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Autore: Valpur    06/11/2016    1 recensioni
Quando, per accontentare una madre apprensiva, Fedra aveva accettato di partecipare a quel dannato Conclave non aveva messo in conto molte cose.
Per esempio di riuscire a evitare il maledetto cugino Frederick.
O di scoprire che le toccava salvare il mondo.
Da imbarazzo dei Trevelyan a Inquisitore il passo è più breve di quanto la goffa, testarda Fedra potesse ipotizzare. E lo percorrerà - non senza qualche bestemmia - con dei compagni inaspettati che le cambieranno la vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Inquisitore, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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“Josie, calmati e parla più lentamente” le disse Cassandra. Era sudata e con la camicia incollata alla schiena, interrotta durante l'allenamento mattutino.
Josephine indicò la lettera che ora Cullen e Leliana stavano rileggendo per l'ennesima volta.
“L'Imperatrice ha avuto degli screzi con suo cugino, il duca Gaspard, e con l'ambasciatrice Briala; i negoziati di pace si terranno in occasione del ballo indetto dalla sorella del duca. Se c'è un luogo in cui un assassino può colpire quello è il Palazzo d'Inverno. E Gaspard ha invitato anche noi, forse sospetta qualcosa, forse è solo un gesto diplomatico, non lo so, ma è... è...”
Fedra si scostò i capelli dalla fronte e tese le mani verso di lei.
“Va bene. Josephine, respira e smettila di ronzare avanti e indietro. Mi sembra una buona notizia, no?”
Questo le fece sgranare gli occhi.
“Buona? Meglio che buona! Ottima! L'invito arriva dal duca in persona. Se ci invita ci stima, se ci stima potremmo affascinarlo, e se ci riusciamo – e se i negoziati vanno a buon fine - l'Impero potrebbe addirittura appoggiarci! Vi rendete conto di cosa potrebbe comportare il suo sostegno ufficiale?”
“Soldi. Tanti, tanti soldi”, rispose Cassandra. Srotolò le maniche della camicia e si fece porgere la lettera da Cullen.
“Tutti i nobili dell'impero saranno presenti, dal primo all'ultimo...”
“Oh, no. Significa che mi toccherà sorbirmi uno stuolo di Abernache”, sospirò Fedra, ma Josephine la ignorò.
“Se un assassino non può sperare in occasione migliore per colpire allora vuol dire che per noi è l'occasione ideale per fermarlo. È un agente di Corypheus, non dobbiamo dimenticarlo: parliamo di qualcosa di più importante che salvare un impero”.
“Ma ad Halamshiral ci sarà molto altro da tenere d'occhio”, intervenne Leliana assorta. Vederla così concentrata era quasi inquietante: pericolo all'orizzonte. “Se vogliamo garantirci il sostegno di Celene non possiamo fare affidamento solo sui riccioli di Cullen o sugli occhioni di Fedra, occorre qualcosa di più sottile ed efficace”.
“Inganno, tradimento e sotterfugio. Ho indovinato?” brontolò Fedra. Leliana le sorrise e fu una risposta sufficiente.
“Ovviamente l'Inquisitore non può andare da sola”, continuò imperterrita Josephine appuntando selvaggiamente sui suoi fogli. “Noi ci saremo – non me lo perderei per nulla al mondo – e ti consiglio di portare qualcun altro. Se i miei conti sono esatti...”
“Quando mai non lo sono”, commentò Cassandra. Cullen soffocò una risata nella pelliccia.
“... dicevo. Se i miei conti sono esatti ci sarà da agire su più fronti. Qualcuno dovrà mantenere la facciata e assicurarsi di parlare con le persone giuste, ma se ci sarà da sporcarsi le mani...”
“Josie, ho capito. Davvero, non preoccuparti così tanto! Abbiamo te, sei una garanzia di successo”, la tranquilizzò Fedra. “Chi mi consigli di portare?”
“Qualcuno di appariscente. Di pittoresco. I cortigiani adorano i fenomeni da baraccone”, disse Cassandra non senza una nota disgustata.
“E qualcuno che sappia ascoltare i sussurri giusti e interpretarli”, aggiunse Leliana. Si guardarono negli occhi e capirono all'istante.
