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Autore: _maers_    22/11/2016    1 recensioni
A Castiorn, scuola di Magia e Stregoneria umbra, gli studenti sono divisi nelle Torri di Zaffiro, Rubino e Smeraldo, in competizione tra loro nella Coppa delle Torri; al quarto anno hanno poi la facoltà di scegliere di quale dei quattro Ordini dell’istituto entrare a far parte, scelta che condizionerà per sempre il loro presente e il loro futuro.
Siamo negli anni ottanta, Aron e Gaevriel sono gemelli e frequentano il terzo anno: i loro caratteri, radicalmente opposti, non impediscono loro di essere molto legati. Tra amicizie e routine scolastica, i due ragazzi si troveranno ad affrontare un percorso molto più difficile di quanto avessero immaginato, in una trama intessuta da Gellert Grindewald molti anni prima, alla scoperta della Magia Oscura italiana e del loro grande segreto, il potere di “Accendere” e di “Spegnere”.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Capitolo 1: GEMELLI

 
 



 
<< Quindi, con la Peste Nera, i Mollicci cominciarono ad assumere la forma di topi e fu così che poterono espandersi per tutta l’Europa. >>
Graevriel intinse velocemente la penna d’oca nel calamaio e scrisse l’ultima riga di appunti sulla pergamena giallastra. Una mano si alzò da qualche banco dietro di lui. La voce dolce di una ragazza chiese: << Perciò i Mollicci si nutrirono della paura delle persone per diffondersi ancora di più… e aumentare quella stessa paura? >>
<< Esatto. Gigli ha notato un dettaglio importante: il comportamento dei Mollicci, in quella particolare situazione, fa presupporre che essi non usino la paura solamente come mezzo di difesa, ma che se ne nutrano e godano nello spaventare le persone. Certo è che eventi del genere non si sono più ripetuti, o per lo meno non ne abbiamo traccia: potrebbe essersi trattato di un caso isolato. La natura, come le creature che la abitano, non è mai così schematica come i libri di testo la descrivono. Ricordate le mie parole, e un giorno potrebbero salvarvi la pelle. >>
Come per cogliere l’attimo, la campana suonò proprio alla fine del discorso del Professor Hausladen. Ventitre studenti corsero fuori dall’aula, dividendosi in due file che si diressero alle rispettive Torri. A Gaevriel si accodò un altro ragazzo, tale e quale a lui tranne che per il colore molto più chiaro dei capelli: un biondo platino tendente al candido. Aron sarebbe potuto passare per la fotocopia del gemello, se questo non avesse avuto una chioma di capelli castani scuri: l’altezza, gli occhi color ghiaccio, il neo poco sopra lo zigomo sinistro… tutto il resto dell’aspetto esteriore coincideva perfettamente nei due fratelli.
<< Hai deciso, alla fine, quando dichiararti a Sveva? >> chiese Aron, con tono annoiato.
<< Quanto sei all’antica! Ormai fra ragazzi non ci si “dichiara” più! La inveterò ad uscire... Domenica! >> Gaevriel aveva sempre avuto il vizio di gesticolare animatamente quando parlava di argomenti complicati, interessanti o estremamente imbarazzanti.
<< Dici la stessa cosa ogni settimana. >>
<< In che situazione mi sono cacciato, se adesso persino mio fratello mi fa la predica sulle relazioni interpersonali! >>
Aron non poté trattenere un sorriso genuino. << Questo dovrebbe farti comprendere quanto tu la stia tirando inutilmente per le lunghe. Praticamente lo sa tutto il Terzo Anno che Sveva stravede per te! >>
<< E tu cosa ne sai? >> Il fratello moro arrossì leggermente. << Esci dalla Torre solamente per le lezioni. >>
<< Non per questo voglio rimanere disinformato. E poi anche io frequento Sveva… >>
<< Solo quando ti trascino in cortile a prendere una boccata d’aria. Dovresti ringraziarmi, sai? Faresti la muffa nel dormitorio se non fosse per me. >>
<< Non cercare di cambiare discorso >> lo rimbeccò l’altro. << E poi mi bastano quelle sporadiche volte per notare come ti guarda. Sul serio, è illogico che tu sia l’unico a non accorgertene. >>
<< Non puoi spiegare le faccende di cuore con la logica, fratello. Te l’avrò ripetuto miliardi di volte. >>
<< E io sono miliardi di volte che ti rispondo che non c’è niente che non possa essere spiegato con la logica. >>
Gaevriel tirò un finto sospiro esasperato. << Come vuoi, Mister Viva-I-Numeri… >>
Erano arrivati al decimo piano, davanti a un dipinto di un uomo ad altezza naturale. Un principe vestito di drappi e seta era seduto su un trono sontuoso e nella mano sinistra stringeva uno zaffiro, che lucidava attentamente con un fazzoletto bianco. Dopo qualche secondo sollevò lo sguardo verso di loro, palesemente seccato. << Parola d’ordine? >> Il suo tono faceva intuire che avrebbe avuto di gran lunga di meglio da fare, a suo dire, piuttosto che gestire il via vai degli studenti di quel torrione.
