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Autore: _ayachan_    28/09/2016    6 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Capitolo trentottesimo

Lo Stupido tra noi




Oh, quanto sarebbe stato facile risponderle, lì su due piedi, e distruggerla con poche parole...
Lui era un Anbu: aveva visto del mondo molto più di quello che Chiharu poteva anche solo immaginare, e soprattutto aveva visto di Konoha tutto quello che lei non aveva nemmeno la più vaga idea che esistesse...
Sarebbe bastato un istante per farle capire quanto inferiore era rispetto a lui.
Ma rimandò giù le parole, conservandole per un momento migliore - anche se gli costò uno sforzo notevole.
Sapeva che quel momento sarebbe venuto, prima o poi, perché lo attendeva da cinque lunghi anni.

Baka Akeru, capitolo 19.



Jin non sapeva nemmeno quanti giorni fossero passati dall'ultima volta che era entrato in casa.
Sicuramente c'era stato prima di partire per la missione di sua madre, ma poi, una volta tornato, non riusciva a ricordare se fosse passato da casa. Forse era rimasto sempre in ospedale.
Essere lì, ora, era straniante. Le stanze odoravano di chiuso, come se fosse una casa disabitata. Insieme a Natsumi aveva aperto tutte le finestre per cambiare l'aria, ma ci era voluto un po' perché la brezza quasi estiva le rinfrescasse. La luce aveva illuminato lo strato di polvere che ricopriva i mobili e i loro oggetti, rendendoli più grigi. Jin li aveva osservati con uno strano senso di distaccamento.
«Sono entrata solo nella tua stanza, per prendere i vestiti di ricambio» disse Natsumi vedendolo soffiare su una cornice polverosa. «Non ho toccato altro.»
Jin osservò la fotografia all'interno della cornice: lui e suo padre, il giorno del diploma. Uno accanto all'altro, senza abbracci né sorrisi – a meno che Kakashi non sorridesse sotto la maschera.
«Grazie» disse, posandola di nuovo sul ripiano. «Io non ci avrei neanche pensato.»
«Vuoi mangiare qualcosa?»
«Più tardi, magari. Non hanno detto niente di mamma?»
«Ancora no» Natsumi diede le spalle a Jin per nascondere il viso, iniziando a sistemare la spesa posata sul tavolo. «Ma presto la lasceranno andare... Non hanno trovato niente che faccia dubitare della sua lealtà, e adesso ci serve ogni shinobi disponibile.»
«Immagino che gli interrogatori siano stati... approfonditi» Jin corrugò la fronte.
Natsumi gli si avvicinò. «Non pensarci» mormorò, prendendolo per una spalla e accompagnandolo fino al tavolo della cucina. «Quando la lasceranno libera potrai vivere qui insieme a lei, finché tuo padre non si sveglia. E poi deciderete insieme.»
Era difficile dire quelle parole con tono dolce, ma non poteva fargli capire quanto il ritorno di Haruka la stesse tormentando. Ultimamente ciò che faceva e ciò che provava erano sempre in contrasto.
«Sì, vivere insieme per quanto tempo?» Jin fece una smorfia amara. «Sai che presto partiremo per combattere.»
Sia Natsumi sia Jin, come tutti i ninja in servizio, erano stati convocati per la guerra. La ragione per cui erano tornati nell'appartamento degli Hatake era proprio quella: dovevano iniziare a organizzarsi.
Natsumi non disse niente per un po'. Poi gli chiese se voleva almeno un tè.
«Sì, va bene. Intanto vado a vedere se in camera ho delle riserve per sostituire quello che ho perso nell'ultima missione...»
Voleva stare un po' da solo. Gli piaceva passare il tempo con la zia, e sapeva benissimo che era una delle poche cose che ancora gli dava stabilità, ma spesso aveva bisogno di stare per i fatti suoi: erano cambiate troppe cose nell'ultimo mese. Sua madre di ritorno, suo padre in coma, la guerra... Anche se era un bambino straordinario, aveva dei limiti.
Entrò in camera al buio, raggiungendo la finestra senza urtare nulla. Aprì le imposte, inspirò l'odore dell'aria all'esterno. Ricordava il giorno in cui era tornato a casa per quella via e aveva trovato Kakashi ad attenderlo, con la notizia che sarebbero partiti insieme. Vederlo seduto sul suo letto lo aveva fatto arrabbiare, perché aveva invaso la sua intimità. Ora provava solo nostalgia.
Le sue dita si strinsero involontariamente al bordo del davanzale. Diede le spalle alla finestra, andando ad aprire un armadio per non pensare.
Suo padre si sarebbe svegliato, e dopo una prova del genere sua madre sarebbe stata accolta a casa con tutti gli onori, disse a sé stesso. Si sarebbero voluti bene, sarebbero stati la famiglia che Jin aveva sempre sognato. Magari sarebbe arrivato anche un fratellino, e allora avrebbero dovuto cambiare casa...
Si accorse che aveva aperto l'armadio senza ragione. Lo richiuse.
Era difficile pensare a qualcosa che non fosse la sua famiglia.
Fece un sospiro profondo, dicendosi che forse era meglio andare a prendere il tè con Natsumi. Gettò un ultimo sguardo al letto su cui si era seduto Kakashi, quindi uscì nel corridoio.
Fu una curiosa coincidenza che passasse davanti all'ingresso quando suonarono il campanello. In quel modo aprì la porta prima ancora che il suono scemasse, e la persona al di là non ebbe nemmeno un secondo per prepararsi all'accoglienza.
Quella persona era Hinagiku.
Ci fu un attimo di gelo da entrambe le parti. Non si erano ancora visti da quando Jin era rientrato: lui non l'aveva cercata, lei non era mai passata in ospedale.
«Sei tornato» disse Hinagiku, con la voce di uno che cerchi di deglutire e parlare contemporaneamente.
«Ciao» disse lui, per una volta senza parole.
«Non sapevo... Cioè, sono passata altre volte e non hai mai risposto...»
«Ero in ospedale.»
«Ah.»
Hinagiku sapeva perfettamente dove era Jin. Aveva continuato ad andare a suonare quel campanello perché sapeva che non lo avrebbe trovato, e in realtà era terrorizzata all'idea di incontrarlo: c'era una sola ragione per cui lui poteva non averla contattata, cioè perché sapeva che era stata lei a dire a Naruto che erano partiti per cercare sua madre. Evidentemente era furioso.
«Come stai?» chiese rigidamente.
«Bene. Vuoi entrare?»
«Jin, chi è?» domandò Natsumi dalla cucina.
«No no, lascia stare. Non sei solo, non voglio disturbare... Non pensavo nemmeno che fossi in casa» si affrettò a dire Hinagiku, facendo un passo indietro. Non era proprio pronta, maledizione!
Jin corrugò la fronte. Non aveva pensato a lei nemmeno una volta, da quando suo padre era entrato in coma. Si sentì male per questo, si sentì in colpa. Ma non poteva farci niente, era stato distratto da cose più importanti.
«Senti... In questo momento sono un po'...» sbatté le palpebre, a disagio. «Sono stato convocato per la guerra, sto cercando le cose che potrebbero servirmi. Forse dovremmo vederci in un altro momento.»
Hinagiku ammutolì. Non si vedevano da settimane, eppure lui le diceva che dovevano vedersi in un altro momento. Evidentemente lei non gli era mancata quanto lui era mancato a lei... Non l'aveva cercata, non voleva vederla. Rabbia o meno, era un segnale abbastanza chiaro.
«Non ti preoccupare» disse, alzando entrambe le mani. «Ho capito. Ciao.»
«Capito cosa?» fece per chiedere lui, ma Hinagiku si era già voltata e incamminata lungo il corridoio. Jin non ne era sicuro, ma gli sembrava che avesse gli occhi lucidi. «Hina!» la chiamò, cacciando la testa fuori. Lei non si girò.
«Chi era?» chiese Natsumi, comparendo dalla cucina.
«Hinagiku. Ma non ho capito cosa è successo» Jin tornò nell'appartamento, con lo stomaco in subbuglio e la mente confusa.
«Perché non l'hai fatta entrare?»
«Ci ho provato. Poi però non ho avuto il coraggio.»
«Il coraggio?» Natsumi inarcò le sopracciglia, posando sul tavolo due tazze di tè fumante.
Jin scrollò le spalle. «Le ho proposto di vederci in un altro momento, ma ha detto 'non ti preoccupare. Ho capito. Ciao'. E se n'è andata.»
Natsumi inspirò l'aria tra i denti serrati, con una smorfia che fece fare una capriola allo stomaco di Jin. «Le hai davvero detto di incontrarvi un'altra volta?»
«Cosa c'è di male?»
«Non la vedi da quando sei andato via con tuo padre, non ha più saputo niente di te da allora, probabilmente per metà del tempo ha pensato che tu fossi morto... E le dici ci vediamo dopo
Jin aprì e richiuse la bocca. Come spiegare a Natsumi il suo disagio? Non aveva nemmeno pensato a Hinagiku...
«E' arrabbiata?» chiese, incerto.
«Più probabilmente è disperata.»
Jin fissò Natsumi senza capire. Poi ripensò a Hinagiku, la sua espressione quando aveva aperto la porta, e sospirò, facendo girare la tazza di tè con una mano. Si lasciò cadere su una sedia.
«Io faccio sempre fatica a capire le persone...» borbottò.
Natsumi gli passò accanto, posandogli una mano sui capelli grigi.
Povera Hinagiku.


