2.
Un incontro da dimenticare
Una birra.
Una bellissima,
rinfrescante e rigenerante birra. Era tutto quello che desiderava dal
momento in cui la sveglia aveva suonato di primo mattino, sbattendolo
giù dal letto di controvoglia. Probabilmente aveva anche
sognato di
berla, magari in uno di quegli iconici boccali che aveva trovato in
diversi irish pub che aveva frequentato durante la sua giovinezza, i
suoi anni migliori. La schiuma che puntualmente andava a finire sulla
sua barba, il sapore amaro che gli scendeva in gola. Si stava facendo
del male da solo, con tutte quelle immagini. Già non aveva
pensato
ad altro per tutto il giorno: sognava il momento in cui sarebbe
rientrato a casa, avrebbe scalciato via le sue Converse nere e
bianche consumate sulle punte, si sarebbe buttato sul divano di casa
e si sarebbe goduto quella benedetta birra. O magari poteva
anticipare i tempi e fare un salto al Rabbit Hole,
proprio in
quel momento, bere qualcosa prima di andare a prendere Henry. Quanto
tempo aveva prima che il ragazzino uscisse da scuola? Guardò
il
polso sinistro, la lancetta dei secondi continuava a ticchettare
avanti e indietro. Ah già, orologio rotto. Comunque gli
rimanevano
una manciata di minuti, ad occhio e croce, quindi l'idea della birra
era da accantonare e rimandare a quella sera. Alzò gli occhi
blu
verso il semaforo che non si decideva a scattare, l'indice destro
picchiettava contro il volante della sua Ford, spazientito. Non gli
andava di far tardi, non voleva che suo figlio fosse costretto
adaspettarlo
fuori la scuola, da solo.
Voltò il capo alla sua sinistra, non sapendo come
trascorrere quei secondi interminabili e
si accorse di uno strambo catorcio di colore giallo, decisamente
molto vecchio e malandato, decisamente appariscente. Si
domandò come
avesse fatto a non vederlo prima e soprattutto da quanto tempo fosse
lì. Guardò, incuriosito, l'interno della vettura,
potendo solamente
notare una chioma bionda chinata verso il sedile del passeggero,
probabilmente alla ricerca di qualcosa. Sembrava stesse mettendo a
soqquadro quel piccolo spazietto e questo lo fece sorridere divertito
sotto i baffi, tanto che si dimenticò di essere fermo nel
bel mezzo
di una strada, si dimenticò del semaforo, che nel frattempo
era
diventato verde, e delle altre auto che aveva dietro. Anche la
bionda, evidentemente, si era dimenticata dove si trovasse,
tant'è
che gli altri automobilisti cominciarono a suonare i loro clacson per
ridestarli dal loro stato di trance. Killian mise in moto, non prima di
aver lanciato un'ultima occhiata alla donna, che adesso si era sporta
dal finestrino e mostrava un bel medio contro le altre vetture. Che
tipa! Poi lei proseguì diritta, verso la città,
mentre lui svoltò
a destra, in direzione della scuola elementare di Fort Kent.
Fort Kent, Maine; Luglio 2013
Acqua
fredda, quasi ghiacciata,
scorreva dal lavandino della cucina, e rinfrescava le mani che,
pazientemente, lavavano i pochi piatti e le poche posate utilizzate
da Killian e da suo figlio per la cena. Qualche altro uomo single
avrebbe sicuramente utilizzato piatti, bicchieri e forchette di
carta, il tutto per evitare di lavare più cose possibili una
volta
terminato il pasto, ma lui no. Killian, in qualche modo, adorava quel
momento, lo trovava rilassante. Sapeva di essere pazzo, non era una
cosa normale amare quell'azione quotidiana quale era il lavare i
piatti, eppure in quegli istanti si ritrovava a sgombrare
completamente la mente, aiutato forse dallo scorrere dell'acqua. Era
come se il sapone sciacquasse via anche i suoi pensieri. Arrivava poi
il momento, tra un coltello e una pentola, in cui, con la coda
dell'occhio, osservava, o per meglio dire controllava, Henry che
giocava in giardino. Erano in piena estate, le giornate erano
più
lunghe, e il bambino approfittava veramente di ogni istante libero
per correre dalla sua personalissima altalena, alla macchinina
elettrica che gli aveva regalato suo padre lo scorso Natale. Una
volta assicuratosi che stesse bene e che non avesse bisogno di
niente, Killian chiudeva il rubinetto e cominciava ad asciugare
tutto.
Si asciugò, infine, le mani su
uno strofinaccio, mentre vedeva Henry spegnere e uscire dalla sua
piccola auto giocattolo blu, e correre a perdifiato verso qualcosa.
Killian non poté impedirsi di affrettarsi a vedere cosa
avesse
attirato l'attenzione del bambino, pronto ovviamente a fermarlo se
fosse stato necessario, ma poi notò la Berlina nera
parcheggiata nel
vialetto e si tranquillizzò. Un'occhiata rapida
all'orologio, giusto
per domandarsi il motivo di quella visita così improvvisa.
Uscì fuori anche lui, restando
appoggiato con la schiena allo stipite della porta, mano sinistra
nella tasca dei suoi jeans. Henry era corso fino alla portiera e
adesso saltellava prima su un piede e poi sull'altro, entusiasta di
vedere la sua zia preferita e, magari, anche speranzoso che gli
avesse portato qualcosa, un nuovo giocattolo sarebbe stato perfetto
ma anche qualche ottimo dolce al cioccolato poteva andare bene.
