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Autore: Notteinfinita    11/10/2016    1 recensioni
[Completa]
Una parola "Feeling", sette lettere e sette one-shot (più una bonus) incentrate sulla coppia Martin x Diana.
(raccolta di One-shot partecipante alla Dartin week indetta da EvelynWolfman)
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Diana Lombard, Martin Mystère
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dartin Week 2016'
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Indestructible – indistruttibile


Martin si guardò allo specchio con occhio critico.

Era inutile, non si sarebbe mai abituato a vedersi in giacca e cravatta ma questa era un'occasione importante, non poteva farne a meno.

Strattonato l'odiato cappio, con malagrazia lo raddrizzò per poi inserire due dita nello scollo della camicia nel tentativo di allargarlo.

Un'occhiata all'orologio gli ricordò che doveva sbrigarsi se non voleva fare tardi.

Scese di corsa le scale, entrò in cucina, afferrò la borsa termica poggiata sul tavolo e si avvicinò al frigorifero.

Aperta la porta, prese la bottiglia di champagne che vi aveva messo a raffreddare e la sistemò con cura nella borsa quindi si girò verso il ripiano alle sue spalle e recuperò due calici che aveva già avvolto in tovaglioli di stoffa affinché non si rompessero.

Sistemati anche questi nella borsa frigo la chiuse e si avviò verso il portone.

Un ultimo controllo gli confermò che le chiavi della macchina erano già in tasca.

Aperta la porta di casa la varcò richiudendosela alle spalle.

Avviatosi con passo deciso verso l'auto ferma nel vialetto, fece scattare la chiusura centralizzata e vi entrò posizionando con cura la borsa termica sul sedile del passeggero.

Una volta non avrebbe mai pensato a se stesso come al proprietario di una berlina, ma forse crescendo si cambia.

Alzati gli occhi sulla sua casa, puntò lo sguardo sulla cima di un albero visibile oltre il tetto.

Anche se non poteva vederlo per intero, visto che era piantato nel giardino sul retro, avrebbe saputo indicare con precisione il punto in cui era posizionata la vecchia casa sull'albero.

Quanti pomeriggi vi avevano trascorso trasformandola di volta in volta nella casa della loro famigliola di orsacchiotti, in una nave dei pirati in balia della tempesta o in qualsiasi altra cosa venisse in mente a lui e a Diana ma anche quei tempi erano ormai lontani.

Con un sospiro si decise ad avviare il motore e si immise sulla strada.

La sua meta non era lontana così meno di dieci minuti dopo si ritrovò a parcheggiare l'auto.

Appena scese lo stormire delle fronde degli alberi lo accolse. Era passato un anno dall'ultima volta che era stato lì ma non era cambiato nulla: stessi suoni, stessi odori, stessa atmosfera.

Presa la borsa frigo, si diede un'ultima occhiata nel riflesso del finestrino e si avviò chiudendo l'auto col telecomando.

Arrivato davanti al cancello si tastò le tasche alla ricerca delle chiavi. Dopo averle trovate le sfogliò velocemente alla ricerca di quella giusta e la usò per aprirlo.

Gli era dispiaciuto imbrogliare Jerry, il custode, per farne una copia ma quello era l'unico modo sicuro per entrare ed uscire senza problemi.

Varcato l'ingresso s'inoltrò per il viale alberato.

Non aveva portato una torcia con se ma bastava la luce della luna ad illuminare i suoi passi, ed anche senza quella ormai conosceva così bene quel posto che avrebbe potuto camminarvi ad occhi chiusi.

Lei era lì, al solito posto.

Martin le sorrise timidamente.

Raggiuntala, poggiò la borsa frigo sull'erba, la aprì e ne estrasse il contenuto.

«È un giorno speciale, esigeva qualcosa di altrettanto speciale.» spiegò, accennando alla bottiglia.

Dopo aver riempito i due calici ne pose uno sul marmo di fronte a lui toccandolo col suo per farlo tintinnare.

«A te Diana. Come vedi non mi sono dimenticato del nostro appuntamento.» disse.

A quel punto non resistette più, si lasciò cadere in ginocchio ed il calice che teneva in mano, abbandonato al suo destino, ruzzolò a terra spargendo il suo contenuto sull'erba.