Hitoshi era in perfetta forma, secondo i tecnici del laboratorio di analisi.
Sakura lo aveva dimesso il giorno pattuito, e fuori dall'ospedale aveva trovato subito Jiraya ad attenderlo. La sua idea originale, per essere del tutto onesti, era quella di sgattaiolare a casa Nara e chiedere a Chiharu perché non era mai andata a trovarlo; però il sennin si era messo in mezzo e lui aveva dovuto posticipare.
Era stato un incontro molto strano: a casa di Jiraya aveva trovato Baka Akeru, abbracciato a una bottiglia vuota di sakè e immerso nel sonno. Jiraya gli aveva detto di lasciarlo stare, perché stava facendo un lavoraccio, e lui si era incuriosito ma non aveva potuto chiedere cosa facesse. Quindi aveva iniziato innervosendosi. Poi avevano passato ore intere a spulciare vecchie carte in una scrittura pressoché incomprensibile, cercando tracce del rin'negan tra i geroglifici di formule antiche, appunti sconclusionati e descrizioni raccapriccianti di vivisezioni. Ma avevano trovato soltanto annotazioni senza valore.
A una certa ora Baka si era svegliato, più o meno, e aveva annunciato che barcollava a casa. Probabilmente non si era nemmeno accorto che c'era anche Hitoshi. E solo a quel punto le cose si erano fatte interessanti: perché Jiraya gli aveva raccontato di Yahiko, l'allievo che per poco non lo aveva ucciso, e dei suoi occhi marchiati dal rin'negan.
«Non mi piace ricordare quel combattimento» aveva detto, insolitamente serio. «Yahiko era un bravo ragazzo, prima di farsi coinvolgere dall'Akatsuki. Ma aveva un rin'negan come il tuo, e forse, se ripensiamo insieme a come aveva combattuto contro di me, potremmo capire qualcosa in più di come usare il rin'negan.»
«Mi sta dicendo che lei ha sconfitto un possessore di rin'negan?» il tono di Hitoshi era stato a metà tra lo sbalordito e lo scettico.
Jiraya, stranamente, non si era vantato. «Avrei preferito non doverlo mai fare.»
E così Hitoshi aveva scoperto che il vecchio porco Jiraya non era solo un vecchio porco. Aveva avuto degli allievi e delle tragedie alle spalle, e un pochino, anche se involontariamente, aveva iniziato a entrare nella sua vita.
Si era sentito molto lusingato quando aveva saputo che Naruto cercava ambasciatori per dialogare con la Roccia e Jiraya aveva rifiutato per seguire lui. Lusingato e orgoglioso.
Il sennin gli aveva dato una quantità di compiti da svolgere, per imparare ad utilizzare il rin'negan: gli aveva imposto di attivarlo spesso, per brevi periodi; gli aveva descritto minuziosamente le tecniche utilizzate da Yahiko e gli aveva chiesto di analizzarle; gli aveva insegnato un tipo di meditazione che lui non conosceva e che aiutava a focalizzare la concentrazione, gli aveva fatto riscrivere gli appunti di Orochimaru, anche quelli inutili, per averli sempre sotto mano... Insomma, lo aveva massacrato. Gli aveva anche messo in mano un libro non erotico, dicendogli che era la sua più grande opera, ma Hitoshi subitava che lo avrebbe mai letto.
Alla fine era tornato a casa con un'emicrania terribile. Non era riuscito a vedere nessuno dei suoi fratelli, ma solo i domestici con gli analgesici e i brodini di verdure. Forse sua madre si era lamentata di Jiraya, ma non lo ricordava perché aveva avuto troppo male.
Poi, il giorno dopo, si era ripreso. Aveva iniziato gli allenamenti, combattendo contro l'incredibile prelievo di chakra che richiedeva il rin'negan. Aveva tirato fuori il manuale dello sharingan, che non aveva mostrato a Jiraya perché era una cosa degli Uchiha, e aveva provato anche ad applicare gli insegnamenti dei suoi antenati. Ed era riuscito ad ottenere qualcosa, anche se lentamente.
I suoi genitori si interessavano ai suoi progressi, i fratelli avevano ricominciato a guardarlo con ammirazione – tranne Fugaku, che lo odiava. Era arrivata anche la convocazione per la guerra, ma nessuna notizia sugli altri membri del suo gruppo.
E Chiharu non era mai in casa.
L'aveva cercata più volte, anche in orari diversi. I primi tempi aveva pensato che fosse uscita, ma a un certo punto aveva iniziato a credere che non fosse lì. Allora, irritato, aveva ceduto alla tentazione di andare a chiedere a Kotaro se sapesse dove diavolo era finita, e per questo era tornato in ospedale.
Non gli piaceva elemosinare informazioni da Kotaro, tanto più che lui era stato a letto con Chiharu, e quindi lui avrebbe dovuto essere quello che dispensava informazioni agli altri; ma non aveva alternative, a parte chiedere a un adulto, e chiedere di Chiharu a un adulto ultimamente era sempre imbarazzante.
Rientrare in ospedale gli diede i brividi: l'odore di disinfettante gli ricordò i giorni che aveva dovuto trascorrere inchiodato a letto, indispettendolo. Non ricordava dove fosse la stanza di Kotaro, così dovette chiedere alla reception, e quelli gli fecero storie perché non era un parente. Alla fine, esasperato, decise di cercarla da sola; e si perse.
Poi, miracolosamente, vide la sorella di Kotaro che prendeva una bibita a una macchinetta.
«Mei!» la chiamò, dopo aver frugato nella memoria per ricordare il suo nome.
Lei trasalì, lasciando cadere la lattina, e lo fissò a bocca aperta.
Aveva sbagliato il nome?
«Perché sei qui?» chiese la ragazza, subito sulla difensiva.