La donna dai corti capelli neri
uscì dall'auto e subito si abbassò per
abbracciare il bambino, che
si lasciò anche baciare la guancia sinistra procurandosi un
bel
segno rosso causato dal rossetto. Vide la mora prendere la sua borsa,
infilarci una mano dentro e cacciare fuori una vaschetta dalla quale
si intravedeva una fetta di torta al cioccolato e panna montata.
Henry batté le mani su di giri, le abbracciò la
vita velocemente,
le tolse la vaschetta dalle mani e corse verso casa. Notando il
padre, però, si fermò.
«Posso papà?» Aveva
cancellato l'ampio sorriso dalla faccia, nascondendo in quel modo il
piccolo spazio che aveva lasciato la caduta di un canino superiore da
latte che tanto faceva sorridere Killian, e messo sopra uno sguardo
da cucciolo arrendevole. L'aveva preso sicuramente da lui, Killian ne
era certo, quante volte aveva usato quello sguardo? Occhi penetranti
che non sbattevano ciglio, piccola smorfia con l'angolo della bocca,
capo appena appena chinato verso destra... nessuna donna era mai
riuscita a dire di no a quella faccia, e lui proprio non riusciva a
dire di no al figlioletto. Per cui sospirò sconfitto, gli
scompigliò
i capelli e gli disse di lasciargliene almeno un pezzettino.
«Però poi ti lavi i denti,
ragazzino, e fili a letto, intesi?» Henry parve accettare
quel
compromesso e non provò a negoziare l'orario delle nanne
come avrebbe fatto in
qualsiasi altra sera. Quando rientrò in casa, Killian si
voltò
verso la donna che ormai lo aveva raggiunto e lo guardava con aria
colpevole. «Che ti avevo detto sul non viziarlo troppo,
Regina?»
Quella non rispose, si limitò solamente ad alzare gli occhi
verso
l'alto per esprimere il suo disaccordo, strinse la mano intorno alla
borsa ed entrò in casa. Quel comportamento
insospettì l'uomo: non
era assolutamente da Regina perdere la minima occasioni di
bacchettarlo esprimendo il suo parere, perciò la raggiunse
accennando una piccola preoccupazione. «E' successo
qualcosa?»
«E' finita», pronunciò
flebile mentre si sedeva sul divano e, una volta essersi tolta i
tacchi a spillo e averli poggiati sul pavimento ben diritti,
allungava le gambe poggiando la schiena su un cuscino. Killian,
normalmente, le avrebbe detto senz'altro qualcosa, magari le avrebbe
fatto notare che anche lui voleva mettersi comodo sul suo
divano oppure le avrebbe chiesto gentilmente di
scansare i
suoi regal piedini, ma lasciò perdere, per quella volta. Si
poggiò
su uno dei due braccioli, ruotando scomodamente la schiena e il collo
così da poterla guardare in volto. Aprì la bocca
deciso a mettere
insieme qualche parola ma lei lo bloccò sul nascere.
«Non ti
azzardare, non voglio sentire nessun “mi dispiace”
o robaccia varia,
sai che li detesto.»
«Lo so bene», annuì con il
capo ed incrociò le braccia, notando che lei non osava
guardarlo in
volto, forse, si disse, per mantenere il solito tono freddo e
distaccato e non farsi leggere negli occhi, quei tristi occhi che si
riempivano, ogni tanto, di lacrime. Quando succedeva, Regina prendeva
un
respiro profondo, deglutiva, chiudeva le palpebre e aspettava che le
lacrime andassero via, poi concentrava la sua attenzione su tutto
quello che aveva intorno, ma non su Killian. Mai far trasparire
pienamente la propria debolezza, era la prima regola.
«Però è
così», continuò l'uomo, alludendo al
fatto che, volente o nolente,
a lui dispiaceva davvero per la loro rottura «Robin mi
è sempre
sembrato un brav'uomo, quello giusto; cos'è andato
storto?» Sapeva
che nell'ultimo periodo le cose tra i due, che avevano anche
cominciato a convivere, non stavano andando bene nonostante il forte
sentimento che li legava, ma nessuno si era mai preso la briga di
entrare nei dettagli.
«Diciamo che è difficile
mandare avanti un rapporto quando ti senti in obbligo verso la tua ex
moglie», sospirò, osservando i cuscini del divano
davanti a lei
«alla fine hanno deciso di riprovarci, per Roland».
Killian aveva
conosciuto Robin a lavoro circa un anno prima, appena divorziato
dalla moglie – neanche ricordava il nome della donna
– e con un
figlio di poco più di un anno che viveva con lei nella
Grande Mela.
Non aveva combinato nessun incontro con Regina, era capitato e basta
e ricordava quanto la donna era rimasta colpita dai modi gentili
dell'uomo. L'amore era sbocciato nel giro di poco, li trovava fatti
l'uno per l'altra, ma poi Marian – ah già, ecco
come si chiamava!
– era ricomparsa. Robin era un uomo d'onore, forse anche
troppo
secondo Killian, e quella notizia ne era la prova.
