Kanata ama il rumore del mare, ama vederne le onde scontrarsi contro le rocce e creare spuma bianca e morbida in cui nuoterebbe con gioia se solo ne fosse capace. Contempla il panorama, seduto sul promontorio della città con le gambe che ciondolano nel nulla - è rilassante, è nel suo habitat.
E poi c'è lui, con quella coda fatta d'oro che brilla alla luce del sole - tutto è dorato, in quella creatura: la sua pinna, i suoi occhi, i suoi capelli. Kanata lo sogna spesso, sogna di toccare quei capelli umidi, impossibilmente morbidi tra le sue dita, sogna di baciare quelle palpebre adornate di ciglia lunghe e bionde, sogna di toccare la sua pinna, le sue labbra, e di baciarle.
Forse è innamorato. Vorrebbe sapere il suo nome.
A volte sta in piedi sul bordo del promontorio, e sente l'acqua bagnargli le mani, la faccia - non ha paura di cadere, sa che l'acqua proteggerebbe il suo figlio prediletto, dopotutto. Agita la mano alla creatura, e il più delle volte quella non si accorge di Kanata, ma quando lo fa il suo sorriso è così dolce, mentre risponde al saluto, che Kanata sente il suo cuore ridere.
"Dimmi il tuo nome!" urla, le mani chiuse a coppa attorno alla sua bocca, come se quel piccolo trucco possa fare il miracolo, e far sì che la sua voce raggiunga la sirena. E forse lo fa, in fondo, perché riesce a vedere la spuma bianca prendere la forma di qualcosa che sarebbe altrimenti innaturale, lettere che spiccano in bianco tra il blu profondo dell'oceano.
Kaoru.
Amerà quel nome fino alla fine della sua vita, protetto nelle profondità del suo cuore.