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Autore: venerdi 17    30/11/2016    1 recensioni
«Vuoi qualcosa da bere o preferisci salire subito in camera?» gli chiese quando le arrivò di fronte.
«No, grazie, preferisco andare in camera» rispose lui guardandosi intorno con le mani in tasca e la fronte corrucciata. Sedersi lì con lei a sorseggiare uno scotch, avrebbe comportato inevitabilmente anche il dover fare due chiacchiere, e a lui si scioglieva la lingua solo dopo aver scopato, e comunque non sempre, non con tutte.
Niente stretta di mano, niente presentazioni e, soprattutto, niente nomi. Quelle erano le regole del club. Due individui si incontrano, fanno sesso e tornano alle proprie vite scordandosi in fretta dell’altro.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa one shot, come la long I’VE GOT YOU UNDER MY SKIN, è ispirata dal film SEX LIST-OMICIDIO A TRE, ma solo per le modalità in cui si svolgono gli appuntamenti al buio. L’avevo già postata un po’ di tempo fa, proprio con il titolo SEX LIST, ma poi l’ho dovuta cancellare proprio perché il secondo capitolo con Craig e Gabrielle era diventato una long.   
Ora vi lascio ad Annabelle e Jude.
Buona lettura.
V.17
 
 
***************************************
 
 
PURE MORNING
 

***


«Sei libero stasera?»
Jude ascoltò con attenzione quelle tre parole e, chiudendo gli occhi, cercò di immaginare come potesse essere la donna che le aveva pronunciate. La voce era calda e vellutata, ma il tono era sbrigativo, sembrava impaziente. Giudicò che appartenesse a una donna in carriera, forse abituata a un ruolo di comando e che non aveva tempo da perdere in inutili chiacchiere, di alto ceto sociale e che aveva trascorso gran parte della gioventù tra i libri per accrescere la propria cultura e poter un giorno raggiungere gli obbiettivi prefissati, tra i trentacinque e i quarant’anni e sicuramente dall’aspetto elegante, di quelle con le quali, dopo il sesso, potevi parlare di qualsiasi argomento, sorvolando ovviamente su tutto ciò che riguardava la loro vita privata. Erano sempre le migliori a letto, quelle che più lo intrigavano e che risvegliavano in lui il desiderio di piacere e di farle star bene.  
In due anni che frequentava il club, aveva risposto di no solo in tre occasioni: una dovette rifiutarla perché la chiamata era arrivata il giorno della festa di anniversario dei suoi genitori, un’altra perché sua sorella stava per partorire la sua unica nipote e, l’ultima, tre settimane prima, perché aveva riconosciuto immediatamente la voce, e non aveva nessuna intenzione di fare di nuovo sesso con la vent’enne che sei mesi prima aveva scelto il club per perdere la verginità.
Si riscosse un attimo prima che la donna dall’altra parte del telefono interpretasse il suo silenzio come una negazione e, stirando il collo da un lato per allentare la tensione che quelle telefonate gli mettevano sempre addosso, si affrettò a rispondere con un risoluto: «Sì.»
«Alle dieci al Majestic.» Quattro parole, il click dell’interruzione della chiamata e il suono muto del telefono.
Aveva appena un’ora per prepararsi e presentarsi all’appuntamento, ma per fortuna il Majestic era a solo dieci minuti d’auto da casa sua e, come immaginava, la donna aveva scelto uno degli hotel più cari e lussuosi della città. Be’, per fortuna non toccava a lui pagare il conto, visto che era stata lei a invitarlo.
Chiuse in fretta il pc portatile su cui stava osservando le ultime foto rilevate dalla scientifica, pensando che il caso di omicidio a cui stava lavorando poteva aspettare un’altra sera per essere risolto. Distrarsi un po’ sarebbe stato più utile. Il giudice Spencer ormai era già steso su un letto dell’obitorio e rinunciare a una notte di sesso con una bella e piacevole donna non l’avrebbe riportato in vita.
