondere.
Il maggiore si alzò dalla sedia e la rimise al suo posto.
All’improvviso si sentì strattonare leggermente un lembo della maglietta e, quando si voltò, si ritrovò Castiel tra le braccia. Il fratello sorrise, ricambiando l’abbraccio.
“Ehi, non sei un po’ cresciuto per le coccole?” – scherzò poi.
Castiel rise, scrollando la testa.
[…]
“Ti voglio bene anch’io, Cassie”.
 
 
°°°
 
Quella stessa sera, Dean era sdraiato sul suo letto, con le cuffie alle orecchie. Era così preso dai suoi pensieri da non accorgersi che il cd nello stereo aveva smesso di suonare da diversi minuti.
Il display del cellulare accanto a lui si illuminò, richiamando così la sua attenzione. Passò velocemente un dito sullo schermo. Era un messaggio.
 
[21:47] – Da Lisa a Dean
 Ci vediamo domani?
 
Dean fissò il telefono qualche secondo, prima di lasciarlo cadere sul materasso. Non riusciva a smettere di pensare a quanto successo nel pomeriggio. Come poteva una persona non sentire? Come poteva non sentire i rumori o le persone che parlavano, non ascoltare la musica...che razza di vita era?
Dean sentì una fitta lo stomaco.
Quel ragazzo…aveva la sua stessa età. Diciassette anni. Solo diciassette anni. Come riusciva a portare un simile peso sulle spalle? E sorrideva. Quel Castiel sorrideva tanto, anche con gli occhi. Come poteva farlo? Come poteva sopportare tutto quello e continuare a sorridere?
Dean spense la lampadina sul comodino, rimanendo così al buio, solo, con tutte quelle domande senza risposta.
 
°°°
 
Il mattino successivo, Dean si alzò di buon’ora, sotto lo sguardo incredulo della madre e del fratello. Dopo aver fatto colazione, vagò per casa alla ricerca di una finestra dalla quale si potesse vedere il portico dei vicini, invano. Il giorno precedente aveva detto a Castiel che si sarebbero visti l’indomani, ma, in effetti, non avevano specificato un’ora. Dean ci pensò e, alla fine, decise che la cosa migliore da fare fosse andare da lui nel pomeriggio.
 
Quando quel pomeriggio Dean uscì di casa e iniziò a percorrere i metri che lo separavano dall’abitazione del vicino, era un po’ agitato. Gli sudavano le mani e non riusciva a spiegarselo. Tuttavia, quando si accorse che Castiel era in piedi sul portico e lo stava guardando, tutta l’agitazione, così come era arrivata, scivolò via. Fece un saluto con la mano, prima di salire i gradini e trovarsi anch’egli sul portico.
Il moro gli sorrise, e con un cenno del capo, lo invitò a sedersi sul dondolo.
Si sedettero entrambi e Castiel mise subito mano al block notes, iniziando a scrivere.
Sei venuto”.
Dean aggrottò la fronte.
“Certo che sono venuto” – disse – “Pensavi che non sarei venuto?”
Castiel indugiò un attimo, picchiettando la punta della penna sul foglio.
Diciamo che non ci speravo troppo”.
“Perché?” – chiese Dean curioso.
Beh, magari avevi di meglio da fare”.
Il maggiore dei Winchester alzò le sopracciglia e guardò attentamente l’altro.
“Anche se fosse stato così, io ti avevo detto che sarei venuto” – chiarì – “Ed eccomi qua” – concluse.
Castiel sorrise.
 
“Allora, Castiel, da dove vieni?” – chiese Dean.
Pontiac, Illinois”.
“Come mai vi siete trasferiti?”
Per il lavoro di mio padre”.
“Ah, capisco” – annuì l’altro – “Immagino che ti sia dispiaciuto lasciare i tuoi amici” – disse poi piano.
Castiel abbassò lo sguardo, mordendosi un labbro.
“Scusa, forse non dovevo…” – si premurò Dean.
Il moro scosse il capo.
Io non avevo amici dove abitavo prima”.
Dean rilesse quella frase più volte, incredulo.
“Come sarebbe a dire che non avevi amici?” – si stupì il giovane.
Castiel lo guardò negli occhi. I suoi grandi occhi blu assunsero una lieve sfumatura di tristezza, che colpì Dean dritto allo stomaco.
Dean deglutì un paio di volte.
“Beh” – disse tentennando – “Li troverai qui…degli amici intendo” – concluse sorridendo.
Il moro stirò le labbra in un lieve sorriso.
“Se…se ti va, puoi uscire con me e con i miei amici” – propose l’altro – “Sono sicuro che andrete d’accordo. Vedrai, ci divertiremo” – disse deciso.
Castiel annuì.
 
