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Autore: Sixela    17/11/2016    3 recensioni
Negli anni le aveva sentite tutte riguardo al sonno. Svuotare la mente, cercare di rilassarsi, focalizzare con la mente un posto tranquillo, per non parlare del contare le pecore.
Stronzate. Tutte stronzate.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Scarecrow
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                 Insomnia

I suoi polpastrelli erano freddi.
Smise di strofinarsi gli occhi, rigirandosi nel letto.
C’era una macchia d’umidità sul soffitto.
Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di focalizzarne meglio i contorni. Era piuttosto estesa, di colore scuro. Si rese conto soltanto dopo una manciata di minuti di essersi fossilizzato su una stupida macchia d’umidità.
Si rigirò sbuffando nel letto per l’ennesima volta.
Negli anni le aveva sentite tutte riguardo al sonno. Svuotare la mente, cercare di rilassarsi, focalizzare con la mente un posto tranquillo, per non parlare del contare le pecore.
Stronzate. Tutte stronzate.
Quando cercava di dormire puntualmente gli balenava un’idea in testa che lo costringeva ad alzarsi e a mettersi a lavoro, fino a crollare sfinito su qualunque cosa gli capitasse a tiro. Sempre più spesso accusava torcicollo e occhiaie più profonde del solito, che sistematicamente ignorava.
Non era mai stato tipo da lunghi riposi, ma erano giorni che non dormiva, si era passato il limite. Anche per uno come lui.
Sentiva in maniera ovattata il frullare delle ali di Incubo nella stanza accanto, segno che anche il corvo, come lui, non dormiva.
Esasperato da quella situazione, decise di alzarsi. Se proprio non poteva dormire tanto valeva portarsi avanti col lavoro.
Capelli arruffati, schiena curva, gli occhiali gettati con noncuranza da qualche parte ai piedi del letto, si diresse in cucina, intenzionato a farsi del caffè per riprendersi da quello stato catatonico in cui era piombato.
La cucina era un disastro. Piume di Incubo ovunque, libri ammassati sul tavolo, cataste di cibo in scatola in un angolo, provette gettate con noncuranza sul tavolo. Alcune si erano rovesciate, permettendo al liquido che contenevano di colare indisturbato sul pavimento coperto di fogli. In un angolo, una lavagna recante i segni della sua scrittura disordinata.
Scansò con facilità quel caos, cercando una caffetteria o, nel caso non fosse riuscito a trovarla, il suo termos di caffè per le emergenze.
Dovette cercare un bel po’, ma infine la trovò incastrata tra un cumulo di libri.
Una volta che la caffettiera fu messa sul fuoco, si guardò intorno.
Non la notò subito. Solo dopo un paio di occhiate si accorse che la maschera, la sua maschera, era riposta con cura su di una sedia.
La prese tra le dita mentre prendeva posto sulla sedia su cui poco prima era poggiata, sentendo la tela grezza sfregare contro i polpastrelli.
Ripensò alla prima volta che l’aveva indossata, alla prima volta che aveva visto la paura riflessa in occhi che non fossero i propri. Ripensare alle urla di terrore dei suoi “compagni” di scuola che scappavano impazziti gli fece apparire un piccolo sorriso sul volto. Il ricordo delle persone che nella corsa disperata verso le uscite di emergenza cadevano a terra venendo inesorabilmente schiacciate dalla calca fece diventare quel sorriso un vero e proprio ghigno.
Indossò la maschera, venendo invaso dal suo familiare odore. Sgradevole per alcuni, estasi per lui.
La prima volta che aveva usato il gas della paura su di una persona era di gran lunga uno dei suoi ricordi favoriti. Ricordava ancora le urla isteriche, il pianto ininterrotto, parole sconnesse tra loro. Ma quelle parole si erano marchiate a fuoco nella mente di Jonathan. Lo pregava di smettere. Pregava. Pregava lui, che per tutta una vita era stato trattato come un rifiuto umano, deriso e sbeffeggiato. Lo pregava come se fosse un dio.
Ma lui era un dio. Il dio della paura.
I ricordi delle altre vittime lo cullarono, le urla gli riempirono le orecchie, immagini di uomini, donne e bambini agonizzanti sotto effetto del suo gas si profilarono nella sua mente.
Quando il caffè iniziò a fuoriuscire dai bordi, colando sul fornello, Jonathan si era già addormentato da qualche minuto.
  
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