L'ansia per quella missione tanto improvvisa si colorò di eccitazione mentre Fedra trovava i candidati perfetti.

Durante il viaggio per Halamshiral – l'antico luogo elfico dove sorgeva Palazzo d'Inverno – Fedra alternò attimi di puro panico al pensiero non tanto di sventare un attentato ma di dover mettere in pratica tutte le lezioni di buone maniere che tanto si era rifiutata di apprendere, e momenti di felicità così intensa da vergognarsene. Non aveva mai avuto la gioia di poter passare giorni interi con Cullen, anche se rimanere da soli era più difficile che a Skyhold.
Anche il semplice cavalcargli di fianco, con le mani che si sfioravano in maniera quasi casuale, le bastava. Quando lo scopriva a guardarla sognante, con quel sorriso dolce e inatteso sulle labbra, non riusciva a resistere e andava sempre a finire che lo raggiungeva per un bacio o una rapida carezza.
Cosa che il suo seguito non mancava di sottolineare.
“Dovreste davvero trovarvi una camera voi due. Rendete nervosi persino i cavalli!” sbottò Cassandra un mattino dopo averli visti scambiarsi un lungo bacio prima di ripartire. Era un sollievo non dover neanche provare a nascondersi, non sotto gli occhi di chi sapeva benissimo della loro relazione. Dorian era stato a dir poco entusiasta all'idea di partecipare alla spedizione, anche se Fedra era convinta c'entrasse solo in parte la prospettiva di lusso, sfarzo e vini pregiati. Cassandra aveva approvato la scelta, ritenendo il mago abbastanza sgargiante e fascinoso da non passare inosservato; era stata meno convinta quando Fedra aveva insistito per il Toro di Ferro.
“Lui? Ma è... grosso. E ha le corna!”
“Ed è un Ben-Hassrath”, era intervenuta Leliana. Questo aveva concluso la discussione: con due spie di quella portata Fedra si sentiva sicura di poter rivoltare il Palazzo d'Inverno come un calzino.
Il viaggio fino ad Halamshiral trascorse privo di pericoli, al punto che Fedra rischiò di dimenticarsi quanto fosse delicato il compito a cui erano chiamati.
Il Palazzo d'Inverno li accolse in un tripudio di guglie dorate e marmi candidi, dita scintillanti tese sotto il cielo del pomeriggio.
“Un posticino sobrio”, disse il Toro sistemandosi la benda sull'occhio. “Di sicuro le stanze per gli ospiti non mancheranno”.
“Oh. Peccato”, bofonchiò Dorian. A quest'appunto il colossale mercenario rispose con un'alzata di sopracciglia e un'occhiata così intenta che Fedra si sentì indirettamente in imbarazzo. Cullen tossì nel pugno e smontò da cavallo.
“Abbiamo qualche ora per prepararci e magari potremmo...”
“No! Non abbiamo tempo per niente che non sia prepararci!” aveva esclamato Josephine. Era scesa di sella così in fretta da impigliarsi nella staffa e rischiare di cadere, sorretta da uno scatto di riflessi di Cassandra. “G-Grazie. Ora andrò a parlare con il ciambellano e poi andremo immediatamente ai nostri alloggi, dobbiamo splendere e non accetterò di vedere neanche un capello fuori posto!”
Fedra si portò automaticamente la mano alle ciocche lisce che sfuggivano dalla treccia. I membri del gruppo dotati di capelli erano in perfetto ordine anche dopo giorni a cavallo e lei iniziava già a sentirsi a disagio.
Le stanze che erano state loro assegnate erano così sfarzose da farle temere per ciò che li avrebbe attesi nel Palazzo vero e proprio. Fedra approfittò di un attimo in cui uno stuolo di servitori elfici, supervisionati da molto vicino da Leliana e Josephine, si diede da fare a sistemare i loro bagagli per dare una prima occhiata in giro. Sui pavimenti di marmo lucido i tacchi degli stivali scivolavano – brutto segno, se ne sarebbe dovuta ricordare nella malaugurata ipotesi di uno scontro – e dal soffitto affrescato pendevano lampadari grondanti gocce di cristallo. Persino l'armadio, un mostro di legno scuro e intarsi dorati, era sovradimensionato, vuoto e così grande da ospitare tranquillamente un tavolo e sei sedie.
