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Autore: Roscoe24    22/09/2016    0 recensioni
"..rimane ad ascoltare la voce di Dean che ringhia contro suo fratello come se fosse un animale rabbioso. E forse, è quello che è diventato. Un demone rabbioso e rancoroso."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
Capitoli:
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Ciao a tutti! Prima di tutto, vi ringrazio per aver aperto la storia, che spero troviate di vostro gradimento! Questa FF è legata ad altre due precedenti (Broken Souls e If I seem dangerous, would you be scared?), ma penso possa leggersi tranquillamente a se, così come la seconda OS citata. L'ho comunque precisato all'inzio di modo che chi voglia avere una quadro più specifico della situazione, possa farlo! 
Dunque, penso che questo piccolo racconto si concluderà in due capitoli, quindi sarà piuttosto breve! 
Il contesto è la decima stagione e le puntate prese in considerazione sono due: Reichenbach (10x02) e Soul Survivor (10x03), mentre il titolo della storia è tratto dalla canzone "The Final Cut" dei Pink Floyd. 
Detto ciò, visto che non so più cosa aggiungere, vi lascio alla lettura, che spero non vi deluda e - se vi va - fatemi sapere cosa ne pensate! 
A presto! :D 







C’era stato un periodo della sua vita dove le cose andavano per il meglio e, nei momenti in cui sembrava che tutto stesse per peggiorare irrimediabilmente, passava in rassegna quei momenti felici per ricordare a se stessa che al mondo esistono anche cose buone.
Ogni volta che pensava che tutto fosse perduto, che il bene che esiste al mondo stesse per finire dentro ad un enorme, malvagio, buco nero, si ritrovava a pensare a Bobby.
Suo zio Bobby, che con il tempo è più diventato suo padre, nonostante lui insistesse tanto per farle ricordare chi fossero i suoi genitori e chi, di conseguenza, fosse il suo padre biologico. Bobby non lo faceva certo perché voleva prendere le distanze, piuttosto lo faceva per fare in modo che lei non dimenticasse mai suo padre Elijah e, soprattutto, Susan, sua madre – e sorella di Bobby.
La sorella che Bobby ha perso troppo presto e troppo in fretta, in quell’incidente stradale che gliel’ha portata via in un battito di ciglia.
Per questo le ha sempre parlato dei suoi genitori, per fare in modo che la loro memoria venisse onorata.
Sorrideva, nei momenti in cui per farsi forza pensava alla sua infanzia, fatta di giornate passate sull’altalena a gridare Più in alto, zio Bobby, voglio toccare il cielo! e ancora Sulle nuvole, zio Bobby, voglio andare sulle nuvole!
Da bambina, amava le nuvole. Quelle bianche e spumose, che sembrano estremamente soffici. Le amava perché le ricordavano tanto lo zucchero filato, o la panna montata. Per questo desiderava andare sulle nuvole, quando saliva sull’altalena, perché voleva assaggiarle. Immaginava il loro sapore fresco, la loro consistenza densa, come quella del gelato. Dovevano essere esageratamente buone, le nuvole.
Le piaceva ricordare la sensazione di beatitudine e spensieratezza, la profonda e pura gioia che provava ogni volta che lei e Bobby facevano qualcosa insieme: giocare, andare fuori a cena nella tavola calda gestita da Dolores, che gli regalava sempre una porzione di patatine fritte in più; preparare i biscotti, imparare a giocare a scacchi, o a scala quaranta.
Erano quei momenti che la aiutavano ritrovare la speranza. Perché, pensava, se al mondo esistono persone come Robert Singer, allora non può essere un posto così malvagio; allora il bene deve esistere per forza.
Bobby era il bene.
Bobby era speranza, era forza, era la consapevolezza che sarebbe stato al suo fianco in qualsiasi situazione, bella o brutta che fosse.
Bobby era casa, era famiglia, era affetto. Era la colazione a letto la domenica; era il brodo di pollo durante la febbre.
Bobby era stabilità.
Bobby era tutto, per lei.
Quel tutto che le faceva ritrovare speranza quando pensava di non riuscire più a trovarla.
Ma Bobby non c’è più. Gliel’hanno portato via per sempre.
E, da quando lui non c’è più, le cose hanno iniziato a precipitare drasticamente.

La discesa verso quello che può essere tranquillamente definito il baratro cominciò esattamente dentro ad un ospedale, dove uno dei pazienti era Robert Singer, meccanico e cacciatore del paranormale, padre surrogato di Dean e Sam Winchester e Natalie Duvall.
Natalie ricorda esattamente quel giorno. Lo ha scolpito nella memoria a lungo termine così a fondo che può ancora rievocare l’odore della stanza di Bobby, l’aria viziata ed elettrica, il suono costante della macchina a cui il cacciatore era attaccato che monitorava il suo battito cardiaco, debole, ma costante.
Quel suono, seppur accennato, aveva dato ai giovani cacciatori una speranza. La speranza che Robert riaprisse gli occhi, nel pieno delle sue facoltà mentali, e tornasse a impartire loro lezioni di vita. O semplicemente, tornasse il solito severo, burbero, sarcastico Bobby.
