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Autore: Hatsumi    10/05/2009    1 recensioni
Jonathan e Christian sono per tutti la coppia perfetta. Balle. La perfezione non esiste, è solo illusione. Lacrime, dolore, risentimento. Su questo scenario la coppia "perfetta" crolla, non esiste più. E di fronte a ciò entrambi pensano se sia possibile sopravvivere dopo la rottura di un rapporto di interdipendenza durato quindici anni. Come riusciranno ad andare avanti senza il reciproco sostegno? E' difficile chiedere scusa, imputare la colpa ad uno dei due, ma riuscendoci è davvero abbastanza, si può davvero tornare indietro?
***VI INVITO INOLTRE A LEGGERE EVENTUALI "AVVISI" in testa ai capitoli. Grazie e buona lettura. ***
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Jonathan & Christian'
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7. Silent tears (Lacrime nel silenzio)

Cammina a passi lenti, Jonathan. È per la prima volta nel suo nuovo appartamento. Ci sono ancora molte cose da fare. Gli armadietti sono ancora ricoperti dal cellophane, le pareti hanno bisogno di essere intonacate, il soffitto necessita qualche stucco. È stato fortunato tutto sommato, per aver comprato quell’appartamento a scatola chiusa.

Non lo  conosce, è per lui qualcosa di nuovo, è ancora molto impersonale, ci sono ancora le tracce dei precedenti inquilini. Presto però lo farà suo.
Non l’aveva mai visto prima d’ora. Durante la trascorsa settimana si era buttato a capofitto alla ricerca dell’appartamento. Voleva togliersi quel peso il prima possibile. Tra i vari alloggi ne aveva scelti due,  passando all’incirca quaranta minuti al telefono con i compratori. La scelta era ricaduta sull'alloggio più economico. Non gli importava poi molto di quell’appartamento, lo considerava soltanto uno spazio da riempire con i propri oggetti personali.

Entrandoci, osservandolo, ha una strana sensazione di dejà-vu. Non è la prima volta che gli si presenta una situazione simile, quell’altro, quello in cui ha vissuto fino ad ora, era ridotto anche peggio il giorno in cui lui e Christian avevano deciso di acquistarlo. Grazie a giorni di lavoro, di fatica e parecchi soldi spesi era diventato semplicemente prefetto.

Oggettivamente parlando, la nuova casa potrebbe diventare anche più bella, con la metà della fatica. Un vero peccato che a Jonathan non importi, non riesce a considerare quel loft la sua nuova casa.

Ha due enormi finestre nel salone che affacciano sulla 5th avenue. Le luci dei palazzi, i taxi incolonnati, le insegne al neon, devono essere un bello spettacolo, osservati di sera.
Non è ancora sicuro se può affermare di avere concluso un affare comprando quel loft. Ha sempre desiderato possederne uno. Ha qualcosa di classe secondo lui, di eleganza. Ed eleganza è senza dubbio l’aggettivo che calza meglio la sua personalità.

Si porta al centro della stanza e osserva dalla finestra.
Ha una strana sensazione, si sente confuso. Quel loft affaccia sulla realtà. Non può più scappare, fare finta che non sia nulla. Si è lasciato alle spalle un’altra parte della sua vita. E adesso si trova davanti ad un libro bianco interamente da scrivere, che lo spaventa.

Si guarda intorno.
Ci sono tante cose ancora fare e non sa da che parte cominciare.

È nervoso.

Prende un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca e ne sfila una. Gli trema quasi la mano mentre avvicina la sigaretta alla fiamma dell’accendino. Ci impiega qualche secondo per accendere poi, non appena ci riesce, prende una lunga boccata di quella sua droga e inspira profondamente. Contempla il pacchetto vuoto e scuote il capo.
-Mi ci manca giusto il cancro.

Commenta, con un briciolo di sarcasmo. Se la gode tutta quella sua ultima sigaretta, non appena si avvicina al filtro si tasta nelle tasche dei pantaloni per racimolare qualche moneta per comprarsi un altro pacchetto di sigarette. Dopotutto sono le uniche compagne che ha in quella piena solitudine.

***

Non parla con Kyle da qualche giorno, precisamente da quando l’ha incrociato in accademia. Lo vede solo a cena, mangia poco e se ne torna nella sua stanza, sempre in completo silenzio, al massimo risponde sintetico a qualche domanda, niente di più. Ha cucinato il piatto preferito di Kyle quella sera, arrosto con patate. Ha cercato di prepararlo al meglio possibile per poterlo almeno vedere sorridere.

Niente.

Si è seduto al suo posto, ha preso la forchetta e ha iniziato a mangiare, quasi non si fosse nemmeno accorto di cosa precisamente stesse mangiando. Christian decide a questo punto di fargli qualche domanda.

-È buono Kyle?

Il ragazzo annuisce, senza parlare, muove leggermente la testa, che non alza dal piatto. Strano da parte di Kyle. Mangia lento, boccone per boccone, non si abbuffa.