Un sussurro divertito alle sue spalle la fece trasalire.
“Stai pensando quello che sto pensando io?” Cullen le si avvicinò con una luce maliziosa negli occhi.
“No”, ammise Fedra, anche se l'idea di saltargli in braccio non era così lontana dal prendere vita.
“Vieni”, le prese la mano e avanzò verso l'armadio. Ci entrò. Letteralmente.
E allora Fedra iniziò a capire, con una vampata di eccitazione così intensa da farla balbettare.
“N-Non puoi avere in mente proprio questo”, disse soffocando una risata, ma Cullen non l'ascoltò. Chiuse le porte e si trovarono da soli, al buio, e la bocca morbida, appena ispida di barba, si chiuse sulla sua. Fedra si abbandonò contro il suo corpo e si lasciò spingere indietro contro la parete di legno, le mani che afferravano la camicia di Cullen e la strattonavano fuori dai calzoni.
Rimpianse il buio ma si godette la sensazione della pelle morbida sotto le dita, un accenno di peluria sul petto e i muscoli che si contraevano contro di lei. La stretta di Cullen scivolò dalla sua schiena sempre più in basso, le labbra che lasciavano le sue e si chiudevano sulla sua gola e...
Luce. Improvvisa e accecante.
“Cosa avevo detto? Dobbiamo prepararci! Fuori di lì, voi due!” berciò Josephine tenendo le ante spalancate con le braccia.
Fedra e Cullen non fecero neanche un tentativo per far sembrare che le cose stessero in maniera un po' diversa – anche perché c'era poco da interpretare. Aveva le mani di Cullen sul culo e gli stava sfilando la camicia, quindi ormai il danno era fatto.
“Ho detto fuori di lì!” Josephine pestò il piede e tese l'indice verso la sala. Arruffati e con le guance rosse emersero dall'armadio, per fortuna risparmiandosi la presenza di altre persone, e la seguirono a testa bassa. Il costante mormorio in antivano doveva contenere non pochi insulti, ma discutere era inutile. Cullen le prese la mano mordendosi il labbro contro una risata.
Trovarono il resto del gruppo schierato tra i bagagli; nessuno provò a nascondere le espressioni divertite, a parte Cassandra che alzò gli occhi al soffitto decorato e mugugnò il proprio disappunto.
“Due adolescenti in fregola. E abbiamo il mondo da salvare”.
Cullen si sfregò la nuca e si mise in fila. Josephine si mise a marciare davanti a loro con un piglio militare del tutto inaspettato.
“Allora! Non siamo a un concilio di guerra né a una cena in famiglia...”
“Per fortuna”, borbottò Dorian. Gli occhi di Josie lo zittirono – cosa che aveva dell'incredibile.
“Siamo al cospetto dell'Imperatrice Celene e di tutti i nobili dell'Impero stesso, quindi mi aspetto una condotta impeccabile da parte volta. Qualsiasi cosa diciate o facciate verrà esaminata e giudicata, andrà a influire sull'opinione della corte. Opinione che segnerà l'esito del gioco che stiamo andando ad affrontare”.
“Gioco?” chiese Fedra, anche se iniziava già a tornarle alla memoria una noiosa lezione di oltre dieci anni prima. Il gioco della politica, qualcosa da cui si era sempre tenuta attentamente alla larga.
“Proprio così. Camminiamo sulle uova. Uova di cristallo e diamanti, ma altrettanto fragili. Non dobbiamo mai rivelare le nostre carte: per quel che riguarda chiunque siamo qui per far bella figura con Celene, e tanto basta”.
Si voltò e indicò con un gesto della mano la fila ordinata di abiti piegati alle sue spalle.
“Divise. Niente di troppo elaborato ma abbastanza riconoscibile, sufficiente a farci ricordare. Al ballo sarà una giostra di abiti sgargianti, maschere e pizzi, per spiccare ci sarà d'aiuto la sobrietà”.
Dorian mise un po' il broncio. Josephine batté le mani e li rimise tutti sull'attenti.