Hitoshi si chinò a raccogliere la lattina e gliela porse. «Sono venuto a trovare Kotaro.»
«Davvero?» Mei fece una smorfia per nascondere l'ondata di sollievo. Quando lo aveva visto aveva pensato che avesse scoperto che Chiharu era ricoverata e volesse fargliela pagare.
«Siamo sempre compagni di squadra...» borbottò Hitoshi, fraintendendo l'espressione di Mei e pensando che lei non lo credesse in grado di preoccuparsi per gli amici – cosa non troppo lontana dalla verità.
«Certo, non intendevo... Va beh» giocherellò con la linguetta della lattina.
«Non mi ricordo dov'è la sua stanza, e all'accettazione hanno fatto storie perché non sono un parente. Puoi accompagnarmi da lui?»
Mei scrollò le spalle, cercando di controllare il cuore che era salito in gola, e gli fece cenno di seguirla.
Ok, la cosa non andava affatto bene. Aveva sempre avuto a che fare con Hitoshi Uchiha senza avere la tachicardia, perché adesso si agitava così?
«Sono stata convocata per la guerra» disse per rompere il silenzio. «Anche se mi diplomo a settembre.»
«Hai voti molto alti?» chiese lui, sforzandosi di smettere di pensare a cosa avrebbe detto a Chiharu.
«Ad aprile mi hanno rimandata...» mormorò lei, dandosi della stupida per aver introdotto il discorso.
«Stanno chiamando proprio tutti» disse Hitoshi, più a sé stesso che a lei. Jiraya aveva detto che Naruto voleva impedire l'inizio dei combattimenti, ma evidentemente i suoi assistenti premevano perché la Foglia si tutelasse. «Anche due dei miei fratelli sono stati convocati.»
«So chi sono. Loro sì che daranno qualche contributo.»
«Hai paura?»
Mei esitò. Poi sospirò. «Sì. Per me, per i miei parenti, per i miei amici... Ho molta paura.»
Hitoshi la osservò, forse per la prima volta. Se avesse fatto la stessa domanda a Kotaro o a Chiharu avrebbero sparato altissimo, dicendo qualche stupidaggine su come avrebbero riequilibrato le sorti del conflitto – cosa che forse avrebbe fatto anche lui. A quanto pareva, Mei aveva più buonsenso di tutti loro. Strano, perché nelle poche volte che ci aveva parlato gli aveva dato l'impressione di una ragazzina balbuziente e sciocca.
Sentendo nominare i parenti, pensò a Fugaku e Mikoto, che nonostante il loro sharingan erano appena usciti dall'infanzia. Si accigliò, avvertendo una lieve contrazione allo stomaco, e poi guardò di nuovo Mei.
«Anche Kotaro è stato convocato?»
«Certo. Come mio padre e mia madre. Tutti.»
Hitoshi si sentì in difetto: aveva preso con orgoglio la convocazione alla guerra di mezza famiglia, ma parlando con Mei iniziava a vedere gli aspetti più cupi della faccenda. E, pensandoci a fondo, iniziava a rendersi conto che si trattava di mandare in guerra dei quattordicenni.
Spero che Naruto riesca a fare quel che ha promesso, si disse. E si impegnò, una volta a casa, a trovare Fugaku e parlare del loro rapporto.
«Siete troppo inesperti per una cosa del genere» disse, nonostante avesse solo tre anni più di Mei. «E' un'idiozia.»
Lei, nonostante tutto, si risentì. «Non ho mai detto che ci avrebbero mandati in prima linea» replicò un po' stizzita. «Siamo inesperti ma abbiamo completato gli studi... Possiamo essere di supporto.»
«Non sai di cosa parli.»
Mei serrò le labbra nello stesso modo in cui le serrava Tenten quando era arrabbiata. «Neanche tu. Pensi sempre di essere una spanna sopra gli altri, che ne sai del livello medio?»
Hitoshi si chiese dove trovasse il coraggio di dirgli una cosa simile, e sollevò leggermente il mento. «Dall'alto si può guardare giù, ma non viceversa» puntualizzò.
«Cioè io non devo azzardarmi a parlare di te perché sei il magnifico Hitoshi Uchiha, ma tu puoi giudicare me perché sono una mezza sega?» Mei si chiese perché diavolo aveva sentito le farfalle nello stomaco vedendolo, dato che era così insopportabile.
«Non voglio offenderti, davvero, ma te le cerchi» senza volerlo, Hitoshi incurvò un angolo della bocca.
Mei aprì la lattina che aveva preso al distributore.
Quella esplose tra le sue mani, inondandole la faccia e la maglietta. In effetti, prima era caduta.
Rimase a gocciolare con le braccia alzate e il desiderio di sparire sotto terra, sconvolta. Hitoshi non riuscì a trattenersi: dalla sua distanza di sicurezza scoppiò a ridere senza ritegno.
E allora Mei sentì le guance che si scaldavano, furiosa, e all'improvviso diventò molto cattiva.
«Scommetto che c'è una cosa che non sai» disse, maligna. «Perché io, tra gli altri, te l'ho tenuta nascosta. Indovina un po'? Chiharu è sempre stata ricoverata qui, a duecento metri dalla tua stanza» Hitoshi smise bruscamente di ridere, facendo capire a Mei che aveva fatto centro. «Lasciami indovinare: hai provato a cercarla un sacco di volte a casa, e adesso vuoi chiedere a Kotaro se ne sa qualcosa?» capì di aver colto nel segno, e, trionfante, esclamò: «non si può guardare dal basso verso l'alto, vero?»
Hitoshi non rispose.
Chiharu era sempre stata in ospedale? Allora stava male. Per quello non era andata a trovarlo... Forse era grave, forse...
«In che stanza è?»
«Arrangiati, figo come sei puoi scoprirlo anche da solo» Mei si voltò bruscamente, sgocciolando dappertutto.
«Mei!» la chiamò Hitoshi, ma lei lo ignorò.
Che cosa ho fatto?, si chiese allora con orrore, sentendo il gelo della paura che le attanagliava le viscere.
Sakura Uchiha l'avrebbe ammazzata.