-La carne è troppo cotta? Le patate non sono abbastanza morbide?
Chiede Christian, cercando di fargli dire qualcosa.

-No va bene così.

Sempre più meccanico, sempre più freddo. Non gli sembra nemmeno di avere affianco suo figlio. Gli sembra di cenare con uno sconosciuto.

-Credevo che fosse il tuo piatto preferito.
Dice Christian, con un poco di delusione.

-Si…

Risponde Kyle, senza riflettere. Anche il gesto di prendere la forchetta e tagliare un piccolo pezzo dalla fetta di carne nel suo piatto ha qualcosa di meccanico.

-Non si direbbe…
Commenta Christian.

Kyle non risponde, continua a mangiare. Christian lo osserva meglio, ha lo sguardo fisso nel vuoto. Quel suo comportamento lo infastidisce, non lo riconosce. Si alza in piedi e gli porta via il piatto da sotto gli occhi. Il ragazzo rimane con il braccio alzato, la forchetta impugnata nella mano, vuota. Alza lo sguardo e osserva gli occhi di Christian, inquisitori.

-Non ti obbligo a mangiare.

Abbassa il braccio, posa la forchetta sul tovagliolo. Sposta la sedia dal tavolo, si alza e gira le spalle a Christian che allunga il braccio, gli afferra il polso e lo tira a sè.

-Però ti obbligo a darmi una spiegazione.

Kyle lo guarda negli occhi, non regge lo sguardo, fissa il pavimento. Christian gli lascia il polso e appoggia di nuovo il piatto sul tavolo.

-Kyle, se ti ho fatto qualcosa, qualsiasi cosa, per favore dimmelo. Qualunque cosa ti abbia fatto. Ho bisogno di sentirti parlare! Ho bisogno di sentire la tua voce. Ho solo te!

Il tono di voce di Christian è quasi disperato, strozzato.

Non era intenzione di Kyle ferirlo, è esattamente l’ultima cosa che volesse fare.

-Ha un appartamento.

Quasi lo sussurra. Christian non capisce, lo guarda con sguardo interrogatorio, aspetta che parli di nuovo per spiegarsi meglio.

-Jonathan! Jonathan ha preso un appartamento!

Christian resta immobile per qualche secondo, gli occhi quasi spalancati, apre la bocca per dire qualcosa ma di fatto non dice nulla. Torna invece al suo posto, si siede, sistema la sedia.

-Beh… ci ha messo ancora tanto, dopotutto.

Ora è Kyle a rimanere sconvolto. Si aspettava tutt’altra reazione da parte di Christian. Non può credere che non gli importi.

-Non ti… non ti importa?
Chiede, sconvolto, sorpreso.

-Kyle, siediti a mangiare. Stai mangiando troppo poco.

Scuote la testa. Non riesce a credere quella sua reazione, non può non importargliene.

-Come può non importarti?

Christian non risponde.

-Siediti, ho detto che stai mangiando troppo poco.
Ripete.

-E poi… è passato un mese. Ci ha messo anche tanto.
Commenta, con impassibilità.

Kyle è senza parole. Ha un enorme groppo in gola, gli occhi gli bruciano, vorrebbe piangere. La bocca è semiaperta, il labbro inferiore gli trema.

-Non capisci… Tu non capisci cosa vuol dire!
Esclama, urlando.

-Vuol dire che lui non…

La voglia di piangere sta per prendere il sopravvento, spalanca gli occhi il più possibile, per trattenere le lacrime, per evitare che gli scorrano lungo il viso. Deglutisce.

- … non abita più qui.

Christian riprende a mangiare.

-Se vuoi andare ad abitare da lui, sei libero di farlo.
Commenta, con una punta di freddezza.

Le lacrime premono pesanti, vogliono uscire scorrere, il suo cuore batte forte, il respiro si fa più affannoso.  Al desiderio pungente di piangere si unisce un forte sentimento di rabbia. Kyle non è sicuro quale tra le due sensazioni prevarrà.

-Come puoi dire una cosa del genere?! Come puoi solamente pensarlo?!

Rabbia.

-Quando è chiaro, ovvio, limpido che voglia stare con te?

Risentimento.

-Perchè… facendo del male, così tanto male a te…

Considerazione.

-… l’ha fatto anche a me…

Disperazione.

Pianto.

Kyle crolla davanti agli occhi Christian, le gambe non gli reggono. Piange con disperazione, non riesce quasi a respirare. Le mani appoggiate sul pavimento di fronte a sè, le lacrime cadono sul parquet e provocano un tonfo apparentemente impercettibile ma fastidioso.
Christian si alza, si inginocchia e abbraccia il figlio. Il suo pianto è sempre più disperato, sembra quasi stia piangendo le lacrime che ha serbato per un mese.
Appoggia il mento sulla sua spalla, con una mano gli carezza la schiena, con l’altra i capelli.

