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Autore: Chipped Cup    08/11/2016    4 recensioni
[ Captain Swan | AU senza magia ]
Emma Swan, ventotto anni, sola, un lavoro scadente che la faceva a malapena arrivare a fine mese. Oramai ci aveva messo una pietra sopra e aveva accettato, seppur malvolentieri, quella schifosa vita che le era capitata. Poi la svolta: una chiamata, un'offerta di lavoro nella piccola cittadina di Fort Kent, Maine, le da la spinta che le serviva per ricominciare. Emma Swan arriva in città senza troppe aspettative, tutto quello che chiede è un po' di pace, ma con Killian Jones, padre trentenne e solo, tra i piedi e un segreto a lungo custodito che sembra voler spuntare fuori ad ogni costo rimescolando così tutte le carte in tavola, la sua nuova vita a Fort Kent sarà tutto fuorché tranquilla.
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Dalla storia:
Emma sorrise. Un sorriso sincero, entusiasta, tenero e rassicurante. Aveva appena avuto la dimostrazione del grande cambiamento che stava affrontando Killian Jones: piano piano stava lasciando andare la sua “parte oscura” e stava crescendo, maturando e diventando responsabile. E lo faceva per suo figlio, ma anche per lei. Se prima poteva aver avuto dei dubbi su di lui, in quel momento vennero spazzati via come una ventata d'aria fresca.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. L'anniversario (parte1)




Fort Kent, Maine; Maggio 2016


Entrò nel Rabbit Hole guardandosi subito intorno nella speranza di trovare Elsa, nel caso fosse già arrivata. Avrebbe dovuto memorizzare il suo numero in rubrica, stupida Swan. L'interno del locale era più piccolo di quello che si aspettava, le luci erano basse, la musica era mandata da due casse poste in due angoli opposti della sala, il volume permetteva di godersi qualsiasi canzone e allo stesso tempo di chiacchierare con il proprio vicino. Notò anche degli strumenti e una specie di palchetto, immaginò che venissero organizzate anche delle serate a tema in cui suonava qualche band o qualcosa del genere. I tavoli erano quasi tutti pieni ma non riusciva a vedere bene tutte le persone sedute, osservò meglio il bancone notando subito due baristi che servivano le poche persone che avevano scelto di passare la serata su quegli sgabelli così scomodi.
Emma smise subito di ispezionare quel posto con lo sguardo, interrotta da un'esuberante brunetta che le si parò davanti così all'improvviso che quasi non se ne accorse. «Buonasera e benvenuta al Rabbit Hole! Sei nuova in città, vero? Hai ordinato un tavolo?» Quasi non prese fiato. Emma la guardò con gli occhi aperti senza nascondere un'espressione smarrita. Pensò che indossasse dei pattini al posto delle scarpe, facevano molto stile anni 50 era vero, ma era stata così veloce che concluse fosse l'unica spiegazione. Abbassò velocemente gli occhi, addirittura, tanto per accertarsene ma, no, la ragazza era stata semplicemente molto rapida a venirle incontro.
«Come l'hai capito?» Le domandò come prima cosa, incrociando le braccia davanti al petto con fare indagatore. Era una posa e un modo di fare che si portava dietro dall'infanzia, difficile separarsene o anche solo controllarlo. «Comunque no, non credo almeno», non credo? Ma che cavolo di risposta era? «ho un appuntamento con una...», persona conosciuta solo qualche giorno fa e con la quale avrò scambiato neanche sette battute? «amica, mi ha detto che mi avrebbe aspettato dentro».
La bruna si aprì in un sorriso smagliante, così da mostrare una dentatura da far invidia a qualsiasi modella che si vedeva nelle pubblicità dei dentifrici. Sembrava quasi divertita. «Questa è una piccola cittadina», rise lei per tutta risposta «lavorando nel suo locale più importante, per anni, finisci di conoscere più o meno tutti i suoi abitanti. Dimmi, come si chiama questa tua amica? Ho accolto io tutto i clienti, questa sera, se è già arrivata l'avrò sicuramente già vista.» Sembrava sinceramente cortese e pronta ad aiutare, mentre passava il piccolo vassoio nero dal braccio destro a quello sinistro, posando quindi la mano libera sul medesimo fianco.
«Elsa,» rispose la bionda, speranzosa «Elsa Sleety *». Il sorriso dell'altra si ingrandì maggiormente, cosa che Emma non credeva minimamente possibile e annuì con il capo, prima di girarsi veloce verso la sua sinistra, facendo svolazzare così i lunghi capelli, dai quali risaltava un nastro di colore rosso acceso.