Mentre aspettava che l’acqua nella doccia raggiungesse la temperatura giusta, tornò in camera per scegliere con cura cosa indossare. Dal cassetto della biancheria tirò fuori dei boxer neri, poi fece scorrere lo sguardo all’interno dell’armadio, scartò subito i completi che utilizzava per il lavoro e afferrò un paio di Levi’s e una camicia bianca sportiva, la giacca di pelle era appesa nell’armadio dell’ingresso. Se l’intuito che lo aiutava da anni a risolvere casi di omicidio non l’aveva tradito, la donna che doveva incontrare tra meno di un’ora probabilmente era stanca di pinguini incravattati con le loro impeccabili camicie inamidate, presentandosi con l’aria da tenebroso motociclista l’avrebbe aiutata ad andare subito su di giri. 
L’acqua era bollente e le mani insaponate scorrevano veloci sul suo corpo, con gli occhi chiusi e il viso rivolto verso il getto della doccia, Jude ripensava all’interrogatorio durante il quale era venuto a conoscenza dell’esistenza del club. Stava lavorando insieme a Cusack a un tentato omicidio. Un noto produttore di Hollywood era stato accoltellato dalla moglie dopo che lei lo aveva trovato a letto con la cameriera. Il marito, temendo una cattiva pubblicità, dichiarò di essere stato aggredito dai ladri mentre dormivano. Ma né Jude né Cusack gli crederono: la villa era a prova di ladro e i due cani da guardia non erano stati sentiti dai vicini, in più non c’erano segni di scasso o di tentata manomissione al sistema di sicurezza. Fu la cameriera a cedere per prima, durante l’ennesima visita alla villa avevano notato come le tremavano le mani ogni volta che entrava in salotto per servire loro il caffè o per portare la tisana calmante che la signora beveva per far loro compagnia perché era intollerante alla caffeina, decisero così di interrogarla il giorno successivo in centrale, anche se aveva già dichiarato che durante l’aggressione non era presente perché era il suo giorno libero.
Fu proprio durante quell’interrogatorio che Jude venne a conoscenza della sex list e del club. Ne facevano parte sia lei che il suo datore di lavoro, ed era proprio durante un incontro al buio che si erano conosciuti, amore a prima vista, disse lei, e una settimana dopo venne assunta come cameriera alla villa.
Risolto il caso, non fu difficile per il detective Jude Tender trovare tutte le informazioni riguardanti la sex list e il club. Scoprì che per farne parte dovevi ricevere l’invito da qualcuno che era già iscritto, e che bastava un semplice sms con su scritto il numero di telefono che ti apriva le porte al database che smistava tutte le chiamate in arrivo e uscita. L’unica cosa che non fu in grado di trovare, fu proprio il numero di telefono. Ma al momento non gli interessava, né pensava che gli sarebbe mai interessato in futuro. Così, per almeno quattro mesi, non ci pensò più. Finché, un giorno, uno dei suoi tanti giorni liberi trascorsi in compagnia di Jack Daniel’s e Philip Morris, decise che la sua serata sarebbe terminata in modo diverso. Rovistò nel suo studio per più di mezz’ora per trovare il numero di telefono di quella cameriera e, quando finalmente lo trovò, con la voce alterata dall’alcol e arrochita dal fumo, la chiamò. Inventandosi al momento che ne aveva bisogno per un’indagine, le dettò il proprio numero, ordinandole di mandargli immediatamente l’sms necessario.
Erano passati due anni, ma ancora provava ribrezzo per la pessima figura che aveva fatto quella sera. Si era presentato all’appuntamento con la barba lunga, gli abiti sgualciti e un evidente post sbronza con i fiocchi, non ricordava con precisione, ma probabilmente non si era nemmeno lavato i denti. In più, non essendo lucido, non aveva letto molto attentamente le regole che aveva ricevuto sempre tramite sms dopo che aveva inviato quello necessario all’iscrizione e dove si dichiarava interessato esclusivamente alle donne, così non sapeva che l’hotel l’avrebbe dovuto sia scegliere che pagare lui, essendo stato lui a chiamare e fare la fatidica domanda: “Sei libera stasera?”
