I SETTE MESSAGGERI
22 Dicembre 1936
Nonostante sia passato solo
poco tempo non ho più memoria di come mi venne l’idea,
ma il fatto è che in un modo o nell’altro mi venne, e una volta insidiatasi
nella mia mente non ci fu verso di scacciarla, più cercavo di non pensarci più
mi convincevo che dovevo attuarla.
Gli amici, i familiari
stessi, quando li resi partecipi del mio progetto lo
derisero come inutile dispendio degli anni migliori della mia vita e di quelli
che mi avrebbero seguito. Pochi in realtà dei miei fedeli hanno
acconsentito a venire con me, molti diedero dei pazzi a loro e a me
medesimo.
Due giorni prima della
partenza, mi sono preoccupato di poter comunicare, durante il viaggio, con i
miei cari e fra i cavalieri della scorta ho scelto i sette migliori, ho
intenzione di servirmene come messaggeri, anche se penso che il loro numero sia
addirittura un’esagerazione. Per distinguerli facilmente ho imposto loro nomi
con le iniziali dell’alfabeto in ordine progressivo: Alessandro, Biagio, Carlo,
Daniele, Enrico, Francesco, Gedeone.
1 Gennaio 1937
Questa mattina ho
intrapreso il mio viaggio che ha lo scopo di esplorare il regno di mio padre,
di giorno in giorno ininterrottamente andrò allontanandomi dalla città, finché,
fra poche settimane non ne giungerò ai confini.
Questa sera non invio
nessun messaggio a casa, ma non essendo io abituato alla lontananza dai miei
cari domani il primo messaggero, Alessandro, tornerà indietro con il resoconto
di questi primi due giorni di marcia e s’informerà degli ultimi avvenimenti.
3 Gennaio 1937
Abbiamo percorso circa 120
leghe e per assicurarmi la continuità delle comunicazioni invierò ogni giorno
un messaggero.
Stasera è partito Biagio.
Alessandro non ha ancora fatto ritorno, probabilmente
arriverà domani.
10 Gennaio 1937
Contro ogni attesa il primo
messaggero è tornato solamente oggi mentre stavamo
disponendo il campo per la notte in una valle disabitata. Alessandro mi ha
spiegato che la sua rapidità è stata inferiore a quella prevista; avevo pensato
che, procedendo isolato, in sella ad un ottimo destriero, potesse percorrere,
nel medesimo tempo, una distanza due volte la nostra, ma mi ero sbagliato egli
aveva potuto solamente una volta e mezza, in una giornata, mentre noi
avanzavamo di quaranta leghe, lui ne divorava sessanta, ma non più.
20 Gennaio 1937
La stessa situazione si è
verificata per gli altri messaggeri. Biagio, che era partito per la città alla
terza sera, ci ha raggiunto alla quindicesima, mentre Carlo solo alla
ventesima. Ho costatato che basta moltiplicare per cinque i giorni fin lì
impiegati per sapere in anticipo quando rivedrò il
messaggero successivo. Allontanandoci sempre più dalla capitale, l’itinerario
dei messi si fa ogni volta più lungo.
19 Febbraio 1937
Dopo cinquanta giorni di
cammino, l’intervallo fra un arrivo e l’altro dei messaggeri comincia
a spaziarsi sensibilmente; mentre prima me ne vedevo arrivare al nostro
accampamento uno ogni cinque giorni, quest’intervallo è ben presto diventato di
venticinque. La voce della mia città diviene in tal modo sempre più fioca;
intere settimane passano senza che io ne abbia alcuna
notizia. Non siamo ancora giunti in prossimità del confine.
6 Aprile 1937
Mi è giunta notizia che mia
sorella Elvira si è sposata con un nostro lontano parente, mi è stato riferito
che aveva espresso il desiderio di avermi presente alla cerimonia, ma il mio
viaggio come ben sa mi impedisce di tornare indietro.
Avrei voluto mandarle un regalo, ma come le lettere mi giungono
sgualcite il dono sarebbe giunto rovinato e quindi mi sono dovuto a malincuore
accontentare di mandarle i miei più sinceri auguri.
28 Giugno 1937
Alla partenza ero proprio
stolto: pensavo che portare con me sette messaggeri fosse un’esagerazione e
invece dopo solo tre settimane di cammino mi ero reso conto che erano un numero
ridicolmente piccolo, ero convinto che in poche settimane avrei raggiunto la
mia meta e sono ben sei mesi che camminiamo ininterrottamente senza,
apparentemente, avvicinarci neppure di poco al confine. Ho continuato ad
incontrare sempre nuovi popoli e paesi; e dovunque uomini che parlavano la mia
stessa lingua, che dicevano d’essere sudditi miei. Talora ho pensato che la
bussola del mio geografo fosse impazzita e che, credendo di procedere sempre
verso meridione, noi in realtà stessimo girando su noi stessi, senza mai
aumentare la distanza che ci separava dalla capitale; questo potrebbe spiegare
il motivo per cui ancora non siamo giunti all’estrema
frontiera, ma non sarebbe giustificato l’aumento del tempo che intercorre fra
la partenza di un messaggero e l’arrivo dell’altro. Più sovente però mi
tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno paterno si
estenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potrò raggiungerne
la sospirata fine.
