Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: metaldolphin    16/11/2016    4 recensioni
Eccomi di nuovo qui, questa volta con una vicenda di ambientazione un po' diversa per i nostri pirati preferiti.
Tra mari sconosciuti e lo spazio profondo, si troveranno ad affrontare una minaccia inattesa, portatrice di dolore per un intero popolo.
Non è il seguito di una serie anime o del recente film in CG: l'equipaggio dell'Arcadia è quello tradizionale e il Capitano forse è più vicino a quello scostante e duro di Endless Odyssey, ma non è ambientata in quel contesto... è più una vicenda indipendente, se mi fate passare il concetto.
Per chi mi segue dai tempi di One Piece: no, non mi sono sbagliata di fandom, anche se il primo capitolo potrebbe dare una diversa impressione...
Ci tengo a precisare che non è un crossover con Dr. Who, anche se ho preso a prestito il termine "balena astrale" e anche se le creature a cui si fa riferimento hanno punti in comune, differiscono da quelle presentate nella famosa serie di sci-fi.
Per chi mi voglia seguire, e li ringrazio sin da adesso, non resta allora che "tuffarci" in questa nuova storia! ^_^
Genere: Azione, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dottor Zero, Harlock, Miime, Nuovo personaggio, Yuki
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Non ci furono molti preparativi da effettuare: il Capitano tolse mantello, cinturoni, maglia e stivali e si apprestò ad entrare nella vasca dove lo attendeva la sirena. La sollevò tra le braccia e la portò fuori dalla piscina con cautela, cercando di mantenere il passo fermo. Non poterono coprirla con un panno umido, tantomeno usare la vasca in cui l'avevano trovata, a causa del pericolo ventilato da Maji, quindi doveva sbrigarsi.
Una volta giunto a destinazione, Harlock poggiò la sirena sul pavimento dove lei gli fece segno, di fronte alle luci lampeggianti del Computer centrale della nave, poi rimase un po' da parte ad assistere a quel tentativo che andava oltre le umane capacità. Vide che Leelaine, tenendo il busto sollevato con gli arti superiori, chiudeva gli occhi e nel silenzio della grande sala le luci si intensificarono, sottolineando lo sforzo a cui stavano sottoponendosi quelle due menti dalle capacità straordinarie.
Iniziò così quella nervosa attesa, sperando che riuscissero nel loro intento e che, soprattutto, se le avessero raggiunte, le balene astrali fossero propense a collaborare con quegli umani che amichevoli con la loro specie non erano stati. Il Capitano sperò ancora una volta che il suo Amico li aiutasse a portare a termine quella missione che appariva davvero impossibile.
Il tempo passò, i minuti trascorsero e l'aria secca dell'ambiente asciugò le squame della sirena, facendole corrugare e sollevare dolorosamente e mettendo a dura prova la sua concentrazione.

Con l'aiuto dell'essenza forte che guidava quell'astronave unica nel suo genere, la mente di Leelaine si dilatò fino a superare i confini delle paratie metalliche interne prima e dello scafo poi. Espanse la sua coscienza a cercare un particolare segnale già conosciuto, grande e forte come il corpo che la ospitava. Le grandi balene astrali erano lì, da qualche parte, su quella rotta, doveva solo agganciare l'essenza di una di esse per riuscire. Ignorò il dolore che la disidratazione le procurava, doveva essere forte se voleva tornare alle sue acque. Era stata già abbastanza fortunata nell'imbattersi in quell'equipaggio che l'aveva trattata bene fino al punto di spingersi così lontano solo per lei, poteva e doveva contribuire alla riuscita di quel progetto anche per le sue compagne che, lo sapeva, sarebbero state riportate alle acque del loro pianeta.
Continuò a cercare in quel desolante vuoto che si estendeva per parsec e parsec tutto intorno.
Qualcosa di debole, come un vivace chiacchiericcio, attirò la sua attenzione e guidò l'anima dell'Arcadia in quella direzione. Anche la nave sembrò protendersi il più possibile per sorreggere quello sforzo immenso e automaticamente quell'energia fu sottratta dove possibile, per compiere quella titanica impresa che li avrebbe portati a connettersi telepaticamente ad una distanza inimmaginabile.
Le luci si spensero un po' ovunque, rimasero attivi i sistemi di supporto vitale e poco altro, lasciando l'Arcadia alla deriva.