“Senti, è da ieri che volevo chiedertelo…Castiel…è un nome strano…voglio dire…” – gesticolò Dean, imbarazzato.
Castiel sorrise.
Non ti preoccupare. Non sei il primo che me lo chiede”.
Il moro prese un bel respiro e iniziò a scrivere.
Mio padre mi ha detto che Castiel è il nome di un angelo, l’angelo del giovedì. E si dice che protegga le persone nate in quel giorno”.
Dean lesse attentamente.
“Un angelo?” – domandò sorpreso.
Castiel annuì.
Il suffisso -el significa Dio. È presente anche nel nome di molti altri angeli”.
“Chi ti ha dato questo nome?”
L’ha scelto mio padre”.
 
Castiel riprese a scrivere.
A dire il vero, ho scoperto un’altra spiegazione, ed è un po’ diversa”.
“E quale?” – si incuriosì l’altro.
Cassiel, un arcangelo presente nella Cabala. Osserva gli eventi che si svolgono, senza intervenire. Viene chiamato anche angelo delle lacrime, o anche angelo del silenzio. Il suo giorno è il sabato e il suo colore è il nero. Si dice anche che sia l’angelo che si è innamorato di un uomo”.
Dean lesse più volte, soffermandosi su quel ‘angelo del silenzio’.
“Innamorato di un uomo?” – ripeté poi Dean – “Gli angeli possono innamorarsi degli uomini? – chiese poi perplesso – “Cioè, voglio dire…è consentito?”
Castiel alzò le spalle.
Non lo so”.
“E invece il nome di tuo fratello? Anche quello è angelico?” domandò il giovane, divertito.
Il moro rise, prima di scarabocchiare qualcosa sul block notes.
Sembra che anche il nome di Balthazar si trovi nella Cabala. Ma è quello di un demone”.
“Un demone?” – esclamò Dean, scoppiando a ridere – “E che tipo di demone sarebbe?” – chiese, dopo aver ripreso fiato.
Un cacciatore di avventure o un demone seduttore”.
“E tuo fratello è un seduttore?”
Diciamo che ha avuto parecchie ragazze”.
Entrambi scoppiarono a ridere.
 
“Quanti anni ha tuo fratello?”
Venticinque”.
“E cosa fa?”
Sta finendo il college. Facoltà di psicologia”.
“E i tuoi genitori?”
Mio padre è contabile presso un’azienda e mia madre è un’insegnante”.
“Cosa insegna?”
Matematica”.
“Uhu” – fece una smorfia l’altro – “Ti confesso che io e la matematica non andiamo molto d’accordo”.
Castiel sorrise e annuì col capo.
E tu invece? Raccontami qualcosa di te”.
Dean lesse e sorrise.
“Dunque…” – iniziò il giovane, cercando di raccogliere le idee – “Vivo con mia madre, mio padre e mio fratello Sammy”.
“Sammy è più piccolo di me,” – riprese – “Ha tredici anni. Sai, ho come la sensazione che andreste d’accordo voi due”.
Il moro sorrise.
“Mio padre è un meccanico. Lavora con un vecchio amico, in un’officina qui a Lawrence. Mia madre invece è una casalinga. Fa delle crostate favolose, un giorno di questi ti farò assaggiare quella alla ciliegia. È la mia preferita”.
Castiel osservò Dean più da vicino. Aveva i capelli biondo scuro, un po’ più chiari sulle punte, e tagliati corti, i lineamenti del viso erano morbidi e delicati, anche se la linea della mandibola era piuttosto marcata. Inoltre, mentre Dean parlava della sua famiglia, il moro poté vedere risplendere sottili pagliuzze dorate nei suoi occhi verdi, mentre le labbra si schiudevano in piccoli sorrisi e le lentiggini, che aveva sul viso, si facevano più vistose.
 