«Ma certo, Elsa! Andavo in classe con sua sorella Anna, sai? E' una brava ragazza, tutte e due lo sono, anche se è un po' chiusa e solitaria... Elsa, dico, non Anna, Anna è completamente l'opposto: esuberante e chiacchierona», come qualcun altro, qui, si ritrovò a pensare la giovane Swan, accennando appena un sorriso. «E' arrivata pochi minuti fa, comunque. Solito tavolo, in fondo a destra», mi indicò il tavolo – anche se la ragazza continuava a rimanere nascosta dagli altri clienti – neanche le avesse chiesto un indicazione stradale, prima di tornare a guardarla e a rivolgerle l'ennesimo sorriso «a proposito, io sono Ruby, benvenuta a Fort Kent, miss...?»
«Swan, Emma», le due ragazze si strinsero cordialmente la mano, prima che la nuova arrivata la lasciasse ai suoi clienti, diretta dalla sua nuova conoscenza «grazie mille, Ruby.» Dopo soli pochi passi, fu già più semplice trovare Elsa, che stava digitando qualcosa sul suo telefono, probabilmente un messaggio, con la testa poggiata tranquilla sul dorso della sua mano. Aveva i capelli raccolti in uno chignon basso e appena spettinato, indossava un top blu monospalla e dei pantaloni neri, nessuno strappo come ormai andava di moda tra le ragazze – ed Emma apprezzò immensamente quella mancanza.
«Ciao Elsa!» La salutò subito Emma, posando la borsa sopra una delle tre sedie vuote e sedendosi sopra un'altra, quella situata davanti la ragazza «Perdona il ritardo», mormorò dopo, guardandosi intorno in cerca di Ruby, o di un altro cameriere così da ordinare da bere. Qualcosa di fresco magari, visto che nel locale si moriva di caldo.
Elsa aveva già incurvato gli angoli della bocca verso l'alto, vedendola arrivare, e si era affrettata a chiudere la conversazione con sua sorella, Emma non aveva intenzione di curiosare nei suoi affari, ma era riuscita a leggere il nome sullo schermo, prima che l'altra chiudesse la finestra dei messaggi. «Oh no, Emma, tranquilla», esclamò questa, riponendo il cellulare nella borsa, color argento che sicuramente non passava inosservata, che teneva attaccata allo schienale della sua sedia «sono arrivata da poco anche io, non preoccuparti. E' stato difficile trovare il posto?» Scosse appena la testa, posando i gomiti sul tavolo.
Parlarono per una buona oretta e mezza, senza interruzioni o pause imbarazzanti. Elsa sapeva fare le giuste domande, soddisfacendo la propria curiosità ma senza essere inopportuna o entrare troppo nella vita privata di Emma. L'altra rispondeva spontaneamente, ricambiando le sue domande o facendone di nuove. Elsa, scoprì, era nata nel Maine, ma aveva poi passato la sua adolescenza in Canada, nel Québec, per motivi di lavoro dei genitori. Le raccontò del freddo, davvero pungente una volta arrivata, quando aveva solo tredici anni, e che poi aveva imparato ad amare e ad apprezzare. Emma rise tra sé, trovando buffo l'accostamento tra il suo cognome e il clima che tanto amava. Una volta grande, aveva ottenuto una borsa di studio dalla prestigiosa università di
Princeton, era quindi tornata negli USA e lì vi era rimasta. Si era laureata in economia e, adesso, viveva a Fort Kent, lavorando come assistente del sindaco. Sua madre e sua sorella erano rimaste in Canada e le vedeva raramente.
Emma aveva ascoltato la ragazza sinceramente interessata, fino a quando un tono di voce piuttosto brusco non interruppe il clima di ilarità di gran parte della sala, e fece sobbalzare i presenti più vicini al suo proprietario. «Cerchi rogne, amico?» Anche Emma e Elsa si voltarono, quasi in sincronia, per vedere cosa stava succedendo. Alle spalle di quest'ultima, a qualche metro di distanza, si trovavano una ragazza piuttosto minuta, di lei potevano notare solamente i capelli, rosso fiamma, perché era girata dall'altra parte, ma non era, comunque, l'attrazione principale della scena. Un uomo basso e robusto, calvo, dagli occhi scavati che trasudavano di stanchezza e da una barba piuttosto folta, più grigia che nera, e punteggiata da un po' di bianco qua e là, fronteggiava una delle ultime conoscenze della giovane Swan.