Quando la sconosciuta che aveva risposto gli aveva chiesto, piuttosto scocciata perché aveva capito immediatamente che era uno nuovo, in quale hotel dovevano incontrarsi, non essendo pronto alla domanda, aveva risposto il primo che gli era balenato in testa. Solo la mattina dopo, quando si era svegliato in solitudine nell’enorme camera, con il mal di testa, gli abiti addosso, la scatola dei preservativi ancora incellofanata sopra al comodino, e una scritta fatta con un rossetto sopra lo specchio alla sua destra che recitava: “Grazie per la Jacuzzi, stronzo, per tutto il resto puoi andare a farti fottere”, aveva realizzato che per pagare una notte in quell’hotel, trascorsa con una donna di cui non ricordava nemmeno il viso e della quale non aveva nemmeno fatto buon uso, non gli sarebbe bastata la metà della paga di un mese.
Vedendo prosciugare la propria carta di credito alla reception, decise che non avrebbe più fatto telefonate, ma che si sarebbe limitato ad aspettare solo di riceverne. A volte gli capitavano due appuntamenti la settimana, altre volte solo uno in un mese, ma a lui andava bene così.
Chiuse l’acqua della doccia e avvolgendosi un asciugamano attorno ai fianchi snelli uscì dalla cabina. Guardandosi allo specchio si passò una mano sopra le guance e pensò che la barba di due giorni sarebbe piaciuta alla signora in carriera, quindi rimise a posto il rasoio, e prendendo una piccola quantità di gel lo distribuì sulle ciocche di capelli, scure e ancora umide, spettinandole ad arte per darsi l’ultimo tocco da farabutto on the road.
Si vestì dando le spalle al letto e in fretta uscì dalla camera. Mentre attraversava l’appartamento, spense le luci dietro di sé e arrivato all’ingresso aprì l’armadio e afferrò la giacca di pelle. Prima di uscire di casa, prese le chiavi dalla ciotola di vetro sopra la consolle e l’indice della sua mano destra trasportò un bacio dalle sue labbra fino alla foto dove sua moglie lo guardava sorridente, e la salutò con la solita frase che le diceva sempre prima di uno di quegli appuntamenti: «Torno presto.»

 
Seduta su uno dei divanetti in pelle rossa del bar dell’hotel Majestic, Annabelle sorseggiava il suo Cosmopolitan portandolo alle labbra con la mano destra, mentre osservava la fede all’anulare sinistro che le ricordava che quella sera sarebbe dovuta andare in tutt’altro modo.
Otto anni prima, non avrebbe mai pensato che accettare il posto di assistente legale nell’azienda per cui lavorava, avrebbe causato la fine del suo matrimonio. Il giorno in cui le venne offerto il lavoro, Warren, l’uomo che amava fin dai tempi dell’università e che era diventato suo marito tre anni prima, l’aspettò a casa con un ingombrante mazzo di fiori e le disse di cambiarsi in fretta perché aveva prenotato un tavolo nel loro ristorante preferito, e dopo la cena guidò spedito per tornare nel loro appartamento perché era impaziente di fare l’amore con l’assistente legale di una delle più importanti aziende al mondo.