5 Luglio 1938
Abbiamo varcato i monti
Fasani, e l’intervallo fra un arrivo e l’altro dei messaggeri è aumentato a ben quattro mesi. Essi mi recano oramai
notizie lontane; le buste mi giungono gualcite, talora con macchie di umido per le notti trascorse all’addiaccio da chi me le
porta. Procediamo ancora. Invano cero di persuadermi che le nuvole trascorrenti
sopra di me sono uguali a quelle della mia fanciullezza, che il cielo della
città lontana non è diverso dalla cupola azzurra che mi sovrasta, che l’aria è
la stessa, uguale il soffio del vento, identiche le voci degli uccelli. Le
nuvole, il cielo, l’aria, i venti, gli uccelli, mi appaiono in
verità cose nuova e diverse; e io mi sento straniero.
30 Gennaio 1939
Avanti, avanti! Vagabondi
incontrati per le pianure mi assicurano che i confini non sono lontani. Io
incito i miei uomini a non posare, spengo gli accenti scoraggianti che si
formano sulle loro labbra.
7 Settembre 1941
Sono già passati quattro
anni dalla mia partenza; che lunga fatica. La capitale, la
mia casa, mio padre, si sono fatti strettamente remoti, quasi non ci credo.
Ben venti mesi di silenzio e di relativa solitudine devono passare ora fra le
successive comparse dei messaggeri.
Mi portano curiose lettere
ingiallite dal tempo, e in esse trovavo nomi
dimenticati, modi di dire a me insoliti, sentimenti che non riesco a capire. Il
mattino successivo, dopo una sola notte di riposo, mentre noi ci rimettiamo in
cammino, il messo si mette in moto nella direzione opposta, recando alla città
le lettere che da parecchio tempo io ho preparato.
11 Giugno 1945
Otto anni e mezzo sono
trascorsi. Secondo i miei calcoli Daniele sarebbe dovuto arrivare una settimana
fa, non era mai capitato prima d’ora che uno dei messi ritardasse, neanche di
un solo giorno, le ultime notizie che mi erano giunte portatemi dal terzo
messaggero mi informavano della morte di mio padre e
della presa del potere da parte di mio fratello maggiore, mi era stato riferito
anche, che ormai mi davano per disperso; che mio fratello avesse ordinato a
Daniele di non partire più? Ne ho dubitato quando non
l’ho visto arrivare e ne dubito ancor ora, è più probabile che gli sia successo
qualcosa durante il viaggio di ritorno verso il mio accampamento, sono sette
anni ormai che non lo rivedo, ma mi ha sempre servito in modo irreprensibile
come del resto gli altri suoi sei compagni, non mi è dunque possibile pensare
che di sua spontanea volontà non sia tornato. E’ difficile, che riesca a
saldare in questa mia vita che più velocemente del previsto sta giungendo al
termine, il debito che ho verso i miei fedeli messaggeri, se capitasse
qualcosa a uno di loro e io non gli prestassi soccorso sarei per sempre l’uomo
più infelice di tutti. Il ritardo di Daniele mi preoccupa ed è per questo
motivo che se non arriverà entro la prossima settimana ritornerò indietro per
cercarlo.
20 Giugno 1945
Daniele non è arrivato e
ieri sera ho dato l’annuncio che stamani saremmo ritornati indietro alla sua
ricerca, è stato duro per me prendere questa decisione, ormai il mio viaggio
era diventato un modo per saziare la mia sete di curiosità, per essa avevo rinunciato alla vita agiata che mi sarebbe
spettata se fossi rimasto alla casa paterna, ma nonostante questo mio
sacrificio e molti altri ancora non sono riuscito ad avere tutte le risposte
alle domande che mi pongo. Ho notato con dispiacere che quando ho annunciato la
mia decisione di tornare indietro ai membro del mio
seguito le loro rughe si sono spianate, qualcuno ha abbozzato un sorriso, solo
in quel momento mi sono accorto di quanto sono stato egoista, per tutto questo
tempo nessuno si è mai lamentato e io non sono stato in grado di capire che
erano stanchi, volevano tornare alle loro case di cui ormai avevano solo vaghi
ricordi, dei loro cari non avevano più avuto notizie da quando eravamo
partiti….oh che egoista sono stato, ma nonostante
questo dovrei essere contento perché con me ho avuto compagni fedeli, mai
nessuno mi ha deluso. E loro? Loro dovrebbero essermi
riconoscenti perché grazie a me sanno più cose dei loro amici rimasti nella
città natale, ma non mi sembrano pieni di gratitudine
e non riesco a capire perché. Forse è perché io, figlio del re ho avuto
un’istruzione e sono stato educato secondo le regolo
del bon ton, mentre loro no? Probabilmente è così. In ogni caso questa mattina
appena il sole ha cominciato a sorgere siamo partiti. A tutte le persone che
incontriamo facciamo la medesima domanda: se hanno visto o no un giovane
ventottenne, vestito da messaggero del re, alto, muscoloso, con la pelle
abbronzata, i capelli castani e gli occhi colore nocciola. Fino ad adesso la risposta è stata negativa.