«Sapevo a cosa andavo incontro,
Jones, non fare quella faccia da imbecille», lo
rimbeccò la Mills,
che aveva tolto le gambe dal divano ed ora sedeva composta
«mi
preparo a questo momento da quando Marian è tornata in
città, non
sono sconvolta come pensi», su questo Killian aveva da
ridire, ma
alla fine accontentò la donna e lasciò cadere il
discorso. Non
nominarono più Robin per tutta la sera, non osò
nemmeno chiederle
se fosse già andato via di casa o se, per evitare di
vederlo,
avrebbe preferito dormire lì, per quella notte, nella stanza
degli
ospiti che praticamente usava solo lei. Tirò fuori del vino
rosso,
ne versò due bicchieri e accese la tv. Dopo circa un'ora e
mezza di
silenzio, interrotto di tanto in tanto da commenti rivolti allo show
che stavano guardando, fu di nuovo Regina a prendere la parola
«Da quanto tempo
non esci di casa?» Killian si voltò verso di lei
con il
sopracciglio sinistro alzato, guardandola interrogativo.
«Intendo
dire uscire, conoscere gente, svagarti un po'. Non
puoi
lasciare queste mura solo per andare a lavoro o a fare la
spesa!»
«Regina, nel caso non te lo
ricordassi, ho un figlio di sei anni», rispose pacato lui,
togliendole il bicchiere vuoto dalla mano mentre si alzava con
l'intenzione di posarli, entrambi, nel lavandino; lei lo
seguì, si
riprese il suo bicchiere e tornò a versarsi un altro po' di
vino «mi
sentirei un mostro a lasciarlo da solo. E per cosa poi? Conoscere
qualcuna? Non credo che lui sia pronto a vedere un'altra donna nella
mia vita», commentò risoluto, guardando d'istinto
verso la porta
chiusa della camera di Henry che era andato a dormire poco prima.
«Non ti ho detto mica di
trovarti moglie, Killian», replicò ancora l'altra,
apparentemente
decisa a smuoverlo da quell'assurda decisione che sembrava aver preso
ormai da tempo «Sono passati quasi due anni, devi
ricominciare a
vivere. Ti dico solo di prenderti delle serate per te, magari esci
con qualche collega. Ci sono io qui con Henry, se è questo
che ti
preoccupa. Ma torna a vivere.»
Fort Kent, Maine; Aprile 2016
La prima
cosa che si trovò
davanti fu la cucina. O forse avrebbe dovuto dire sala da pranzo? O
magari era il salotto? Era confusa, le due stanze non erano separate
neanche da un piccolo muro, come avrebbe dovuto chiamarle adesso?
Be', il soggiorno si rivelò più grande di quello
che aveva
immaginato: subito alla sua destra vi trovò un vecchio
divano
coperto da un telo color panna molto vecchio stile – il suo
primo
pensiero fu quello di sbarazzarsene quanto prima –, sembrava
comodo
ma rimandò quel test a più tardi; ancora alla
destra del divano, a
sfiorare l'altra parete, vi era un mobile non troppo grande con sopra
una una piccola tv che sembrava piuttosto datata; sopra di essa, sul
muro, vi erano le tracce di due mensole perciò si disse che
avrebbe
fatto meglio a procurarsele anche lei. Dalla parte opposta della
stanza vi era un frigo di metallo, grigio, che si rivelò
piuttosto
graffiato; due banconi e un semplice angolo cucina; un tavolo e sei
sedie chiudevano quel quadretto. Era piuttosto spoglio, si disse
Emma, avrebbe pensato a come riempire gli spazi vuoti più
avanti. O
magari no, tanto era intenzionata a restare in quel posto per il
minor tempo possibile, giusto?
Percorse il piccolo corridoio
che separava l'ingresso dalla camera da letto, spinta da un briciolo
di curiosità di scoprire quella nuova casa. Alla sua destra
trovò
un piccolo bagno e una cameretta – praticamente vuota, tolta
una
piccola libreria senza nessun volume –, ma non vi ci
soffermò
troppo. La camera da letto era, per sua fortuna, la più
arredata con
tanto di comò in legno vecchio stile, letto matrimoniale,
due
comodini ovviamente in legno, un grande armadio e uno specchio subito
affianco. Si buttò sul letto, senza un reale motivo, e si
sentì
affondare in quel materasso davvero troppo morbido per i suoi gusti.
Cercò di non pensarci e prese a fissare il soffitto battendo
le
ciglia di tanto in tanto. Era tutto vero, aveva lasciato Boston per
tornare nella cittadina della sua infanzia, Fort Kent. In quel
momento si trovava nel vecchio appartamento di Belle French, che le
aveva già fatto fare il tour completo della libreria proprio
al
piano di sotto. Le aveva dato le chiavi di casa e l'aveva lasciata
salire, a scoprire quello che racchiudevano quelle piccole mura.
Probabilmente era ancora in libreria ad aspettarla, sorriso
soddisfatto e gentile sul volto, in attesa di sapere un suo parere.
Un parere su cosa? Sulla casa? Sul lavoro? Sulla città?
Sulla sua
nuova vita?
Sospirò, Emma, socchiudendo
appena gli occhi per poi riaprirli dopo qualche secondo, come a
volersi assicurare che non si trattasse di un sogno. Un sogno bello o
brutto? Non sapeva neanche come definirlo, non riusciva a capire cosa
fosse quella strana sensazione che le si era messa addosso fin dal
primo momento in cui aveva attraversato il confine della cittadina.
Non era emozionata, quello no. Non era benché meno
spaventata. Ma
qualcosa era, qualcosa cercava di farle arrivare un
messaggio
attraverso quella sensazione alla quale non sapeva dare un nome, ma
sapeva anche che non l'avrebbe scoperto così su due piedi.