<< Lux versus Tenebram >> risposero in coro i due gemelli.
Un lato del quadro si staccò dalla parete e, ruotando su se stesso, concedette l’accesso alla Torre di Zaffiro, una delle tre Sale di Ritrovo della Scuola di Magia e Stregoneria di Castiorn.
L’interno era pieno di studenti di ogni età, impegnati nelle solite frivolezze di fine giornata di studio. C’era chi giocava a gobbiglie, chi a sparaschiocco, chi conversava tranquillamente seduto sulle poltrone blu e azzurre intonate con tutto il resto dell’arredamento. Aron si diresse verso una porta di legno all’altra estremità della stanza, Gaevriel adocchiò due ragazzi del Quinto Anno concentrati in una partita di scacchi.
<< Alascura >> disse, rivolgendosi al fratello e affrettandosi a seguirlo, mentre quello imboccava una stretta scala a chiocciola che conduceva al dormitorio maschile, a quell’ora ancora completamente vuoto. << Dovrei chiederti una cosa… >>
<< Hai sempre qualcosa da chiedermi, Azzannante, quando usi i nostri nomi >> Aron si stese sul suo letto, foderato come tutti gli altri da un caldo e soffice lenzuolo azzurro, e afferrò una copia di “Astronomia avanzata, Universi Paralleli” dal comodino.
<< Beh… >> Gaevriel infilò le mani nei pantaloni bianchi della divisa scolastica. << Hai presente la partita che devi fare contro Flitt, stasera? >>
Gli occhi chiari dell’altro ragazzo fecero capolino da sopra il tomo, in uno sguardo gelido. << Sì, ce l’ho presente. Suppongo di poterlo battere in dodici mosse. >> “Giusto uno del Settimo Anno può durare così tanto” pensò fra sé e sé, senza distogliere l’attenzione dal fratello. Già immaginava dove volesse arrivare, e infatti…
<< Ecco, parlando di quelle dodici mosse… Non è che potresti, che so, arrivare fino a quindici? >>
<< E perché mai? Non è mica colpa mia se punti sempre sugli altri. Se vuoi guadagnare qualche soldo, scommetti su di me, lo sai che la mia vittoria è assicurata. >>
<< Proprio per questo non posso! Sei valutato troppo poco, mi tocca puntare un galeone per vincere uno zellino. Andiamo, Alascura! Quei soldi servono a tutti e due! >>
Aron detestava truccare le partite, soprattutto se significava non poter dare il massimo delle sue capacità, ma le argomentazioni di Gaevriel erano inattaccabili.
<< E va bene >> cedette, sbuffando. << Ma voglio la tua porzione di dolce. >>
Ritornò a leggere il libro, insensibile all’occhiata omicida che il gemello gli aveva lanciato. Questo, rinunciando all’ottima torta al cioccolato in programma nel menù della sera, si sedette sul letto accanto a quello di Aron e iniziò a rovistare nella borsa. << Non ti pare un po’ presto per studiare argomenti tanto avanzati? La teoria degli Universi Paralleli è roba del Settimo Anno. >>
<< Devo prepararmi per l’esame di ammissione all’Ordine. Si dice che serva almeno un’infarinatura generale delle nuove materie, per passarlo. >>
<< E questa tu la chiami infarinatura generale? Rallenta fratello, o non ti rimarrà più niente da studiare al Quarto Anno… >> finalmente, Gaevriel sembrò aver trovato quello che cercava. Tirò fuori dalla tracolla un piccolo tulipano, piantato in un vaso.
<< Cos’è, il tuo regalo per Sveva? >> lo canzonò il gemello.
