Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Celtica    01/12/2016    5 recensioni
[ Modern!AU! | Sansa/Petyr | Sansa/Sandor ]
È come se la stessero strattonando:
Da una parte c’è Petyr Baelish, che Sansa accoglie come il salvatore, colui che l’ha portata via dal suo ex, Joffrey; dall’altra il Mastino, in una spirale di amore/odio.
In una città dove a regnare è l’azienda dei Lannister, Sansa sembra trovarsi al centro di un complotto.
Ma chi è il vero nemico?
Dal capitolo uno:
«Vieni con me» dice Petyr, facendole segno di salire in macchina.
Sansa non sa perché, ma obbedisce. È ciò che ha fatto per tutta la vita: obbedire. Sempre e comunque.

Dal capitolo due:
«Dove mi stai portando?»
È un sussurro, ma a lei sembra di averlo gridato.
Si chiede cosa ci sia oltre gli alberi, magari un luogo nascosto dove Petyr vuole farle del male.

Dal capitolo sei:
«Per favore…» sussurra ancora lei, spingendo la mano di Sandor con la sua.
È ruvida e fredda come il ghiaccio, eppure, nello sguardo di lui, Sansa riconosce qualcosa che è abituata a vedere da tutta una vita.
Desiderio.
Genere: Sentimentale, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joffrey Baratheon, Jon Snow, Petyr Baelish, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 19

 
Trailer


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utti gli ospedali sono uguali, ma ogni volta che Sansa varca quella soglia, prova sensazioni diverse.
Ha voglia di una sigaretta ora, tanto che è uscita fuori dalla camera di Jon e ha attraversato il corridoio per raggiungere l’atrio.
È fuori adesso, a respirare.
Ricorda i suoi genitori, ricorda il giorno in cui Jon, bruciandosi una mano, è stato costretto a passare una settimana in ospedale. Ricorda la volta in cui Arya ha colpito un ragazzo, ricevendo in cambio un pugno in faccia.

C’è gente che parla, gente che telefona e gente che mangia.
Sansa ha voglia di mettere qualcosa sotto i denti, ma solo per soffocare quel desiderio di fumare. Non può farlo vicino agli ospedali, è proibito.
Accarezza la camicia azzurra e pesante, quella che ha rubato dall’armadio di Robb per usarla a mo’ di giacca. L’odore di naftalina le sale alle narici.

È la prima volta che Sansa sente la paura scorrerle addosso.
E il senso di colpa… quell’animale famelico che nutre da anni, e che sperava di aver ucciso.

Si appoggia al muro vicino all’entrata, dove il viavai di gente è insopportabile. Dovrebbe aiutarla a non pensare, ma le voci nella sua testa sono più forti.

Non ha avuto paura quando sono mancati i suoi genitori: c’era Robb.
Né quando Jon si era scottato: Robb aveva detto che era cosa da poco.
Né quando Arya era stata al Pronto Soccorso… si trattava solo di un dente da latte.
Ma ora tutto è cambiato.

Si accarezza le labbra e chiude gli occhi, tenendo una sigaretta invisibile tra le dita.

Sansa ha avuto paura di tante cose, di tante persone e situazioni, ma non ha mai avuto paura per Jon… Non come ora, ora che lo vede disteso in un letto d’ospedale, assuefatto dai farmaci.
Arya è rimasta tutta la notte al suo capezzale, e al mattino è sparita. Non ha versato nemmeno una lacrima, come invece ha fatto lei.

“Occupati di lui”, ha detto, un momento prima di uscire dalla stanza.
“Dove vai? Non resti qui? Arya!”

Ma Sansa sa dov’è andata sua sorella. Non ha bisogno di sentirlo per averne la certezza.
Se Robb si sta occupando della faccenda in modo legale, con avvocati e polizia, è anche vero che Arya sta facendo l’opposto.

Bran è a casa con Rickon, e Sansa è sola con Jon. Non vuole lasciarlo, anche se il primario le ha detto di andare a casa, di riposarsi, ma come potrebbe?
Come può abbandonarlo in un letto d’ospedale, con il rischio che si svegli senza qualcuno vicino?
Senza un volto familiare, una presenza che tenga a lui…
Jon l’ha portata via da Joffrey, l’ha riaccompagnata dai loro fratelli, qualcosa che nemmeno Petyr aveva fatto per lei…

«Uccelletto.»
Ancora tu.

Sansa apre gli occhi e lo guarda. Sente il sangue ribollire nelle vene.

Cosa ci fai qui?
«Non sei ripartito» dice, il respiro lento e grave.