Mentre Hitoshi incontrava Mei, Baka fissava la porta della stanza di Chiharu.
Erano successe molte cose in quei giorni.
Jiraya gli aveva detto che Chiharu era in un reparto particolare e non poteva ricevere visite; la psichiatria, a quanto pareva. Lui ci era rimasto male, e si era pure preoccupato, ma poi Morino lo aveva scaraventato nell'occhio del ciclone degli interrogatori e non era più riuscito a fare nient'altro.
Finché, proprio negli interrogatori, non era venuto fuori il nome di Chiharu.
E allora Akeru aveva recuperato i favori che gli dovevano in ospedale, e aveva scoperto che non era affatto ricoverata in psichiatria, ma nell'ala che usavano per i sorvegliati speciali; aveva scoperto che due Anbu la tenevano sotto controllo ventiquattr'ore al giorno e che Sakura in persona decideva le sue sorti. Ma soprattutto, aveva scoperto che tutto questo aveva a che vedere con Yoshi.
E non lo aveva scoperto dalla Foglia.
Scrutò le guardie con la coda dell'occhio. Vide che lo fissavano, ma era normale: si conoscevano.
Esitò qualche secondo, per vedere se gli avrebbero impedito di entrare; quelli si limitarono a un piccolo cenno di saluto. Sicuramente sapevano perché era stato rimosso dagli Anbu, e molto probabilmente sapevano anche che non sarebbe dovuto essere li, ma Baka era benvoluto tra i colleghi, e non lo avrebbero tradito. Era imbarazzante sbandierare così la propria cotta, ma in fondo non era lì per quello, disse a se stesso, tentando di convincersi.
Prese un respiro profondo, perché per disobbedire agli ordini diretti dell'Hokage bisogna essere proprio sicuri, e bussò.
«Chi è 'stavolta?»
Senza rispondere lui entrò.
«Baka!» esclamò lei, più stupita che indignata. Di colpo le tornarono in mente le parole di Jiraya, e senza volerlo arrossì. «Non sei... tipo in carcere...?» mormorò, affievolendo la voce man mano. Jiraya non doveva convincerlo a non venire? L'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento erano i problemi sentimentali.
Suo malgrado Akeru fece un mezzo sorriso, immaginando che Jiraya avesse descritto a Chiharu una situazione tragica. «Più o meno.»
Aveva pensato di incontrarla in mille modi diversi, uno più eroico dell'altro, ma ora non sapeva come affrontarla. Forse perché non era lì in veste di grandioso salvatore, ma come allievo di Morino.
Era mattina, la stanza era inondata di luce. Anche quella notte Akeru aveva lavorato, e le occhiaie erano ben visibili sulla pelle. Chiharu le notò. Per una volta le peggiori non erano le sue.
«Ehm...» iniziò, esitante. Una grossa parte di lei si opponeva alla gentilezza verso Akeru, ma le minacce di Jiraya la preoccupavano. «Mi dispiace per come è andata con il contratto...» iniziò, a fatica. «Se c'è qualcosa che posso fare...»
«No, non c'è» lui la bloccò subito. «Avresti potuto evitare di cercare di suicidarti mentre eri sotto la mia sorveglianza, ma credo che ormai sia un po' tardi per quello.»
Ok, una piccola stoccata poteva concedersela... Piccola piccola.
Chiharu si zittì, lievemente risentita, ma durò poco. «Ho cercato di salvare il culo a tutti, e mi pare di esserci anche riuscita.»
«Tutti tranne te.»
«Non è stata una mia scelta. L'evocazione non era sbagliata.»
«Ah no? E allora cosa è andato storto?»
Chiharu tacque. Il riserbo sui chakravakam ora era anche più importante. Akeru sospirò, lasciando perdere la rivincita, e si sedette sulla sedia accanto al letto.
«Non era storta la tecninca. Tu sei storta, Chiharu...»
Lei roteò gli occhi, pronta all'ennesima tirata sulla sua ambiguità sentimentale, ma quella non arrivò.
«Sai di cosa mi occupo adesso?» le chiese Baka, cambiando completamente discorso.
Lei scosse la testa, guardinga.
«Interrogatori. Sono diventato allievo di Morino. Sì, esatto. Anche se sono un medico. Fa parte della mia punizione per aver firmato il tuo contratto, ed è orrendo. Ma non voglio parlare di questo» la fissò con attenzione. «Tu non sai chi è stato catturato mentre eravamo via, vero?»
Chiharu rabbrividì, esitante. Aveva un brutto presentimento: Akeru che veniva a cercarla per parlare del più e del meno era inquietante quanto un Jiraya casto e morigerato. «Chi è stato catturato?» domandò.
«Yoshi.»
La notizia era così inaspettata che Chiharu ci mise almeno due secondi prima di capire di chi stava parlando Akeru. Poi realizzò.
«Cosa? Perché?»
Nel momento esatto in cui lo chiedeva, Chiharu si rese conto di saperlo: le informazioni che Yoshi le portava dall'ufficio dell'Hokage. Sbiancò.
Dopo tutte le pagine che aveva dovuto leggere sulle microespressioni, Akeru non si lasciò sfuggire la sua reazione, e una ruga gli attraversò la fronte in verticale. «E' stato catturato per spionaggio» disse. «Sospettiamo che tenesse sotto controllo l'ufficio dell'Hokage.»
Chiharu deglutì, mentre la schiena le si copriva di sudore.
Menti! Menti! Menti!
«Non ne sapevo niente. Parlavamo solo di sciocchezze quando eravamo insieme...» disse, la gola improvvisamente asciutta.
«Ma certo» Akeru si passò una mano sulla fronte. Fare con Chiharu quello che faceva negli altri interrogatori era di una difficoltà abissale.
Ma doveva tirarle fuori la verità se voleva aiutarla... Perché era stato proprio Yoshi a nominarla.