Mentre calde lacrime gli solcavano il viso, alzò una mano e sfiorò leggermente il sorriso della foto posta sulla lapide.

Era stato lui a volere che ci fosse una foto, anche se di norma non vi erano foto sulle tombe. Voleva che tutti potessero vedere quant'era splendido il sorriso della sua Diana.

«Oh, Diana.» mormorò tra i singhiozzi.

Erano già passati dieci anni da quel giorno eppure il dolore che provava non si era minimamente affievolito.

Appoggiata la testa alla lapide si rannicchiò su se stesso in cerca di conforto.

Ricordava ogni singolo attimo di quel maledetto giorno e dubitava fortemente che sarebbe mai riuscito a dimenticarlo.




Era notte, e loro due erano in missione nei pressi di un laghetto di montagna dove diverse coppie che vi si erano appartate erano state aggredite da un mostro.

Ad un tratto avevano sentito un fruscio tra le foglie e l'essere in questione li aveva attaccati.

Nonostante i suoi sforzi, ben presto si era dovuto arrendere all'idea che fosse troppo forte per poterlo sconfiggere da soli così aveva intimato a Diana di scappare ed avevano iniziato a correre.

Avvistato un dirupo, gli era venuta un'idea. L'agilità, a differenza della forza, non rientrava proprio tra le caratteristiche del mostro così, con un balzo, era approdato sul costone opposto, quindi aveva fatto cenno a Diana di fare lo stesso. La ragazza, seppur spaventata, aveva saltato il dirupo atterrando tra le sue braccia.

Come previsto, il mostro aveva tentato di seguirli venendo inghiottito dall'oscurità del baratro.

«Evvai!» aveva gridato lui, soddisfatto di se.

La gioia era però durata poco. Abbassato lo sguardo aveva notato che Diana era pallida in volto e si stringeva una mano al petto.

Preoccupato, l'aveva fatta stendere a terra tenendole la testa poggiata sul suo petto.

«Diana, cos'hai?»

Aggrappandosi alla sua camicia, lei si era sporta fino a sfiorare le sue labbra con le proprie mentre lui sgranava gli occhi, stupefatto.

«Martin, io ti amo.» aveva sussurrato mentre le lacrime le offuscavano la vista per poi ricadere esanime tra le sue braccia.

«Diana, Diana!» aveva urlato lui, scrollandola.

In preda al panico aveva contattato il Centro per chiedere aiuto.

In pochi minuti una squadra di medici si era presentata sul posto per prestare le prime cure alla ragazza.

Totalmente stordito dalla preoccupazione, li aveva seguiti all'interno del portale senza la forza di chiedere nulla.

Non sapeva quanto fosse passato quando udì una voce richiamarlo dal nebuloso stato di inquietudine in cui si trovava.

«Martin.» aveva chiamato M.o.m,con voce carica di ansia.

«Dobbiamo parlare.» aveva aggiunto, quando lui aveva alzato gli occhi su di lei.

Tenendolo per un braccio, quasi temesse di vederlo crollare a terra, lo aveva portato in un piccolo ufficio, poco più grande di uno sgabuzzino.

In seguito scoprì che era la stanza del primario del reparto medico del Centro ma allora non sapeva dove fosse e neanche gli importava.

«Martin, Diana ha avuto un problema cardiaco, il suo cuore si è fermato. Non ce l'ha fatta, mi dispiace.» aveva detto M.o.m con voce sempre più malferma mentre le lacrime cominciavano a solcarle il viso.

Lui aveva urlato che no, non poteva essere possibile. Che si stavano sbagliando.

Si era alzato, rovesciando la sedia su cui era seduto ed era corso in direzione della porta dietro cui aveva visto sparire la sua amica.

M.o.m aveva tentato di fermarlo, senza riuscirci e così lui aveva spalancato quella sottile barriera di legno e l'aveva vista distesa sul letto, un lenzuolo a coprirle il corpo, il viso cereo.

Era stato come se tutte le forze lo avessero abbandonato.

Si era sentito cadere a terra e poi aveva avvertito due braccia che lo stringevano forte.