Bobby che gli chiamava idioti quando, impegnati nella risoluzione di un caso, a loro sfuggivano cose elementari; Bobby che li sgridava quando tendevano un po’ troppo a guardare solo i loro problemi, riversandoli su di lui, ignorando il fatto che, per quanto fosse un uomo forte, anche Bobby aveva bisogno di essere ascoltato, anche Bobby aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lui nello stesso modo in cui lui si prendeva cura dei suoi ragazzi.
Bobby che li ha cresciuti, allevati. Bobby che li ha amati come se fossero tutti figli suoi. Bobby che aveva fin troppa pazienza e che si trovava alle prese con le litigate tra Sam e Dean un giorno si e l’altro pure, e trovava sempre il modo di farli ragionare. Bobby che combatteva contro la testardaggine di Natalie, rivedendo in quella cocciuta determinazione non solo se stesso, ma anche Susan.
Bobby che ha insegnato loro un concetto di famiglia che va al di là del sangue.
Bobby che era la persona migliore del mondo.
Ma poi Bobby aveva chiuso gli occhi, il suo cuore aveva smesso di emettere quel suono flebile e si era fermato, portandosi via anche la minima speranza che albergava nel cuore dei ragazzi.
Nat ricorda chiaramente la sensazione di smarrimento, il colpo basso sganciato dalla consapevolezza che Bobby non c’era più, la pressione con cui la crudeltà della realtà l’aveva schiacciata a terra, facendola sentire impotente, incapace di aiutare l’uomo che l’aveva cresciuta. Lo stomaco le si era stretto in una morsa ferrea, così forte che aveva sentito un impellente senso di nausea farsi strada dalle pareti dello stomaco e salire fino in gola, dove il sapore acido e amaro della bile aveva riempito la sua bocca, improvvisamente secca. Deglutire era stato difficilissimo. Mandare giù quel boccone era stato quasi impossibile, in un primo momento – tanto che le era sembrato di soffocare. La sua sofferenza si era materializzata sotto forma di biglia rivestita di cotone e stava aumentando di volume dentro alla sua gola, impossibile da mandare giù. Era stato in quel momento, dove si sentiva smarrita, in preda ad un attacco doloroso di panico, che Dean l’aveva stretta a se. Era stato quel contatto a farle tornare la mente lucida, a calmarla almeno un po’.
Devi stare tranquilla.
L’uomo aveva appoggiato il mento sopra alla testa di Nat, che finalmente, inglobata dentro a quell’abbraccio, aveva trovato il modo di far uscire quella sofferenza lancinante dalla gola sotto forma di lacrime. Non si sa come, la biglia si era liberata del cotone, come il cambio pelle di un serpente, era risalita fino agli occhi e lì, nei condotti lacrimali, aveva deciso di sciogliersi per fuori uscire in forma liquida.
Aveva pianto, dapprima in maniera silenziosa e poi in maniera quasi isterica, arrabbiandosi con il destino, arrabbiandosi con Dick, che tra tutte le persone malvage che esistono al mondo aveva scelto di uccidere Bobby, che malvagio non era; che non meritava certo di morire in quel modo. E Dean continuava a stringerla, a cercare di calmarla. Le sue parole le arrivavano alle orecchie, ma non riusciva a percepirne il senso. Ricorda solo di essersi focalizzata sulla sua voce, che era così diversa dal solito, così spezzata.
Colma di una rabbia che non voleva mostrarle, scheggiata dalla sofferenza, intaccata dal dolore.
E allora, lei aveva sciolto l’abbraccio, sollevando lo sguardo su di lui e osservandolo attraverso le lacrime, come se il mondo improvvisamente fosse diventato tutto liquido e tremolante. Ma nonostante la vista corrotta dalle lacrime che non volevano cessare di scendere, vedeva distintamente la figura di Dean e, mentre sentiva che le sue lacrime le solcavano il viso e andavano a bagnarle le labbra con il loro sapore salato, notava che invece le labbra di Dean stavano tremando, in preda ad una rabbia e ad una frustrazione che l’avrebbero fatto esplodere da un momento all’altro. Natalie si era velocemente asciugata gli occhi con le maniche del suo maglione beige troppo largo per lei – quelle maniche troppo lunghe che le lasciavano a mala pena le dita scoperte – e aveva afferrato il viso di Dean, facendo si che i loro occhi si incatenassero.
Andrà bene.
Natalie lo diceva per entrambi. Era una bugia a cui entrambi tentavano di credere. A cui anche Sam, rimasto fino a quel momento a fissare il monitor dell’elettrocardiogramma muto di Bobby, voleva credere.
Il minore dei Winchester non si era mosso di un millimetro. Era rimasto immobile, aggrappato alla ringhiera inferiore del letto, stringendola così forte da far diventare le nocche bianche, a fissare il corpo ormai senza vita di Bobby, incapace di accettare fino in fondo la cosa. Sam aveva pianto silenziosamente. Aveva lasciato che le lacrime uscissero discrete e andassero ad accarezzare il mento, per poi cadere, come le gocce di un rubinetto che perde, sulla sua camicia ed essere assorbite dal tessuto.