“Vestitevi e fatevi più belli che potete. Non avremo difficoltà a farci notare”, aggiunse al sorriso del Toro.
Fedra fu la prima a riemergere, avvolta in una giacca scarlatta dai dettagli dorati e con lucidi stivali alti oltre il ginocchio. Si rimirò in uno dei molti specchi della stanza e decise che non andava poi così male. Il Toro la raggiunse poco dopo, sistemandosi la fusciacca in vita e sfoggiando una lucida benda nera sull'occhio, più elegante della solita.
“Accidenti. Non stai per niente male!” si lasciò sfuggire. Grosso era grosso, le corna erano sempre qualcosa di sconvolgente, ma senza le solite braghe a righe colorate e gli stivali con la punta all'insù aveva tutt'altro aspetto. Schiena dritta, portamento inaspettatamente severo, era di certo uno spettacolo interessante. Il Toro sembrò accorgersi della considerazione e si piegò in un inchino carico di fascino.
“L'Inquisitore è troppo gentile. Non sono abituato a fare il damerino ma come Ben-Hassrath sono preparato a ogni evenienza”, e ammiccò da sotto la benda.
Uscirono uno dopo l'altro, Cassandra del tutto a suo agio e Leliana diversa dal solito senza il suo cappuccio viola in testa. Il corto caschetto rosso la faceva sembrare più giovane e meno minacciosa senza le ombre che le avvolgevano il viso. Dorian, come sempre impeccabile, si sistemò le maniche sui polsi e si arricciò una ciocca già in perfetto ordine sulla tempia.
Se lo mangeranno con gli occhi, pensò Fedra ammirandolo con tanto d'occhi. Se c'era qualcuno che si sarebbe goduto le attenzioni della corte era proprio Dorian, e il pensiero della sua figura affascinante che si crogiolava tra gli sguardi adoranti dei nobili era fin troppo divertente.
E poi Cullen sbucò in fondo alla sala, e la voglia di ridere le passò del tutto, sostituita da un desiderio di tutt'altra natura.
Erano tutti eleganti, ma nella divisa del comandante c'era qualcosa di diverso. La giacca sembrava essergli stata cucita addosso e i calzoni scuri erano tanto attillati che Fedra poteva vedere i muscoli contrarsi sotto alla stoffa. Sembrava glieli avessero dipinti addosso.
“Tanto valeva mandarlo nudo”. Il sussurro ammirato di Dorian riecheggiò il suo pensiero. Cullen, a disagio, si strattonò la cintura e piegò le ginocchia con una smorfia. Josephine li raggiunse in quel momento e li guardò soddisfatta.
“Josie, temo ci sia qualcosa che non va con... con la mia divisa. È decisamente troppo aderente!”
“Non diciamo sciocchezze, va benissimo così”, tagliò corto.
“Ma i pantaloni sono...”
Stretti. Troppo. Fedra non riusciva a distogliere lo sguardo. Si infilò un dito nel colletto e lo scostò per respirare meglio.
“Sono precisamente della tua misura, Cullen, non discutere. Ora, se...”
“Ma i loro non sono così stretti!” insisté indicando Dorian e il Toro. Quest'ultimo sollevò un sopracciglio. “Ho bisogno di spazio, comandante. Ma non crucciarti troppo, avrai gli occhi di tutto l'impero attaccati al culo”.
Non fu d'aiuto. Cullen diventò rosso e strinse le labbra, mentre Josephine li guardò tutti con severità.
“Mi sono assicurata di riscuotere un favore da qualche amico, ho fatto introdurre le vostre armi a palazzo nel caso ce ne fosse bisogno, cosa che spero non accadrà”.
Li passò in rassegna uno per uno, sistemando una corta ciocca sulla fronte di Cassandra, che non gradì, e spazzolando la casacca di Dorian, che gradì ancor meno.
Una campana argentina suonò poco distante e Josephine trasalì.
“Dobbiamo andare! Fedra, il granduca Gaspard ha chiesto di te, tieniti pronta a conquistarlo con la tua classe e... e, ti prego, fai del tuo meglio. Siamo tutti nelle tue mani – l'Impero e il mondo lo sono”, la implorò.