«E' inutile, non scuce una parola!» Morino prese a calci una gamba del tavolo inchiodato al pavimento, asciugandosi il sudore sul viso.
Akeru, livido, attese che gli ordinasse di guarire Yoshi dalle ferite – lo aveva fatto spesso, quella notte. Ma Morino non gli disse niente.
«Vado a prendere una boccata d'aria» sbottò invece, e per la prima volta da quando lavoravano insieme lasciò Akeru da solo in un interrogatorio.
Lui esitò. Doveva curare Yoshi o doveva solo aspettare? Morino non gli aveva dato ordini, però lui, come medico, sentiva le dita formicolare per il desiderio di agire. Resistette soltanto pochi minuti, poi la sua coscienza si ribellò e lo fece avvicinare a Yoshi.
«Perché non parli e basta?» sussurrò tra i denti, mentre passava le mani avvolte di chakra attorno al viso del ragazzo. I suoi capelli, un tempo di un biondo brillante, adesso erano sporchi e neri alla radice.
Yoshi aprì un occhio pesto, puntandolo su di lui. Poi contrasse i muscoli della guancia per fare una smorfia simile a un ghigno.
«Se io parlo, Chiharu ci va di mezzo...»

Poi Morino era rientrato e Yoshi era ripiombato nel mutismo.
Akeru aveva sempre pensato che Chiharu non fosse coinvolta nella faccenda; credeva che avesse solo un pessimo gusto nello scegliere le amicizie, ma mai avrebbe detto che lei c'entrasse qualcosa. All'improvviso, davanti a una singola frase, le sue certezze avevano traballato.
Baka non era più stato in grado di lavorare decentemente da allora: ad ogni domanda aveva avuto il terrore che Yoshi avrebbe fatto il nome di Chiharu, e se quel nome fosse finito nelle mani di Morino sarebbe stato un vero disastro.
D'altro canto non poteva nemmeno ignorare il coinvolgimento di Chiharu nella faccenda, e per questo, dopo altre ore di angoscia, aveva risolto che gli restava solo da rivolgersi direttamente a lei.
Il che era probabilmente la cosa più lontana dalle fantasie di riunione che aveva avuto.
«Chiharu» disse, appoggiandosi coi gomiti alle proprie ginocchia. «Sto passando giorno e notte a interrogare gente molto più brava di te a mentire... Puoi risparmiarmelo? Dimmi solo cosa c'entri in questa storia.»
Lei rimase a fissarlo, la testa vuota. Avrebbe dovuto fare colazione, si disse, almeno avrebbe avuto le forze di inventare qualcosa di plausibile. Ma c'era una scusa che poteva vendergli?
«Chiharu, è stato Yoshi a fare il tuo nome. Se tu non parli con me, dovrò riferirlo a Morino.»
Chiharu si accorse che le tremavano le mani. Era in trappola.
Ripensò al giorno in cui Yoshi le aveva parlato per la prima volta delle informazioni che riusciva a recuperare dallo studio dell'Hokage; ripensò alla tentazione di denunciarlo, e poi alla rinuncia. Si pentì di ogni singola parola scambiata allora. Deglutì a fatica, senza una goccia di saliva in bocca.
«Lui cosa...» tergiversò.
«Chiharu!»
«Okay! Era... Una cosa innocente» disse piena di imbarazzo, anche se ora la cosa innocente non sembrava proprio. «Lui mi passava delle informazioni, prima che le sapessero gli altri. Non mi ha mai detto come faceva, e io non glielo chiedevo.»
«Che genere di informazioni?»
Chiharu distolse lo sguardo, sentendosi morire. «Informazioni dallo studio dell'Hokage.»
«Stai scherzando?» Akeru spalancò la bocca.
«No» Chiharu fece una smorfia, mentre lui si alzava di scatto, passandosi le mani sul viso. «Erano tutte cazzate, roba di poco conto!» provò a difendersi. «Mi diceva se stavamo per essere mandati in missione, se... se succedeva qualcosa alla Sabbia...»
«Cose innocenti?» gridò Akeru, facendola sussultare. Poi si ricordò degli uomini fuori dalla porta e si costrinse ad abbassare il tono. «Mi stai dicendo che sapevi che uno shinobi teneva sotto controllo l'ufficio dell'Hokage, e invece di avvisare qualcuno ne hai approfittato?»
«Solo per...»
«Porca puttana, Chiharu! Questo è tradimento.»
Pietrificata, Chiharu rimase a fissarlo senza sapere cosa rispondere.
«Come cazzo ti è venuto in mente?» Akeru riprese a camminare avanti e indietro. «Yoshi non era neanche uno shinobi di Konoha... E' uno straniero, un signor chiunque. Avresti dovuto avvisare subito Naruto...» si fermò di botto, colto da un presentimento. La fulminò con lo sguardo. «Cosa ti ha promesso?»
Chiharu si strinse nelle spalle cercando di farsi piccola. «Niente, in realtà» mormorò.
«Certo, come no!»
«Non mi ha promesso niente!» insisté lei. «Io... ho solo pensato che mi sarebbe stato utile. Yoshi sembrava inoffensivo, e quando l'ho scoperto ha giurato che era solo per mettere alla prova le sue capacità...» Ripensandoci adesso, la storia suonava assurda anche a lei.
«Cioè pensavi di controllarlo? Ma che cos'hai nel cervello?»
Aveva paura, ecco cosa aveva nel cervello.
Quando aveva scoperto Yoshi si stava accorgendo che faceva sempre più fatica a migliorare, mentre Kotaro riusciva in tutto ciò che provava e Akeru era appena entrato negli Anbu. L'unico che non la facesse sentire inferiore era Hitoshi, ma poi i suoi fratelli avevano sviluppato lo sharingan e lei si era detta che sarebbe stata questione di tempo... Voleva soltanto avere un po' di vantaggio, visto che gli altri non avevano nessun handicap a rallentarli.
«Era al prmo anno di Accademia!» gemette. «Pensavo che non sarebbe stato difficile controllarlo...»
«Ti sembra normale che uno al primo anno di Accademia riesca a spiare l'ufficio dell'Hokage senza farsi beccare?» Akeru si mise le mani nei capelli. «Pensavi che non sarebbe stato difficile controllarlo!» esasperato, si lasciò cadere di nuovo sulla sedia.