2 Novembre 1946
Forse siamo sulla buona
strada! Un gruppo di viandanti ci ha detto di avere trovato più di un anno fa
un ragazzo ferito allo stomaco, rimasto senza cavalcatura che, se non ricordano
male corrispondeva alla descrizione di Daniele. Ci
hanno informato che, essendo lui ferito l’avevano portato dal medico del paese
più vicino e assicuratisi che le sue condizioni non fossero mortali l’avevano lasciato lì, proseguendo nel loro cammino. Secondo
le indicazioni del gruppo raggiungeremo il paese entro Marzo del 1948. L’unica
possibilità che giustifichi il ritardo di Daniele è la
sua prematura morte. Purtroppo non trovo un’altra motivazione per cui egli non ci abbia raggiunto in questo periodo
abbastanza lungo per guarire da qualunque malattia o ferite seppure grave. A
questo punto l’unico motivo che mi spinge a cercarlo è il profondo desiderio di
trovare la sua tomba e onorarlo versandovi sopra calde lacrime ormai unico modo
per dimostrargli quanto io gli sia grato per avere
speso parte della sua vita obbedendo ai miei ordini e correndo per otto anni da
una parte all’altra del mondo portando messaggi che non avevano alcuna
importanza per lui.
17 Marzo 1948
Sono arrivato al paese dove
Daniele riposa. Avrei voluto recarmi subito dal medico che gli è stato accanto
nei suoi ultimi giorni di vita, ma come mi hanno fatto notare gli altri
messaggeri che nel frattempo mi hanno raggiunto era
troppo tardi per fare visita a qualcuno, era meglio accamparci e cercare il
medico domani mattina. In più si è aggiunto anche un altro problema, del quale
sono stato appena informato, il medico è morto diverso tempo fa, ora è la
figlia che dirige la clinica seguendo le impronte del padre. Non so se la
ragazza potrà aiutarci a rintracciare la tomba di Daniele, ma domani sarà la
prima persona che andrò a cercare.
18 Marzo 1948
Di prima mattina ci siamo
recati alla clinica dove alloggia la figlia del medico, dopo aver bussato,
abbiamo atteso inutilmente che ci venisse ad aprire
qualcuno, abbiamo bussato e chiamato diverse volte finché quando ci stavamo per
allontanare Francesco ci ha fermato affermando di avere sentito la voce di
qualcuno, ma che probabilmente proveniva dal piano superiore perché l’aveva
sentita a mala pena. In quel momento pensai che se udivamo
una voce proveniente dal piano sopra stante, la persona a cui apparteneva stava
gridando e un motivo per gridare era di cercare di attirare la nostra
attenzione per invocare il nostro aiuto. Gedeone che nella comitiva è il più giovane e il più impulsivo, al pensiero che
qualcuno potesse avere bisogno d’aiuto si buttò contro la porta e assieme a
Francesco la fece cadere. Appena la porta fu abbattuta ci precipitammo al piano
di sopra, le urla continuavano, ma nonostante fossimo dietro alla porta da cui
provenivano non riuscivamo a capire il senso delle parole, Francesco con un
calcio ha fatto cadere la porta e dietro di essa è
comparso….Daniele che prendeva lezioni di canto da quella che ho identificato,
grazie alla descrizione che avevo avuto, come la figlia del dottore, non
credevamo ai nostri occhi, io pensai che la mia età avanzata mi stesse giocando
un brutto scherzo alla vista, ma non era così. Daniele era lì davanti a me,
seduto sul letto con una gamba steccata, l’emozione, la gioia di averlo
ritrovato, la rabbia perché avevo gettato al vento il mio viaggio per tornare a
cercarlo, mentre lui era qui a divertirsi, la stanchezza causata da tanti anni
di cammino, esplosero tutte assieme e mi causarono un arresto cardiaco.
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