“Tranquilla, non ero agitata comunque, nessuna pressione”. Fedra si asciugò le mani sudate sulle falde della giacca e guardò il proprio piccolo, sgargiante esercito.
Questa volta non ho proprio idea di cosa fare. Se entro l'alba non avrò causato un incidente diplomatico mi riterrò già soddisfatta.
Fedra non capì come accadde ma all'improvviso, nel breve tragitto fino ai giardini imperiali, si trovò con Josephine, separata dal resto del seguito. Due file di soldati le affiancarono e non fu abbastanza rapida da continuare a sorridere.

“Sono la nostra scorta”, disse Josephine senza mutare espressione. “Rilassati”. 
Fedra si guardò intorno e tese il collo, cosa che le rimediò una discreta gomitata nel fianco.
“E smettila di allungare il collo come un'oca”. 
Cosa poteva fare? Stese le labbra in un'approssimazione di sorriso e pregò che la tensione che le vibrava nel cuore non fosse troppo evidente mentre marciavano tra i soldati in livrea imperiale – corazze lucidate a specchio e pennacchi azzurri – fino a un cancello che sembrava un merletto in ferro battuto. I due battenti si aprirono e alzando la testa Fedra vide da vicino il Palazzo d'Inverno.
“Wow”, si lasciò sfuggire dalle labbra. Subito capì che Josephine non avrebbe approvato quell'atteggiamento da contadina al ballo e raddrizzò le spalle. Era comunque impossibile non rimanere impressionati dalla mole sconfinata del palazzo, dalle pareti azzurro cielo bordate d'oro su un'infinità di sottili colonne a tortiglione. Vetrate variopinte ammiccavano nel crepuscolo e riflettevano l'arcobaleno di colori e gemme degli ospiti che si aggiravano in attesa eccitata nel giardino. L'odore dei fiori era schiacciato da quello delle nuvole di profumi assortiti e Fedra non riuscì a nascondere una smorfia.
Come al Conclave.
L'eco di ricordi mutilati le riverberò nella testa e tinse di rosso sangue lo spettacolo di maschere e sfarzo che si stendeva davanti a lei. All'improvviso non era più circondata da siepi fiorite e giochi d'acqua ma da una distesa di teste assiepate nel Tempio delle Sacre Ceneri; sentiva di nuovo il frusciare della gonna che non indossava più indossato e respirava l'aria viziata del Conclave, non l'aria profumata di Halamshiral.

Troppo reale. Si trovò a respirare a stento e a desiderare solo di fuggire da lì, di nascondersi tra le mura tozze e sicure di Skyhold. Aria gelida di montagna e cielo sgombro, visi aperti, nessuna maschera. Nessuna minaccia.
Poi la mano di Josephine le sfiorò il gomito e la visione si frantumò. La stava guardando con un'espressione preoccupata negli occhi che stonava con il sorriso imperterrito.
“Stai bene?”
“Credo di sì”, sussurrò Fedra raddrizzando la schiena.
“Sei pallida, cosa che qui potrebbero apprezzare perché fa molto nobile d'altri tempi. Cerca di non vomitare addosso a nessuno, però, specialmente non a chi ci sta venendo incontro”.
Fedra emerse dall'angoscia e fissò l'uomo che si stava avvicinando. Poco più alto di lei, una maschera a coprirgli il viso e un tripudio di broccato e spallacci decorativi d'argento sopra a un collo di volpe.
“Incontrarvi è un piacere troppo a lungo rimandato, Inquisitore Trevelyan”. L'uomo chinò appena il capo rivelando corti capelli brizzolati e si rialzò con una scintilla negli occhi in ombra. Non aveva niente della vuota formalità di Abernache: chiunque fosse era potente e consapevole di avere una posizione di vantaggio. 
Non ci fu bisogno di presentazioni. Fedra si portò il pugno al petto e si inchinò in modo molto formale, strappando un sorriso soddisfatto a Josephine, in ombra dietro di lei.
“Il piacere è mio, granduca Gaspard. Non ho parole per esprimere la gratitudine per il vostro invito: voi onorate l'Inquisizione”.