Dean, per quanto si sforzasse, non riusciva a credere a quelle parole.
Dean sapeva che quelle parole erano una frase fatta, una menzogna a cui aggrapparsi per non impazzire, per non sentire un altro, ulteriore, sgambetto fatto loro dalla vita da andare ad aggiungere alla lista dei precedenti – che raggiungevano un numero discreto.
Dean, quindi, aveva chiuso gli occhi e aveva delicatamente afferrato le mani della ragazza, ancora appoggiate al suo viso, e le aveva abbassate. Le aveva chiesto scusa con gli occhi – Natalie ancora oggi cerca di capire bene il perché – ed era uscito da quella stanza. Nat l’aveva seguito fino all’uscio della stanza di Bobby, dove poi era rimasta a guardare Dean che si avviava verso l’uscita dell’ospedale, assicurandosi prima di lanciare un pugno ben assestato ad una delle pareti di cartongesso che avrebbe lasciato un piccolo cratere. Lo guardava andare via consapevole del fatto che, per quanto avesse voluto averlo lì in quel momento, Dean aveva bisogno di stare solo.
Ha bisogno di sbollire.
Sam le aveva appoggiato una mano sulla spalla e lei si era voltata per guardarlo in viso. Era il viso di un uomo che aveva appena perso tutto. I suoi occhi erano arrossati, il viso era tirato e contratto in un’espressione di profondo, insanabile, dolore – come se fosse stato privato di qualcosa di essenziale, di fondamentale, per la sua sopravvivenza. Come se avesse perso il cuore.
Tutti e tre, in quelle quattro bianche mura che odoravano di chiuso, di cibo cotto al vapore e di disinfettante, avevano perso il loro cuore. Per sempre.
Certo.
Lei aveva annuito e tirato su con il naso, sentendo in agguato dietro agli occhi un’altra ondata di lacrime pronte ad uscire dalla diga per scorrere lungo tutto il suo viso.
Certo...
Aveva ripetuto in un sussurro strozzato, sentendo nuovamente che la consapevolezza di ciò che era realmente successo la schiacciava a terra.
Bobby non c’era più.
Non l’avrebbe mai più abbracciata. Non le avrebbe mai più detto una parola di conforto nei momenti no.
Lei non gli avrebbe più preparato una torta ai mirtilli dopo un’estenuante giornata passata a risolvere casi. Gli piaceva la torta ai mirtilli, era la sua preferita.
Non si sarebbero più scambiati occhiate d’intesa ogni volta che capitavano in una situazione dove la pensavano allo stesso modo.
Non avrebbero più lottato per avere il predominio sul telecomando, perché si sa, in casa Singer chi si accaparrava per primo il telecomando sceglieva quale programma, o film, guardare.
Le immagini della sua infanzia le scorrevano davanti agli occhi come un filmino nostalgico che sarebbe sempre e solo appartenuto ai ricordi. Bobby che le faceva le trecce; Bobby che le leggeva una fiaba; Bobby che si lasciava dare l’ombretto verde acqua sugli occhi.
E adesso, tutte le cose che facevano e che fino a qualche giorno prima rientravano a far parte del loro presente sarebbero andate ad aggiungersi al filmino in bianco e nero della sua infanzia, catalogate come ricordi, momenti già vissuti che non torneranno indietro, che non si ripeteranno, perché Bobby non c’era più. Aveva smesso di respirare; il suo cuore aveva smesso di battere.
Ed era stato in quel momento che, posseduta da un’isterica consapevolezza che non l’avrebbe mai più avuto al suo fianco, era corsa fino al suo letto e si era accasciata sul suo corpo, piangendo e gridando che non voleva lasciarlo, che aveva bisogno di lui.  
Ricorda le lacrime, il mondo appannato. Era diventata sorda a qualsiasi rumore, persino alle sue grida, che percepiva come se provenissero dalla gola straziata di qualcun altro.
Ricorda il panico, il dolore.
Ricorda che Bobby non aveva alzato una mano per accarezzarle la testa e dirle che tutto si sarebbe sistemato. Ricorda, piuttosto, che erano state la braccia di Sam a sollevarla da terra e a portarla lontana da quella stanza, dove ormai era destino che i dottori seguissero la prassi dopo un decesso.
Era stato Sam  che l’aveva stretta a se, il proprio petto contro la sua schiena, e l’aveva trascinata via, parlandole all’orecchio per cercare di calmarla, mentre lei, invece, continuava a scalciare in aria come un animale impazzito.
Calmati, Nat. Devi calmarti!
Lei era riuscita a sentirlo solo quando i suoi piedi avevano ritoccato terra e aveva messo a fuoco il suo viso preoccupato e mortificato. Sapeva benissimo che vederla stare così, per Sam era un colpo basso. Lui le voleva – e vuole – molto bene, e sapeva benissimo quanto Bobby fosse importante per lei.