Tutto ha un prezzo, pensò Annabelle facendo roteare la fede sul piano lucido del tavolino. Quello che aveva pagato lei era un marito, che l’aveva amata fino a quando aveva capito che non sarebbe mai stata in grado di gestire la vita privata altrettanto bene come faceva con il lavoro. Dal giorno in cui aveva compreso definitivamente che la famiglia non sarebbe mai cresciuta, perché lei non avrebbe mai avuto abbastanza tempo da dedicare a un figlio dato che la carriera ormai l’aveva totalmente assorbita, Warren aveva smesso di aspettarla sveglio la sera e di bramare le sue attenzioni. E quel giorno, per la prima volta da quando erano sposati, non era andato a prenderla in ufficio per portarla a cena fuori per festeggiare il loro anniversario.
Tutto ha un prezzo, si ripeté Annabelle sorseggiando il cocktail, peccato che a pagarlo siano sempre le donne. Sapeva che se i ruoli fossero stati invertiti, nessuno avrebbe mai rimproverato a un uomo che lavorava troppo per il bene dei propri cari, e nemmeno perché aveva delle aspirazioni e dei progetti che non si sarebbero mai realizzati se non gettandocisi anima e corpo. Era solo grazie al suo lavoro se potevano permettersi l’attico in centro e se facevano vacanze da sogno almeno due volte l’anno. Non era certo colpa sua se durante l’ultima era stata costretta a rientrare una settimana prima del previsto perché era scoppiato un casino mentre era assente dall’ufficio. Ed era sempre con il denaro che aveva guadagnato sputando sangue e ingurgitando bile velenosa se Warren era riuscito a realizzare il sogno di tutta la sua vita e aprire un ristorante giapponese. Solo che i loro orari erano diventati incompatibili e le poche ore che trascorrevano insieme le utilizzavano per vomitarsi addosso frustrazioni e risentimenti. Inutile nascondersi la verità, Warren non la amava più, e forse anche lei… Un movimento alla sua destra la distrasse dai propri pensieri e sollevò gli occhi dal tavolino per indirizzarli verso l’ingresso del bar. L’uomo che stava entrando le sorrise. Alto, capelli scuri, occhi verdi da gatto selvatico, jeans, giubbotto di pelle e biker neri. Belloccio e più o meno della mia stessa età, decretò, ma la cosa che più le interessava, era che fosse in perfetto orario. Aprì la ventiquattrore da cui non si separava mai e, dopo averci gettato dentro la fede, la richiuse in fretta.


 
Una ventiquattrore posata accanto al bicchiere vuoto, tailleur scuro con gonna al ginocchio, decolté nere, capelli castani chiari legati in uno chignon. Come immaginavo, pensò Jude avvicinandosi con calma ad Annabelle, che invece di ricambiare il suo sorriso aveva distolto in fretta lo sguardo per posarlo sul polso sottile dove faceva bella mostra di sé un piccolo orologio d’oro. 
«Vuoi qualcosa da bere o preferisci salire subito in camera?» gli chiese quando le arrivò di fronte.
«No, grazie, preferisco andare in camera» rispose lui guardandosi intorno con le mani in tasca e la fronte corrucciata. Sedersi lì con lei a sorseggiare uno scotch, avrebbe comportato inevitabilmente anche il dover fare due chiacchiere, e a lui si scioglieva la lingua solo dopo aver scopato, e comunque non sempre, non con tutte.
Niente stretta di mano, niente presentazioni e, soprattutto, niente nomi. Quelle erano le regole del club. Due individui si incontrano, fanno sesso e tornano alle proprie vite scordandosi in fretta dell’altro.
In ascensore lei stringeva la maniglia della valigetta con entrambe le mani osservando con il nasino in su i numeri dei piani che si illuminavano, lui le guardava il lobo dell’orecchio adornato da una candida perla, scendendo poi verso la scollatura della camicetta e pregustando il momento in cui l’avrebbe potuta osservare senza tutto ciò che aveva addosso e che rappresentava solo un’armatura che probabilmente le serviva per dimostrare al mondo intero ciò che era.