Killian Jones, il nome dell'uomo le scattò in automatico nella mente, le sembrò piuttosto alticcio e visibilmente infastidito. Era stato lui a inveire, poco prima, l'altro sembrava tranquillo, rosso in viso ma tranquillo, forse provava a trattenersi. «Ehy, fratello, rilassati. Ti ho solo detto di spostare l'auto, intralcia l'ingresso», ribatté quello, stringendo appena i pugni. Elsa volse la testa verso Emma e la guardò preoccupata, ma l'altra non la notò, impegnata com'era a seguire la discussione, non per farsi gli affari loro, ma per intervenire se necessario.

«E io ti ho già detto di andare al diavolo!» Esclamò Jones, prendendolo in giro con un'espressione irriverente sul volto «E poi sei dentro, no? Se avesse ostruito l'ingresso non saresti riuscito ad entrare», allargò le braccia con fare ovvio e un sorriso sfacciato, in seguito gli diede completamente le spalle e, seppur rivolgendosi ancora lui, tornò a guardare la ragazza profondamente «stavo conversando con questa splendida creatura, se non te ne fossi accorto.»
«No, me ne stavo andando via», affermò lei risoluta, passò davanti ad entrambi e si avviò verso l'uscita. Emma non riusciva a staccare gli occhi di dosso da quei tre, Elsa aveva capito che non sarebbe riuscita a distrarla per nessun motivo al mondo, così anche lei tornò ad osservarli, lanciando poi delle veloci occhiate alla sua nuova amica.
«Ecco, vedi Leroy? Sei riuscito a infastidire anche lei!» Così dicendo, Killian Jones prese ad incamminarsi verso la rossa, barcollando a vista d'occhio. Vedendo che Leroy non aveva la minima intenzione di impicciarsi oltre, Emma scattò in piedi, pronta a raggiungere i due che avevano quasi raggiunto l'uscita. Ormai nessuno prestava loro molta attenzione.
Elsa, invece, afferrò di scatto il polso destro della bionda con entrambe le mani, mormorandole un soffocato «Emma, no!». Emma non la guardò nemmeno, sentiva guai nell'aria, quell'uomo non le era piaciuto da sobrio, figuriamoci se le sarebbe piaciuto da ubriaco! I clienti erano tornati a farsi gli affari propri e a lei questa cosa non andava giù, odiava l'indifferenza della gente. Scrollò appena il polso, Elsa lasciò la presa scoraggiata e sospirò. Emma raggiunse i due quel tanto che bastava ad ascoltare ciò che si dicevano, ma non intervenne subito. Elsa, alla fine, si alzò anche lei e raggiunse la donna, restando qualche passo più indietro.
«Andiamo Sirenetta, l'altra volta ti era piaciuto», sentirono l'uomo, che con fare sornione si era avvicinando alla ragazza, credendo di risultare affascinante «casa mia è qui vicino, ma questo lo sai già», sorrise divertito, prima di inumidirsi le labbra e avvicinarsi maggiormente alla ragazza. Questa volse appena il capo, simulando un'espressione disgustata, probabilmente per via dell'alito del suo interlocutore.
«L'altra volta non eri ubriaco, Jones», ribatté questa, con una calma che Emma le invidiò. Sembrava sapere quello che facesse, sembrava conoscerlo e, a dirla tutta, sembrava anche attratta da quell'uomo, ma era sempre risoluta a non accontentarlo, quella volta, non con lui in quelle condizioni. Non sembrava avercela con lui, la Swan si domandò che problemi avesse quella ragazza, lei avrebbe già dato di matto, si disse. «Non ho intenzione di venire a casa tua.»
L'uomo rise, visibilmente divertito da quello che era appena stato affermato «Oh», partì, pronto a colpire in pieno la sua compagna «ma l'altra volta lo hai fatto eccome. E più volte, devo dire», concluse allusivo e con una sfacciataggine tale da disgustare completamente Emma, come se già il loro primo incontro non fosse stato abbastanza. Elsa, invece, alle sue spalle, restava impassibile e silenziosa, l'altra neanche si era accorta della sua presenza.