Natalie, incapace di articolare anche solo una parola, aveva annuito vigorosamente. Sam l’aveva abbracciata, accarezzandole la schiena per tranquillizzarla. L’aveva cullata come si può fare con un bambino terrorizzato dall’uomo nero, o dal mostro che vive nell’armadio. E lei l’aveva lasciato fare, aggrappandosi saldamente alla sua camicia, che si era sgualcita sotto la presa ferrea delle mani della donna. Nat si era lasciata cullare perché il calore di Sam era salutare, il suo odore, così diverso da quello della stanza dove giaceva il corpo senza vita dell’uomo che era stato non solo suo zio, ma anche suo padre, le riempiva le narici e le ricordava momenti tranquilli, momenti passati a giocare al sole da bambini, o le giornate passate a leggere sdraiati sopra ai cofani delle macchine fuori uso, mentre Dean, che quasi sempre si trovava sotto ad una di quelle macchine dichiarate morte da anni, ma che poi puntualmente riusciva a resuscitare, li prendeva in giro – siete proprio due piccoli nerd, diceva sempre, con un sorriso sghembo, che nascondeva una punta d’orgoglio che però si impegnava a celare, e la maglietta fradicia di sudore, piena di macchie d’olio e grasso.
Quello di Sam era l’odore di casa, l’odore intenso e forte del suo migliore amico, di suo fratello.
Stai meglio? Le aveva chiesto.
La mano di Sam vagava tra i suoi capelli, districandoli come un pettine e accarezzandoli con delicatezza.
Natalie aveva tirato su con il naso, prima di annuire contro il suo petto.
Tu..?
La sua voce era ovattata dalla stoffa della camicia grigio scuro che indossava Sam e contro la quale si trovava ancora il suo viso.
Si..
Era una bugia bella e buona. Una grossa, enorme, infinita bugia. Ma non avevano bisogno della verità, in quel momento. Avevano solo bisogno di pensare che, prima o poi, tutto si sarebbe sistemato, che sarebbero riusciti ad accettare quell’assenza senza impazzire definitivamente.

“..Mia madre sarebbe ancora viva, se non fosse per te..”
Natalie, nascosta nel corridoio del bunker, seduta in terra con la schiena appoggiata al muro e la testa infilata tra le ginocchia, rimane ad ascoltare la voce di Dean che ringhia contro suo fratello come se fosse un animale rabbioso. E forse, è quello che è diventato. Un demone rabbioso e rancoroso.
Chiude gli occhi, mentre lascia che altre lacrime le solchino il viso. Piange sempre, da quando è morto Bobby. Le sembra di non avere mai smesso. Ha iniziato con la sua morte e ha continuato, fino ad arrivare a questo momento.
Scaccia l’ultima lacrima con rabbia, con frustrazione, come se fosse lei la colpevole di tutte le disgrazie, di tutti quei momenti dove, contro ogni sua volontà, si trovava a versare lacrime silenziose nel buio della notte contro un cuscino che faticava ad asciugarsi prima del sorgere del sole. Perché, per quanto si sforzasse di non piangere, per quanto si imponesse di non versare lacrime, puntualmente c’era qualcosa più forte di lei che faceva si che i suoi occhi venissero sommersi dalle lacrime.
Appoggia la testa alle ginocchia, picchiando la fronte contro di esse, cercando di pacare le immagini che la sua mente le fa ricordare: la morte di Bobby; Dean in Purgatorio; Sam dentro a quella chiesa, in fin di vita, con il viso sudato e i capelli appiccicati alle guance, determinato a terminare le tre prove per chiudere i cancelli dell’Inferno; la caduta di Castiel e la successiva perdita della sua Grazia.
E poi… e poi il ricordo più recente: la cattura di Dean.
Sono passate poche ore da quando l’hanno recuperato, dopo averlo cercato un’estate intera, ma la sua mente sembra voglia focalizzarsi sul loro scontro.
Le fa rivivere la lotta.
La riporta dentro a quel parcheggio nel retro di un bar, dove Dean aveva messo k.o. Sam, che aveva un braccio ingessato.
La riporta al momento esatto in cui Dean si trova impegnato in un combattimento corpo a corpo con Cole, un militare desideroso di vendetta. Dean aveva ucciso suo padre e lui voleva ricambiargli il favore.
Ma Cole non sapeva a cosa stava andando in contro – perché Dean da qualche mese non era più Dean. Dean era un demone, trasformato dal Marchio di Caino che bramava come unico nutrimento la morte e la violenza.
Caino stesso gliel’aveva trasmesso con lo scopo di poter usare la Prima Lama per uccidere Abaddon, un Cavaliere dell’Inferno.
Il problema era arrivato quando, una volta uccisa Abaddon, non avevano trovato un modo per rimuovere il Marchio, che, trovato un nuovo coinquilino, si era accomodato sull’avambraccio di Dean e l’aveva trasformato nel demone violento che è adesso.
Cole non sapeva niente di tutto questo.