<< Molto divertente. Me lo porto dietro da Erbologia. >>
Il tulipano cominciò a emettere una dolce e delicata musica, mentre i suoi petali, ammaccati per essere stati schiacciati per due ore da pesanti libri di testo, si illuminavano di luce dorata. Gaevriel passò velocemente una mano sopra il fiore, lo stelo e i petali di questo si raddrizzarono, prendendo nuovo vigore e un colore più acceso.
<< Stai migliorando >> notò Aron, appoggiando di nuovo Astronomia avanzata sul comodino e sedendosi a sua volta; poi osservò con attenzione il fratello e drizzò le orecchie per sentire se qualcuno stesse salendo le scale per entrare in camera. Tirò quindi fuori la bacchetta da una tasca del mantello e la puntò contro la porta. << Peturbatus finis! >>
Gaevriel non ebbe alcuna reazione alla magia del gemello dai capelli di platino. Anzi, continuò a osservare intensamente il tulipano poggiato sulle sue ginocchia, come se fosse custode di chissà quale arcana conoscenza. Anche Aron, ringraziando per l’ennesima volta il cielo che il Professor Proietti gli avesse insegnato quell’incantesimo, si chinò verso il piccolo fiore, sgomberando la mente e regolarizzando il respiro.
<< Sono pronto quando vuoi >> disse Gaevriel, dopo un minuto di completo silenzio.
<< Allora cominciamo. >>
Inizialmente non accadde nulla. Rivoli di sudore cominciarono a scendere dalla fronte dei due gemelli, che fissavano la pianticella così intensamente da non battere nemmeno le palpebre. Poi, tutto a un tratto, le foglie del tulipano cominciarono ad afflosciarsi, una a una. Lo stelo stava lentamente diventando più scuro, quasi nero, il fiore perdeva la sua luminosità, la musica si affievoliva sempre di più… Quando però sembrava che la morte dovesse cogliere prematuramente il magico tulipano, eccolo rinvigorirsi: lo stelo tornò dritto e di un bel colore verde speranza, i petali divennero più brillanti e resistenti.
Aron si lasciò scappare un piccolo sbuffo e l’accenno di un sorriso piegò per un secondo le labbra di Gaevriel.
Tuttavia, il fiore cominciò nuovamente a corrompersi. Stavolta la malattia progrediva più velocemente e cominciò a intaccare perfino le radici. Gaevriel emise un debole gemito e per un momento la pianta si raddrizzò ancora, svettando alta e fiera contro il male che la stava prendendo. Poi, tutto finì. I petali si accartocciarono su se stessi, ridotti a poco più che polvere; il gambo, divenuto troppo esile per sopportare il peso del tulipano morto, si spezzò.
Con un sospiro di frustrazione, Gaevriel si buttò sul letto, tenendosi la testa con tutte e due le mani; lo stesso fece Aron. << Questa volta ho vinto io >> gongolò, con una leggera espressione di dolore dipinta sul viso.
<< Ero stanco per averlo tenuto in vita durante le lezioni. Non ero al mio massimo >> ribatté il fratello.
<< Non sai ammettere la sconfitta, Azzannante. Piuttosto, i mal di testa stanno migliorando. Adesso riusciamo perfino a parlare… >>
<< Sì, ma non me la sento di sostenere una conversazione troppo impegnativa… >> I due scoppiarono in una breve risata.
Dopo qualche minuto di silenzio, interrotto solo dallo sporadico ansimare dei gemelli, Aron chiese: << Riusciremo mai a capire perché sappiamo farlo? >>
La risposta di Gaevriel arrivò solo dopo una manciata di secondi: << Lo dici ogni volta che finiamo un allenamento. Penso sia un po’ come l’Occhio Interiore, il dono della Metamorfosi o la Rettilofonia. Ci nasci e basta. >>
<< Non ci credi davvero >> Aron conosceva troppo bene suo fratello per pensare che potesse essere davvero di un parere così banale. << La verità è che sei curioso anche tu. >>
<< Certo che sono curioso! >> Il ragazzo moro si drizzò a sedere. << Ma è una domanda a cui non sappiamo dare una risposta. Per la barba di Merlino, non mi stupirebbe se nessuno al mondo potesse trovare una soluzione! >>
Aron stava per rispondere che una spiegazione c’è sempre e doveva esserci anche in quel caso, ma uno scampanellio nella sua testa lo avvisò che qualcuno si stava avvicinando.
<< L’incantesimo si è attivato >> disse, riafferrando il libro, mentre Gaevriel si sbrigava a nascondere il tulipano di nuovo dentro la borsa. Proprio in quel momento, si aprì la porta del dormitorio e ne entrò un ragazzo dai cespugliosi capelli castani.