Avrebbe voluto che August fosse
stato lì, a casa dei suoi genitori, e non in giro per gli
USA a
cercare storie interessanti per i suoi servizi. Avrebbe potuto
aiutarla con le valigie e gli scatoloni, maledizione certi erano
davvero troppo pesanti. Arricciò le labbra a quel pensiero,
dicendosi che avrebbe portato sopra solamente le cose più
leggere e
che avrebbe aspettato lui per prendere il resto.
Dopo circa cinque minuti si tirò
su, si alzò in piedi e, dopo aver osservato la sagoma che
aveva
lasciato sulle lenzuola bianche, decise di scendere al piano di sotto
e congedare Belle.
Il primo giorno
come libraia si
stava rivelando incredibilmente noioso, il tempo stava trascorrendo
davvero lentamente, tanto che cominciò a chiedersi se Belle
non se
la fosse svignata di proposito. La città era piccola, gli
abitanti
pochi, e nessuno di loro sembrava intenzionato a perdere tempo dietro
ai libri. La stessa Emma non era una donna amante della lettura,
anzi, i suoi libri si contavano sulla punta delle dita. Per questo
ebbe non poche difficoltà a scegliere cosa leggere per
passare il
tempo nel negozio; la libreria era davvero molto fornita, i volumi
divisi nei più svariati generi, tanto che lei non sapeva da
dove
cominciare. Passò subito oltre i romanzi rosa,
lasciò perdere la
narrativa e la letteratura classica, giudicò la fantascienza
un po'
troppo impegnativa per lei, così alla fine
ripiegò su uno degli
ultimi thriller usciti – nonché il suo primo
thriller in assoluto.
Abbassava gli occhi
continuamente per verificare quante pagine aveva letto in quell'arco
di tempo che lei reputava infinito; le sembrava di star leggendo da
ore, ma la pagina 27 le assicurava il contrario. La campanella
piazzata sopra la porta accorse in suo aiuto offrendole una scusa per
chiudere, finalmente, quel libro. Si alzò dalla sua
postazione
dietro il bancone e osservò la ragazza appena entrata, che
chiudeva
la porta alle sue spalle.
«'Giorno Belle, finalmente
avete riap-», si bloccò non appena la vide, dopo
essersi girata a
fronteggiarla. Mise su un'espressione più che confusa,
addirittura
si volse quasi ad assicurarsi di essere nel posto giusto: doveva
essere una cliente abituale, ma non così tanto da essere a
conoscenza del cambio del personale. «Tu non sei
Belle», osservò
la ragazza facendo scappare una risatina ad Emma, che subito tolse la
mano destra dalla tasca posteriore dei suoi jeans per porgergliela.
«No, infatti», cominciò con
ancora il sorrisetto divertito sulle labbra «sono Emma, la
nuova...
libraia», si presentò, facendo ancora un po' di
fatica ad accettare
quel grande cambiamento che stava affrontando. La ragazza le strinse
la mano gentilmente, Emma la osservò attentamente mentre
mostrava un
sorriso di scuse e si portava una ciocca, sfuggita dalla sua lunga
treccia laterale, dietro l'orecchio sinistro.
«E' un piacere, Emma. Io sono
Elsa», era molto... bionda, notò Emma, sicuramente
molto più di
lei; era alta e snella, aveva dei lineamenti molto delicati, occhi
grandi e bocca carnosa. Avrebbe potuto fare la modella,
giudicò la
giovane Swan, ma la vedeva troppo introversa e immaginò che
lavorasse in tutt'altro settore. «Sei nuova in
città, vero?» Le
domandò subito, portando entrambe la mani sulla sua borsa a
mo' di
protezione – Emma era brava a studiare le persone e si
divertiva a
definire il loro carattere.
«Diciamo di sì», rispose,
chinando appena il capo. Aveva imparato a conoscere Fort Kent come le
sue tasche, ma in qualche modo era pur sempre l'ultima arrivata e di
certo non aveva intenzione di annoiare l'altra con la storia della
sua vita. Era troppo lunga, tra l'altro, ci sarebbero volute delle ore.
«Allora, in cosa posso esserti utile?»
Improvvisamente si ricordò
in cosa consistesse il suo lavoro e quasi rimpianse il tempo passato
nella lettura. Avrebbe dovuto consigliarla? Sperava fortemente di no,
non aveva avuto materialmente il tempo per accrescere la sua
conoscenza; Belle aveva imparato a conoscere i suoi clienti e,
sicuramente, sapeva a memoria le trame della maggior parte dei libri
presenti in negozio, mentre lei brancolava nel buio totale.
«Ho ordinato un libro qualche
settimana fa,» la informò l'altra, mentre Emma si
tranquillizzava,
Elsa la vide rilassare anche le spalle, abbassandole, ma non disse
niente al riguardo e nascose il sorrisetto con la mano destra,
fingendo di grattarsi la punta del naso «speravo fosse
arrivato, altrimenti
ripasserò fra qualche giorno». La giovane Swan si
mise subito a
trafficare col computer, guardando tra i nuovi arrivi alla ricerca
del romanzo storico tanto atteso dalla ragazza. Alla fine lo
trovò e
non le fu neanche difficile rintracciarlo tra gli scaffali.
