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Autore: Sherlokette    27/09/2016    1 recensioni
Nella Parigi contemporanea, un ladro misterioso si diletta a rubare gioielli antichi dai musei. Apparentemente inafferrabile, una squadra viene incaricata della sua cattura: Joe, William, Jack e Averell Dalton.
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Sono tornata, signore e signori! Dopo un periodo vegetativo sui libri e prossima ormai alla laurea, ecco a voi una storia fresca fresca dalla vostra Sherlokette :)
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Passarono i giorni. Nonostante si fosse fatto sfuggire ancora Lucky Luke, il capo della polizia diede un encomio a Joe Dalton per aver recuperato la refurtiva. Tutti gli fecero i complimenti, ma al detective poco importava: era ancora scombussolato emotivamente. Per tutti la sua era una vittoria, ma per lui era un ricordo imbarazzante, che mai avrebbe raccontato.

Inoltre quel maledetto ladro lo aveva riempito di un sacco di domande: perché rubava? Anche se in effetti questa non era nuova, aveva solo assunto un senso diverso. Cosa intendeva con “dargli fiducia”? E poi, cosa se ne faceva di un oggetto rubato alla volta?

Poggiò la faccia sulla sua scrivania, sbuffando. L’analisi scientifica della borsa contenente i gioielli non aveva portato a niente, era immacolata e priva di impronte.

Non avevano nulla in mano.

La cosa più frustrante, però, era l’essersi fatto… corteggiare? Non c’era un altro modo di descrivere l’accaduto.

Sì, essersi fatto corteggiare da quel bellimbusto. Peggio, non riusciva a togliersi dalla testa quella voce suadente che diceva “Mi farò vivo io”.

Joe stava impazzendo. Avrebbe mantenuto quella specie di promessa?

-Detective Dalton?- Una squillante voce femminile annunciò l’ingresso nell’ufficio di una giovane donna dai voluminosi capelli rossi in tailleur.

-Betty, ti ho già detto che puoi chiamarmi Joe…-

-Siamo al lavoro, cerco di essere professionale!- scherzò lei.

-Sei la fidanzata di Averell, praticamente una di famiglia.-

-Ma sono anche la psicologa del dipartimento. A proposito di questo, vorrei ricordarti che la nostra seduta settimanale si è spostata al giovedì, almeno per un po’.-

-Problemi?-

-Mi fanno pressioni per accogliere nel mio studio anche agenti esterni, ho l’agenda piena. Però ci sono sempre per il mio futuro cognato!- ammiccò la donna.

-Sei gentile. Grazie. Ma al momento le mie uniche preoccupazioni riguardano il lavoro, come al solito.-

Betty gli lanciò un ultimo sorriso comprensivo prima di riaprire la porta, ma si bloccò: -Che sciocca! Quasi dimenticavo: più tardi ti manderò tramite Pierre alcuni permessi da firmare; si tratta di congedi terapeutici che ho consigliato io stessa. Il capitano non può occuparsene, e mi serve un nome valido.-

-Certo, va bene.-

Uscita dall’ufficio, la rossa attraversò un breve corridoio fino ad incontrare in un punto stabilito gli altri tre fratelli Dalton. Subito William le domandò: -Allora? Tutto a posto?-

-No. Mi sembra un po’ stanco, e dice di essere preoccupato per il lavoro, ma a parer mio nasconde qualcosa.-

-Forse dovresti preparare un permesso anche per lui; sai, questa faccenda di Lucky Luke lo mette parecchio sotto pressione- disse Averell.

-Potrei farlo, ma sono sicura che risponderebbe di non averne bisogno.-

-E’ strano da quando ha impedito a Lucky Luke di rubare alla reggia di Versailles- osservò Jack, -forse non è contento del fatto che sia scappato.-

Continuarono a fare congetture fino all’ora di pranzo; i quattro fratelli si trovarono all’ingresso e uscirono tutti assieme.

C’era una tavola calda, non molto lontana dalla sede del dipartimento, chiamata “Mère L’Oie”, dove andavano sempre a mangiare. Incastrato tra il negozio di una nota marca di scarpe e una profumeria, si distingueva per la tenda parasole color giallo limone e l’insegna, dove al di sopra del nome era dipinta una fila di anatroccoli che seguivano la madre; quest’ultima portava col becco una cesta da picnic in vimini.