Solo molto tempo dopo si era reso conto di essere rimasto quasi un'ora accasciato sul pavimento della stanza a piangere stretto tra le braccia di M.om.

«Martin, devo andare ad informare sua madre dell'accaduto.» aveva detto la donna, aiutandolo ad alzarsi.

«Vengo anch'io!» aveva annunciato lui, in tono deciso.

«Non so se è il caso.» aveva obiettato lei.

«Devo. Viviane è stata come una seconda madre per me da quando la mia mi ha abbandonato. Voglio starle accanto.»

Di fronte ad una dichiarazione del genere M.o.m non aveva potuto far altro che cedere.

«Un attimo e ti raggiungo.» aveva detto indicando il corpo della ragazza distesa sul letto.

Quando M.o.m l'aveva lasciato solo si era avvicinato a Diana e le aveva accarezzato una guancia.

«Vivrai nel mio cuore per sempre.» le aveva sussurrato prima di darle un bacio leggero sulle labbra.

Facendo ricorso a tutte le sue forze si era voltato ed aveva lasciato la stanza.

Raggiunta M.o.m, avevano attraversato il portale ritrovandosi in un parcheggio a quasi un chilometro da casa Lombard. Lì erano saliti sull'auto che il Centro aveva messo loro a disposizione ed erano partiti.

Aveva guidato M.o.m e, per una volta, lui non aveva protestato.

Era da poco passata mezzanotte quando avevano suonato il campanello della villetta a schiera, identica a quella di fianco in cui lui abitava dalla nascita.

Viviane aveva aperto subito, stranamente senza neanche chiedere chi fosse a quell'ora.

Il corpo stretto in una vestaglia, il pigiama che spuntava oltre l'orlo dell'indumento.

«Diana!» aveva sussurrato mentre sul suo viso si dipingeva la paura e il dolore.

«Signora Lombard, scusi l'orario, io sono»

«Lei è M.o.m, so chi è. Ciò che ho bisogno di sapere è come sta mia figlia.» aveva detto Viviane con voce ansiosa.

«Signora mi dispiace.» aveva mormorato M.o.m, con voce dolente.

Non c'era stato bisogno di aggiungere altro perché Viviane capisse cosa la donna le voleva dire.

«La mia bambina.» mormorò prorompendo in un pianto dirotto.

D'istinto lui l'aveva abbracciata sentendola piccola e fragile come mai gli era capitato.

Qualche minuto dopo i singhiozzi si erano attenuati e lei li aveva invitati ad entrare.

«Si accomodi.» aveva detto a M.o.m, indicandole il divano, e poi aveva chiesto a lui di preparare il caffè per tutti mentre lei, dopo essersi scusata, era salita in camera da letto.

Pochi minuti dopo era scesa portando con se due buste e consegnandone una ciascuna ai due.

Appena l'aveva aperta aveva subito riconosciuto la scrittura, era quella di Diana.

Le lacrime gli avevano immediatamente offuscato la vista ma, nonostante questo, aveva continuato a leggere.

In quelle righe la ragazza gli chiedeva scusa per non avergli detto di stare male, gli confessava di amarlo da anni ma di non aver avuto il coraggio di dirglielo e gli augurava il meglio per la sua vita.

Quando entrambi avevano finito di leggere avevano riportato lo sguardo su Viviane con un misto di dolore e ammirazione per la donna fragile eppure coraggiosa che stava loro davanti.

«Martin, come tu sai il mio Matthew è morto a causa di problemi cardiaci.» aveva iniziato a spiegare. «Ciò che forse non sai è che la sua era una malformazione congenita. Alla fine dello scorso anno scolastico Diana aveva avuto alcuni mancamenti così nel corso dell'estate aveva fatto dei controlli. Purtroppo aveva ereditato lo stesso problema del padre. Il medico era stato chiaro, le rimaneva poco. Poteva sperare in qualche mese in più solo con una vita estremamente tranquilla.»

A quel punto le lacrime le avevano impedito di parlare, lui le si era seduto accanto e l'aveva stretta a se, ben consapevole che niente avrebbe potuto alleviare quel dolore.