Domandò
ad Elsa se fosse un regalo per impacchettarlo, ma l'altra scosse la
testa, porgendole i soldi. «Grazie mille, Emma», si
avvicinò verso
l'uscita ma poi tornò indietro, verso il bancone, tirando
fuori un
foglio di carta e una penna dalla sua borsa «Questo
è il mio
numero», affermò scribacchiando qualche cifra
sopra il pezzo di
carta «so cosa vuol dire essere la nuova arrivata in
città,
immagino che non conoscerai ancora nessuno del posto». Emma
la
ringraziò, senza preoccuparsi di nascondere la sua faccia
più che sorpresa da quell'azione, e la salutò con
la mano quando la vide girarsi dall'altra
parte della vetrina. Non sapeva bene come fosse successo, ma aveva
appena trovato un'amica.
Fort Kent, Maine; Novembre 2013
Non
passò molto tempo prima che
Regina cominciò a pentirsi del consiglio dato a Killian
Jones.
Sapeva come fosse da ragazzo, sempre in mezzo ai guai, sempre ubriaco
con i suoi amichetti e sempre in cerca di qualche ragazza da portarsi
a letto. Avrebbe dovuto pensarci meglio, prima di lanciarlo
nuovamente nella mischia come un cane sciolto. L'amore, per sua
moglie e per Henry, aveva in qualche modo calmato quel lato del suo
carattere. Forse lui stesso aveva creduto di essere riuscito a
soffocare quella parte di sé, e invece era bastato davvero
poco a
farla riemergere.
Le cose ormai andavano così:
Henry passava, ogni due settimane, la notte a casa di Regina. Il
bambino era sempre contentissimo di dormire a casa della sua zietta
preferita che lo riempiva di dolci e giochi nuovi e Regina era felice
di passare del tempo col bambino che tanto amava come fosse un
figlio. Killian ogni tanto usciva con Robin – Regina gli
aveva
detto che le andava bene – o con altri conoscenti; si
chiudeva in
qualche locale, beveva una birra o si concedeva un qualche alcolico;
solitamente l'altro gli faceva da spalla, anche se la maggior parte
delle donne cadeva ai suoi piedi già all'accenno di un suo
sorriso.
Scambiava il suo numero con le più carine, o le
più formose, o,
anzi soprattutto, con quelle che non cercavano niente di serio.
Regina gli aveva detto che non doveva cercarsi una moglie e, beh, lui
l'aveva presa assolutamente sulla parola.
Regina era uscita, una sera di
metà novembre, insieme a una sua vecchia amica, Kathryn
Nolan. La
classe di Henry era in gita scolastica, perciò la donna
dubitava che
Killian se ne sarebbe rimasto chiuso in casa. Con quell'idea in
testa, entrò in uno dei suoi vestiti migliori, rosso fuoco,
corto
fino al ginocchio (si premurò di indossare delle calze nere
per non
rischiare di ritrovarsi due ghiaccioli al posto delle gambe) e con una
scollatura importante che metteva più che in evidenza il
seno: non
sapeva se l'uomo fosse uscito insieme a Robin o se ci fosse stata
anche solo una piccola possibilità di incontrarli, in ogni
caso lei
era determinata di farsi trovare in forma smagliante. Ebbe solamente
un ripensamento, mentre agguantava la borsa nera e passava davanti
allo specchio nell'ingresso. Si domandò cosa stesse facendo
e cosa
voleva ottenere nel farsi vedere in quel modo dal suo ex compagno;
girò anche i tacchi, decisa a cambiarsi, e l'avrebbe fatto
se non
fosse stato per il tempestivo arrivo di Kathryn.
Le due donne non si vedevano da
qualche settimana, cenarono insieme mentre Regina si impegnava con
tutta se stessa di non parlare di lavoro, cosa che era diventata un
po' la sua ossessione e il suo argomento preferito negli ultimi mesi,
perciò non fu per niente facile. Entrando, poi, in un locale
e
sedendosi in uno dei pochi tavoli liberi, cominciò a
chiedersi
quanto tempo fosse passato dalla sua ultima serata 'tra donne'. Non
riusciva a venirle in mente una data precisa, questo significava che
era passato davvero molto, molto tempo.
«Regina!» L'inconfondibile
voce di Killian Jones interruppe il noioso monologo di Kathryn sulla
sua volontà di cambiare taglio di capelli; la mora
ringraziò,
mentalmente, il cielo per quell'interruzione, anche se poi si
ritrovò
a roteare gli occhi notando le occhiate accattivanti che l'uomo aveva
preso a lanciare alla bionda. «Non ricordo neanche
quand'è stata
l'ultima volta che sei uscita di casa fuori dall'orario di lavoro,
siamo già a Natale per caso?» Scherzò
lui, poggiandosi col gomito
sinistro sopra all'alto tavolo, guardando di sfuggita Regina per poi
tornare a concentrarsi sull'altra donna. Non si era mai tolto il
sorriso sornione dalla faccia, e alla Mills cominciò a dare
fastidio
quel suo atteggiamento.
«Killian», lo salutò
schioccando la lingua, decidendo di ignorare la sua battutina e anche
la risata sciocca della sua amica. Davvero l'aveva trovato
divertente? Preferì non sapere la risposta, lasciando
correre. «Ti
ho mai presentato la mia amica?» Domandò
retoricamente, notando come i due continuassero a lanciarsi occhiatine.
Diede una bottarella
alla gamba della bionda, sperando che si ricomponesse: il suo
matrimonio non stava andando molto bene, negli ultimi tempi, ma
diamine, un po' di contegno!