Anche la rossa apparve disgustata da quella affermazione, anzi, infastidita più che altro. Roteò gli occhi verso l'alto e girò i tacchi, decisa a lasciarlo lì senza nemmeno concedergli una replica. Killian, però, le prese la mano di getto, neanche si accorse di quello che aveva fatto o, comunque, neanche ebbe il tempo di accorgersene, dato che Emma non ci aveva visto più, gli aveva messo una mano sulla spalla e con un «Ehy» lo aveva richiamato affinché lui si girasse. Non appena, questi, ebbe girato completamente il capo nella sua direzione, mossa da una sorta di solidarietà femminile, o forse dall'immensa voglia che aveva di colpirlo fin da quando l'aveva palpata qualche giorno prima, gli tirò un pugno in pieno volto. Elsa strillò, la rossa trattenne il respiro, Jones aveva ancora addosso un'espressione più che confusa, che presto si tramutò in una stordita. Cadde a terra svenuto, le tre donne lo osservarono neanche fosse la scena al rallenty di un film. «Wow, non credevo di averlo colpito tanto forte da spedirlo al tappeto», commentò la bionda, la mano ancora ferma a mezz'aria, aperta però, il viso contratto in uno sguardo sorpreso.
«Colpa dell'alcol», commentò la ragazza dai capelli rossi, che nel frattempo si era chinata verso Jones «sarebbe crollato da un momento all'altro», aggiunse poco dopo, prima di voltarsi, seguita da Emma e Elsa, verso Ruby e altri due camerieri che erano subito accorsi a vedere cosa stava succedendo.
«Non l'ho mai visto così ubriaco», commentò a bassa voce Ruby, mentre gli altri provavano a svegliare l'uomo, invano tra l'altro. «E' inutile ragazzi, ne avrà per un bel po'», fece poi, mordendosi un labbro forse non sapendo come risolvere la questione o cosa farne di lui, visto che non le sembrava fosse entrato accompagnato nel locale. Decise allora di spostarlo da lì e di portarlo nell'ufficio del loro capo che, fortunatamente, non si trovava in sede per una volta tanto. Invitò i clienti a tornare a gustarsi la loro serata, scusandosi per quanto accaduto, dopo di che si allontanò in direzione dell'ufficio. Emma li seguì, dopotutto era in parte responsabile, ed Elsa le andò dietro, non potendo sopportare un secondo di più gli sguardi curiosi della gente che parlottava tra loro. «Solitamente se ne occupa David...», sembrava stesse solamente riflettendo ad alta voce, ma Emma non poté fare a meno di ascoltarla e chiederle curiosa «David?»
Ruby si voltò a guardarla con occhi aperti e sopracciglia alzate, quasi si fosse appena accorta della presenza delle due donne. «Sì, David Nolan, un suo amico. Solitamente vengono insieme, David è astemio, a quanto ne so, e non beve. E' lui a riportarlo a casa ogni volta così da non farlo guidare. Se non è qui stasera, probabilmente è di turno in ospedale... magari può assentarsi per qualche minuto, giusto il tempo di riportarlo a casa...», provò a ipotizzare ancora la ragazza, col dito sul mento.
«E' un'idea sì,» annuì Emma, incrociando le braccia «potete contattarlo?» Si affrettò a domandare, non sapendo bene perché sentiva che sarebbe rimasta fregata in qualche modo. Proprio non poteva farsi gli affari suoi e rimanersene seduta al suo posto come Elsa le aveva, tra l'altro, intimato di fare? Doveva proprio mettersi in mezzo e improvvisarsi paladina, difendendo una ragazza che, forse, neanche ne aveva tutto questo bisogno visto che era andata via più che tranquilla?
«No, non ho il suo numero e immagino che il telefono di Killian abbia un codice di sblocco...», uno degli uomini riuscì a trovare il telefono, accese lo schermo e mostrò la tastiera bloccata «appunto. Penso proprio che non rimanga altro da fare se non portarlo noi stessi da David.»
Emma prese ad annuire silenziosamente, gli occhi puntati su Jones che, ormai bello comodo su una vecchia poltrona, aveva cominciato a russare, quasi a voler farsi beffe di tutto quel casino che aveva creato. O che aveva creato Emma. Oh no, decise di declinare quella responsabilità cominciando a togliersi l'aria colpevole dalla faccia; alla fine se lui non le avesse scocciato tanto qualche settimana prima, lei non sarebbe mai partita con un tale pregiudizio e non avrebbe mai reagito in quel modo. Smise di annuire nel momento in cui percepì gli occhi di ogni persona nella stanza fissi su di sé, si voltò a guardare Ruby e notò il suo sguardo implorante e ammagliatore, le lunghe ciglia che sbattevano piano. «Cosa?» Domandò istintivamente la bionda, che però aveva già capito tutto «Volete che ce lo porti io?»