<< Ciao, Leo >> mormorò Gaevriel, alle prese con le cinghie della tracolla. L’altro ragazzo gli rivolse un cenno di saluto e si rivolse ad Aron: << Flitt aspetta nella Sala Grande. >>
Con un cenno d’assenso, Aron chiuse il libro, lasciandolo sul letto, e uscì dalla camera. Leo mise una mano sulla spalla dell’altro compagno di Torre e, sussurrando, gli chiese: << Allora? Lo hai convinto a vincere in minimo diciassette mosse? Ho puntato ben tre galeoni! >>
Gaevriel seppe mantenere un tono più che impassibile. << Non so… potrebbe sempre darsi. Mai perdere la speranza! >>
I corridoi erano affollati da tutti gli studenti che tornavano o si dirigevano al cortile esterno, da quelli che ancora dovevano raggiungere la loro Sala di Ritrovo, o dai più rari che avevano come meta la biblioteca, per avvantaggiarsi i compiti prima del weekend. Tutti indossavano pantaloni bianchi, ma il colore delle loro vesti non era solo blu, come quelle di Aron, Leo e Gaevriel, ma anche rosso cremisi e verde chiaro.
Superarono un passaggio segreto dietro il ritratto di un elegante signore con bastone e cappello a cilindro, e arrivarono infine a un grande scala di marmo, che portava fino al mastodontico ingresso della Sala Grande, decorato con due imponenti statue di draghi ai lati. Era il luogo adibito ai pasti e al ritrovo degli studenti durante le pause dalle lezioni. L’illuminazione era garantita di giorno da alte finestre che correvano per tutte le pareti di pietra, mentre di notte piccole sfere di luce dorata fluttuavano sopra i quattro tavoli disposti parallelamente. Uno di questi, all’estremità destra della sala, era drappeggiato con una tovaglia vermiglia. Lì intorno erano riuniti molti ragazzi che indossavano una maglia dello stesso colore, intenti a supportare un loro compagno, seduto con fare pensieroso davanti a una piccola scacchiera.
<< Forza, Christian! Lo batterai di sicuro, hai quattro anni più di lui! >>
<< Infatti, scommetto che lo distruggerai in due secondi! >>
<< Alla Torre di Rubino servono i punti del torneo, non farteli scappare! >>
Un grave silenzio calò sulla folla, quando il terzetto si fece più vicino. Aron si andò tranquillamente a sedere dal lato opposto della tavola e Gaevriel tirò fuori la bacchetta, mentre Leo saettava nervoso gli occhi fra i due sfidanti.
<< Inizia la finale dell’annuale torneo di scacchi, fra Christian Flitt della Torre di Rubino, Ordine d’Ottone, e Aron Ferrante della Torre di Zaffiro >> esclamò il gemello moro, colpendo con la punta della bacchetta un pedone bianco al centro della plancia di gioco. Questo si animò improvvisamente, si guardò un po’ intorno e poi si diresse verso Flitt. << La prima mossa allo studente di Rubino. Che il gioco cominci! >>
 
<< Troppo facile >> Fece Aron, mentre usciva dalla Sala Grande con il suo esaltato gemello, dalle tasche appesantite, e con un mogio Leo, dalle tasche alleggerite.
<< Penso che la Coppa delle Torri sarà nostra anche quest’anno >> esclamò Gaevriel.
<< Già >> un po’ del buonumore era tornato anche a Leo. << Abbiamo vinto la prima partita di Quidditch e anche quella di scacchi. In più, con tutti i voti alti di Aron, abbiamo guadagnato ancora più punti. Quelli della Torre di Smeraldo non possono raggiungerci, neanche con tutto l'anno davanti. >>
<< E con questo fanno tre anni di fila >> Gaevriel incrociò le mani dietro la nuca. << Da quando siamo arrivati noi, la Torre di Zaffiro ha fatto faville! >>
<< Che vi va di fare? Mancano ancora tre quarti d’ora alla cena. >>
<< Io vado in Biblioteca >> disse freddamente il campione di scacchi. << Ho bisogno di un libro sulle Rune Antiche. >>
<< Ma non ne hai già preso in prestito uno? >> domandò Leo. << Mi pare che non si possa portare fuori dalla Biblioteca più di un libro alla volta. >>
Gaevriel alzò le spalle e scosse la testa. << Si sa che Anita fa favoritismi. Aron potrebbe anche prendere in prestito tutta la collezione, e a quella megera di una bibliotecaria non importerebbe un fico secco! >>
<< A proposito di Aron, dov’ è finito? >>
Il ragazzo, senza attendere risposta dagli altri due, aveva imboccato da solo un corridoio laterale, per tagliare più velocemente verso la Biblioteca.