Le luci soffuse in camera erano già accese e l’ampio letto era di fronte a loro che li attendeva, come la bottiglia di champagne e la coppetta di fragole gentilmente offerte dall’hotel. La signora si trattava e lo trattava bene. Signora, sì, perché era leggermente abbronzata e Jude aveva notato il cerchietto di pelle più chiaro attorno all’anulare sinistro.
«Dammi solo dieci minuti» gli disse dandogli le spalle e dirigendosi verso la porta del bagno. Un attimo prima di entrare, sembrò ripensarci e si voltò, e lo guardò con attenzione da capo a piedi. Jude non riusciva a capire se il suo sguardo fosse critico o se apprezzasse ciò che stava vedendo. Apprezza, pensò incrociando i suoi occhi chiari.
«Ho solo tre regole, e se non sei disposto ad accettarle puoi andartene» disse lei appoggiandosi con una spalla alla porta e incrociando le braccia. «Niente baci sulla bocca, niente parole sporche e niente sesso anale.»
«Mi sta bene» rispose lui prendendo una fragola. «Ma ho una richiesta anch’io: torna di qua con solo gli orecchini addosso, e sciogli i capelli, vorrei anche che ti lavassi il viso per togliere il trucco.»
Non era molto truccata, aveva solo un po’ di cipria trasparente, dell’ombretto chiaro e del mascara nero, ma voleva vederla al naturale, e le perle gliele avrebbe tolte lui.
«Le richieste sono tre» ribatté lei, sorridendogli per la prima volta e rilassandosi contro lo stipite.
«Già, tre, come le tue. Puoi farlo?» le chiese addentando poi la fragola e continuando a guardarla con aria divertita. 
«Certo» gli rispose raddrizzando la schiena e tornando seria. «Tu intanto aspettami a letto» terminò indicandolo e chiudendosi poi la porta alle spalle.
Decisamente le piaceva dare ordini, ma a lui non lo infastidiva, non finché non fossero stati dentro a quel letto su cui si stava sedendo per togliersi gli stivali. 
 
 
Un leggero movimento al suo fianco lo svegliò e aprendo gli occhi si ritrovò il viso della bella sconosciuta a pochi centimetri dal suo. Aveva gli occhi chiusi e dormiva profondamente. La camera era in penombra e la sveglia digitale sopra al comodino segnava le tre e ventisette.
Jude si chiese se si fosse separata dal marito da poco, o quale fosse la balla che aveva raccontato al cornuto per rimanere fuori tutta la notte. Succedeva raramente che le donne con cui aveva quegli appuntamenti si trattenessero in hotel per tutta la notte, di solito dopo aver soddisfatto le proprie voglie se ne andavano in tutta fretta, forse per il senso di colpa causato o dal tradimento o per aver fatto sesso con un estraneo. Lei invece era ancora lì, e dormiva tranquillamente accanto a un uomo di cui non sapeva nemmeno il nome. Si domandò anche chi fosse quell’idiota che si era lasciato sfuggire una donna del genere. Era bella, molto bella, e aveva dimostrato che il sesso le piaceva, forse per i gusti di Jude era solo un po’ troppo silenziosa, ma in fondo non poteva lamentarsi perché il suo corpo snello e flessuoso si era espresso ampiamente anche per lei.
Facendo attenzione a non svegliarla, le scostò i capelli per guardarle l’orecchio che non poggiava sul cuscino. La perla era ancora lì ad adornarle il lobo. Aveva deciso di non toglierle quei graziosi orecchini dopo che avvicinandoci la bocca aveva trovato piacevole sentirne tra le labbra e sulla lingua la superficie dura e liscia. Ne possedeva un paio così anche sua moglie, glieli aveva regalati lui in occasione di un Natale. Chissà dov’erano in quel momento, forse in uno dei tanti scatoloni in soffitta dove aveva sigillato tutta la sua roba quando era arrivato alla conclusione che non era un bene per la sua salute mentale continuare a vederla a giro per casa.