«Se non ti crea disturbo», tentò l'altra, mentre incurvava le labbra in un piccolo sorriso che forse voleva mostrare gratitudine «è sabato sera e noi siamo di turno fino a domani mattina, non possiamo allontanarci», si morse il labbro guardandola supplichevole, incrociò le mani a mo' di preghiera e molleggiò lievemente sulle ginocchia. Ad Emma ricordò tanto una bambina che chiedeva una bambola nuova. «Per favore, l'ospedale non è molto lontano da qui», provò ancora ma Emma alzò gli occhi al cielo, provando in tutti i modi di non sbuffare e soprattutto ad uscire da quella situazione «se lo farai tutti noi chiuderemo un occhio su quanto accaduto. Alla fine si è trattato pur sempre di un'aggressione, lo hai colpito davanti parecchi testimoni e potresti aver macchiato il buon nome del locale. Gli affari caleranno e saremmo costretti a chiudere, e poi...»
«D'accordo, d'accordo», sbottò la bionda, sbrigandosi a chiudere quel soliloquio così melodrammatico che la brunetta aveva messo su. La paura di beccarsi una qualche denuncia per aggressione le saltò per la mente e decise di abbassarsi ad accompagnare quel tale che proprio non riusciva a digerire. Perfino vederlo dormire le scatenava della rabbia dentro di sé. «Elsa, tu sei venuta a piedi vero? Ti do un passaggio in macchina.»

Si era scusata con Elsa un'infinità di volte mentre la riaccompagnava a casa. Non si sentiva in colpa per aver colpito Jones, che non smetteva di russare disteso malamente nei sedili posteriori del maggiolino giallo, quanto piuttosto di aver rovinato una piacevole serata e aver messo anche l'altra donna in imbarazzo. Ad Emma non importava molto di quello che le persone pensavano di lei, ma Elsa se ne era rimasta in disparte visibilmente a disagio per tutto il tempo, e di questo se ne dispiaceva, e molto. L'altra l'aveva rassicurata e le aveva detto di non preoccuparsi, prima di scendere dall'auto le aveva anche detto che sarebbe passata a trovarla in libreria così da organizzare un'altra uscita. Emma si domandò quanto di quelle parole fosse vero, immaginando che una persona normale non avrebbe più voluto avere niente a che fare con lei dopo una serata tanto disastrosa.
Non le risultò difficile trovare l'ospedale, Elsa le aveva spiegato dettagliatamente la strada. Parcheggiò vicino l'entrata principale e corse dentro, non prima di aver lanciato una rapida occhiata al suo passeggero, l'ultima cosa che voleva era che se ne andasse in giro chissà dove e da solo, ubriaco fradicio. Domandò di David Nolan e un infermiere fu tanto gentile da andarlo a chiamare personalmente; Emma gli disse, prima di andare, che lo avrebbe aspettato fuori, vicino la macchina. E così la trovò David, circa 5 minuti dopo, mentre se ne stava appoggiata col sedere sul cofano, le gambe allungate in avanti e le mani infilate nelle tasche della giacca.
Emma lo aveva notato subito mentre si precipitava di corsa fuori dall'ospedale, il camice bianco che svolazzava all'indietro, gli occhi chiari preoccupati per le condizioni del suo amico. Quando le fu abbastanza vicino si disse che quell'uomo poteva benissimo passare per un suo famigliare, per non dire suo fratello, con quei capelli biondi e quella carnagione così chiara come la sua. «Sei David?» Domandò tanto per essere sicura. Quello annuì, così scivolò rapida e andò ad aprire lo sportello del passeggero, tirando in avanti il sedile così da mostrare Jones «Eccolo qui, dorme da parecchio ormai».
«Si è preso una bella sbornia, eh», commentò, lui, abbassandosi in modo da poter controllare Killian, una mano appoggiata sul sedile e l'altra sul tettino dell'auto. Emma non poté trattenersi troppo e gli domandò se fosse una cosa che accadeva spesso, David si voltò a guardarla, alzandosi, e scosse la testa «No, solitamente beve qualche drink, sono anni che non si spinge così oltre, a quanto ne so.» Chiuse lo sportello della macchina, guadagnandosi un'occhiataccia smarrita da parte della Swan. «Deve essere colpa dell'anniversario di domani...», pensò a voce alta, prima di guardare la bionda ed essersi reso conto di non aver tenuto quei pensieri per sé «oh, beh», cominciò imbarazzato «lunga storia.»
«Non mi interessa», affermò Emma sincera, anche se la parola 'anniversario' aveva acceso non poca curiosità dentro di lei. Jones era sposato? Era a quello che si riferiva David? O magari era divorziato e quel turbamento nasceva proprio da questo? Al diavolo, non doveva importarle niente che riguardasse quell'uomo. «Puoi riportarlo a casa?» Notò l'espressione accigliata del dottore, dal camice che indossava doveva essere un chirurgo e immaginò che chiedergli di allontanarsi dall'ospedale, durante un turno di notte addirittura, non era una cosa possibile. «O magari puoi farlo stare qui... non so, come paziente o cose del genere», tentò lei, ma l'altro aveva già cominciato a scuotere il capo.