Il fratello non ne restò sorpreso. << Sai com’è fatto: quando si tratta di libri e di studio, non perde mai troppo tempo in chiacchiere. >>
Leo, come sovente, sembrò quasi preoccupato: << Gavriel, lui dà ascolto solamente a te. Dovresti convincerlo a non essere così reticente con gli altri. Se lo conosco, dopo aver preso quel libro se ne tornerà al dormitorio della Torre e lì resterà fino a cena; scenderà giusto per mangiare un boccone e tornerà di nuovo a leggere fino a notte fonda, senza spiaccicare parola con nessuno. >>
L’altro ragazzo trattenne a malapena un sorriso sarcastico e malinconico. “No, Leo. Non lo conosci quasi per niente”.
Infatti, non era raro – anzi, si poteva dire che accadesse quasi sempre dopo aver utilizzato la sua singolare abilità –, che Aron si chiudesse ancora di più in se stesso.
Faceva finta di dover leggere un libro o portarsi avanti con i compiti, ma in verità passava le ore a riflettere sull’unico problema che non sapeva risolvere.
Lui e il fratello chiamavano i loro poteri:  “Accendere” e “Spegnere”. Fin da quando avevano memoria, Gaevriel era sempre stato capace di creare calore dal nulla, di rinvigorire piante e animali, di manipolare il fuoco; Aron, invece, riusciva a provocare tristezza negli animi delle persone, a indebolire la vita e a controllare il freddo. Avevano custodito queste loro abilità gelosamente, guidati da un saggio istinto che diceva loro di non rivelare a nessuno di cosa fossero capaci.
Per Gaevriel era facile convivere con questo fardello, la sua personalità solare ben si accompagnava al potere di Accendere, ed era sempre stato grato di quella sua dote; Aron invece non faceva altro che tormentarsi sulla causa di quel misterioso fenomeno e sul perché proprio lui fosse patrono di qualcosa di tanto sinistro come lo Spegnere.
Il gemello, ovviamente, non ci vedeva niente di malvagio. “Sono le nostre scelte che dimostrano quello che siamo veramente, molto più delle nostre capacità” continuava così a citare un famoso mago inglese, ma ad Aron non bastava qualche frase fatta per placare la sua morbosa curiosità.
“Avevo sperato che a Castiorn ci potessero essere le risposte che cercavo” pensava, mentre con il libro Congruenze fra le Antiche Rune e le Lineari dei popoli Greci sotto braccio si dirigeva verso la sua Sala di Ritrovo. “Pensavo che, almeno nel mondo dei maghi, doti simili fossero comuni… Non potevo essere più in errore di così”.
 
 
***

 
 
Ci si annoiava, quel lontano giorno di Novembre, all’orfanotrofio di San Giorgio. Incuranti del vento freddo che tirava fuori dalle mura del complesso, due minute figure, imbacuccate in scuri cappotti rattoppati, correvano per il cortile.
<< Gaevriel, vieni a vedere! >> il bambino dagli scompigliati capelli bianchi chiamava l’altro a gran voce, identico a lui eccetto che per la chioma dal colore molto più scuro. Indicava con veemenza un piccolo picchio a terra, dall’aria stanca e affamata. L’ala sinistra pendeva con un’angolazione innaturale. Il gemello gli si avvicinò e si inginocchio davanti l’animaletto ferito.
<< Non possiamo lascialo qui >> disse. << Fa troppo freddo, morirà. >>
<< La Signora Cetri però non ci lascia tenere animali… >> Aron era preoccupato dei guai in cui sarebbero potuti incorrere se avessero portato l’uccellino dentro l’orfanotrofio. Come minimo, avrebbero saltato la cena per tutta la settimana, e forse gli sarebbe toccato anche passare il pomeriggio con Bernardo, il giardiniere. Un brivido percorse la schiena di Aron al solo pensiero.
