Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ellery    15/10/2016    1 recensioni
Dei passi, appena oltre la soglia della propria stanza, lo indussero a rannicchiarsi sotto le coperte, tirando il lenzuolo sin sul viso. Strinse il libro al petto, modulando un respiro pesante e ritmico. Chiuse gli occhi quando sentì la porta cigolare sui cardini e l’ombra di una figura – contornata solo dal bagliore di una lanterna – scivolare verso di lui.
«Sei ancora sveglio» la voce profonda dell’uomo gli provocò un leggero sussulto, obbligandolo a sollevarsi su un gomito. Lo sguardo azzurro incrociò quello del genitore, condito di una nota preoccupata.

Le ff partecipano alla Erwin Week (dal 10 al 16 ottobre 2016)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hanji, Zoe, Irvin, Smith, Mike, Zakarius, Nile, Dawk
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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VI. Death


«Mike non è tornato neppure oggi»

«Lo so» Erwin sollevò lo sguardo dai fogli, appoggiando cautamente la piuma vicino al calamaio. Ignorò l’inchiostro gocciolare sul pianale di legno lucido, scrutando la figura apparsa sulla soglia del suo ufficio «Non si usa bussare, vero?» chiese, consapevole di parlare al vento. Glielo aveva detto troppe volte: il fatto che la porta fosse aperta, non autorizzava ad entrare senza permesso; quel concetto, però, faticava ad entrare nella testa del capitano.

«Sembra che la cosa non ti importi» Levi richiuse l’uscio, scivolando verso la scrivania, sforzandosi di nascondere il leggero fastidio alla caviglia sinistra. La storta si stava risanando, ma sarebbe guarita più velocemente se non l’avesse sforzata o chiusa dentro agli alti stivali di cuoio scuro. SI rifiutava, tuttavia, di stare a letto come un qualsiasi malato: era il soldato più forte dell’umanità o no? Doveva dimostrarlo, nonostante il comandante lo avesse pregato di rimanere a riposo anche quella settimana. Da che pulpito, poi! Erwin si era appena rimesso da una sin troppo breve convalescenza: l’aver perso il braccio destro non sembrava aver fermato lo zelante comandante che, dopo aver dichiarato d’essere tornato nel pieno delle forze, aveva preteso di lasciare l’ospedale militare ed essere trasferito nella caserma della Legione Esplorativa. Nonostante si sforzasse d’apparire calmo e pacato, c’era qualcosa che turbava profondamente l’animo del biondo: la maggior parte dei soldati credevano fosse a causa della menomazione recentemente subita; lui, però, aveva imparato gradualmente a riconoscere le espressioni stanche e crucciate, a scandagliare i falsi sorrisi ed a riconoscere la disperazione tingere il fondo delle iridi blu. C’era dell’altro, qualcosa che esulava dalle mere ferite: i tagli che squarciavano quel corpo erano più profondi ed arrivavano sino all’anima, forandola nuovamente come le punte di infidi stiletti.

Ogni vita sprecata era una coltellata, l’ennesima ad accompagnare le cicatrici di una vita intera. L’ultima, la più profonda, portava il nome di Zacharias. Eppure, Erwin si sforzava di non mostrarlo: se ne stava compostamente seduto alla scrivania, ignorando le bende che ancora stringevano il moncherino e che a stento si intravedevano sotto la camicia perfettamente allacciata. Muoveva la mancina lungo una pergamena spiegazzata, fermata agli angoli con dei pesanti tomi. Le lettere fluivano incerte e sconnesse, troppo sgangherate per poter essere comprese.

«Ti sbagli» il comandante non sembrava disposto a concedergli altro.

«Davvero? Perché pare proprio che non te ne freghi più niente, ormai… né di Mike, né di tutti gli altri» ottenne l’attenzione sperata «Te ne stai chiuso qui a… fingere che tutto vada bene, ma non è così. Lo vedo benissimo, ti conosco.»

«Cosa vuoi, Levi?»

«Parlare.» recuperò una seggiola, avvicinandola alla scrivania. Si accomodò, appoggiando pigramente la schiena alla spalliera ed incrociando le braccia al petto «Nei corridoi si vocifera del tuo fallimento. Dicono che lascerai presto la guida della Legione e che ti ritirerai. Altri parlano di una convocazione dalla capitale, altri ancora della corte marziale. Che diamine stai facendo? Architetti qualcosa, vero?­»

«No. Non ancora.»

«Quindi?»

«Voglio solo essere lasciato in pace» la voce conteneva una sfumatura debole, come strappata dal troppo dolore.

«Non è da te»

«Questa volta è così, mi dispiace»

«Non è per il braccio, giusto?»

«Mi conosci» di nuovo un sospiro strappato controvoglia «Che importanza può avere uno stupido braccio, quando ho spedito tante anime all’altro mondo? Dopo tutto, è solo una parte di me che se n’è andata in anticipo. Mi aspetterà dall’altra parte… Mi sembra un prezzo giusto, per quello che ho fatto.»

«Perché, cosa hai fatto?» gli avrebbe cavato la verità di bocca a qualunque costo. Non era corso lì per essere liquidato in quattro e quattr’otto, con un discorsetto insipido ed appena abbozzato.