Visto che la bella sconosciuta era ancora lì con lui, decise di approfittarne. Aveva ancora voglia di mordicchiarle le perle, e così fece. Poggiando un braccio alle sue spalle la svegliò risalendo con le labbra lungo il suo collo fino a raggiungerle l’orecchio. Desiderava tantissimo baciarle le labbra delicate e cercarle la lingua con la sua ma, le due volte che aveva tentato di trasgredire alla regola che gli aveva imposto, lei si era sempre voltata di lato, anche durante gli orgasmi, che erano stati talmente forti per entrambi da fargli sperare che avrebbe ceduto, ma così non era stato e allora ci aveva rinunciato.
 

Lui era ancora lì, e le stava baciando il collo mentre con una mano scendeva lungo la sua schiena facendole una morbida carezza che terminò sul sedere.
Si lasciò vezzeggiare tenendo gli occhi chiusi anche quando la bocca di lui le raggiunse il seno, limitandosi a sfiorargli i capelli per fargli capire che era sveglia e che stava apprezzando i suoi baci e le sua mani che si muovevano lente sul suo corpo.
Si sentiva leggermente stordita, forse a causa dei due bicchieri di champagne che avevano bevuto dopo il primo rapporto, e del terzo dopo il secondo, e provava anche uno strano senso di leggerezza. Stava perdendo suo marito, anzi, lo aveva già perso, ma finalmente avrebbe potuto smettere di combattere con il senso di colpa per non essere riuscita a conciliare carriera e famiglia. Da quella sera era sola, ma sarebbe anche stata finalmente se stessa, con i propri pregi e difetti, forse anche con poco da dare agli altri, ma anche con poco da chiedere.
Le aveva parlato del club Natalie, una collega e amica che lo frequentava già da un po’ e che entusiasta le raccontava quasi nei minimi dettagli le sue serate di sesso sfrenato. Quando poche ore prima l’aveva chiamata per chiederle il numero, si era vergognata, ma Natalie non aveva battuto ciglio e glielo aveva passato tramite sms senza chiederle nessuna spiegazione.
Aprì gli occhi mentre l’uomo aveva la testa tra le sue gambe e, pur faticando a concentrarsi per colpa della sua bocca, cercò di ricordare se la sua amica le avesse mai raccontato di un uomo che gli somigliava e che sapeva usare così bene le mani e la lingua, per capire se lui si fosse mai incontrato con lei. Ma si disse che no, non ricordava che le avesse mai raccontato di un appuntamento al buio con un uomo simile, e poi sapeva che gli iscritti al club erano così tanti che era praticamente impossibile che anche Natalie si fosse incontrata con lui. Questo significava che con molta probabilità nemmeno lei lo avrebbe più rivisto, nemmeno se avesse deciso di non cancellare il numero del club dal telefono, cosa che invece avrebbe fatto di lì a poche ore uscendo da quella camera.
Ma in quel momento voleva godersi fino in fondo quell’uomo che la stava facendo impazzire. Sollevò leggermente i fianchi per spingersi contro la sua bocca e, quando il dito dentro di lei cominciò a sfregare contro un punto particolarmente sensibile, serrò le palpebre, voltando il capo di lato sul cuscino. Intrecciò una mano ai capelli dello sconosciuto e provò a rilassarsi, ondeggiando lentamente, ma ormai era troppo vicina all’orgasmo e sollevando le braccia spinse i palmi contro la testata imbottita del letto, mentre i suoi movimenti diventavano sempre più veloci e i gemiti si mescolavano ai singhiozzi con cui cercava di prendere aria. Poi l’orgasmo la travolse, lasciandola spossata e inerme tra le mani dell’uomo che voltandola su un fianco si mise alle sue spalle.