Sentì un peso piombare giù nello stomaco, fino ai talloni: non c'era assolutamente niente che potesse fare per difenderla, realizzò - a parte sostenere l'infermità mentale.
La fissò, ed entrambi rimasero in silenzio, consapevoli dei rispettivi pensieri.
«Come hai potuto fare un errore così madornale?» chiese Akeru dopo un po'. «Ti credevo intelligente...»
«Beh, forse invece ero disperata» mormorò lei, distogliendo lo sguardo al ricordo di Jiraya che la smentiva.
Te lo abbiamo detto un paio di volte di troppo, le aveva detto. Solo ora capiva quanto aveva ragione.
Akeru si fissò le ginocchia, costringendosi a calmarsi. Disperata, Chiharu Nara? Al punto da chiedere aiuto? Scosse la testa. «No, non eri disperata» la contraddisse. «Non più del solito; non più di cinque anni fa, o di quando quell'evocazione ti ha quasi uccisa... Il problema è quello che Naruto vi ha fatto.»
Chiharu perse il filo del discorso. «Naruto?»
Akeru lasciò cadere la testa all'indietro. Per anni aveva avuto la tentazione di spiegare a Chiharu come stavano davvero le cose, ma quando gli veniva il desiderio di farlo era sempre per ferirla, e si tratteneva ogni volta. Ora avrebbe dovuto farlo per la ragione opposta.
«Il gruppo sette non è il gruppo dei migliori» disse, raddrizzando la testa per guardarla. «Una volta, forse, lo era... appena diplomati. Ma lo è stato per poco tempo. Da lì in poi le vostre missioni sono sempre state iperprotette: andare in giro con Naruto era di per sé la garanzia di tornare vivi, qualunque livello decideste di fare. E lui non ha mai permesso che vi fossero affidate missioni con dei veri rischi.»
«Questo non è vero!» insorse istintivamente Chiharu. «Spesso...»
«Spesso un cazzo!» sbottò lui. «Io ho letto i file Anbu su Naruto. Gli shinobi delle altre Nazioni hanno l'ordine di darsela a gambe se lo incontrano. L'ordine di scappare, mi segui? E' facile andarsene in giro con la Volpe a Nove Code come guardia del corpo! Pensi che qualcuno avrebbe davvero osato attaccarvi mentre eravate con lui? E perché credi che venisse ancora in missione inseieme a voi, se gli altri gruppi lavoravano senza maestro già da anni? Per proteggervi, Chiharu. Per essere sicuro che tornaste sempre a casa.»
«Naruto si fida di noi!» esclamò Chiharu. «Il gruppo sette è stato selezionato per raccogliere i migliori diplomati del nostro anno. Non veniva con noi per tenerci in vita, veniva con noi perché le nostre missioni erano difficili.»
«Difficili?» Akeru scoppiò in una risata secca. «Quante volte siete stati più in là dei confini del paese del Fuoco?»
Chiharu aprì la bocca per rispondere, ma nessun ricordo le venne in aiuto. C'erano sicuramente, ma erano pochi e vaghi.
«Quante volte avete dovuto uccidere qualcuno?» continuò Akeru, implacabile. «Quante volte avete dovuto fare scelte eticamente discutibili? Quante volte hai rischiato di morire?»
«Guarda, giusto l'altro giorno» riuscì a interromperlo.
«Sì. E poi?»
Nessuna risposta.
«Sono Anbu da due anni, Chiharu» Akeru alzò la mano aperta. «In questi due anni ho rischiato di morire cinque volte. E me le ricordo tutte... Perché, credimi, quando ti salvi per un soffio te lo ricordi. Voi siete stati davvero in pericolo soltanto quando Naruto non aveva programmato la missione, ma sai qual è la prova più forte? Sei tu: una kunoichi cardiopatica non avrebbe tirato fino ad oggi senza stare sotto una cupola di vetro.»
Chiharu si portò una mano alla fronte, con la fastidiosa sensazione che la stanza ondeggiasse.
Perché la sua parte razionale non riusciva a trovare falle nel ragionamento di Akeru? Perché una voce, nel profondo, le diceva che davvero era proprio strano che fossero così bravi da tornare sempre senza ferite importanti?
Tutti gli anni passati con Naruto, le prove che avevano superato, le fatiche... Tutte versioni edulcorate della vita dei loro compagni?
«Naruto vi ha tenunto nella bambagia per tutti questi anni, e adesso tu non sai distinguere una minaccia da una matricola curiosa» disse Akeru in tono meno duro, vedendola vacillare. «Se solo aveste potuto vedere cosa c'è oltre i confini, cosa c'è davvero, non avresti fatto questo errore... Là fuori è pieno di persone molto più forti di voi, di me, della maggior parte dei nostri compagni; è pieno di mostri pericolosi, e se non stai attenta, per quanto tu sia intelligente, quelli fanno esattamente quello che ha fatto Yoshi con te: ti usano.»
Ti usano.
Come Itachi Uchiha aveva fatto con Sasuke, e Madara con Itachi... Esattamente ciò a cui aveva creduto di prepararsi per tutta la vita, ciò che l'aveva spinta a trattare male il prossimo per evitare di restare ferita. Ed era finita che la prima volta che avevano provato davvero a manipolarla, ci era cascata in pieno. Aveva passato tutta la vita a stare in guardia, contro i suoi genitori, contro i compagni, anche contro Akeru... E si era tradita con Yoshi, così: banalmente. Come una ragazzina all'Accademia.
Come l'allieva di un maestro troppo, troppo protettivo.
Provava vergogna.
Tra lei e Akeru, per la prima volta pensava che il cognome Baka fosse finito alla persona sbagliata, ma non era facile accettarlo.
«Non ha senso...» mormorò, quasi stordita. «Naruto ci ha allenato per combattere, non è un vigliacco. Lui ci ha sempre spinto a migliorare, ci ha fatto rischiare...»
Akeru la guardò bene, stretta nelle spalle, aggrappata al lenzuolo. Stava distruggendo tutto quello in cui lei credeva, ma doveva farlo. Anche a lui faceva male vederla così, ma per Chiharu era arrivato il momento di capire fino a che punto Naruto li avesse condizionati... Prima che la guerra la travolgesse.
«Tu conosci la profezia di Naruto?» chiese.