Aveva semplicemente seguito le tracce di Dean Winchester, l’aveva trovato e l’aveva sfidato.
Nat era intervenuta giusto in tempo: nel momento esatto in cui Dean aveva estratto la Prima Lama dal retro dei suoi pantaloni – dove una volta, invece, teneva la pistola – Natalie era arrivata da dietro, facendogli uno sgambetto che lo aveva mandato a terra.
Corri Cole, scappa! Aveva intimato all’uomo con la faccia tumefatta e lo sguardo smarrito. Scappa, adesso!!
Cole, seppur riluttante, aveva obbedito.
Ed era stato in quel momento che Dean si era alzato e si era voltato verso di lei, famelico. Si era aperto in un sorriso tirato, che aveva persino qualcosa di diabolico; nei suoi occhi c’era un scintilla nuova, come un brillio folle – o semplicemente, quello era il brillio tipico di un gatto che gioca con un topo. Era, quello sguardo, carico della consapevolezza della propria onnipotenza. Natalie, ai suoi occhi, non era una minaccia; era solo un giocattolo di gomma lanciato da un padrone al proprio cane per farglielo masticare.
Dean pregustava già la sua vittoria. Il Marchio pregustava già un altro omicidio da cui avrebbe tratto forza.
Ciao, bambolina.
Sai che lo odio, perché mi chiami così?

Aveva cercato di mostrarsi sicura, impavida, nonostante sentisse montare dentro di se un disagio insistente, un pensiero fisso che la tormentava (quello non è più Dean. A mali estremi, estremi rimedi, gioia. Lui colpisce per uccidere, tu per cosa colpisci, tesoro? Sappi che se la tua risposta non comprende niente di mortale, sei fritta!)
Aveva scacciato quella voce nella sua testa. La coscienza sapeva essere alquanto inopportuna e lei non voleva ascoltarla. Ne ora, ne mai. Non avrebbe mai ucciso Dean. Non prima di aver appurato che non esiste nemmeno una minima possibilità di salvarlo.
No. Ucciderlo era fuori discussione.
Perché a me piace. Sembri proprio una bambolina. Così piccola, dolce, versatile. E poi, sei incredibilmente bella. Come le bambole.
Aveva fatto spallucce e si era avvicinato. Il suo passo era così controllato che sembrava una pantera che tende un agguato. Un leone che muove lentamente le scapole mentre si avvicina alla sua preda, ignara di essere stata puntata. La differenza era che Nat aveva capito benissimo che era stata puntata e il suo istinto, malgrado il momentaneo brivido di terrore lungo la schiena che le aveva suggerito di fuggire, le aveva ordinato di combattere (Oggi non è un buon giorno per morire, gioia. Vedi di impegnarti).
Era rimasta immobile, mentre lui continuava ad avvicinarsi. Mentalmente, aveva ricordato le armi che possedeva: spada angelica nascosta nello stivale; pistola nascosta nel retro dei jeans. Beh, non era un granché, in effetti.
Aveva fatto un bel respiro ed era partita alla carica, stufa di aspettare che il suo esecutore (il gatto) perdesse la voglia di giocare con lei (il piccolo topo) e iniziasse a fare sul serio.
Natalie aveva tanti, tantissimi difetti, ma di certo il coraggio non le mancava.
Aveva caricato Dean con la stessa intensità di un toro ad una corrida e lui, da bravo torero, l’aveva schivata per poi afferrarle i capelli e tirarla all’indietro. Nat era finita con la schiena in terra. Un dolore lancinante le era partito dal cuore, come uno spillo elettrico che poi si era disperso in tutto il corpo.
Aveva ringhiato, frustrata, mentre con un colpo di reni si era rimessa in piedi. Dean aveva cominciato a ridere, beffandosi di lei.
So che sai fare di meglio, bambolina.
Dean aveva sorriso, ancora con quel suo sorriso famelico, e si era leccato le labbra. Un gesto che in situazioni normali le avrebbe provocato un brivido di eccitazione, mentre adesso l’unica cosa a cui riusciva ad associare quel brivido che sentiva era terrore. Dean la spaventava. Ma era determinata a non farglielo notare. Si era sistemata in posizione di difesa, così Dean aveva fatto la prima mossa: si era avvicinato a lei scattante come un puma, veloce, estremamente veloce. Ma Nat era addestrata e quindi con la stessa velocità era riuscita a schivarlo per poi afferrarlo per un braccio. D’istinto aveva girato quel braccio dietro la schiena dell’uomo con l’intento di spezzarglielo, ma Dean si era rigirato e con il braccio libero l’aveva afferrata per il collo alzandola da terra. I suoi occhi, adesso, saettavano di rabbia. Dalla gola di Natalie era uscito un ringhio e poi i suoi piedi si erano puntati simultaneamente sul petto di Dean, calciandolo lontano. La spinta aveva fatto si che Dean mollasse la presa e Natalie finisse a terra.
Dean aveva barcollato, mentre si massaggiava la parte lesa e rideva, quasi come se fosse soddisfatto, orgoglioso.