Quando lambirono quelle menti poderose ed aliene, le vivaci conversazioni mentali tra le balene astrali cessarono bruscamente, allertandole su un eventuale pericolo. Leelaine capì che erano ancora scosse per l'attacco inaspettato di quelle navi di metallo e usò tutta la prudenza possibile per farsi riconoscere e raccontare loro quanto accaduto.
Anche se insospettite dall'estranea presenza dell'astronave, Leelaine riuscì a metterle al corrente dell'accaduto e a convincerle di illustrare la rotta che l'Arcadia doveva seguire, all'Anima che la governava.
Le balene visualizzarono per loro la rotta da percorrere e quando l'astronave ne conservò memoria, le ringraziarono e si ritirarono, ormai stremati.
Ormai era fatta, la sirena poteva tornare a casa.
La nave tornò a normale regime, si riavviarono i motori e si riaccesero le luci dove erano venute a mancare.
Leelaine, distesa sul pavimento, aprì stancamente gli occhi opachi e fece cenno al Capitano. Non si resse alla sua nuca come aveva fatto prima, troppo debole anche per sollevare solo le braccia.
"Acqua... Capo..." sussurrò alla mente dell'uomo e lui si turbò quando, nel sollevarla, avvertì le scaglie ruvide contro la sua pelle emettere un inquietante rumore come di foglie secche nel vento, quando la toccò. Si avviò a passo svelto verso la vasca della plancia, sperando di non perdere un'altra sirena.


Kei guardò mestamente la striscia d'acqua che Harlock e Leelaine si lasciarono dietro sul pavimento e pensò che la stessa scia doveva aver bagnato i corridoi dell'Arcadia quando Harlock l'aveva salvata dall'annegamento e l'aveva portata allo stesso modo. Però i passi dell'uomo stavolta non si erano fermati in infermeria, ma avevano proseguito verso la sala che ospitava il computer centrale; la sirena si reggeva al suo collo con entrambe le braccia, stringendosi a quel petto nudo che lei mai aveva e avrebbe avuto modo di sfiorare e un brivido la attraversò, fino a chiuderle la gola.
Represse sconvolta quel moto di gelosia che non aveva motivo di essere. Sapeva benissimo che lui non aveva nessun secondo fine a portarla a quel modo, ma l'immagine dei seni scoperti della sirena, così a contatto con la pelle di Harlock, era qualcosa che la sconvolgeva molto più di quanto volesse ammettere. Rimase in plancia, le dita a sfiorare la maglia ancora calda della pelle di lui e le sfuggì un sospiro. Raccolse la sua roba e si accinse a portarla nell'alloggio del castello di poppa: quando il tentativo sarebbe stato portato a termine, al Capitano sarebbe servita di certo una doccia per togliersi la salsedine di dosso e gli avrebbe fatto comodo avere le sue cose a portata di mano.
Aprì le porte antiche che portavano indietro di secoli, in quell'alloggio così anacronistico in una nave spaziale, ed appese il cinturone con le armi al posto in cui lui era solito metterle, l'angolo della testiera del letto; quindi poggiò gli stivali sul pavimento e distese maglia e mantello sulla coperta ben stirata sul giaciglio, poi sistemò i guanti sul tavolo. L'ordine che regnava in quella camera era di certo un'impronta che gli aveva lasciato la permanenza nell'esercito, Kei lo sapeva bene. Diede un ultimo sguardo all'ambiente, poi tornò all'uscio, ne varcò la soglia e fu di nuovo nella sua epoca, quindi la richiuse dietro sé.
In quel momento sull'Arcadia tutto si fermò: si spensero i motori, delle luci rimasero quelle d'emergenza che donavano solo una cupa penombra; furono esclusi dal normale  funzionamento armi e deflettori, così come l'Intercom che dopo numerosi tentativi rimase muto; rimasero attivi soltanto la gravità artificiale e i sistemi di supporto vitale che comprendevano il rifornimento d'aria e il controllo della temperatura: il prezioso calore si disperdeva rapidamente nel gelo del cosmo. Quasi come morta, l'astronave rimase a galleggiare nello spazio siderale di quel lontano e rarefatto braccio galattico, mettendo in pericolo la vita di tutti i suoi occupanti. La ragazza sperò che avessero retto i sistemi di contenimento delle vasche collegate, altrimenti sarebbe stato un vero disastro... A tentoni corse verso la plancia, ma l'ascensore era inutilizzabile, quindi si diresse verso la scaletta d'emergenza, un antiquato sistema di pioli metallici che sporgevano dalla paratia del vano ascensore, in una nicchia appositamente ricavata. Doveva fare molta attenzione al buio, ma coraggiosamente si avventurò in quello spazio angusto cercando di non pensare alle decine di metri di vuoto che si aprivano verso il basso. Il condotto praticamente attraversava tutti i ponti, fino a giungere al più alto, la plancia, che dominava sul muso dell'astronave dalla sua posizione arretrata in cima alla torretta.