«No, mi dispiace Emma, non si può fare. Se cominciamo a ricoverare gente per una semplice sbronza si creerebbe il caos, no. Ascolta...», Emma era già pronta a ribattere ma, insieme a David, si bloccò sentendo una sorta di
bip, provenire da una delle tasche dell'uomo. Lui tirò fuori un piccolo aggeggio che doveva essere un cerca persone, ora che ci pensava Emma non ne aveva mai visto davvero uno, quella era la prima volta «Maledizione!» Esclamò quello, voltandosi di getto verso l'ospedale, pronto a tornarsene dentro «Ho un'emergenza, mi dispiace. Ascolta», ripeté tirando fuori, dall'altra tasca, un blocchetto e una penna dove vi scribacchiò sopra qualcosa «questo è il suo indirizzo, è qui vicino, non saranno neanche 400 metri. Prosegui dritta fino all'incrocio, poi gira a destra. Le chiavi di casa le tiene nella tasca interna della giacca, se non dovessi trovarle sono dietro a un vaso vicino la porta. Okay? Grazie mille, ti devo un favore!»
Furono le ultime parole che le disse, poi corse via non lasciandole neanche il tempo di dire di no, o accettare il fatto che non ci fossero altre alternative. La giovane Swan rimase lì, con la bocca aperta e gli occhi spalancati, il cervello in moto che cercava di metabolizzare quegli ultimi avvenimenti. Alla fine salì in macchina e chiuse lo sportello con violenza, facendo sussultare anche Jones che però non si svegliò. Maledisse il giorno in cui quell'uomo era entrato in libreria e mise in moto, dopo aver dato un'occhiata all'indirizzo scarabocchiato di fretta dal dottor Nolan.
Proprio in quell'istante, in ospedale, mentre imboccava per la sala operatoria, David si rese conto di aver dimenticato qualcosa, qualcosa di importante, da dire a quella donna, ma ben presto quello divenne l'ultimo dei suoi pensieri.


Rockford, Illinois; Gennaio 2001


Sapeva che il giorno dopo, al suo risveglio, sarebbe stato costretto a fare i conti con un tremendo mal di testa. Liam gli avrebbe rotto le palle in tutti i modi, sapeva anche quello, disturbandolo con ogni mezzo a disposizione così da fargli rimpiangere di aver bevuto tanto. A volte suo fratello si dimostrava una vera piaga, così rigido con le sue buone maniere e il suo continuo disprezzo per ogni forma di divertimento. Era sempre stato così, anche da bambino, Killian amava sporcarsi nel fango mentre lui se ne rimaneva per tutto il tempo chiuso in casa a leggere libri. Molto spesso lo aveva apostrofato col nome di “femminuccia”, abitudine che aveva perso col tempo, con la crescita. Ma non con la maturità, come diceva Liam, la maturità non era ancora giunta per il suo fratellino e spesso era costretto a tirarlo fuori dai guai. Come quella sera, si era raccomandato così tante volte di non lasciarsi trasportare dai suoi amici e di controllarsi con l'alcol che quasi gli aveva fatto venire la nausea. “Non mischiare gli alcolici, Killian. Non fumare, Killian. Divertiti, ma con il cervello, Killian. Non commettere casini, Killian”. Poteva benissimo dirgli di non vivere, sarebbe stato uguale.
E, comunque, si trovava ad un addio al celibato, cosa pretendeva suo fratello? Non poteva mica restarsene in disparte a bere acqua per tutta la sera. Non poteva mica rifiutare quello spinello che i suoi amici, più grandi di pochi anni, gli avevano passato. Non poteva mica non fingersi lo sposo per incitare la spogliarellista a mettere su uno spettacolino nel privè solo per lui. Beh, quest'ultimo punto forse non avrebbe dovuto farlo per davvero, ma poco male, Will si era subito messo in mezzo, scansandolo via, sfregandosi poi le mani nell'attesa che la ragazza cominciasse a mettersi all'opera. Come se Anastasia non lo soddisfacesse già troppo, pensò Killian mentre si faceva versare dell'altro rum – Dio, quanto amava il rum –, o almeno così amava vantarsi Scarlet da quando l'aveva conosciuta. Killian lo invidiava parecchio, su questo fronte, solitamente tutte le sue ragazze dopo un paio di mesi cominciavano a stufarlo, perfino il sesso dopo un po' lo stancava. Invidiava Will, e non per il matrimonio, per quello mai lo avrebbe fatto. Lo invidiava perché era riuscito a trovare una persona come Anastasia, una ragazza bella, divertente, sexy, intelligente, sexy, alla mano, incredibilmente sexy... aveva detto sexy troppe volte, vero?