L’ho sempre saputo che sei una tosta. La cosa mi ha sempre eccitato, se devo essere onesto.
Natalie si era massaggiata il collo, prima di rispondergli: Qualsiasi cosa che respira ti eccita, Dean.
L’uomo aveva riso, di nuovo. Come se l’intera situazione lo divertisse, come se per lui fosse tutto un gioco.
Tu sei sempre stata speciale, bambolina.
Senza aggiungere altro, aveva portato la mano dietro la schiena e aveva estratto la Lama, nello stesso, paziente, modo con cui l’aveva estratta qualche minuto prima con Cole.
Natalie, dal canto suo, aveva portato la mano all’interno del suo stivale e aveva estratto la sua spada angelica, scatenando un riso soffocato, seppur derisorio, da parte di Dean.
Sul serio? Sul serio, bambolina? Ti facevo più intelligente.
E io ti facevo meno loquace. Da quando ami parlare durante i combattimenti?

Dean aveva assottigliato lo sguardo: Da quando i miei combattimenti sono impari, dolcezza.
Aveva fatto girare la Lama nel palmo della mano e poi, dopo averla afferrata saldamente per il manico, si era avvicinato velocemente a Nat, brandendo la sua arma, che sferzava l’aria.
Questo solo perché Natalie era abbastanza veloce da schivare i colpi, altrimenti non sarebbe certo stata l’aria ad essere sferzata, quanto piuttosto la sua carne ad essere fatta a brandelli. Erano andati avanti per un po’, con Dean che attaccava e Natalie che schivava, incapace di contrattaccare, fino a quando non aveva elaborato un’altra strategia: se avessero continuato così, Dean prima o poi l’avrebbe colpita, così Natalie, all’ennesimo colpo di Dean, si era chinata facendogli un altro sgambetto che, avendolo colto impreparato, lo aveva fatto finire a terra.
Nat, lanciando un grido simile ad un ululato di battaglia, si era chinata su di lui, tenendolo saldamente fermo tra le gambe, e aveva iniziato a colpirlo al viso. Più il dolore alle sue nocche aumentava, più le ferite sul viso di Dean si rimarginavano.
Non sai a cosa sei andata in contro, non è così? le aveva chiesto, afferrandole i polsi all’improvviso. Nat era stata colta di sorpresa a tal punto che non era riuscita a schivare quella presa, ne tanto meno a liberarsi in seguito. Dean stringeva troppo forte. Le faceva male – così tanto da sentire il sangue smettere di affluire alle mani; così tanto che pensava che l’impronta delle dita di Dean sarebbe rimasta impressa sui suoi polsi per sempre.
L’uomo si era alzato senza il minimo sforzo, tenendola saldamente a se. Le gambe di Natalie intrecciate al suo busto, i polsi ancora intrappolati dentro alle sue mani. La cosa buona era che la Lama giaceva ancora a terra.
Tu non sai a cosa sei andato in contro, Dean. Hai almeno una vaga idea in che cosa ti stai trasformando?
Nella sua voce c’era un misto di preoccupazione, accusa e rabbia. Non si sentiva più spaventata da lui, al contrario si sentiva determinata a fargli capire che si era imbattuto in una strada pericolosa, una strada che poteva essere senza via d’uscita, se battuta troppo. Quella in cui Dean si era inoltrato era la via del non ritorno, della perdizione eterna. E Natalie lo sapeva. Lo sapeva e voleva salvarlo a tutti i costi.
Ma Dean non voleva essere salvato, almeno così sembrava. A Dean andava benissimo essere ciò stava diventando e quindi, dopo averla attaccata al muro di quel bar, vicino alla porta che dava sul retro dove loro stavano combattendo, aveva sussurrato al suo orecchio: So benissimo cosa sto diventando. Anzi, cosa sono diventato. E la cosa mi piace. Mi piace, Natalie, tanto quanto mi piacerebbe farti mia, qui, attaccata a questo muro.
Non mi avrai mai in questo modo, Dean. Mai.

L’uomo aveva fatto in modo che i loro occhi si incrociassero e aveva letto dentro allo sguardo di Natalie una punta di disprezzo. Cosa che, in realtà, non gli era dispiaciuta per niente, dal momento che, dietro a quello sguardo, si nascondeva la fierezza rara di una donna caparbia. La fiera bellezza di una donna indomabile.
Non si sarebbe piegata alla sua volontà perché non era lui che voleva. O meglio, era lui, ma non questa versione di se. Natalie era troppo innamorata della versione umana di Dean per poter amare il demone.
Lo so, bambolina. Lo so fin troppo bene.
A questo punto, aveva lasciato i suoi polsi, era uscito dalle sue gambe e le aveva sferrato una ginocchiata nello stomaco, facendola accasciare su se stessa.
Natalie mugolava di dolore con le mani strette al ventre. La fitta che sentiva era così forte che le aveva provocato un conato di vomito; ai lati degli occhi le si erano formate stelline che le oscuravano gran parte del campo visivo. E la sua capacità di reagire… quella era stata ridotta del settanta percento.