«Kathryn Nolan, Killian Jones», li
presentò, infine.
Killian afferrò delicatamente
la mano destra della donna e la sfiorò con la bocca,
restando con
gli occhi blu incollati nei suoi per tutto il tempo
«Incantato»,
mormorò, ignorando quasi completamente Regina che non perse
tempo e
lo colpì con un pugno sulla spalla alla prima occasione.
L'uomo si
girò non capendo cosa avesse fatto per meritarlo, trovandola
con uno
sguardo di fuoco che gli procurò altre domande. Regina
indicò, con
la coda dell'occhio, la mano sinistra di Kathryn e Killian non si
fece troppi problemi nell'abbassare lo sguardo in modo da scoprire, e
osservare, la fede che portava all'anulare. «Mi stavo solo
presentando!» Affermò, alzando le mani, in tono
innocente ma
divertito. Lei, allora, decise di non ribattere, tanto sarebbe stato
completamente inutile, e lo guardò aspettandosi di vederlo
andare
via nel più breve tempo possibile. Quello, invece,
afferrò uno
sgabello vuoto dal tavolo alle loro spalle e lo piazzò in
mezzo alle
due donne. Regina, allarmata, spalancò la bocca e
voltò la testa da
una parte all'altra, immaginando di vedere Robin comparire da un
momento all'altro. Calma Regina, calma, ti stai comportando come
un'adolescente in crisi ormonale. «Sono solo,
tranquilla», le
sussurrò lui, piegandosi appena verso di lei così
da avvicinarsi al
suo orecchio, una volta notato quel suo attimo di panico.
«Cosa diamine stai
combinando?!» Lo rimbeccò lei, parlando,
sì a voce bassa, ma
duramente. Aveva lanciato un'occhiata alla sua amica che, o davvero
non si stava accorgendo – o magari non gli stava dando
semplicemente importanza – del loro scambio di battute, o era
troppo imbarazzata da mettersi a ribattere, stava di fatto che aveva
preso, per la terza volta quella sera, il menù degli
alcolici e
stava scorrendo la lista con l'indice destro.
Killian alzò il capo e allargò
le braccia, sorridendo allegramente a entrambe, «Vi offro da
bere!»
Esclamò a voce alta, in modo da farsi sentire forte e chiaro
dalla
bionda che adesso aveva alzato gli occhi verso di lui e sorrideva
incantata. Regina era disgustata dal comportamento di entrambi, tanto
che dopo poco tempo si alzò, scusandosi, e dicendo di aver
bisogno
di una boccata d'aria. Fuori, però, trovo un paio di
fumatori
impegnati in un'accesa discussione. Il vento freddo trasportava il
fumo delle sigarette e lo sbatteva tutto in faccia alla mora che
cominciò a scacciarlo via con la mano sinistra. Fu tutto
inutile e
nel giro di mezzo minuto girò i tacchi infastidita. Tornando
al
tavolo trovò Killian solo, intento a finire il suo Martini.
Si tolse
la giacca nera, mentre lui intercettò il suo sguardo
smarrito.
«Kathryn è andata un istante in bagno»,
la informò con
semplicità. Regina neanche si sedette che lo
colpì, per la seconda
volta quella sera e decisamente più forte, sulla spalla
sinistra con
un pugno. «Ahi! E questo per cos'era?!»
«Lei è sposata, razza
di imbecille!» Lo rimproverò impegnandosi con
tutta se stessa nel
mantenere un tono basso per non attirare l'attenzione della gente, ma
le risultò molto, molto, complicato. Era tanto adirata
perché
voleva bene ad entrambi, si diceva, ed odiava vedere lui provarci con
lei come se fosse una delle tante, facendo finta di non aver notato
la fede nuziale, tanto quanto odiava vedere lei fargli gli occhi
dolci incurante di avere un marito premuroso a casa che voleva
tentarle tutte per salvare il matrimonio.
«Questo lascialo decidere a
lei», scherzò lui incurvando gli angoli della
bocca verso l'alto.
Non aveva intenzione di rubare la moglie di nessuno, non gli avrebbe
fatto onore. Certo, se era lei la prima a volerlo le cose erano ben
diverse; alla fine Killian aveva semplicemente flirtato un po', per
come la vedeva lui, Regina stava leggermente gonfiando le cose.
«Lei... lei è incinta!» Si
ritrovò a esclamare la mora, prendendo alla sprovvista
l'amico e,
soprattutto, se stessa. L'aveva sparata grossa, e soprattutto,
perché
si era lasciata sfuggire una cosa del genere? Soprattutto quando
Kathryn le aveva semplicemente confessato di essere un tantino
preoccupata per un ritardo, non c'era niente di certo e sicuramente
la bionda avrebbe potuto strozzarla con le sue mani se lo avesse
scoperto, se ne avesse avuto sia il coraggio che la forza ovviamente.
