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Autore: Yvaine_    08/10/2016    2 recensioni
Perché anche i principi hanno bisogno di essere salvati.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Principe'
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Avviso: storia partecipante al XI contest Raynor’s Hall.
            tema: Principe, Erin Wings


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Principe

Oh, sweet prince, would you care to be mine?

Le prime volte che l’aveva visto se ne stava con il mento sulle braccia incrociate appoggiate al davanzale della finestra di quella che doveva essere camera sua. Aveva uno sguardo malinconico, perso nel vuoto.
Hayden passava da settimane tutti i giorni davanti alla casa al fondo della via parallela alla sua e a qualsiasi ora lo trovava lì, in quella posizione. Doveva avere la sua età, anche se non ricordava di averlo visto a scuola, nei corridoi o in aula.
Non sapeva cosa rendesse così triste quel bambino. Forse aveva a che fare con quel viavai che c’era stato qualche tempo prima.
Hayden c’era andato. Vestito elegante. Anche i suoi genitori si erano vestiti bene. La mamma aveva preparato la sua famosa insalata di pollo. Hayden non capiva, ma l’unica cosa che gli avevano detto era che “andavano a fare le condoglianze”. Cosa volesse dire, però, Hayden non lo sapeva. Di quel giorno soleggiato ricordava solo due immagini. Lui con i suoi genitori e sua sorella in braccio a papà davanti alla porta elegante dipinta di bianco nella facciata azzurro chiaro. E quel bambino, in quella posizione, alla finestra. In qualche modo gli aveva ricordato le principesse delle favole che i suoi genitori raccontavano a Jenna per farla addormentare. Le principesse chiuse nelle torri che aspettavano speranzose, con lo sguardo fisso all’orizzonte, l’arrivo dell’impavido principe.
Ma, certo, quel bambino non era una principessa. Forse in questa favola era il principe ad essere chiuso nella torre e ad aspettare qualcuno che lo salvasse.
Da quella mattina Hayden era passato ogni giorno davanti alla casa. Si nascondeva dietro un cespuglio o un albero e osservava.
Hayden non aveva molti amici. Anzi praticamente nessuno. Qualche volta giocava con i figli delle amiche o conoscenti della madre che venivano a casa a fare una partita a carte o a prendere il tè. Un giorno stava giocando con il figlio della signora McCarry e, quando stavano tornando a casa, Hayden aveva rallentato e si era fermato a fissare quel ragazzino ancora una volta, mentre Sam aveva tirato dritto. Era sempre lì. Hayden dopo un po’ si era guardato attorno alla ricerca di un principe azzurro che salvasse quel bambino dalla torre. Non vedendo nessuno si era avvicinato e aveva poggiato delicatamente la palla sotto la finestra e si era voltato per andarsene. Il bambino alla finestra non pareva essersi accorto di nulla.
Il giorno dopo, come al solito, Hayden era passato di nuovo lì davanti. La palla non c’era più. Ma neanche il bambino. La finestra era chiusa e la stanza scura. Nonostante tutto Hayden aveva lasciato comunque la macchinina rossa sotto il davanzale, dove il giorno prima aveva posato la palla.
Il giorno dopo aveva portato con sé un vagoncino del trenino che gli era stato regalato il Natale precedente. Come il primo regalo, anche il secondo non c’era più e la finestra era chiusa, ma la stanza era luminosa. Hayden lasciò per la terza volta il suo dono sotto il davanzale. Diversamente dagli altri giorni si nascose dietro il cespuglio della casa di fronte.
E vide il bambino aprire la finestra con un’aria triste. Lo vide sporgersi. Vide il suo volto illuminarsi. E lo vide sparire dalla finestra per poi spuntare dalla porta principale, fiondarsi verso il giocattolo e prenderlo in mano. Lo osservò e poi si girò per rientrare in casa. A quel punto Hayden prese il coraggio a due mani e andò a bussare alla finestra del bambino.
«Non te ne fai nulla solo di un vagoncino…» gli disse quando quello aprì la finestra.
Non ricevendo risposta, continuò: «Io ho la locomotiva.» E gliela mostrò. Ancora nessuna risposta. «Se ti va ci possiamo giocare insieme.»
Quella che parve una scintilla di vita brillò negli occhi del bambino misterioso, colorando un po’ quell’azzurro cielo. Fece un cenno con la testa e sparì. Hayden si diresse verso la porta bianca che dopo qualche secondo si aprì. Adesso c’era anche l’accenno di un sorriso sulle labbra del bambino. Guidò Hayden fino alla sua camera, sempre senza dire nulla. Hayden si guardò intorno, spostando gli occhi dappertutto, attardandosi sul divanetto sotto la finestra; doveva essere quello il posto il cui il bambino stava tutto il giorno tutti i giorni. Poi si girò verso la parete dei giochi. Lo vide che stava in piedi vicino alla porta con il vagoncino in mano. Hayden, con un cenno d’invito della testa, si sedette per terra. Allora il bambino gli si avvicinò e unì i due pezzi del gioco.
Non si accorsero del tempo che passava. Non dissero molto. Anzi, solo Hayden parlò un po’. Tirarono fuori un sacco di macchinine, piste, aerei, puzzle, costruzioni…
A volte il bambino rideva delle buffonate di Hayden.
Ad un certo punto si aprì la porta della camera e si stagliò la figura di un uomo che indossava un completo elegante un po’ stropicciato. Aveva un misto di confusione, sorpresa e stanchezza negli occhi. Li osservò per un attimo e poi salutò Hayden.
«Ciao! Tu chi sei?»
«Hayden» e fece un sorriso.
«Quindi hai un nuovo amico, eh, Sed?» “Sed” non rispose.
«Ti fermi a cena da noi, Hayden?» chiese l’uomo con un sospiro.
«È già ora di cena? Oh, no, grazie! Devo tornare a casa» rispose Hayden alzandosi.
«D’accordo. Vuoi che ti accompagni?»
«Non c’è problema. Abito qui vicino.»
«Va bene, ma stai attento.»
Hayden annuì e si girò a salutare “Sed”. «Ci vediamo domani!»