Alzati. Era un ordine.
Ma lei non era in grado di alzarsi. Figuriamoci combattere.
Ho detto alzati!!
Dean aveva sferrato un calcio ai suoi piedi, come se volesse intimare ad una bestia di reagire, di ubbidire al suo padrone.
Natalie sentiva solo un forte senso di odio crescere dentro di lei. Non contro Dean, ma contro quello che era diventato. Contro Caino, Metatron, Crowley. Tutti complici nello stesso identico modo nella trasformazione di Dean. Era colpa loro, se lui adesso era così.
Si era alzata, colma d’odio e rancore, e l’aveva colpito con decisione sotto al mento, dando così il via ad uno strano incontro di boxe. Niente armi, solo pugni.
E più Nat colpiva, più associava ai tonfi sordi, provocati dalle sue mani, i visi degli uomini che odiava e che le avevano portato via Dean. Più andava avanti, meno sentiva il dolore che provocavano i colpi andati a segno che sferrava Dean. Solo l’ultimo aveva cambiato la situazione. Solo l’ultimo colpo di Dean, piazzato alla mandibola, aveva fatto si che Nat uscisse da quella bolla  cieca di odio ed entrasse dentro ad uno stato di incoscienza. Dean l’aveva colpita così forte da farle perdere i sensi e, per fortuna, in quel momento esatto, Sam era intervenuto con l’acqua santa e le manette con incisa sopra la trappola del Diavolo.
Dean era nelle mani giuste, adesso.

“..ho passato la mia intera vita a salvare il tuo culo dalle fiamme infernali! Sono stufo, stanco. Ho voluto mollare. Smettere di preoccuparmi per te, per il mondo intero, per Natalie, e lasciare semplicemente che questa mia nuova natura facesse il suo corso.”
La mente di Natalie torna al presente e continua ad ascoltare il dialogo che avviene nella stanza alle sue spalle – quella stanza il cui pavimento è ornato da una gigantesca trappola del Diavolo e da cui Sam l’ha allontanata perché non voglio farti assistere a tutto questo.
Il problema è che lei sentiva di dover assistere perché non assistendovi avrebbe abbandonato non solo Dean, ma anche Sam. Abbandonati a loro stessi, senza un’ancora, un appoggio, un aiuto.
Era stata dietro alle quinte anche troppo. Aveva pianto anche troppo. Perciò, dopo essersi asciugata le lacrime, si alza, decisa. Si passa i palmi delle mani sui jeans e, dopo aver arrotolato le maniche della camicia di flanella nera che indossa, fa la sua entrata in quella stanza, che al primo rumore provocato dai suoi passi, diventa silenziosa. Sam e Dean smettono di parlare.
Gli sguardi di entrambi i Winchester sono su di lei: quello di Sam è preoccupato; quello di Dean è soddisfatto.
“Ti avevo detto di uscire di qui.”
“Ti stavo aspettando, bambolina.”
Natalie, come prima cosa, lancia uno sguardo a Sam, ma non per chiedergli scusa, piuttosto per comunicargli solidarietà: non sei solo in questo casino, Sam. Lo risolveremo insieme.
E poi si avvicina al tavolo colmo di siringhe piene di sangue benedetto. Ne prende una, fa uscire l’aria e si avvicina a Dean, che non le ha tolto gli occhi di dosso nemmeno un secondo. La scruta, la studia. Passa i suoi occhi sul livido alla mandibola, sul taglio pieno di sangue secco sul labbro, sullo zigomo gonfio.
“Non ti riducevi così dai tempi dei mannari, ricordi?”
Natalie tira su con il naso, ignorandolo.
“Ti ricordi quando volevi fare un lavoro da uomini, bambolina? Ricordi quando da ragazzina volevi andare a combattere tutta sola contro i lupi mannari? Te lo ricordi, vero? E i wendigo? Te li ricordi, quanto erano grossi?”
Natalie continua ad ignorarlo. Si posiziona tra le ginocchia aperte dell’uomo, solo per mostrargli che non ha paura di lui. Non ora.
Con la mano sinistra, quella libera, gli afferra i capelli dietro alla nuca e gli tira la testa all’indietro. Dean emette un basso ringhio gutturale, infastidito da quel trattamento.
“E tu, Dean? Tu ricordi quando ancora non preferivi diventare ciò che hai sempre combattuto per evitare di lottare per ciò in cui credi? Ricordi quando eri ancora coraggioso e non un codardo che sceglie la via più facile? Da quando hai deciso che arrendersi è la soluzione migliore?” con decisione infila l’ago nel collo di Dean, premendo lo stantuffo fino in fondo e provocando un grido animalesco da parte dell’uomo, che trattiene il respiro, come se dovesse gestire un dolore insopportabile.
“Per quanto ne sapete tutto ciò potrebbe uccidermi!”
“Ma potrebbe anche salvarti.”
Natalie estrae l’ago e si incammina verso il tavolo per andare ad appoggiare la siringa vuota vicino a quelle già utilizzate da Sam. Sono dieci in tutto.