-Scusami… scusami tanto. È colpa mia. Avremmo dovuto parlarne.

Sospira.

-È solo che… arrivato a questo punto, non più idea di cosa fare.

***

È sera. Jonathan è seduto nella penombra, davanti ad una delle finestre del suo loft e osserva le luci al neon all’esterno. Gli fanno quasi male agli occhi ma non riesce a smettere di fissarle. Pensa che sia arrivato il momento per comprarsi un televisore, per passare il tempo.

Preme il bottone della corona dell’orologio per illuminare il quadrante, sono le sette. È ora di cena. Non si è ancora distaccato dalle sue abitudini. Non sa se le perderà mai. Di certo i suoi pasti saranno differenti rispetto a ciò a cui è sempre stato abituato.

“Tanto lo fa Christian”

Ha sempre pensato. E  adesso, senza di lui, deve pensare da solo ai suoi pasti, in un modo o nell’altro.
Un taxi dagli abbaglianti accesi percorre tutta la via sotto la finestra di Jonathan. Gira la faccia per evitare che il fascio di luce gli colpisca gli occhi, quel raggio accecante illumina per qualche istante la stanza in cui si trova, permettendogli di osservarla meglio. È così grande e così vuota. C’è così tanto silenzio.

Jonathan si alza. Sente i propri passi sul parquet rimbombare in tutta la stanza, si ferma una volta raggiunto l’unico bancone non occupato da scatoloni o borse. Di nuovo silenzio.
Ha sempre avuto paura del silenzio e in quel momento ne è quasi terrorizzato. Inizia a frugare tra le borse, le scatole e i cassetti e cerca di prepararsi qualcosa per cena, senza pensare, solo per tenersi occupato. Spaghetti scotti e collosi. È il massimo che è riuscito a fare.

Si siede al tavolo e sistema le sue cose. Il tintinnio delle posate contro il piatto e il bicchiere posato sulla superficie del tavolo sono gli unici suoni che riesce a sentire. È così terribile il silenzio.
In quel momento vorrebbe Kyle,  seduto a quel tavolo, a raccontargli del suo ultimo videogioco, della scuola o dei suoi fumetti o sentire Christian parlare della sua giornata o qualche basso pettegolezzo.

Vorrebbe si, ma non ha che il rumore delle posate.

Si ferma. Il silenzio è sempre stato il suo peggiore nemico. Riesce a sentire il dolore delle sue colpe, il loro peso reale, i suoi pensieri, tutti. Perfino i più nascosti e impronunciabili emergono e gli sembra di morire. Fuori silenzio e dentro la sua testa un vociare insopportabile, uno strano ronzio che non vuole decifrare.
Posa la forchetta ed inizia a cercare le sigarette nella tasca della giacca. Estrae il pacchetto vuoto e si ricorda di non averle comprate quel pomeriggio. È  uscito per quel motivo ma poi ha visto in una gioielleria un orologio che gli interessava e non ha saputo resistere. L’ha comprato subito.

Osserva a terra, contro la finestra, la borsa della gioielleria contenente il Panarei nuovo e per la prima volta forse si pente di aver acquistato un orologio.

-Ho bisogno di una sigaretta.

Si alza rapidamente dalla sedia e cerca tra i suoi vestiti appoggiati al divano, nei taschini delle sue giacche, dei suoi pantaloni. Deve pur averne una avanzata. Non trova nulla. Getta a terra tutto quanto e torna a sedersi.

Sta a braccia conserte, osserva la borsa della gioielleria e il bicchiere mezzo pieno, lo afferra. È di vetro pesante. Lo rigira tra le mani, lo appoggia di nuovo sul tavolo.
Di scatto lo riafferra e lo getta a terra affianco a sè, frantumandolo.

-Merda!

Impreca. Si alza e calpesta i vetri del bicchiere, prende il cappotto ed esce.





-->Il capitolo 7... per un po' di tempo (fino alla stesura del 13) è stato il mio capitolo preferito... non chiedete perchè, non lo so XD E comunque, è di nuovo domenica... come volano i giorni. 
Vabbè... vado a rispondere ai commenti^^

Mana: Si in effetti la figura dello schizzato l'ha fatta tutta Kyle, nell'altro capitolo! In questo però penso si chiarisca il suo stato d'animo... comunque si, hai capito bene. Ho un bel po' di capitoli pronti. Per ora ne ho scritti 16 e mezzo.Quindi per un po' posterò con regolarità :) Comunque, sulla risposta di Ronald... ci vorrà ancora un po' in effetti ma i "colpi di scena" non mancheranno xD

Felicity89 : Scoprirai molte cose su Ronald, solo... più avanti. Pazienta xD


E' tutto! Alla prossima, vi avviso che sarà di sabato o lunedì. Perchè domenica non ci sarò^^ Buona domenica e... buona settimana!!
p.s. Ho alzato il rating... si sa mai.....
  
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