La torta esplose, un'altra ragazza dal top crop nero, rosso e dannatamente scollato, e dal perizoma in pizzo dei medesimi colori, ne uscì fuori con le braccia rivolte verso l'alto, urlando a squarciagola. Pezzetti di torta colpirono i ragazzi, la maggior parte di loro prese ad esultare, gli altri si limitarono ad abbracciarsi a gruppi di due o di tre e a godersi lo spettacolo, a Killian, invece, quell'odore di crema, panna, cioccolato e pan di Spagna mischiati all'alcol gli diede la nausea. Cominciò a sentire muoversi qualcosa dentro di lui e sapeva che per una volta tanto non era dovuto all'eccitazione. Quando percepì tutto il liquido che aveva ingerito in quelle poche ore, risalirgli su per la gola, si precipitò fuori dal pub in fretta e furia, una mano sulla pancia e una sulla bocca, come se sperasse di trattenersi in quel modo.
In seguito Liam gli domandò perché non fosse andato semplicemente in bagno, lui stesso si diede del coglione dopo quella domanda, ma in quel momento era fin troppo brillo per poter decidere lucidamente. Arrivò sullo spiazzale, si avvicinò ad una fontana di marmo, con una grossa palla proprio nel centro che illuminava i due piani inferiori pieni d'acqua, e vomitò tutto quello che aveva in corpo, le mani, adesso, sulle ginocchia piegate.
La prima cosa che vide di lei furono i suoi tacchi a spillo neri, quasi non sentì il suono che fecero mentre lo raggiungeva a passo lento ma deciso, senza nessuna fretta, gustandosi quasi lo spettacolo. Si fermò esattamente davanti alla sua faccia, Killian se ne rimaneva immobile col fiato corto ancora per qualche secondo, poi si pulì la bocca sulla manica sinistra della sua camicia (bianca, tra l'altro, buttata il giorno dopo) e alzò lo sguardo piano piano, salendo con gli occhi per quelle gambe lunghe coperte da calze nere e trasparenti, arrivando alla minigonna nera che quasi gli fece mancare il respiro di nuovo, le mani poggiate sui fianchi con fare minaccioso, unghie laccate di un inusuale viola e una giacca nera con la zip abbassata fino a metà, che lasciava intravedere un maglioncino a girocollo color panna. Lunghi capelli mori incorniciavano il suo viso duro, dal quale risaltavano sicuramente gli occhi verde chiaro.
Davanti a sé si trovava la donna più bella che aveva mai visto.
«Era la mia giornata libera», esordì scandendo ogni parola, con la voce scocciata, rivolta più che altro a se stessa «mi sembrava strano che non fosse successo ancora niente», continuò alzando gli occhi al cielo prima di puntarli di nuovo su Killian che, nel frattempo, si era rizzato in piedi e la fissava incantato. Ma sembrava che lei non ci stesse facendo caso. «Dovevi per forza farlo sotto ai miei occhi? Aspettare cinque minuti ti costava troppo?» Cominciò a trafficare nella borsetta alla ricerca di qualcosa, Killian non pareva farsi troppe domande anzi, era più che divertito di vederla inveirgli contro come una matta «Ovviamente dovrò multarti, adesso», finalmente quelle parole fecero scattare qualcosa nel cervello del ragazzo, che adesso notava il blocchetto in mano alla mora.
«Cosa?» Fece lui, allargando le braccia «Mi sono sentito male, dovrei essere multato per questo?» Domandò retoricamente, omettendo la parte in cui si era ubriacato fino a rimettere tutto quello che aveva ingerito nelle ultime ore. Si avvicinò maggiormente alla donna, doveva avere non più di 25 anni, al massimo 26, aprendo le labbra in un sorriso, nella speranza di incantarla tanto da convincerla a lasciar perdere. «Infondo è la sua serata libera, no? E nessuno ha assistito alla scena, chiuda un occhio... resterà il nostro piccolo segreto.»