Chissà se davvero non lo stanno uccidendo.
“Com’è andata l’estate, ragazzi?” Dean dalla sua sedia attira l’attenzione su di se, facendo voltare sia Natalie che Sam nella sua direzione. Passa lo sguardo prima sull’uno e poi sull’altra, con malizia e poi si apre in un sorriso d’intesa – un sorriso inequivocabile: Dean sta revocando l’anno in cui Sam, che era senz’anima, e Natalie sono finiti a letto insieme quando lui non c’era.
“Anche a questo giro avete trovato il modo di consolarvi?” ride, sicuro di se, provocatorio. “Avete condiviso il vostro dolore mentre facevate le capriole? Magari nel mio letto, per sentirmi più vicino!”
“Piantala, Dean!”
“Perché, bambolina? Non vuoi ricordare? È un tabù? Una cosa che vuoi fingere non sia successa per sentirti meno puttana? Cosa vedi quando ti guardi allo specchio, zucchero, mh?”
Natalie rimane in silenzio, ricordando a se stessa che quello non è Dean, che le parole che escono dalla sua bocca sono frutto dell’influenza del Marchio e che questa è solo una provocazione. Una provocazione bella e buona proveniente dalla bocca di una creatura infernale sfacciata e insolente.
“Cosa vedi quando i tuoi begli occhioni incontrano il tuo riflesso? Una puttana o una sadica torturatrice di bambini?”
Natalie gli da le spalle e afferra un’altra siringa. Sam al suo fianco la studia senza proferire parola. Vuole cogliere ogni sua minima reazione per prepararsi ad agire di conseguenza. Se Natalie dovesse reagire alle provocazioni di Dean la allontanerebbe subito. Ma sa benissimo che Nat è intelligente e sa mantenere la calma, quindi la vede reagire nel modo più razionale possibile.
“E tu cosa vedi? Un sadico assassino o la puttanella di Crowley?” fa girare la siringa nel palmo, mentre si avvicina nuovamente alla sedia.
Dean emette uno sbuffo sarcastico: “La puttanella di Crowley? Quell’inglesino ha fatto la spia a voi perché non riusciva a tenermi sotto controllo!” sputa orgoglioso.
Natalie, una volta vicina, lo afferra nuovamente per la nuca, gli tira la testa all’indietro e lo costringe a guardarla in viso. È sottomesso alla sua volontà, in balia dei suoi gesti a cui Dean è obbligato ad obbedire.
“Certo, perché tu sei il principe dei dannati, non è così? Non prendi ordini da nessuno, nemmeno dal re! Un anarchico che ha fatto dell’Inferno la sua terra da liberare dalla monarchia!” infila l’ago nel collo e ripete la procedura di poco prima. Dean ringhia a denti stretti, mentre sente il sangue bollirgli nelle vene. Poi torna a fissarla con aria di sfida, con determinazione – la stessa determinazione che legge dentro alle iridi grigio scuro di Natalie.
“Non voglio liberare l’Inferno. Voglio solo liberare me stesso da ogni catena, da ogni vincolo.”
“No, non lo vuoi.” Natalie molla la presa e si allontana. “Non l’hai mai voluto. Non vuoi essere libero dai vincoli. Tu hai bisogno della tua famiglia!”
“Quale famiglia, quella che tu non sei riuscita a darmi?”
Colpo basso. Persino per Natalie e la sua logica ferrea questo rappresenta un ostacolo difficile da saltare. Le risulta estremamente arduo non perdere il controllo, dopo quell’affermazione. Girata di spalle, chiude gli occhi per trattenere le lacrime. L’impossibilità di avere figli per lei è uno scoglio ancora insormontabile. È un dolore vivo, pulsante. Una ferita impossibile da rimarginare.
Torna a guardare Dean, che la osserva con un ghigno soddisfatto, come se d’ora in poi si aspettasse da un momento all’altro di vederla andare in pezzi come una brocca di vetro che si frantuma sul pavimento.
“No Dean, la famiglia che non hai per colpa tua. Sei tu che mi hai privato della possibilità di diventare madre. Sei tu. È solo colpa tua. Ho deciso di seguire te e Zaccaria ha preso me per riuscire ad attirare la tua attenzione. Non dimenticartelo.”
“Non lo pensi davvero.”
“Adesso basta.” Interviene Sam, “Nat, vatti a curare quel labbro. Ci vorranno dei punti. Per adesso penso abbia abbastanza sangue in circolo per iniziare la cura.” Sam la afferra saldamente per un braccio e la trascina via, fuori da quella stanza. Solo un attimo prima di varcare la soglia Natalie si volta a guardare l’amore della sua vita intrappolato dentro alla rete dei suoi demoni, diventati così reali da averlo trasformato in qualcosa di nero come l’inferno stesso. Il Marchio lo sta consumando, lo trasforma sempre di più e lo allontana ogni minuto che passa dalla sua vera natura.
L’ultima cosa che vede, prima di uscire, è Dean che le fa un occhiolino – gesto a cui lei non sa dare un significato.



 
   
 
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