Da dove le usciva quella faccia da schiaffi? All'improvviso fu come se la scatola in cui aveva distrattamente archiviato anni di lezioni si fosse scoperchiata. Non sapeva se sentirsi orgogliosa o spaventata dalla propria performance.
Gaspard sorrise, labbra sottili su denti bianchi e affilati in un mento ispido di barba.
“La voce delle vostre gesta riecheggia per tutto l'Impero”. Si avvicinò e le si sporse verso l'orecchio. “Immaginate cosa potreste ottenere con l'appoggio del legittimo imperatore di Orlais”.
Fedra sentì una scossa lungo la schiena. Così sfacciato? Con la coda dell'occhio vide Josephine allontanarsi: ora era sola sul serio.
Si tenne stretto il delicato sorriso che era riuscita a incollarsi in faccia e inclinò il capo.
“Immagino stiate parlando di voi”.
Gaspard rise senza un suono e le porse il braccio.
“Non sono un uomo che dimentichi gli amici, Inquisitore: voi aiutate me, io aiuto voi. E per cominciare cosa ne direste di dare scandalo accompagnando al ballo l'odiato usurpatore?”
E il possibile mandante dell'assassino di Celene? Improbabile, non con tanta sfacciataggine.
Eppure per qualche motivo le venne in mente il Toro di Ferro: una spia dall'aspetto tutt'altro che anonimo. Nascondere i segreti in piena luce sembrava andare di moda.

Allargando il sorriso Fedra accettò l'invito e gli prese il braccio.
“Diamo scandalo allora. Non si può dire che non ci sia abituata”.
Il granduca rise più apertamente e si incamminò.
“Siete deliziosa, Inquisitore. Non mi avevano parlato della vostra verve, sapete?”
Passarono a passi lenti e deliberati attraverso un viale lastricato che conduceva, tra due lunghe aiuole traboccanti fiori, al portone del palazzo. Gaspard aveva ragione: gli occhi di tutti erano su di loro.
Compresi, si accorse con un misto di sollievo e desiderio, quelli di Cullen. Ad alcuni metri di distanza, accompagnato da Cassandra, la seguì con uno sguardo di feroce protezione.
E forse con un filo di gelosia.
Fedra gli strizzò impercettibilmente l'occhio senza cambiare espressione e Cullen rispose con un sorriso e un cenno del capo. Si sentiva rassicurata a saperlo lì vicino; il Toro di Ferro era già circondato da un drappello di dame e gentiluomini rapiti dalla sua figura e Fedra si congratulò con se stessa per la buona idea di esserselo portato dietro.
“Posso osare, Inquisitore?”
“Cosa, vostra grazia?”
“Definirvi amica. Mi farebbe enormemente piacere”.
No, non puoi permettertelo, perché i miei amici si meritano che io muoia per loro mentre tu sei solo un viscido sciacallo. Però sei fortunato che questa sera sia costretta a mordermi la lingua.
“Così mi confondete, granduca, ma ne sarei onorata”.

“Quindi, poiché siamo tra amici, posso chiedervi un piccolo aiuto”. Abbassò la voce, più roca e forse più sincera. “C'è un'elfa – l'ambasciatrice Briala, ne avrete sentito parlare – che temo potrebbe voler mandare a monte i negoziati di pace con mia cugina Celene. La mia gente ha avuto notizie di alcuni atti di sabotaggio ai danni di fortificazioni di un certo rilievo a opera di un gruppo di elfi che parrebbe riferire a Briala stessa. Se poteste sfruttare quei vostri meravigliosi occhi blu per cogliere qualche dettaglio a riguardo...”
“Ho anche altri sensi che non esiterò a mettere al servizio di questa splendida serata”. Si morse la lingua per quello che nella sua testa era uno scivolone ma che causò un lieve fremito delle labbra di Gaspard.
“Siete più interessante di quanto potessi sperare, Inquisitore. Briala era al servizio di mia cugina Celene prima che questa la facesse scacciare con un pretesto per coprire un errore politico. Ha tutte le ragioni per attentare alla vita dell'Imperatrice. Non intendo reclamare un trono grondante il sangue della mia stessa famiglia”.