 


Jude tese un braccio dietro di sé per raggiungere il comodino e, preso un preservativo, lo indossò in fretta. Baciando le spalle della donna che era appena venuta sulle sue labbra, le sollevò una gamba, sorridendo soddisfatto contro la sua pelle quando la sentì tendersi nuovamente mentre la penetrava. Le sue spinte si fecero subito serrate e baciandole la nuca le mise una mano tra le gambe. Mosse i fianchi sempre più in fretta mentre la massaggiava con due dita e, quando finalmente la sentì stringersi attorno al suo sesso, chiuse gli occhi, abbandonando la fronte contro il suo collo profumato, e si lasciò andare anche lui all’orgasmo.
Uscendo dal bagno dopo essersi liberato del preservativo, la trovò di nuovo addormentata. Si stese al suo fianco e fregandosene delle circostanze che li avevano fatti incontrare e anche delle sue eventuali proteste, le circondò le spalle con un braccio e con l’altro le avvolse la schiena. La sentì sospirare sul suo petto e rimettersi a dormire tranquillamente. Le sfiorò la fronte con le labbra, morendo dalla voglia di sapere il suo nome e la sua storia. Non avevano parlato molto, anzi, dopo le poche cose che si erano detti prima di saltarsi addosso, non avevano praticamente spiccicato parola. Ma la stanchezza prese il sopravvento sulla sua curiosità e poi chiudendo gli occhi si disse che non poteva chiederglielo o avrebbe infranto le regole del club. E forse era meglio così. Jude non sarebbe stato contento se avesse scoperto che in realtà la sua vita era piatta e insignificante e che si rivolgeva al club soltanto per avere una scappatoia dalla monotonia famigliare. Gli piaceva immaginarla fredda e determinata, mentre teneva per le palle un branco di uomini che durante una riunione di lavoro pendevano dalle sue labbra e acconsentivano a ogni sua richiesta.     
 
 
Jude si stiracchiò la schiena guardandosi intorno. Il sole era già spuntato e dalla finestra aperta entrava un lieve vento che faceva svolazzare le tende. La bella sconosciuta era seduta al piccolo scrittoio, le vedeva solo il profilo. Aveva i capelli legati in uno strano nodo disordinato sopra la nuca, alcuni ciuffi le ricadevano sul viso, indossava degli occhiali da vista con la montatura dorata, gli orecchini di perla e la camicetta bianca, i piedi erano nudi, le gambe accavallate, e stringeva un foglio in una mano mentre con l’altra pescava le fragole dalla coppetta mangiandole distrattamente mentre era concentrata nella lettura.
«Buongiorno» la salutò sollevando la schiena e appoggiandola ai cuscini per poterla guardare meglio. Chiunque sia, è indubbiamente un idiota l’uomo che l’ha lasciata andare. Pensò ancora mentre lei stringendo mezza fragola tra le dita gli sorrideva con le labbra umide di succo. La voglia di baciarla si destò in lui ancora, ma la ingannò distogliendo lo sguardo per individuare i boxer, poi scostò il lenzuolo e uscì dal letto per indossarli in fretta. Mentre lei continuava a osservarlo senza il minimo accenno di imbarazzo, come se quello fosse stato uno dei tanti loro risvegli insieme.
«Lavoro?» le chiese avvicinandosi e indicando il foglio che teneva in mano.
«Già» rispose lei gettando il foglio insieme ad altre carte dentro alla valigetta e richiudendola svelta.
«Si è fatto tardi, devo andare» continuò togliendosi gli occhiali e alzandosi.
«Anch’io. Faccio una doccia poi me ne vado» disse Jude mentre lei dopo aver afferrato la gonna ci infilava dentro prima una gamba poi l’altra.
Prima di andare in centrale voleva portare dei fiori freschi a sua moglie, ormai era una consuetudine a cui non sapeva rinunciare. La mattina successiva a ogni appuntamento, andava al cimitero a trovare Melanie, era il suo modo per farsi perdonare e per dirle che nessuna l’avrebbe mai sostituita. Era proprio per non aver nessun tipo di coinvolgimento emotivo se aveva deciso di iscriversi al club invece di cercare compagnia in altri modi, le sue regole e l’impossibilità di incontrare di nuovo la stessa donna, impedivano di approfondire i rapporti. 