«Lei è... cosa?» Ripeté
Killian, sollevando le sopracciglia e sbarrando gli occhi sorpreso e,
appena appena, sconcertato «Stai dicendo sul
serio?» Si beccò lo
sguardo di fuoco di Regina e decise che non era il momento
più
adatto di mettere in dubbio le parole della Mills. Abbassò
il capo,
grattandosi appena il lobo sinistro, si sentiva un verme per i
pensieri che aveva avuto solo qualche attimo prima «Va bene,
va
bene», affermò a un tratto alzandosi e poggiando
delle banconote
sopra al tavolo «sarà meglio che vada allora,
saluta Kathryn da parte mia
e dille che è stato un piacere conoscerla»,
mormorò posando il
portafogli nella tasca posteriore dei suoi pantaloni, prima di
infilarsi la sua amata giacca di pelle. «A proposito,
Regina», la
richiamò prima di andare via «dovresti metterlo
più spesso questo
vestito, mette in luce la tua parte migliore», non si
vergognò
minimamente ad osservare, con piacere, il davanzale dell'altra,
sorridendo sghembo e scappando via prima che potesse ucciderlo.
Regina abbassò lo sguardo
all'istante e notò subito come la scollatura si fosse
abbassata e
mostrasse più del necessario. Sentì le guance
arrossarsi, forse per
la terza volta in tutta la sua vita, e si sbrigò a tirare su
il
vestito. Alzò la testa, poi, per affrontarlo, ma lui era
già
lontano.
Fort Kent, Maine; Aprile 2016
Aveva preso lo stipendio il
giorno prima, così non aveva perso tempo per pagare le
bollette e
riempire il frigo e la dispensa. Aveva dimenticato solamente di
comprare una torta gelato per quella sera, ricordando, solo una volta
a casa, di essere stato invitato, insieme a Henry, da Regina a cena.
Era uscito di nuovo, quindi, lasciando l'auto in centro e
incamminandosi a piedi verso il supermercato. Dopo circa un centinaio
di metri, la sua attenzione fu rapita dall'insolito maggiolino
giallo, che aveva visto, quando? Due, forse tre giorni prima?,
parcheggiato davanti la Chipped Library. Non se lo
ripeté due
volte e si precipitò dentro al negozio, curioso di conoscere
la sua
proprietaria: se l'immaginava altrettanto stramba e unica nel suo
genere.
«Salve!» Salutò, lasciando
che la porta si richiudesse da sola alle sue spalle e cercando la
donna con lo sguardo. Sapeva soltanto che fosse bionda, nient'altro,
non era riuscito a vederla bene. Aspettò che Miss French gli
venisse
incontro ad accoglierlo e quando non successe decise di dare
un'occhiata in giro. La libreria era formata da due stanze: le
novità
e i più venduti erano sistemati in quella d'ingresso, quelli
invece
più datati, o i grandi classici, si trovavano nell'altra.
Non
trovando nessuno nella prima, non perse tempo e si avviò
verso la
seconda. Non fu difficile notare la donna bionda dalle gambe lunghe,
impegnata ad ordinare i libri da una scala non troppo alta. Lo
sguardo di Killian non poté non soffermarsi sul fondoschiena
della
giovane, sodo e messo in risalto dai jeans stretti. «Ma che
bel
panorama», sentenziò sorridendo sotto i baffi,
immaginandosi una
qualche reazione che però non arrivò; fu allora
che, guardandola
meglio, notò gli auricolari nelle orecchie e gli fu tutto
chiaro.
Si morse il labbro inferiore,
con le braccia incrociate al petto, godendosi la scena il
più a
lungo possibile. Quando capì che quella ne aveva ancora per
molto,
si avvicinò lentamente alla scala e le diede un piccolo
colpetto con
il piede. La scala traballò, la giovane si
spaventò colta alla
sprovvista e perse così l'equilibrio. Killian
l'afferrò al volo
senza troppi problemi, specchiandosi subito negli occhi verdi della
bionda che gli era appena caduta tra le braccia e che, adesso, lo
guardava con un mix di spavento e sollievo. L'aveva immaginata in tanti modi, nella sua testa, mentre aspettava che suo figlio uscisse da scuola, qualche giorno prima, ma non era andato mai lontanamente vicino a quella disarmante bellezza che si trovava davanti. Le lunghe ciglia si muovevano piano, la mano sinistra si era posata istintivamente sulla spalla dell'uomo e Killian sorrise nel ritrovarsi quelle sottili e dall'apparenza morbide labbra a pochi centimetri dal suo viso. La giovane fece per
aprire bocca, probabilmente per ringraziarlo o elogiare i suoi pronti
riflessi, ma l'altro spostò, quasi senza accorgersene, la
mano
sinistra di pochi centimetri dal corpo della donna, andando a posarla
proprio sul suo sedere, e lì vi rimase il tempo necessario
per far andare la giovane Swan su tutte le furie.
«Mi tolga le mani di dosso!»
Scattò Emma, tirandosi via dalla presa e dimenticando subito
le
buone maniere «E' pazzo? Come si permette?»
Esclamò fuori di sé,
cominciando a colpire l'uomo con il libro, dalla copertina flessibile e dalle poche pagine che le era rimasto in mano per tutto il tempo, un paio di volte sulla spalla destra, mentre lui
alzava il braccio per coprirsi, o forse per nascondere il ghigno
divertito che aveva messo su.
«Ehy, calma! Calma! Non l'ho
fatto apposta», esclamò sulla difensiva, non
convincendo neanche se
stesso. In compenso, la bionda posò il libro, forse temendo
una
possibile denuncia per aggressione che per altro, e lo
guardò in
attesa di sentire le sue scuse. Killian si ricompose, si
sistemò la
giacca ed allungò la mano verso di lei «Killian
Jones», si
presentò «è davvero un piacere.» Emma lo
guardò inorridita e accigliata,
incrociò le braccia e continuò ad aspettare delle
scuse. «Tu
sei?», domandò alla fine lui, ignorando qualsiasi
formalità e
dandole subito del tu.