Fedra fu grata di avere un istante per recuperare il tono fermo.
“Siamo qui per evitarlo, granduca. Avete la mia parola”.
Erano arrivati alle porte d'accesso, sotto gli occhi impassibili delle guardie imperiali che si fecero da parte senza un battito di ciglia all'approssimarsi di Gaspard.
La folla si strinse attorno a loro mentre superavano le porte e si affacciavano al Palazzo d'Inverno e Fedra fu grata della pioggia di saluti e riverenze che le permisero di nascondere la pura, infantile ammirazione per lo splendore che li circondava. Sembrava di camminare in un mondo d'oro e ghiaccio. 
I suoi passi non facevano rumore sui soffici tappeti che coprivano i pavimenti; servitori elfici si aggiravano in ogni angolo, occhi bassi e visi impassibili. Si chiese quanto fosse pericolosa la pista di Briala. 
In mezzo al mare di maschere, fascino e pericolo Fedra scorse Leliana appoggiata a una colonna, le mani intrecciate davanti a sé e un sorriso gentile sul viso pallido. Cullen era poco distante ed era impossibile non notare il Toro, con un nobile tutto vestito di azzurro e argento attaccato a un braccio e una dama bionda dall'altro lato. Dorian le fece l'occhiolino e vuotò il bicchiere di vino rosso che reggeva tra le dita.
Un altro portone, altre guardie. Gaspard fece un cenno con la mano e queste si fecero da parte lasciando loro accesso al salone da ballo.
Se Fedra si era stupita del lusso qui lasciò perdere direttamente ogni considerazione e si godette l'ampio spazio colonnato che sembrava brillare interamente d'oro. Non c'era il brusio eccitato che li aveva accolti nel vestibolo ma una musica leggera a coprire il silenzio, rotto solo dalla voce stentorea di un banditore che annunciava la trafila di nobili e personalità di spicco giunte a rendere omaggio all'Imperatrice.
“Siete pronta, mia cara?” le sussurro Gaspard. 
La risposta, come sempre in quegli ultimi mesi, sarebbe stata un secco no, ma Fedra chinò con gentilezza il capo e si lasciò condurre avanti.
Gli occhi di tutta Orlais erano su di lei, su quell'improbabile, sgraziata nobile di nascita, con i capelli sgargianti e le orecchie a sventola, che ora marciava a testa alta al braccio di un presunto usurpatore con l'unico desiderio di scambiare i fasti di Halamshiral con la ruvida sicurezza di Skyhold.
La voce del banditore si levò sopra alla musica e annunciò la sfilza di titoli di Gaspard e, Fedra avrebbe voluto seppellirsi, anche i suoi. Poi proseguì, con sua grande sorpresa, con tutti i membri del seguito, dall'infinita sequela di nomi di Cassandra – tra cui un incongruo Allegra – al Toro di Ferro, che richiamò più di un'occhiata stupita. Dorian, per quel che era riuscita a vedere quando gli era passata di fianco, era del tutto a proprio agio, quasi quanto Josephine.
Ma più si avvicinavano alla balaustra dall'altro lato della sala meno Fedra prestava attenzione a nomi e titoli. Tutto ciò che riusciva ad attirarla erano le due figure oltre la ringhiera dorata lassù.
Gaspard, un pugno dietro alla schiena e la testa ben dritta, la condusse su per alcuni scalini e fino ai piedi dell'Imperatrice Celene in persona, una snella donna bionda e pallida per quel che poteva scorgere oltre la maschera argentata, avvolta in un tripudio di seta blu. Alle sue spalle una seconda sagoma emerse dalla penombra, un'altra donna con lo stesso mento di Gaspard e un sorriso sulle labbra truccate.
“Cugina”, si inchinò Gaspard. “Mia adorata sorella”, aggiunse rivolto alla seconda figura. Fedra registrò l'informazione e rimase sull'attenti con quel sorriso che ormai stava diventando ebete in viso.
“Granduca, come sempre siamo onorate quando la vostra presenza dona lustro alle nostre serate”, disse Celene con un forte accento orlesiano e una cortesia affettata. Gaspard sogghignò.