Era stato Averell a proporlo come “posto preferito per il pranzo”: le porzioni erano abbondanti e ogni mercoledì c’era la crostata di lamponi come dessert. Avevano pure un tavolo praticamente prenotato, vicino alla grande finestra che dava sulla strada.

Fu al momento di ordinare il secondo che William tirò fuori l’argomento Lucky Luke per tastare il terreno: -Allora, Joe, hai un nuovo piano in cantiere?-

-Prego?- Il fratello era sovrappensiero, e giocherellava con un angolo del tovagliolo.

-Lucky Luke. Cosa hai intenzione di fare con lui?-

-Beh… Direi che al momento il dispiegare forze in più non è stato efficace. Devo rivedere alcune cose, ci vorrà un po’ di tempo.-

-Come vuoi. Se devo fare qualche ricerca…-

-Teniamo sotto controllo la lista che abbiamo già stilato- tagliò corto Joe, -Vi vanno le cotolette di pollo con le patatine?-
 

 

Definire una casa “accogliente” è solo un altro modo per dire che è piccola.

Allora la casa dei fratelli Dalton si poteva definire molto accogliente, per alcuni soffocante. Perché si sa, la maggior parte dei maschi è disordinata, e anche se Joe fin dall’inizio aveva stabilito delle regole e dei turni di pulizia, solo il minore sembrava rispettarli alla lettera.

Un appartamento composto da tre camere, un bagno e una cucina/sala da pranzo/salotto. Per loro era un castello.

Averell sosteneva che fosse una metafora del loro legame così stretto. In fondo avevano sempre fatto tutto insieme, dalla scuola elementare fino all’accademia di polizia, oltre alle birichinate di quando erano ragazzini.

Sì, erano dei veri teppisti: accendevano i petardi sotto la poltrona del nonno, attaccavano i barattoli alla coda della loro gatta, e una volta cresciuti passarono a rompere le vetrine e a fare i vandali in ogni modo possibile. La madre, esasperata, li trascinò letteralmente per le orecchie via dalla loro cittadina americana per portarli in Europa, a Parigi, e per insegnare loro la disciplina li spedì a farsi le ossa come cadetti.

Ed eccoli lì, riuniti sul divano, dopo una giornata di lavoro fatta di pattugliamenti, scartoffie e segnalazioni, a sgranocchiare pop corn e a guardare un film dandosi fastidio di tanto in tanto; il bersaglio preferito era Averell perché soffriva il solletico.

-Ma non sarebbe più semplice congelare quel parassita?- commentò William, -Insomma, se ha il sangue acido mi sembra la cosa più logica da fare.-

-Zitto, voglio seguire!- si stizzì Jack.

Il minore stringeva fra le braccia un cuscino, raggomitolato al suo posto: -Joe, non esistono simili bestiacce, vero?-

-No, Averell, non esistono- rispose annoiato il maggiore, -E poi guarda, il tipo sta bene, si è staccato da solo quel coso.-

Ma alla scena successiva, molto più orrida della prima, Averell si nascose la faccia nel cuscino: -Che schifoooo!!-

-Ma dai, gli è solo uscito un mostriciattolo dallo stomaco!- sottolineò con una risatina malefica uno dei gemelli, che si scambiarono un pugnetto.

-Iiiiiihhh!!! Smettila!!-

Joe spense il televisore: -Ok, adesso basta! A letto!-

-Ma Joe…-

-Se non volete lavare i piatti per una settimana, obbedite!-

Tanto poco dopo toccò a lui andare a rassicurare Averell che nessun alieno gli avrebbe abbrancato la faccia durante la notte.

Una tipica serata a casa Dalton.
 

 

Vedere i suoi fratelli minori dormire beati, i gemelli nel loro letto a castello e il minore abbracciato al cuscino che borbottava nel sonno, era una cosa che faceva sempre sentire bene Joe. Li sgridava spesso, ogni tanto dava loro qualche scappellotto e litigavano prendendosi a pugni, ma l’affetto che li legava era evidente.

Il maggiore era sempre l’ultimo ad andare a dormire, un po’ perché voleva essere ben sicuro di aver chiuso tutto, e poi perché si soffermava sempre a guardare Parigi di notte alla finestra, con le luci dei lampioni a gettare una luce giallastra su strade e marciapiedi.

Improvvisamente il suo cellulare si mise a squillare. Andò a vedere: numero sconosciuto.

Rispose ugualmente, con una breve esitazione: -Pronto?-

-Salve, detective Dalton.-

  
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