Non potendo comunicare con gli altri ed essendo un ufficiale, era suo dovere raggiungere il ponte di comando per cercare di capire in quale situazione si fossero cacciati. Oltretutto si era allontanata da quel ponte senza che nessuno glielo avesse chiesto e, mentre faticosamente saliva un piolo dopo l'altro, si chiedeva cosa le fosse preso per andare a sistemare gli effetti personali del Capitano in quel momento... dopotutto quell'uomo non aveva mica bisogno di una balia!
Però ... Sapeva già la motivazione che l'aveva condotta a comportarsi a quel modo ed era inutile stare a pensare a quanto fatto: c'era ancora parecchia strada da fare e doveva concentrarsi. Un paio di volte rischiò di scivolare seriamente. Chissà da quanti anni quella scaletta non veniva usata e polvere e sostanze grasse si erano accumulate su di essa, rendendola viscida.
Era giunta quasi a fine percorso e la nave riprese vita, riattivando tutti i suoi sistemi. Risuonarono vari allarmi in lontananza, che si spensero uno per uno a verifica effettuata, e poi l'ascensore scese verso di lei e le venne istintivo schiacciarsi contro quella lurida scaletta. Lo spostamento d'aria le scompigliò i capelli e le mozzò il fiato ma durò pochi istanti e lei riprese a salire con la stessa tenacia con cui aveva iniziato quel cammino.
Quando finalmente giunse al livello della plancia, dovette uscire rapidamente dal vano ascensore perché la cabina stava risalendo con la stessa rapidità con cui era scesa e rischiava di finire schiacciata se non si fosse allontanata per tempo. Fece appena in tempo che davanti a lei si aprirono le porte e ne emerse Harlock con in braccio una Leelaine quasi irriconoscibile, la pelle corrugata dalle squame sollevate, disidratate dall'aria secca, che le davano l'aspetto di un'ultracentenaria.
L'uomo fissò Kei per un istante, poi corse alla vasca per entrarvi a depositare la sirena che rischiava davvero grosso in quelle condizioni. Lo guardarono immergersi con lei delicatamente ed attendere che si muovesse autonomamente, anche se lentamente. Leelaine diede un paio di sofferti colpi di coda per allontanarsi e lui risalì la scaletta della piscina con il viso stanco. Un uomo gli passò un telo e lui si asciugò sommariamente. Si guardò intorno a fissare uno per uno i presenti che erano rimasti a guardare la triste scena e poi rimase a fissare Kei.
-Cosa ti è successo?- le chiese cupo, vedendola stanca e sporca dopo che lei era risalita in quel modo così singolare.
-Quando è saltato tutto ero al ponte alloggi. Così sono tornata in plancia attraverso la scaletta.- si giustificò lei, ma il Capitano assottigliò lo sguardo e la rimproverò duramente: -Non dovevi abbandonare la plancia, Secondo Ufficiale.- disse, marcando il tono sulle ultime due parole.
Kei abbassò lo sguardo ed annuì con un cenno del capo, mortificata.
Harlock si rivolse agli altri e spiegò la situazione: -L'Arcadia è diretta verso il pianeta di Leelaine. Le balene astrali sono lontane, ma ci hanno spiegato come raggiungerlo, non interferite con la nuova rotta.- Dopodiché si avviò fuori dalla plancia e, senza nemmeno guardarla, disse a Kei: -Va' a rimetterti in ordine!
Lei rispose soltanto: -Agli ordini, Capitano!- ma attese che andasse via, prima di avviarsi a sua volta, non volendo dividere l'ascensore con lui. Sapeva che Harlock aveva ragione, ma era lo stesso arrabbiata con quell'uomo... Avrebbe anche potuto evitare di trattarla a quel modo! 
 

Quando Harlock aprì le porte del suo alloggio, vi trovò Meeme che, seduta su una poltroncina, osservava lo spazio al di fuori della grande vetrata di poppa. Guardandosi intorno, vide i suoi abiti e le sue armi diligentemente sistemati e le fece un cenno col capo.