Gaevriel, però, sembrava fin troppo deciso. << Lo nasconderemo. E’ piccolo, non ci vedrà nessuno. >>
Quatti quatti, con il picchio nella tasca del giacchetto di Gaevriel, rientrarono nell’edificio, passando davanti la porta chiusa dell’ufficio della Signora Cetri con il cuore che batteva all’impazzata, per poi salire su per le scale fino alla loro stanza. La condividevano con Marco, un bambino di un paio d’anni più grande di loro, non troppo sveglio e  che non sarebbe stato un problema per il loro “piccolo crimine”. Tra l’altro, in quel momento non era in camera: probabilmente si trovava nella sala della ricreazione a dare fastidio agli altri orfanelli più piccoli.
Aron, il più veloce e silenzioso dei due, sgattaiolò in cucina per sgraffignare un pezzo di pane. Si appostò dietro alla porta socchiusa e osservò il giovane aiuto cuoco dal naso storto intento a tagliuzzare dei broccoli per la minestra della sera. Reprimendo lo sconforto alla vista di ciò che avrebbe mangiato di lì a poco, si concentrò su una padella appesa al muro opposto rispetto alla porta. Era un trucco che lui e suo fratello avevano già provato tantissime volte. Come previsto, la padella cominciò a oscillare avanti e indietro, fino a che non cadde a terra, con un frastuono assordante che rimbombò per tutta la cucina.
<< Giovanni! Ma che diavolo combini?! >> Aron sentì la voce del cuoco provenire da un punto fuori dalla sua visuale.
<< Non sono stato io! E’ caduta da sola! >> Rispose il ragazzo dei broccoli. Aron lo vide fasciarsi il dito con un tovagliolo: il rumore doveva averlo fatto sobbalzare tanto da fargli sfuggire il coltello.
<< Non dire scemenze, raccoglila! >>
Sentendosi un po’ in colpa, Aron aspettò che Giovanni si fosse allontanato abbastanza, prima di sgusciare furtivo nella cucina e afferrare una rosetta dal cesto del pane proprio accanto a un broccolo ancora da pelare.
 
Gaevriel passò le due settimane seguenti a prendersi cura del picchio. Ogni giorno, non appena aveva un minuto libero, saliva su in camera e controllava se l’uccellino, nel piccolo nido di fortuna che i due gemelli avevano costruito con un pezzo di cartone e qualche tovagliolo, avesse abbastanza acqua, e ogni sera rubava una fetta di pane dalle cucine. Incredibilmente, l’uccellino sembrava essere sempre più in forma, mentre Gaevriel era ogni giorno più stanco. Aron lo sentiva agitarsi nel sonno, vedeva enormi occhiaie cerchiargli le palpebre, durante il giorno cadeva addormentato, come se gli mancassero le forze perfino per tenere gli occhi aperti. Preoccupato com’era per il fratello, Aron non poteva fare a meno di notare che più il picchio recuperava le forze, più queste sembravano abbandonare Gaevriel.
Accadde di pomeriggio.
Durante il pranzo, Gaevriel cadde dalla sedia, come svenuto. La fronte gli bruciava, le palpebre gli tremavano, agitava la testa e delirava.
La Signora Cetri lo portò personalmente in braccio fino alla sua stanza, lo adagiò sul letto e andò a chiamare il dottore. Questo arrivò qualche ora dopo, avvolto in un pastrano scuro, la testa quasi completamente calva e profonde rughe sul volto. A nessuno dei bambini, nemmeno ad Aron, fu permesso di entrare nella stanza mentre il Dottor Caglioni visitava il suo piccolo paziente.
A Gaevriel venne diagnosticata una grave forma di broncopolmonite, fu trasferito nell’infermeria dell’orfanotrofio. La febbre non accennava ad abbassarsi, non c’erano i soldi per tutte le medicine di cui aveva bisogno. Tutti cominciarono a darlo per spacciato. Aron si sentiva inutile, disperato, spaventato. Il pensiero di perdere il suo gemello, l’unica famiglia che avesse mai avuto, lo tormentava giorno e notte.
<< Vorrei non averti mai trovato! >> gridò un giorno al picchio dall’ala ormai completamente guarita. << Hai fatto stare male mio fratello! >>
Una parte di lui sapeva che non poteva essere davvero colpa di quel piccolo uccellino, ma la rabbia e la disperazione avevano da tempo preso il sopravvento. << Vorrei che fossi morto lì fuori! Vorrei che morissi adesso! >>
Il picchiò lo fissò per qualche secondo, come per accertarsi di aver sentito bene. Poi, tutto a un tratto, si piegò sulle sottili zampette nere, cadde riverso come aveva fatto Gaevriel tre giorni prima, e non si mosse più.
Quella stessa sera, la febbre di Gaevriel sparì e il bambino guarì completamente.
   
 
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