Quel “domani” si trasformò in giorni, settimane, mesi, anni. Intere giornate passate a giocare nella camera di Sedgewick prima, nel giardino della casa poi e infine per strada o anche a casa di Hayden.
Sedgewick pian piano si aprì sempre di più, tornò a sorridere, parlare e non stava quasi per nulla sul divanetto sotto la finestra. Anche l’atmosfera della casa era più leggera da quando Hayden era entrato con la sua locomotiva giocattolo.
Divennero l’uno il migliore amico dell’altro, anche se la mamma di Hayden dopo qualche tempo cominciò a chiamare Sedgewick l’”amico speciale”.
Hayden non sapeva esattamente a cosa si riferisse sua madre, ma allo stesso tempo non riusciva a spiegare la sensazione che lo pervadeva ogni volta che vedeva o pensava a Sedgewick.
Iniziò a realizzarlo solo qualche anno più tardi, specialmente quando Sedgewick passò tutta l’estate oltreoceano con la sua famiglia. Non aveva intenzione di andare a trovarlo subito quando sarebbe tornato. Gli scrisse un biglietto. Come quando si erano incontrati glielo portò a casa e lo incastrò tra i due battenti della finestra.
Quando Sedgewick aprì il biglietto lesse solo poche parole. Poi sorrise emozionato.

Oh, dolce principe, vorresti essere mio?

                                                                      H.



Nicchia dell’autrice
Salve! Dopo secoli finalmente posto qualcosa!
Ringrazio Elena Zorzi che mi ha suggerito il prompt “Oh, sweet prince, would you care to be mine?”
Mi si è accesa una lampadina appena l’ho letto e ne è uscito… questo.
È come l’avevo pensato? Ovviamente no. Ne sono soddisfatta? Mah. Poteva venire meglio? Sicuro!
A parte la parentesi “sclero da scrittrice pazza”, buona continuazione!
Yvaine_
p.s. grazie per aver letto!
  
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