Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Shige    15/10/2016    3 recensioni
Raccolta di One shot che partecipa all'Erwinweek
1 - Childhood - Primi Passi
2 - Happiness - Il saggio, il gigante e l'asino
3 - Canon Divergence - Sbagli
4 - King - Il Re senza corona
5 - Birthday - Ti regalo un sogno
6 - Death - Attraverso i suoi occhi
7 - Afterlife - Inferno
Conclusa
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Death

Attenzione Spoiler! Cap 84-86
 
 
Attraverso i suoi occhi
 
 
 
‹‹Sapevo che eri qui››
Non c’era stato bisogno di cercarla in posti troppo lontani; era bastato tornare là dove tutto era iniziato, in quella stanza tristemente vuota che odorava ancora della sua presenza. 
Sul ciglio della porta, aveva aspettato invano un gesto che la invitasse ad entrare e a sedersi su quel letto dove lei non osava posare gli occhi. E in quell’attesa logorante, si era guardata attorno riconoscendo a stento, in quell’ordine, la camera del Comandante.
‹‹Sapevo mi avresti trovata›› aveva mormorato appena; rigida come una statua stava seduta sul bordo del letto ad osservare dalla finestra un cielo terso ma senza sole.
L’altra era rimasta a fissarla con la schiena appoggiata alla parete e le braccia incrociate sul petto. Non poteva vederla in faccia, ma sapeva che aveva appena smesso di piangere. Si era morsa il labbro inferiore, reprimendo il desiderio che aveva di fumare e l’aveva raggiunta sul letto, sedendosi al suo fianco.
Subito lei aveva nascosto il viso arrossato dietro le ciocche castane, ma a nulla era servito nasconderle che aveva appena smesso di piangere. L’altra aveva sospirato, rammaricandosi di non poter fare nient’altro che starle accanto.
‹‹Ci hai parlato?››
‹‹No e tu?››
‹‹Non riesco nemmeno a guardalo in faccia››
‹‹Nemmeno io››
Il gracchiare di un corvo aveva spezzato il gelido silenzio piombato nella stanza, riportando entrambe a rivivere l’assurdità di quella giornata.
‹‹E dire che l’avevi anche previsto›› aveva detto smorzando i toni. Tra le mani reggeva l’ultima sigaretta che le era rimasta. La voce di lui era tornata prepotente nella sua testa a ricordarle quella promessa che ora voleva infrangere. Le sue parole e quella assurda richiesta di smettere di fumare non avevano più alcun valore per lei. Non più. Non ora che Erwin non c’era più e lei stava lì, sul bordo di quel letto, ad osservare un’altra donna che a quell’uomo doveva tutto.
‹‹Tu ci hai creduto fino alla fine invece›› gli occhi arrossati la fissavano da dietro al frangia scompigliata. Un accenno di sorriso su quel volto smunto le aveva riportato alla memoria i giorni passati sulla cima di quelle mura. Ad aspettarli. Ad aspettarlo. E in quell’attesa logorante si erano scambiate battute per alleggerire il peso di quella consapevolezza che non aveva ancora il coraggio di accettare. L’altra, invece, era stata fin troppo realistica, quasi fatalista: “Non torneranno” aveva detto “Lui non tornerà più”.
E per quanto si era sforzata di ammettere che avesse torto, per quanto si era convinta che il Comandante sarebbe tornato, aveva dovuto ricredersi quando sulla cima di quelle mura, Levi era tornato insieme ai brandelli della Legione.
E fra quelli lui non c’era.
‹‹Non pensavo che sarebbe andata in questo modo›› aveva sussurrato mentre l’altra adagiava la testa sulle sue ginocchia. Le dita scorrevano tra i capelli sparsi sulla gonna e sul volto che con dolcezza glieli aveva cacciati indietro. Sapeva che a lei faceva più male che a chiunque altro. Sapeva che il dolore che lei provava non sarebbe mai stato possibile paragonarlo al suo.
Per questo non aveva aggiunto altro e l’aveva cullata dolcemente, ascoltando gli ultimi rintocchi dell’orologio che annunciavano la fine della veglia.
 