“Si è fatto tardi, devo tornare a casa” – disse Dean dopo un po’.
Castiel annuì.
Entrambi si alzarono dal dondolo, e il moro accompagnò il biondo fino agli scalini del portico.
Dean fece qualche passo fuori dal porticato, per poi voltarsi e tornare indietro, sotto lo sguardo interrogativo del moro.
“Senti, Castiel” – disse il biondo, umettandosi le labbra – “Hai da fare domattina?”
Castiel alzò le sopracciglia, sorpreso. Poi scrollò la testa.
“Ti…ti andrebbe di fare un giro per Lawrence?” – propose l’altro.
Il moro schiuse le labbra. Rimase immobile, con il taccuino tra le mani, gli occhi blu fissi su Dean.
“Se non ti va, non importa…” – si affrettò a dire il biondo.
Castiel scese qualche gradino e annuì.
Dean sorrise, compiaciuto.
“Passo da te per le nove?” – chiese poi.
Ok, per le nove”.
“Perfetto. A domani, allora” – disse l’altro, salutando con un cenno della mano, subito ricambiato dal moro.
Castiel rimase sul portico ad osservare Dean mentre tornava a casa sua. L’indomani sarebbe stata una giornata diversa dal solito. E su questo Castiel iniziò a provare sensazioni contrastanti.
 
 
 
 
- L’Angolo Dell’Autrice Disadattata -
 
Ciao a tutti!
Eccoci qui con il secondo capitolo. Finalmente abbiamo fatto la conoscenza di Castiel e abbiamo scoperto qual è l'handicap del ragazzo, anche se, da bravi lettori, avevate già intuito tutto dal precedente aggiornamento.
Il primo incontro tra Dean e Castiel ha quasi del traumatico, ma non poteva essere altrimenti: due mondi così diversi che si incontrano e che, dopo un fraintendimento iniziale, iniziano a confrontarsi. Vorrei inoltre specificare che il simbolo [...] indica la lingua dei segni che viene usata da Castiel. Le cose dette dal giovane sono comunque facilmente comprensibili grazie a quello che viene detto dalla persona con cui il giovane sta colloquiando (padre, madre, fratello).
Abbiamo anche fatto la conoscenza con il resto della famiglia Novak, ed è stato accennato qualcosa su Castiel stesso, e so che a questo punto avete delle domande sul problema del ragazzo dagli occhi blu, ma vi prometto che tutto sarà adeguatamente spiegato più avanti.
Avrete sicuramente notato che anche per i fratelli Novak ho inserito un "brotherly moment", esattamente come per Dean e Sam. Ebbene, questi momenti saranno presenti in tutta la storia, in quanto fondamentali ai fini della trama stessa.
Per ora è tutto.
Mi raccomando, leggete, recensite se volete, e godetevi la storia!
Alla prossima!
Sara
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
1) Non si parla mai di linguaggio dei segni, ma di lingua dei segni: è questo il termine corretto da usare. Esiste una lingua dei segni universale, ma il suo utilizzo è stato relegato solo in incontri internazionali e quindi non ha mai assunto le connotazioni di una vera e propria lingua. Pertanto ogni paese ne ha una propria, e molte sono ufficialmente riconosciute. Ad esempio in Italia c'è la LIS (lingua italiana dei segni), in Spagna la LSE, in Francia la LSF, e così via. Ci sono lingue dei segni anche in Africa e in Oceania. Castiel si esprime attraverso la LSA , lingua dei segni americana, ovviamente. In generale molti elementi sono in comune tra le diverse lingue, come l'alfabeto, ma alcune parole possono essere espresse con una posizione delle mani e delle braccia diverse. Più avanti tornerò sull'argomento, portandovi altre curiosità.
2) L'apprendimento della lingua dei segni è molto complesso e richiede tempo e molta pratica. Solitamente, all'interno di una famiglia con un figlio affetto da sordità, è la madre che la impara prima e meglio, rispetto agli altri membri del contesto familiare, in quanto è quella che passa più tempo con il figlio. 
   
 
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