“Non farmi perdere tempo con i convenevoli, Celene. Abbiamo degli affari da concludere”, disse secco. Fedra avrebbe voluto guardarlo con tanto d'occhi – era pazzo? – ma evidentemente il gioco funzionava così. Celene non si scompose e inclinò il capo.
“Discuteremo della questione quando avremo finito di salutare gli altri nostri ospiti”, un appunto cui Gaspard rispose con un inchino tutto svolazzi prima di allontanarsi. L'Imperatrice si concentrò su Fedra, di colpo sola sotto gli occhi di tutti.
Una parte di lei non riusciva a trattenere il pensiero di quanto sarebbero stati orgogliosi, e forse persino invidiosi, i suoi genitori di vederla lì. Tutto il resto, ed era la maggior parte del suo essere, voleva solo scappare urlando.
“Madame Inquisitore, benvenuta al Palazzo d'Inverno. Permetteteci di presentarvi nostra cugina Florianne, granduchessa di Lydes, senza cui quest'incontro non sarebbe stato possibile”.
La sorella di Gaspard si fece avanti e guardò Fedra con un sorriso sottile, obliquo, molto diverso da quelli di formale cortesia che le erano stati rivolti fino a quel momento.
“Quale inatteso piacere. Non mi aspettavo che l'Inquisizione avrebbe partecipato alla nostra piccola soirée”. 
“È normale, nessuno si aspetta mai l'Inquisizione”, si lasciò sfuggire Fedra. Alle sue spalle Josephine trattenne il fiato e Cullen iniziò a tossire, mascherando malamente un accesso di risa.
Florianne non sembrò divertita ma mise insieme una riverenza abbastanza credibile e fece un passo indietro, cedendo di nuovo il palco all'Imperatrice. Fedra si segnò mentalmente di dar retta alla subitanea diffidenza verso la granduchessa.
“Il vostro arrivo a corte è gradita quanto una brezza fresca in una sera d'estate”.
Fedra si ricordò di avere delle gambe e le piegò in quella che pregò fosse una riverenza accettabile. Non sarebbe mai riuscita a farla sembrare un passo di danza come faceva Evelyn, ma nessuno lanciò esclamazioni inorridite quindi forse se la cavò a sufficienza.
“Lo splendore di Halamshiral è al di là della mia capacità di descriverlo, maestà”.
“Ci auguriamo che avrete modo di godere appieno della sua bellezza. Vi preghiamo di trovare piacere nelle danze, Inquisitore”, e le fece un cenno distratto con la mano.
Mi ha congedata? Non mi ha congedata? Aiuto. Cosa faccio?
Nel dubbio si inchinò di nuovo. Il suono di passi che si allontanavano dietro di lei le rivelò che sì, era stata congedata. Ruotò sui tacchi e seguì il resto del gruppo fuori dal salone da ballo.

Pur con tutta l'ansia da prestazione, la tensione e l'imbarazzo di sentirsi osservata da centinaia di persone Fedra non poté fare a meno di notare che i pantaloni di Cullen erano davvero stretti.
Durante il breve tragitto fu più facile concentrarsi su quel non trascurabile capolavoro dell'anatomia che badare agli sguardi dei nobili, e quasi senza accorgersene si trovò fuori dalla ressa, di nuovo nel vestibolo.
La voce di Leliana, sommessa al suo orecchio, la distrasse dallo spettacolo.
“Fedra, dobbiamo parlare”.
Le fece un cenno col capo e la chiamò in disparte, su un divanetto stranamente privo di coppie già intente ad amoreggiare.
Fedra, richiamata all'ordine, annuì e la seguì.





Eccoci di nuovo qui - e qui per l'esattezza è uno dei luoghi più pericolosi e per me affascinanti dell'intero Inquisition. Ho amato alla follia l'intera quest, che pure mi ha fatto sputar sangue per riuscire a fare tutto... e al terzo playthrough ancora non ci sono riuscita, dannate monetine!
Una piccola introduzione al grosso dell'azione che arriverà con il prossimo capitolo: proprio come nel gioco scriverlo è stato molto complicato e altrettanto soddisfacente.

Buona lettura a voi!

 

Val

   
 
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