‹‹Fanculo!›› un poderoso calcio aveva spalancato la porta facendole sobbalzare. La figura si avvicinò a passo di carica, masticando insulti e sbraitando maledizioni verso colui che aveva combinato quel disastro.
‹‹Che sia dannato lui e la sua stirpe!›› aveva ringhiato tra i denti marciando avanti e indietro davanti ai loro occhi.
‹‹Doveva fare una scelta! Una soltanto! Ed è riuscito a fare solo un casino!››
‹‹Calmati››
‹‹E se ne esce con quella stronzata del non avere rimpianti! Fanculo i rimpianti! Doveva salvare Erwin non quel moccioso coi rubinetti al posto degli occhi! Erwin, santo cielo! Era così difficile?››
‹‹Ascolta...››
‹‹Cosa dovrei ascoltare? Cosa? Quel deficiente aveva la possibilità di salvarlo e non l’ha fatto! Come si fa ad essere così…stupidi›› si era lasciata cadere mollemente sul letto e dopo lo sfogo si era sentita più stanca di prima.
‹‹Tu pensi a fumare e quell’altra non ha smesso di piangere un secondo. Come diavolo ci siamo ridotte›› aveva sussurrato contro la sua spalla.
‹‹E in tutto questo siamo dei fottuti giganti.››
‹‹E siamo su una fottuta isola››
‹‹E quel moccioso vuole andare a vedere l’oceano››
C’era stato un lungo silenzio in cui tutte e tre erano rimaste immobili in quella posizione un po’ patetica a fissare il cielo farsi sempre più scuro. Un altro giorno era trascorso e nessuna delle tre sembrava intenzionata a muoversi, sebbene i crampi della fame cominciavano a farsi sentire.
‹‹Zacklay vorrebbe riceverci›› aveva detto sollevando la testa dalla sua spalla. L’altra aveva abbassato lo sguardo sulla compagna che riposava sulle sue ginocchia.
‹‹Mi sembra un po’ tardi per ricorrere ai ripari, no?››
‹‹Fanculo… meglio noi che lasciare tutto nelle mani di quei mocciosi e di quel coglione.››
Le aveva sorriso debolmente gettando lo sguardo sullo stemma ricamato sul suo mantello.
Una colomba su uno scudo rosso.
‹‹Ogni tanto mi sveglio e penso sia stato solo un brutto sogno›› aveva esordito guardandosi attorno ‹‹Lo vedo ancora seduto alla sua scrivania, circondato da pile di fogli e scartoffie in disordine››
‹‹Come diavolo facesse a vivere in quel casino…››
‹‹Ci pensava Levi›› aveva detto l’altra sollevando la testa dalle ginocchia.
‹‹Se solo si fosse fatto una…››
‹‹Non interromperla›› l’aveva ammonita severa, addolcendo lo sguardo solo dopo per invitare la compagna a proseguire il discorso.
‹‹Mi fa male pensare che fosse arrivato ad un passo dall’aprire quella dannata porta e che sia stato strappato via in questa maniera così…››
‹‹stupida…››
‹‹ingiusta…››
‹‹ignobile, piuttosto… Erwin era il tipo d’uomo che si sarebbe trascinato con i denti fino a quella cantina. Avrebbe lottato, come sempre d’altronde, e non si sarebbe arreso come non l’aveva fatto quando si era ritrovato senza un braccio. Era il tipo d’uomo che ti faceva saltare i nervi perché lui aveva uno scopo mentre io… mentre noi … non riuscivamo a trovare una ragione per alzarci la mattina. E cazzo… lui ce l’aveva stampata negli occhi quella voglia di uscire, di scoprire, di fuggire da qui. E come gli brillavano quegli occhi quando parlava di suo padre, delle sue teorie, quando aveva scoperto di aver sempre avuto ragione; quando sognava di aprire quella porta… Lui non sarebbe rimasto deluso di sapere di essere su un’isola… Lui era un uomo che non si sarebbe arreso nemmeno di fronte a questa scoperta scioccante, mentre noi abbiamo perso la voglia di andare avanti. Abbiamo perso l’interesse… ma siamo giganti per l’amor del cielo! E invece siamo qui a piangerci addosso perché lui non c’è più e non ce ne frega più niente di essere parte di un gioco più grande di noi. Perché lui non c’è più a guardare tutto questo e noi guardavamo questo mondo di merda attraverso i suoi occhi. E questo mondo ha smesso di interessarci perché non c’è più lui a guardarlo per noi… ma così facendo… non sarebbe come ucciderlo per la seconda volta?›› si era voltata a guardare entrambe ed entrambe avevano abbassato lo sguardo vergognandosi. Lei aveva sospirato stringendo loro le mani.