«Le chiesi di lasciare la Torrington e di proseguire gli studi da casa. A quel punto lei mi ha confessato ciò che provava per te.» aveva detto, stringendogli una mano tra le sue. «Mi ha raccontato del Centro e anche di lei, M.O.M e mi fece promettere che non ne avrei parlato ad anima viva. Poi le vacanze sono finite, lei ha ripreso la scuola e da allora ho vissuto temendo il giorno in cui il suo cuore avrebbe ceduto.»

«Se lo avessi saputo non le avrei mai permesso di partecipare alle missioni.» aveva risposto M.O.M, costernata.

«Proprio per questo ha fatto in modo di nasconderlo a tutti. Finché ce la faceva voleva affiancare Martin nelle sue avventure.» aveva spiegato, volgendo poi lo sguardo su di lui «Non sai quanto le dispiaceva di doverti mentire e per causa mia era costretta a dirti anche qualche bugia in più. Ricordi i corsi preparatori per l'università? Non esistevano. In realtà quando ti diceva di andare al corso si incontrava con me in un hotel non lontano dal campus.»

«Che furba, sapeva che non le avrei mai chiesto informazioni su una cosa del genere e che non l'avrei mai neanche seguita!» aveva esclamano lui, cercando di sorridere ma riuscendo solo a fare una smorfia.

«Non volevamo mentire a tutti ma Diana non voleva leggere negli occhi di chi la conosceva la compassione. Ha preferito vivere nel modo più normale possibile fino all'ultimo. Adesso posso vedere la mia bambina?»

«Ma certo, la porto subito da lei!» aveva risposto M.O.M, scattando in piedi. «Martin, tu è meglio se vai a casa a riposare, è stata una lunga giornata.»

Lui aveva protestato ma, alla fine, M.O.M gli aveva fatto capire che era giusto che lasciasse un po' Viviane da sola con sua figlia.

Lo avevano accompagnato a casa e, dopo aver spiegato al padre quanto era successo, almeno nei limiti consentiti dalla segretezza del Centro, lo avevano lasciato lì.

A quel punto i ricordi si facevano confusi.

Ricordava di aver vegliato il corpo dell'amica e che, ad un certo punto, suo padre lo aveva costretto a farsi la doccia e lo aveva aiutato ad indossare un completo ed una cravatta.

Aveva la certezza di essersi seduto in un banco della chiesa e di aver visto molta gente attorno. Poi qualcuno gli aveva messo in mano del cibo e delle bevande e molte persone lo avevano baciato ed abbracciato ma non riusciva a ricordarne neanche una.

L'unica cosa nitida dei giorni seguenti era solo il dolore che gli squassava incessantemente il petto e il senso di vuoto che sentiva dentro.




Erano già passati dieci anni da quel maledetto giorno ed ogni anno, nella notte della sua morte, lui andava a trovare la sua amata Diana.

La commemorazione ufficiale era stata nel pomeriggio ma lì c'era sempre troppa confusione per i suoi gusti, questo invece era un momento solo per loro due.

Riscossosi dai suoi pensieri si rese conto di avere tra le mani la lettera che la ragazza le aveva lasciato.

La portava sempre con se dal giorno in cui Viviane gliela aveva consegnata.

Non aveva bisogno di leggerla per ricordare cosa vi era scritto. L'aveva letta così tante volte da conoscerla a memoria.

Facendo leva sulle braccia si rimise in piedi e raccolse le cose che aveva portato quindi si riavvicinò alla lapide e sfiorò la foto con un bacio.

«Ciao.» disse semplicemente, con voce stentata.

Gli avevano detto che col tempo il dolore sarebbe passato e avrebbe dimenticato ma chi lo aveva detto sicuramente non aveva mai avuto un legame come il loro.

Mentre si avviava verso l'uscita volse ancora una volta lo sguardo verso il punto in cui sorgeva la tomba mentre rinnovava il giuramento che le aveva fatto il giorno del funerale.

Né il tempo né la morte avrebbero mai spezzato il loro legame.

Lei sarebbe vissuta nel suo cuore, per sempre.




Angolo dell'autrice (che spera di non essere uccisa dai lettori): Lo so, lo so. Sono stata cattiva, crudele e malvagia ma non posso farci niente, questa ff è venuta fuori da se, senza che io lo volessi.

Spero mi perdonerete.


  
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