-Grazie, Meeme.
-Per cosa, Harlock?- rispose lei con il solito dolce timbro, sfiorando appena le corde della sua arpa.
-Per aver sistemato la mia roba...- le disse, come per sottolineare un'ovvietà.
Lui rimase interdetto, quando lei piegato un po' il capo a sinistra, lo scosse negativamente: -Ma non sono stata io. Credo che li abbia portati Kei Yuki.
Era quello il motivo per cui si era allontanata dalla plancia, allora. E poi si era ritrovata nei guai nel momento in cui lo sforzo congiunto di Leelaine e Tochiro aveva raggiunto il suo apice e l'intera Arcadia ne aveva risentito. Eppure per tornare al suo posto aveva affrontato quel percorso così pericoloso, rischiando davvero tanto e lui aveva ricambiato quel gesto così premuroso umiliandola davanti a tutti. Avrebbe dovuto sapere che dietro a quella momentanea assenza doveva esserci un motivo, conosceva bene la diligenza con cui Kei si dedicava al suo lavoro. Con un gesto di stizza, arrabbiato con se stesso, prese un altro paio di pantaloni ed entrò nella stanza da bagno.
-Scusa, Meeme, preferirei stare da solo.- disse all'aliena, prima di chiudere la porta. Lei annuì ed uscì in silenzio.


Nella doccia di un'altra cabina, Kei sfregava con eccessiva violenza la propria chioma impregnata di polvere e sporcizia. Era nervosa con Harlock e con se stessa... Ma chi glielo aveva fatto fare? Per un gesto gentile aveva rimediato soltanto pericolo, sporcizia (al punto che aveva dovuto gettare via i preziosi guanti bianchi che era solita portare) e un rimprovero umiliante. Per giunta davanti a tutti.
Si risciacquò a lungo sotto l'energico getto, poi uscì e passò ad asciugarsi nella cabina successiva. Tornata in camera prese della biancheria e una tuta pulita, indossò l'altro paio di stivali e guardò con rammarico le dita delle mani, nude dal solito rivestimento: non ne aveva di ricambio. Avrebbe portato pazienza: magari riportando Marc e Sarah alla loro base spaziale avrebbe comprato qualche altro paio di guanti. Non le andava, ma doveva presentarsi in plancia, ordini del Capitano, così uscì dal suo alloggio per raggiungere la sua consueta postazione. Presto sarebbe stata ora di cena, avrebbe potuto rilassarsi presto.
Quando giunse in plancia, Harlock non era ancora arrivato. Kei provò un profondo sollievo e si avviò più tranquilla alla sua meta. Si era appena messa al lavoro, prendendo il posto di Lou che l'aveva prontamente sostituita, che sentì il passo pesante del Capitano fare il suo ingresso nella sala e istintivamente si irrigidì. Non si voltò a guardarlo e le balenò in mente il pensiero che era così arrabbiata che nemmeno si era accertata dello stato di salute di Leelaine. Non potendo muoversi per non dare modo al Capitano di rimproverarla nuovamente, tentò un contatto mentale con la sirena: "Leelaine... Mi senti? Come stai?"
Il pensiero della sirena le giunse un po' debole, ma carico di gioiosa aspettativa: "Leelaine è felice, Leelaine torna alle sue acque!"
"Sono contenta per te, Leelaine." le disse con sincerità.
Kei sentì come una risata argentina nella testa e quel buonumore alieno la contagiò. Dopotutto avevano fatto grossi passi avanti e stavano per raggiungere il misterioso pianeta popolato da sirene e balene astrali... Leelaine presto sarebbe tornata a casa e loro alla solita routine. Cosa poteva andare storto?
 
Harlock guardò la schiena di Kei china alla sua postazione, e appena lei mosse le mani notò che la ragazza non portava i guanti. Erano molto rovinati, se ne era accorto già da prima e un lieve senso di colpa si intensificò in lui.
Ma aveva altro a cui pensare in quel momento... Entro ventisei ore sarebbero stati su quel pianeta e dovevano prepararsi ad ogni eventualità. Completarono le verifiche relative alla rotta che solo l'Arcadia conosceva e poi li licenziò per la cena e la notte di meritato riposo. Vide che Kei si attardava presso la vasca di Leelaine ed esitò un attimo. Poi decise di lasciarle sole e si avviò all'ascensore, sollevato nel vedere la sirena stare molto meglio, le squame quasi del tutto distese, ormai reidratata.
   
 
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