‹‹Abbiamo amato ogni parte di quest’uomo più di quanto avremmo mai potuto amare qualcun altro e ora che non c’è più abbiamo perso anche lo scopo che ci guidava. Ma penso che Erwin – ovunque egli sia - sia sufficientemente incazzato per come sia andata, senza che anche noi ci logoriamo il fegato. Non c’eravamo noi su quel tetto, non è toccato a noi scegliere tra lui e Armin, non sapremo mai come sarebbe andata se ci fossimo state noi al posto di Levi. Possiamo solo convivere con ciò che ha fatto… Accettarlo no… ma conviverci è tutto ciò che ci rimane da fare››
‹‹Oh ti prego anche tu con queste cazzate››
Entrambe rivolsero uno sguardo accusatorio verso la compagna che aveva appena esordito con quell’espressione colorita.
‹‹Ad ogni modo›› aveva ripreso ‹‹credo che portare avanti il sogno di Erwin sia il nostro scopo d’ora in poi. Perché è giunto il momento che sia lui a guardare il mondo attraverso i nostri occhi. Questo almeno glielo dobbiamo››
C’era stato un alto lungo silenzio interrotto dal vociare sommesso dei soldati che rientravano in caserma. La veglia per il Comandante era ormai finita e fuori dalla finestra una sottile scia di fumo indicava che il rogo funebre era stato spento. Le ceneri di Erwin erano state raccolte dal vento e portate oltre quel limite che gli aveva sempre impedito di andare avanti. Forse avrebbero visto l’oceano, forse si sarebbero spinte in quella terra lontana che un tempo li aveva generati. Ancora una volta, Erwin avrebbe tracciato loro la strada da seguire, prima di dissolversi nel vento e godersi lo spettacolo da un punto più alto.
‹‹Zacklay ci aspetta›› aveva detto tirandosi in piedi. Tra le mani aveva ancora quel pacchetto vuoto in cui l’unica sigaretta rimasta la supplicava di essere consumata.
‹‹Speriamo che ci faccia massacrare la faccia di Levi!››
‹‹Ne dubito, fortemente›› aveva detto la più piccola delle tre, asciugandosi le lacrime prima di seguire l’altra fuori dalla porta.
‹‹Non vieni?›› si era voltata a guardare la compagna che si rigirava tra le mani il pacchetto. Aveva sollevato lo sguardo incrociando il suo e debolmente le aveva sorriso.
‹‹Dammi un secondo››
L’altra aveva annuito dolcemente e si era richiusa la porta alle spalle dandole non un secondo ma tutto il tempo di cui aveva bisogno per chiudere quella faccenda.
Si era avvicinata allo scrittoio perfettamente in ordine e con un dito aveva percorso il bordo intagliato fino a raggiungere la cassettiera e lì si era fermata.
L’orribile unicorno verde stava ancora lì, a prestare servizio come fermacarte invece di stare in soffitta insieme a tutta la restante paccottiglia di cui si era liberato anni prima.
Aveva scosso la testa accarezzando il dorso dell’animale di vetro. Ancora una volta il ricordo della sua voce l’aveva pugnalata alle spalle e la sua mano si era ritratta come scottata.
Perché mi dite tutti che dovrei buttarlo via?
‹‹Perché è l’oggetto più brutto che io abbia mai visto in vita mia, stupida vecchia volpe. E ora che sei morto, nessuna mi vieta di prenderlo e buttarlo via o lanciarlo fuori dalla finestra. Eppure non posso farlo… perché questa schifezza mi ricorda te ed è assurdo, non ti pare? Che con tutto quello che hai fatto io ti voglia ricordare con questo vecchio oggetto che per giunta ha scelto Nile. Per uno come te sarebbe stato più consono un ritratto, una camicia, un qualcosa che mi ricordi il tuo volto, il tuo profumo, i tuoi occhi… Invece non c’è più niente di te. Sei cenere al vento e fa male realizzare solo adesso che tu non camminerai mai più su questa terra.››
Aveva stretto il pugno, stritolando il pacchetto di sigarette. Le lacrime premevano di uscire ma le aveva ricacciate indietro perché non era più il momento di piangere.
Non avrebbe versato lacrime per Erwin Smith, ma solo fiumi sangue.
Decisa, la mano aveva afferrato la maniglia del cassetto e l’aveva tirata verso di sé. Con un gesto secco aveva cacciato dentro l’ultima sigaretta, prima di richiuderlo di colpo.
‹‹Stupida vecchia volpe…›› un sorriso prima di volgere le spalle allo scrittoio e a quella stanza ‹‹Ti avevo persino detto che saresti dovuto morire per farmi smettere di fumare. Non pensavo mi prendessi alla lettera››
Chiuse la porta dopo aver osservato per l’ultima volta la stanza.
 
