Prologo
Sin
da quando era piccola sua madre le aveva insegnato
che le donne non erano affatto il sesso debole, erano forti, e nessun
uomo
aveva il diritto di trattarle come più voleva.
E così Anita era cresciuta con l'obiettivo di farsi
rispettare. Si era imposta
di non cedere mai a nessuna persona, tantomeno se fosse di genere
maschile.
Odiava quando le sue amiche, le sue coetanee, si disperavano
perché qualche
ragazzo le faceva stare male. Non le riusciva proprio a capire.
Era solita dire «Nessun uomo merita le tue lacrime, figurati
se merita la tua
disperazione» e poi incoraggiare ad essere più
forte e a fregarsene di ciò che
un ragazzo possa pensare.
Nessuno le aveva mai risposto "Tu non puoi capire, non sei mai stata in
questa situazione", tutti sapevano che anche Anita, nei suoi ventun
anni,
avesse avuto diverse relazioni.
Poi un giorno, di punto in bianco, aveva realizzato che il genere
maschile non
valeva nemmeno metà del tempo che si passava solo a parlarci.
Così quella mattina si era svegliata, era andata in cucina
dove c'era sua madre
e le aveva detto «Forse essere lesbica darebbe più
soddisfazioni sia in campo
sentimentale che in quello fisico, non credi?»
Sua madre l'aveva guardata perplessa. Che fosse colpa sua? Che avesse
esagerato
nell'insegnarli che una donna doveva essere forte da sola?
Fino a qualche mese prima, l'ultimo ragazzo fu catalogato come "Si fa
trattare da zerbino, è stupido, pensa sempre che quello che
dico io è giusto,
non sembra avere una propria opinione su qualcosa ed io non voglio
sprecare
tempo con un manichino, con uno specchio che riflette solo me stessa.
«Ma non ci tieni a lui?» le aveva domandato.
Anita era quasi sul punto di scoppiare a ridere.
Come poteva piacerle una persona senza un proprio ideale? Per lei era
come se
fosse solo un involucro vuoto. Guardava il ragazzo negli occhi e non
trovava
nulla che le dava motivo per continuare.
Eppure all'inizio non era così, era stata attratta da lui
perché sembrava una
persona in gamba, forte davanti agli amici, ma nemmeno due giorni dopo
si era
dimostrato così, come se fosse un bambino. E lei non aveva
di certo voglia di
fargli da madre.
E se quindi questa era una scelta della figlia, perché
ostacolarla? Lei le
aveva dato le basi, ma ora era compito di Anita continuare come
più voleva.
Anita
aveva conosciuto una ragazza alla metro di
Westiminister, erano andate a prendersi un caffè, e un mese
dopo stavano per
mettersi insieme, se non fosse che lei avesse notato che effettivamente
non
provava alcuna attrazione verso il suo stesso genere, ed il carattere
di Abbey,
così si chiamava, era quasi inesistente.
Per quanto quella ragazza fosse carina, capelli lunghi e blu, e fisico
alto e
slanciato, il suo carattere era più povero di quello
dell'ultimo ragazzo con il
quale era stata, e la cosa peggiore era che non voleva darle quello che
voleva:
la libertà.
In
una mattina di fine gennaio fece una scelta che mai
avrebbe pensato di fare.
Si era svegliata presto
con un'improvvisa voglia di andare a correre, e così
fece.
Alle otto del mattino
lei era appena scesa alla fermata di fronte al parco dove
sarebbe andata.
La città a
quell'ora era già molto trafficata, ma nel parco l'unico
rumore che
si udiva era quello dei passi delle persone che, come lei, erano andate
lì per
correre o per fare una semplice passeggiata mattutina.
Mise le cuffie nelle
orecchie, e la voce di Mika l'accompagnò per tutto il
tragitto.
Stava andando verso un
percorso dove c'erano solo alberi che quasi non
permettevano il passaggio dei raggi del sole, non c'era nessuno.
Fu in quel momento che
le arrivò una notifica sul telefono, non era altro che
una richiesta d'amicizia su Facebook. Da parte di un certo Kevin
Pearson.
Le sembrava avesse un
volto famigliare, ma non ci aveva mai parlato.