XV
Indonesia, Isola di Kai.
Numero
Tre fissava
la porta, senza parlare. Al suo fianco, Andres era visibilmente
imbarazzato.
Congiungeva gli indici, lanciando rapide occhiate a colui che lo aveva
portato
in volo fino a lì. Il padre di Hope si accorse di quegli
sguardi e, riuscendo
ed intercettarne uno, rispose con un mezzo sorriso. Quel povero umano
mortale
doveva essere in preda al panico e, probabilmente, non capiva
qual’era il suo
scopo in tutto quella storia. Nemmeno Numero Tre lo capiva, ma doveva
far parte
del “gran disegno macchinoso” di suo fratello.
Doveva esserlo per forza, se lo
sentiva. Allungò la mano verso la porta, per bussare, ma si
fermò.
“Fallo
tu” mormorò.
“Come?”
balbettò
Andres, non avendo capito bene quello che gli era stato detto.
“Fallo
tu. Bussa”
ripeté il padre di Hope.
“Perché?”.
“Fallo
e basta!”.
Il
ragazzo obbedì e
colpì la porta in legno un paio di volte, con poca energia.
Questa si aprì,
dopo qualche momento, e dall’interno si intravidero un paio
di occhi verdi, che
si spalancarono vedendo chi aveva bussato e si affrettò a
far spazio ai due
nuovi arrivati. Entrambi titubarono sull’ingresso, prima di
fare un passo, dopo
un lungo sospiro, ed entrare.
“Ben
arrivato, zio”
salutò Umy, colei che aveva aperto la porta.
Lui non
rispose, per
nulla felice e convinto di ciò che stava facendo.
“E
questo ragazzo
chi è?” domandò la ragazza, indicando
Andres.
“Mi
chiamo Andres,
piacere” si presentò lui, stringendole la mano.
“È
uno delle pedine
di mio fratello e un amico di Hope” tagliò corto
Numero Tre “Lei è qui?”.
“Hope?
Sì, è appena
arrivata. Si sta sistemando in stanza”.
“E
mio figlio?”.
“Hantay
è sul tetto,
non so a far cosa. Da quando è arrivato non si è
mosso da lì”.
Il padre
di Hope
annuì. Era lieto che fossero effettivamente arrivati
entrambi. Lui, doveva
ammetterlo, aveva fatto un giro panoramico per ritardare il
più possibile
l’arrivo.
“Accomodatevi.
Toglietevi quei cappotti” invitò Umy, notando
che entrambi vestivano in modo da coprirsi dall’inverno che
non accennava ad
andarsene dall’Italia.
Numero
Uno, in piedi
nel salotto subito alla sinistra dell’ingresso, rimase serio.
“Vedo
che lo hai
portato” si limitò a dire, fissando Andres.
Il
fratello non gli
rispose. Una volta tolto il cappotto e la camicia nera, salì
le scale che, dritte
davanti alla porta, conducevano alle camere.
Andres
rimase lì,
immobile, senza sapere cosa fare o dire.
“Non
avere paura” lo
rassicurò Umy “Vieni, ti offro qualcosa da
bere”.
Il padre
di Hope
salì le scale, lentamente, e si incamminò lungo
il corridoio, fino a giungere
alla camera dove suo fratello, Numero Due, riposava. Era chiusa. Non
fece in
tempo a bussare che una voce all’interno lo chiamò.
“Fratello,
sei tu?”
si sentì chiedere “Ma si che sei tu, riconoscerei
la tua aurea ovunque! Entra”.
Numero
Tre entrò.
Nella penombra, Anfitrite sedeva accanto al letto dove il marito stava
steso.
Gli teneva la mano e si sorridevano. Stavano chiacchierando. Il padre
di Hope
provò una punta d’invidia per quei suoi due
fratelli che ora vedeva tanto uniti
ma poi si ricordò che Numero Due stava male, e lo si vedeva
chiaramente.
Bastava guardarlo in viso, per accorgersi di rughe e segni che fino a
non molto
tempo fa non aveva. Tolse gli occhiali da sole, mostrando che pure lui
qualche
ruga l’aveva, accompagnata da due occhiaie spaventose, e
salutò i padroni di
casa. Anfitrite si alzò, dandogli un breve abbraccio.
“Ciao,
sorellina” la
salutò lui.
Poi
incrociò le
braccia e sorrise al fratello.
“Cosa
mi combini?”
domandò, fingendo allegria.
“Io?
E tu? Mi son
giunte all’orecchio parecchie storielle divertenti sul tuo
conto, tipo che sei
impazzito o cose del genere”.
“Io
sono nato pazzo,
non te lo ricordi?”.
“Sinceramente,
no”.
I due
fratelli si
guardarono in silenzio, senza sapere esattamente come continuare la
conversazione.
“Vi
lascio da soli”
interruppe il silenzio Anfitrite, uscendo lentamente con un gran
frusciare di
vesti color del mare.
“E
così…” riprese Numero
Due, dopo un sospiro “…a quanto pare,
sarò io il primo a lasciarci le penne a
questo mondo”.
“Ma
che dici?!
Quelli come noi non muoiono” lo zittì il padre di
Hope.
“Sai
bene che non è
così”.
“Sei
solo debole.
Basterà capirne il motivo e porvi rimedio. Saremo ancora in
grado di fare
qualcosa noi fratelli, no? E con l’aiuto dei ragazzi vedrai
che andrà tutto a
posto”.
“Non
lo credi
davvero, neanche un po’. Lo capisco al volo quando
menti”.
“Va
bene. Vuoi la
sincerità? Eccoti la sincerità! Nei tuoi occhi
rivedo quelli di Sophia quando
mi ha lasciato, con alle spalle voialtri fratelli che stavate a braccia
incrociate a guardare. Ed è quello che succederà
pure a te. Ti spegnerai, con
tua moglie che ti stringe la mano e ti supplica di non lasciarla e noi
fermi,
senza far niente”.