 
Angolino dell’autrice
 
Non ho scritto né King né Birthday ma ho in programma di farlo, anche se tecnicamente per Birthday ho postato una foto su tumblr. Per chi volesse (autospammaggio mode on) potete trovarmi qui https://www.tumblr.com/blog/shige90
 
Comunque veniamo a noi a spiegarvi l’assurdità di questa One-Shot… Questa voleva essere un omaggio alle mie compagne di avventura Auriga e Ellery rappresentate rispettivamente da quella che piange e da quella che urla. Io sono quella che fuma… E lo so può sembrare un po’ pretenzioso ma mi piaceva l’idea di raccontare la morte di Erwin nel modo in cui noi tre l’abbiamo vissuta. Sarebbe stato troppo difficile per me immedesimarmi in questo momento nei panni di Hanji o di Levi o di chicchessia.
 
La storia dello stemma della colomba è una stronzata concepita durante una delle solite chiacchierate notturne su Skype in cui, in preda al forte desiderio di strangolare Isayama, avevamo immaginato di far parte di una squadra d’élite chiamata “Le tortorelle di Zacklay” perché, sicuramente, se avessimo ricevuto noi l’ordine di somministrare il siero, non avremmo sbagliato braccio. Poco ma sicuro.
 
Il cavallino verde, ormai oggetto ricorrente che troverete anche nella mia longfic, è un tributo ad Ellery e alla sua storia. Attorno a questa bomboniera è nata una storia che è divenuta ben presto leggenda e vi posso lasciare immaginare quali atrocità siano state concepite dalle nostre menti malate.
 
In tutto questo ci tenevo a ringraziare Auriga e Ellery con questa One-shot per tutto ciò che ci siamo dette e per tutto il supporto che sappiamo darci l’un l’altra.
 
Grazie ragazze… per l’affetto, per le stronzate e per il tempo.
 
Soprattutto il tempo…
 
Un bacio
 
Shige
  
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