La poliziotta si allontanò di mezzo passo non appena lui le fu più vicino, non riuscì a resistere a quel mix di vomito e alcol che si portava dietro e probabilmente la sua espressione schifata non si premurò di nasconderlo. «Non è la prima volta in cui ho a che fare con una sbornia di voi ragazzi», “voi ragazzi”? Ma si sentiva? Sembrava un'anziana signora che rimproverava degli adolescenti «uscite a fare i vostri comodi addosso a statue o ancora meglio dentro delle fontane», continuò a dire, mentre nel frattempo aveva preso a riempire il foglietto di scritte «e poi ci guardate con la coda tra le gambe e gli occhi da cucciolo impaurito, nella speranza di impietosirci tanto da lasciarvi andare, ma no, questa storia non attacca la maggior parte delle volte. Carta d'identità?»
«Ho gli occhi da cucciolo?» Chiese divertito, senza nascondere un sorriso soddisfatto all'occhiataccia che ne seguì. «E' rimasta nella mia giacca, dentro al locale», rispose poi serio, vedendo che la donna proprio non aveva intenzione di smuoversi «immagino che non mi lascerà andare dentro a prenderla, vero?» Domanda retorica, quella già aveva scosso piano la testa con un sorrisetto ironico sulla faccia «Può venire dentro con me, le offro anche da bere. Del rum, o forse lei è più un tipo da cocktail... un sex on the bitch, magari», suggerì con tono furbo, rimarcando con forza la parola “sex”.
La poliziotta non poteva dirsi più scandalizzata «Ma ce l'hai l'età per bere, perlomeno?» Chiese retoricamente, colpendo Killian nell'orgoglio che subito si offese. Aveva quasi 19 anni, sembrava ancora un ragazzino? No, tutti i suoi conoscenti gli dicevano il contrario, evidentemente quella donna vaneggiava. «Ti pregherei di non peggiorare la tua situazione, comunque. Ora, dammi i tuoi dati così da risolvere questa faccenda e tornarcene entrambi alle nostre serate. E senza allusioni sessuali, magari, o sarò costretta a sbatterti in cella per questa notte.»
«Oh», si illuminò il ragazzo, che proprio non riuscì a trattenersi o a darsi una calmata (magari a mente lucida avrebbe saputo darsi un freno, stupido Jones, dovevi proprio bere così tanto?) «Allora è così? Vorrebbe sbattermi?» Si pentì subito di aver parlato, vedendo lo sguardo di fuoco che gli arrivò e le manette che spuntavano fuori dal nulla, così parve a lui almeno, che un secondo dopo si ritrovò ai polsi, braccia dietro la schiena.
Stupido, stupido Jones. Non poteva proprio controllarsi? E stupido Liam e le sue raccomandazioni, chi lo avrebbe sentito d'ora in avanti? E stupido Will col suo addio al celibato, era costretto a passare la notte al fresco per colpa sua. E stupida poliziotta. Stupida e sexy poliziotta. Bellissima poliziotta. Anche se, pensandoci, quale sano di mente se ne andava in giro con delle manette nella borsetta?



* dopo aver passato vari minuti a pensare a un cognome adeguato per Elsa (escludendo subito Frozen perché... beh, perché no e basta) ho cercato un po' di parole su internet e mi divertiva l'idea di accostarla alla parola Nevischio, per l'appunto sleet/sleety in inglese


Note dell'autrice:
Hola people! Speravo di metterci di meno ma ormai siete abituati ai miei tempi di aggiornamento eh ^^'' Ho preferito dividere il capitolo in due parti arrivata alle 10 pagine di word, tante cose devo ancora raccontare, compreso un secondo flashback sul passato di Killian, tante scene Captain Swan da scrivere, e non potevo di certo postarvi un capitolo di 20 pagine, no? Così eccovi qui la prima parte, nella speranza di non metterci troppo con la seconda.
Abbiamo conosciuto parecchia gente e visto il primo incontro tra Killian e Milah. Cosa ve n'è parso? E cosa ve n'è parso del secondo, disastroso, incontro tra lui ed Emma? 
Fatemi sapere quello che ne pensate perché, momento serio, ultimamente mi sembra di andare da tutt'altra parte rispetto a dove vorrei. Scrivo, scrivo parecchio, poi rileggo e tutto quello che vedo mi fa abbastanza schifino. Non so, forse è un periodo mio, forse sto facendo veramente schifo e la storia ne risente. Ditemi voi cosa ne pensate, soprattutto se è il caso di continuare visto che i capitoli sono lunghi e mi portano via parecchio tempo, se la storia non piace, per un motivo o per un altro, perché portarla avanti? :') Davvero, fatemi sapere i vostri pareri, anche consigli o critiche, magari riesco a tornare sulla carreggiata giusta.
Grazie mille a chi ha letto fino a qui, un bacio a tutti!

  
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