“Tu
non mi
aiuteresti?”.
“Non
saprei come
fare. Non credere che io mi trovi tanto distante alla condizione in cui
sei tu
ora. L’unica differenza è che non ho nessuno che
mi obbliga a stare a letto e
si preoccupa per me”.
“Hope
è molto
preoccupata per te”.
“Hope
farebbe meglio
a pensare a se stessa. Vero che la Speranza è
l’ultima a morire, ma prima o poi
muore anche lei”.
“Dici
che siamo
tutti condannati?”.
“No.
Numero Uno sono
certo che troverà il modo di salvarsi il culo, come
l’ultima volta”.
“Ti
riferisci alla
faccenda di suo figlio Kriss?”.
“L’unico
mezzo
mortale della famiglia, figlio di un’umana, generato e
sacrificato più volte per
ridare forza e credo al padre, relegando l’ultima volta a me
il ruolo del capro
espiatorio di ogni disgrazia e ignorando te, come se i nostri ruoli di
Ade e
Poseidone per secoli non avesse contato nulla. Ora, con questo
monoteismo, lui
è il buono ed io il cattivo. Ma io e te siamo solo figure
marginali nel suo
grande disegno attuale. Forse è meglio
così…”.
“Sei
contento di
essere colui che viene incolpato di tutti i mali del mondo?!”.
“No.
Sono contento
che tutto questo finisca. Sinceramente, sono molto stanco. Vorrei
proprio
dormire un po’, ma quelli come noi non dormono”.
“Tu
potresti essere
molto potente. Gli umani hanno molto più a che fare con te
che non con Numero Uno,
mi sembra. Solo che non vuoi. Avete passato miliardi di anni a farvi la
guerra
e poi, ad un tratto, hai perso ogni entusiasmo ed interesse”.
“Da
quando mia
moglie se ne è andata, non ha avuto per me più
senso litigare per degli esseri
che qualsiasi cosa facessi continuavano, e continuano, ad interpretarmi
a
piacimento di Numero Uno”.
“Hai
abbandonato il
tuo ruolo”.
“Ti
sbagli. E ti
invidio”.
“Perché
sono
costretto a letto?!”.
“Perché
hai una
moglie che si prende cura di te e perché hai due figli
magnifici, li ho visti.
Non litigano mai, si vogliono bene”.
“Anche
i tuoi figli
si vogliono molto bene!”.
“Talmente
bene che
tentano di uccidersi”.
“Sai
che non lo
farebbero…”.
“Era
la loro madre
che li fermava. Io non ho voce in capitolo e loro mi odiano per la
faccenda di
Liberay, Noxia e Kareru”.
“Libertà,
Colpa e
Morte? Dove sono, a proposito?”.
“Non
lo so, ma
arriveranno presto. Noxia in particolare, non si allontana mai troppo
da me”.
“Tutti
i tuoi figli
sono meravigliosi, al pari dei miei. Ti basta pensare che è
stata di Hope
l’idea di riunire la famiglia. È speciale, come lo
sono tutti gli altri”.
“Però
nessuno di
loro, né dei miei né dei tuoi, è in
grado di prendere il nostro posto”.
Nella
camera calò il
silenzio. Era vero. Non erano ancora pronti ad
un’eventualità del genere.
“Ora
ti lascio
riposare” concluse Numero Tre, non sapendo che altro dire.
Si
allontanò e si
diresse verso la porta.
“È
stato bello
rivederti. Sono tanto felice che siate tutti qui” gli disse
Numero Due.
“Guarda
che anch’io
capisco quando menti!”.
“Sono
felice
davvero. Mi preoccupa solo l’eventualità che tu e
Numero Uno vi mettiate a
litigare”.
“Sai
che è
inevitabile”.
“Allora
vedete di
non fare troppa confusione”.
Numero
Tre uscì
dalla camera. Si chiedeva quali strane idee avesse Hope per la testa. A
che
scopo ci teneva tanto a riunirli tutti lì? Pensava davvero
di poter cambiare
l’inevitabile? La vita di esseri come loro era legata da
tempo a ciò che credevano
le creature che avevano creato e Numero Due era quello che si era
trovato più
svantaggiato, dopo la scomparsa di determinate religioni antiche. Il
padre di
Hope era talmente perso nei suoi pensieri che non si accorse nemmeno
che la sua
bambina lo stava chiamando. Passò accanto a Kriss, che
indietreggiò,
leggermente spaventato dallo zio. Kriss era sempre piuttosto
intimorito, anche
se il membro della famiglia con cui aveva più problemi era
Hantay. Con
quell’essere, così alto e così
inquietante, aveva sempre litigato e si
aspettava di vederselo davanti da un momento all’altro, con
il suo solito modo
di fare minaccioso e cattivo. Quando Anfitrite chiamò
l’intera compagnia in
sala da pranzo per mangiare, il suo primo pensiero fu che sarebbe stato
allo stesso
tavolo con la sua nemesi. Sospirò e scese le scale, seguendo
con gli occhi Hope
e la sua capigliatura rossa.
“Accomodatevi.
Il
pranzo è pronto” sorrise Umy, indicando il lungo
tavolo imbandito.
Già
sedute, una
accanto all’altra, stavano tre donne.
“Ciao,
papà”
salutarono, fissando Numero Tre. Erano le sue figliastre, creature che
lui
aveva generato da solo: Libertà, Colpa e Morte.
“A
quanto pare ci
siamo tutti..” sorrise Hope, leggermente infastidita dalla
presenza delle
sorelle “Possiamo incominciare”.