«Salvare Eren ci è costato molto, anzi… troppo. Questa volta il tributo è stato altissimo ed io non sono che un bugiardo e un assassino. Mi domando se quel ragazzino valga tutto questo. È davvero l’unica speranza che abbiamo? La sola possibilità di riconquistare la libertà? Oppure potremmo farcela comunque, senza ricorrere a quell’assurdo potere che gli scorre nelle vene? Non credo di saperlo» una pausa sin troppo lunga «E… la cantina è davvero la chiave di tutto? La verità giace sepolta tra le macerie di Shiganshina. È sempre stata lì, a portata di mano. Immersa nella nostra quotidianità, senza che ce ne accorgessimo. Perché nascondere un segreto simile? È così terribile da dover essere protetto ad ogni costo? È così avaro cercare di raggiungerlo a tutti i costi? Non lo so più e non ne sono sicuro. Quella cantina potrebbe essere la nostra salvezza, la fonte della nostra speranza e… non possiamo ancora arrivarci. Non siamo sufficientemente forti per riconquistare il Wall Maria e la nobiltà ci sta ostacolando in tutti i modi. Perché non vogliono conoscere la verità, Levi? Perché questa gente si accontenta di vivere tra le mura, di guardare ogni giorno quegli orribili mattoni, di camminare per gli stessi vicoli marci? Non si interessano a nulla, come se le loro esistenze vuote ed inconcludenti fossero… sufficienti!­» lo vide appoggiare la fronte all’unica mano «Per cosa sto combattendo? Per cosa sto gettando i miei soldati? Per regalare speranza ad un mondo che nemmeno la desidera! È come se la verità non interessasse a nessuno, soltanto a noi. Perché, allora? Che senso ha sprecare vite, se non importa a nessuno?» scosse il capo, leggermente «Non so cosa sto facendo, non so neppure se sono nel giusto. Come dovrei sentirmi, secondo te? Guarda le mie dita: sono sporche, lo vedi? Sono macchiate di sangue: quello fresco va a coprire le increspature secche. Non riuscirò mai a lavarlo via.»

«Io non credo che tu sia in errore, Erwin. Sappiamo tutti che non riusciremo a liberare il Wall Maria senza sacrifici. Siamo consapevoli di quello che ci aspetta e se siamo qui è per una nostra libera scelta. Non abbiamo paura di morire»

«Non usare frasi fatte. Sai benissimo che non è vero. Tutti abbiamo paura di morire, persino tu ed io. Non scuotere il capo, per favore: conosci le espressioni dei moribondi? Immagino di sì. Cerca di ricordarle: le bocche spalancate perse in grida di terrore, gli occhi sgranati e la rassegnazione dipinta sui volti impauriti. Le mani che tremano, le gambe che scalciano nel vuoto, mentre le ossa scricchiolano sotto la stretta dei titani. È un attimo e la vita si spezza, tranciata dalle fauci possenti. Lo vedi? Il sangue che cola lungo i menti dei giganti e che scivola inesorabile verso il suolo, arrivando a tingere l’erba fresca. È la morte a cui siamo abituati: la conosciamo soltanto così, in questa forma cruda. È quella a cui condanno decine di soldati, ogni volta che varchiamo quelle maledette mura.
Ho paura di morire, Levi. Posso non dimostrarlo, ma non sono disposto a fingere che la Nera Signora sia una nostra amica. Una compagna di viaggio, forse, che prima o poi saremo costretti ad incontrare. Un’ospite sgradita, che bussa alla soglia dei momenti migliori, rompendoli e spazzandoli via. Temo per me stesso e per gli altri, eppure non posso fare a meno di guidarli. Perché? Non saprei… per la libertà, per la verità, per qualunque cosa ci possa portare lontano da qui e restituire una dignità. Siamo esseri umani, non animali in gabbia, ma… la gente sembra essersene dimenticata.»

Sentì lo sguardo penetrante su di sé e si affrettò a distogliere l’attenzione, portandola sui vicini libri:
«Non lo so. Non ci ho mai pensato. Forse, temo di più per le persone che mi sono accanto che per me stesso. Ho sempre pensato che io riuscirei a cavarmela, in qualche modo, ma… gli altri…»

«Pensi male. Guarda che fine ha fatto Mike. Era in gamba, molto. Il migliore, forse. Lo conoscevo da… beh, troppo. Come credi che mi senta? Era il mio migliore amico e l’ho mandato a morire come una bestia da macello. Nessuno sa dove sia, se sia ancora vivo o meno; man mano che passano i giorni, però, la speranza si affievolisce sempre di più. Non è disperso, Levi. È morto. Non devo fare altro che rassegnarmi ed accontentarmi di incontrarlo nei miei incubi: sarà lì ad aspettarmi, insieme a tutti gli altri. Riesco quasi a vederli, sai? Il biasimo sui loro visi, le smorfie disgustate, le spalle definitivamente voltate. Che cosa vuoi che faccia? Che esca di qui, da questo ufficio e mi aggiri solare per i corridoi, facendo finta di nulla?» la mancina si chiuse a pugno, cadendo pesantemente sul pianale della scrivania «Non riesco neppure a scrivere le lettere di cordoglio alle famiglie. Non riesco a fare niente!» la voce era improvvisamente cresciuta, piegata soltanto da una nota frustrata «Non trovo le parole e non so neppure reggere la penna.» e nuovamente un sussurro sottile «Vorrei solo che tutto questo… ne valesse la pena.»

«Sono sicuro che sarà così» Levi non trovò altro da aggiungere. Allungò la mano destra, impossessandosi della piuma e del foglio ormai stropicciato «Posso solo prestarti il mio braccio destro, Erwin. Di più non posso fare»

«Lo so»

«A chi vuoi scrivere?»

«Alla signora Zacharias»
  
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