«Stanca», mormorò lei a denti
stretti, guardandolo torva. Okay, doveva mantenere il sangue freddo e comportarsi in modo superiore, doveva reprimere l'istinto che aveva di urlargli contro fino a farlo scappare via, così come doveva resistere dal saltargli addosso. Per pestarlo. Calma Emma, sei nuova in città, nessuno ti conosce e ti faresti solamente tanti nemici. Per quanto poteva saperne, si trovava davanti un brav'uomo che, per davvero, accidentalmente le aveva tastato il sedere, soffermandovicisi a lungo con un mal celato piacere. Sì, certo, e lei era la Fata Turchina. Tra l'altro c'era la faccenda della scala, era stato sicuramente lui a procurare quell'incidente, non poteva di certo traballare improvvisamente da sola, no? Si trovava davanti un pazzo bello e buono, a suo parere, ma doveva comunque rimanere calma e non scendere alle provocazioni o Belle l'avrebbe cacciata su due piedi; se invece quello avrebbe continuato a darle fastidio, o avesse anche solo provato a provocarla in qualche modo, sarebbe tornata alla carica «Senta, se non è qui
per acquistare dei
libri, può anche andarsene. Ho del lavoro da
sbrigare», concluse,
senza smettere di fissarlo dritto negli occhi neanche per un istante.
Non guardò neanche la sua mano destra, tesa e in attesa di
stringere
la sua, non le balzò per la testa l'idea di accontentarlo e
di
presentarsi. Non ne aveva la minima intenzione e soprattutto aveva
altro da fare invece di perdere tempo con una persona del genere.
Killian
arricciò le labbra e alzò le mani in segno di
resa «Va bene, ho
recepito il messaggio», affermò, comunque
divertito da quella
situazione e soprattutto da quella donna. Passò accanto al
bancone e
lanciò un'occhiata veloce ad uno dei fogli sparsi accanto
alla
cassa, riuscì a leggere un nome, non ebbe tempo di fare
altro perché
lei prese a seguirlo fino alla porta, per assicurarsi di vederlo
andare via. «E' stato comunque un piacere»,
affermò lui,
improvvisando un mezzo inchino «Miss Swan», si
tirò su e andò
via, riuscendo, però, a notare l'ultima occhiataccia
sorpresa e
scocciata della nuova arrivata in città.
Emma lo osservò allontanarsi, la strana sensazione di
qualche giorno prima, tornò a farle compagnia.
Angolo
dell'autrice:
Okay, è stato un PARTO. Scusate
il ritardo, per mesi mi sono detta 'sarà sicuramente
più facile
scrivere l'AU, sicuramente non ci metterò troppo tempo ad
aggiornare' e poi eccomi qui, IN RITARDO. Vi dirò, scrivere
questa
storia si sta rivelando sicuramente più facile dell'altra
(come
avevo previsto), e il ritardo è dovuto principalmente a due
cose: 1)
non avevo ben chiaro come strutturare i flashback, l'ispirazione
è
venuta scrivendo praticamente, e 2) .... sapete quando cominciate una
nuova serietv senza troppe aspettative, ma poi questa serie vi prende
a tal punto che DOVETE finirla, al costo di non dormire/bere/mangiare
per giorni? Ecco, sono io con Doctor Who. In più il risultato neanche mi soddisfa pienamente, anzi secondo me il capitolo fa abbastanza schifino, ma vabbè, scusate.
Scuse a parte, mi sono divertita
a mettere tanta carne sul fuoco in questo capitolo, e tante cose non
erano neanche premeditate. Il primo incontro non poteva non essere
disastroso, così come lo è stato nella serie.
Speravo di rendere
meglio l'idea che avevo in testa, ma alla fine è venuto
fuori questo
:/ ma isomma, finalmente il nostro Jones è arrivato. Pareri?
lol Il
primo flashback ce lo mostra calmo e gentile, ma già dal
secondo è
più sfacciato e pieno di sé (quanto mi manca Hook
ç.ç)
Ah, spero di riuscire a
mantenere i caratteri dei personaggi, soprattutto con Killian spero
di essere riuscita a trasmettervi e a mantenere il suo lato pirata
stravolto in una chiave più moderna. Fatemi sapere se ci sto
riuscendo o se sto completamente sbagliando strada perché ci
tengo!
Oltre a Killian, ho introdotto
Regina (su tutti), e qui vi chiedo... quale sarà il rapporto
tra i
due? Cosa li ha legati e come si saranno evolute le cose nel corso
degli anni tra loro? Abbiamo poi visto Elsa (non potevo non
inserirla, mi manca davvero tanto), e... Kathryn NOLAN? Incinta?
Sì,
sto ridendo da sola immaginando le vostre reazioni. Chi saranno i
prossimi a comparire nella storia? Vi dico subito che ho già
cominciato a scrivere il terzo capitolo, e, se non cambio idea,
dovrebbero comparire ben QUATTRO personaggi dello show. Secondo voi
chi sono? :P E la madre di Henry? E' Milah o qualcun altra? E che
fine ha fatto? Davvero non vedo l'ora di farvi leggere il prossimo
capitolo ragazze!
Questo angolo è lunghissimo,
per cui vi saluto e vi ringrazio per continuare a seguirmi :)
Un bacio a tutte, a presto :*
Sà