«Posso farti una domanda?» chiese lui, e Annabelle sollevò lo sguardo da terra solo dopo aver indossato le scarpe.
«Tu falla, poi deciderò se risponderti o no.»
«Da quanto sei iscritta al club?» il sorriso amaro di lei gli stava facendo pensare che non avrebbe risposto.
«Da…» Sospirando, Annabelle osservò l’orologio al polso. «Undici ore, più o meno, e tra una decina di minuti me ne tirerò fuori.»
Con la sua risposta, Jude aveva avuto la conferma a ciò che già sospettava, e cioè che quello era il suo primo incontro al buio, ma non pensava che sarebbe stato anche l’ultimo. Era forse colpa sua? Non era rimasta soddisfatta? O forse si era rivolta al club solo per vendicarsi nei confronti di quello stupido idiota che se l’era lasciata scivolare dalle mani?
Lei, ricominciando a parlare, attirò di nuovo la sua attenzione. «Sono stata bene, non è a causa tua se cancellerò il numero del club. Non avrei nemmeno dovuto comporlo quest’unica volta, ma l’ho fatto, però ti assicuro che non sono pentita.»  
«Be’, grazie per averlo detto. Allora… buona fortuna.»
Annabelle annuì, dandogli poi le spalle per recuperare la ventiquattrore e la giacca. Lo salutò con un cenno della mano prima di voltarsi in direzione della porta, davanti alla quale si fermò e, invece di aprirla, si voltò di nuovo mentre Jude stava per entrare nel bagno.
«Tu invece, da quanto tempo…» non terminò la frase, sapendo che lui aveva capito cosa voleva chiedergli.
«Da due anni.»
«E hai avuto molti appuntamenti?»   
«Abbastanza» le rispose bloccandosi sulla soglia e muovendo appena il capo come se la cosa non lo riguardasse.
Guardando lo sconosciuto quasi completamente nudo che le aveva donato così tanti momenti di piacere durante la notte, capì che la sua prima regola era una cazzata bella e buona, così, prima di andarsene, decise di trasgredirla. Lo raggiunse camminando in fretta perché temeva che il coraggio l’avrebbe abbandonata prima di aver terminato quei pochi metri e, dopo aver lasciato cadere a terra la valigetta e la giacca, lo baciò circondandogli il viso con le sue piccole mani.
Jude era stato colto alla sprovvista, quando se l’era trovata di fronte si stava spostando per farla entrare in bagno perché aveva pensato che avesse dimenticato qualcosa là dentro. Mai avrebbe immaginato che il suo passo svelto fosse guidato dal desiderio di baciarlo. Ma ora se lo stava gustando tutto quel bacio al sapore di fragole, stringendola contro il petto e pensando che lui non era un idiota, che se fosse stata sua non le avrebbe mai permesso di andarsene privandolo di un sapore così dolce. Ma non era sua, e doveva lasciarla andare.   
«Grazie per questa splendida notte, e buona fortuna anche a te» gli disse lei allontanandosi dalle sue labbra con un sospiro.
 

Uscendo dal cimitero, Jude fischiettava allegro. Era una mattina limpida, il cielo era terso, il sole caldo e piacevole sulla pelle scoperta delle braccia e del viso, e poi gli era venuta un’idea. In centrale avrebbe fatto qualche ricerca, non sapeva niente della bella sconosciuta ma, prima che lei facesse sparire il foglio all’interno della valigetta, aveva fatto in tempo a leggere il nome di un’azienda molto famosa, ed era sicuro che fosse proprio quella dove lavorava. Non avrebbe avuto difficoltà a scoprire il suo nome.
Era pur sempre un detective.
 
 
***
   
 
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