«Intendi il libro di Jiraya?» lei rialzò la testa.
«Sì. La profezia secondo cui Naruto sarà il salvatore del mondo ninja, o il suo distruttore. Tra gli Anbu circola da parecchio tempo, anche se non tutti credono che si riferisca proprio a Naruto.
Tu hai letto il romanzo? Io ammiro Jiraya per tante cose, ma quel libro è davvero una stronzata. C’è un solo modo in cui Naruto può salvare il mondo dei ninja, ed è allevando una generazione di shinobi diversa dalla precedente; è affidando a loro il futuro. Di sicuro non rivelandosi la mistica reincarnazione del dio della Pace, e imponendo forzosamente la tregua a tutto il mondo ninja! Per favore! Questo non è uno scenario possibile: in questo modo non si ottiene la pace, si ottiene soltanto altro odio.
Ma, se lui ci crede davvero, non faccio fatica a immaginarlo che pensa di tenervi fuori dai pericoli, perché tanto impedirà lo scoppio della guerra, porterà la pace tra i popoli e vi regalerà un futuro tutto rose e fiori!» Akeru fece una smorfia amara. «Per ora vi ha regalato solo l'odio degli altri gruppi, perché ve la siete tirata per tutto il tempo mentre non c'era proprio nulla di cui vantarsi. E, visto come è andata con Yoshi, non avevamo tutti i torti a considerarvi viziati.»
Chiharu si passò le mani sul viso, premendo le dita sulla fronte.
Aveva la testa invasa da un ronzio: sentiva la voce di suo padre, anni prima: fuori di qui ci sono cose pericolose di cui tu non sai niente, le aveva detto. E lei lo aveva ignorato, perché si sentiva forte e Shikamaru era lì, quindi lei lo dava per scontato, non lo ascoltava nemmeno, come tutte le cose che aveva sempre intorno... Quanto avrebbe voluto averlo vicino, adesso. Ma quanto si vergognava di cercarlo, ora che si vedeva per quello che era!
Fece scivolare le mani ai lati del viso, tenendo lo sguardo piantato sulle lenzuola.
«E adesso la guerra è arrivata» disse Akeru piano. «E voglio che tu sia preparata.»
«La guerra?» finalmente lo guardò.
«La Roccia ha fatto arrivare la dichiarazione ufficiale. Questo significa che Yoshi non è sospettato di spionaggio e basta, ma è sospettato di lavorare per loro. E, in parte, lo sei anche tu.»
«Io non lavoro per la Roccia!» esclamò Chiharu indignata.
«Beh, alcuni pensano che sia così. Ho scoperto che Sakura Uchiha è convinta che tu sia coinvolta con Yoshi.» le spiegò lui. «Ovviamente non poteva metterti uno Yamanaka nella testa per interrogarti - Naruto non glielo avrebbe mai permesso - ma fuori dalla tua stanza ci sono due Anbu, e nel corridoio non ci sono altri malati. E' come se fossi prigioniera anche tu.»
«Ha già deciso tutto» alitò Chiharu.
Per quanto sconvolgente, la cosa non la stupiva più di tanto: Sakura non si fidava di lei da quando le aveva disobbedito, cinque anni prima, quando Hinata aveva rischiato di perdere Minato.
Akeru annuì lentamente, corrucciato. «Cercherò di aiutarti...»
«Come?» lo interruppe lei. «L'unica soluzione che vedo io è uccidere Yoshi.»
Lui rimase in silenzio. In effetti era anche l'unica che vedeva lui, ma se qualcosa fosse andato storto, altro che tradimento...
«Non posso ucciderlo» sospirò, appoggiando la fronte alle mani. «Mi inventerò qualcosa, proverò a restare solo con lui.»
E come, visto che anche tu hai un piede in carcere?, non riuscì a non pensare lei. Ma vide le buone intenzioni di Akeru, e insieme all'angoscia provò ancora il senso di colpa e la vergogna.
Jiraya l'aveva messa in guardia sul prendersi le proprie responsabilità... Adesso non c'era nessuno su cui scaricare la colpa; non la Lophenaria di suo nonno, non il suo cuore, nemmeno Yoshi. C'era solo e soltanto lei.
«Sono finita, vero?» chiese con un filo di voce.
Akeru non riuscì a risponderle.
«Merda...» sussurrò Chiharu, alzando gli occhi verso il soffitto. Si sarebbe aspettata di sentire le lacrime premere dietro gli occhi, ma ancora un volta non arrivavano. Si chiese se si stessero accumulando da qualche parte, dentro di lei, e se l'avrebbero avvelenata. «E io che pensavo che il mio problema più grande fosse la salute» disse.
«Farò tutto ciò che posso, davvero» insisté Akeru.
«Allora convincerai Sakura che avevo un piano e costringerai Yoshi ad appoggiarmi?»
«Chiharu, sto parlando seriamente.»
«Anch'io. A proposito, il dottore che si occupa di me dice che questa volta il mio cuore è davvero al limite: se continuo sono morta. Questo può tenermi fuori dal carcere o è un problema solo se voglio restare ninja?»
Akeru esitò, combattendo contro la propria etica di medico, ma alla fine si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. «L'ultima volta che te l'hanno detto non mi sembra ti abbia fermato.»
Chiharu scosse la testa e continuò a fissare il soffitto.
«Haru, guardami.»
Lei non reagì.
«Chiharu!»
«Cosa?» sbottò abbassando lo sguardo.
E allora lui si protese in avanti, appoggiando una mano sul letto, e l'altra la posò sulla sua guancia, e le labbra le premette contro quelle di lei. Le sentì fredde, screpolate, ma riuscì a riconoscerle.
La baciò delicatamente, poco più di una carezza, poi si fece indietro.
«Farò tutto ciò che posso, davvero» ripeté, scivolando con la mano dal viso al collo.
Qualcosa pizzicò, sotto le palpebre di Chiharu. Ed era straordinario, perché stava iniziando a pensare che non sarebbe più successo. Forse, come aveva supposto Jiraya, ci voleva qualcuno della sua età, qualcuno che fosse al suo livello, per farla sbloccare.
Per un folle istante Chiharu sentì l'istinto di posare la sua mano su quella di Akeru, ancora ferma contro il suo collo... Ma prima che potesse farlo qualcuno li interruppe bussando.









* * *

Cliffhanger!
Questo capitolo, dal punto di vista dei contenuti,
sarebbe lungo il doppio.
Purtroppo il capitolo successivo non è ancora completo,
inoltre se lo avessi lasciato unito sarebbe stato enormemente lungo,
per questo ho pensato di spezzarlo qui.
E' forse l'unica libertà che ci si può prendere con le storie a capitoli.
Vi prego di essere comprensivi.
Solo nel prossimo capitolo saprete chi sta bussando a quella porta.

Ciò detto,
oh! Finalmente questo capitolo!
Non vedevo l'ora di scrivere di questo Stupido meno stupido del previsto.
E' stata una soddisfazione quasi indecente.
Per chi avesse delle perplessità sul discorso di Baka,
(soprattutto riguardo a Naruto),
vi ricordo che il mio Naruto è un po' diverso da quello di Kishimoto.
Per esempio,

ALLERTA SPOILER QUARTA GUERRA DEI NINJA!
(E' SCRITTO IN BIANCO, SELEZIONATELO CON IL CURSORE PER LEGGERLO)

il mio avrebbe risposto alla dichiarazione di Hinata,
invece di dimenticarsene completamente.

FINE SPOILER!

Ad ogni modo,
ho creato qualche difficoltà anche a Hinagiku
(perché dodici anni è l'età migliore per i fraintendimenti)
e alla povera Mei
(forse sono stata crudele)...
Giusto per ricordarvi che ci sono anche altri personaggi femminili
al di là di Chiharu.
Spero che vi siano gradite
(almeno loro sono normali, più o meno).

Ancora una volta vi ringrazio per aver letto,
e se vorrete farmi sapere cosa pensate di questo capitolo
il form delle recensioni dovrebbe essere qui sotto.

Oggi purtroppo sono molto stanca,
ma la prossima volta vorrei lasciarvi il link ai disegni dei mocciosi
che ho fatto nel lontano 2008,
e magari la preview del capitolo successivo...
Chissà se mi ricordo! XD

Un abbraccio,

Susanna
  
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