Incrocia le braccia al petto e aspetta, sentendo il corpo irrigidirsi. È ciò che lui le provoca con una sola occhiata.
Inconsciamente, Sansa si sfiora le labbra, lì dove Sandor l’ha baciata. Sente la pelle bruciare.

«Ho saputo…» ringhia sottovoce, appoggiando una mano sul muro di fianco a lei.

Il pensiero di Jon è sufficiente a farla arrossire. Come può fare certi pensieri ora? Mentre suo fratello rischia la vita in un letto d’ospedale?
Sente l’adrenalina scorrerle addosso. Rabbia e angoscia la soffocano, quando ripensa alla notte prima.

È tutta colpa mia.

Se non si fosse allontanata, se non avesse cercato Petyr, se non avesse perso tempo con Sandor… un secondo, forse, sarebbe stato sufficiente a non farle incontrare Janos. E Jon starebbe bene adesso.
Sarebbero insieme, a percorrere Londra e a fare progetti sul loro futuro.
Prenderebbero in giro Arya, cercando di farla arrossire e di farla parlare di Gendry; riderebbero con – e di – Robb, intento a fare lezione anche a loro, a spiegare tutta la storia della città…
Vedrebbero crescere Rickon, e questo pensiero le provoca un tremito.

Se ne rende conto solo ora: Jon non lo vedrà crescere.
Jon non lo ascolterà parlare della scuola, della sua prima cotta; non troverà scuse per non prendergli un cane, come tanto desidera.
E Bran… Oh, Bran! Bran starà sempre peggio, pensando a Jon.

È tutta colpa di Janos.

«Stai tremando.»
È vero. Sansa trema, pensando a tutto ciò che ha perso. Pensando che se non fosse mai partita, ora Jon starebbe bene. Ha un groppo in gola, ma è solo senso di colpa.
Anche Arya è in pericolo, e le viene in mente solo adesso.
Arya è uscita a cercare Janos, ne è sicura. Arya cerca di vendicare Bran, e ora anche Jon. Arya rischia la vita.
È solo una ragazzina…

«Sto bene» mente Sansa, affondando le unghie nella camicia.
«Dovresti tornare indietro con me.»
«Il mio posto è vicino alla mia famiglia.» Ricorda i loro nomi: Jon, Robb, Arya, Bran e Rickon.

«Io potrei tenerti al sicuro…»

Sansa solleva gli occhi su di lui. Capisce a chi si stia riferendo. Joffrey.
Da un intero giorno, la sua mente è stata libera dal pensiero di lui, dall’immagine delle sue mani che si abbattevano su di lei. Dall’idea del suo amore malato.
«Non posso tornare.»
«Perché?»

«Perché non voglio.»

Sansa abbassa gli occhi, sente il respiro del Mastino sfiorarle la fronte.
Lui non può capire.

«Guardami» ordina Sandor, spingendola a obbedire.
Lo guarda, e vede la soluzione ai suoi problemi. O almeno una parte.
Schiude le labbra per parlare, per piegare le parole al suo volere. Ma il suo nome, pronunciato da qualcuno che non è il Mastino, la ferma.
Sansa sgrana gli occhi, cercando la fonte di quella voce. Petyr.

«Ho lasciato la macchina dietro l’ospedale.»
Petyr fa un passo avanti, e d’istinto Sandor ne fa uno indietro. Sansa si trova tra loro, con il muro alle spalle. Non può scappare.

«Non sei partito nemmeno tu» sussurra, sentendosi in trappola.
Non dovrebbe essere con loro, dovrebbe tornare di corsa da Jon, da chi ha bisogno di lei.

«E come avrei potuto…»
Sansa lo guarda, mentre il Mastino le dà le spalle e si allontana. È come se Petyr fosse un repellente naturale per lui.

O forse per me. Per proteggermi.

Quel pensiero le provoca un fremito.
Non appena restano soli, Petyr fa un altro passo, restando ad appena un metro di distanza da lei. Di tutta risposta, Sansa si appiattisce contro il muro, come se avesse paura di lui.

Non è paura...

«Sei venuto per aiutarmi?» chiede, giocando con le parole come gli ha visto fare tante volte.
Non ha bisogno di tendergli una trappola per ottenere quello che vuole. Sa che le basterebbe dirlo… Petyr non le direbbe mai di no.

Mai.

«Sono venuto per te.»

«Che cosa vuoi?»
Me, vuole me. Sansa glielo legge negli occhi, e in un istante dimentica tutto. Jon, l’ospedale, il pericolo che corre sua sorella. Dimentica Londra e la sua intenzione di restare.

«Darti ciò di cui hai bisogno.»

«E di cosa avrei bisogno?»
Di te. Tu potresti risolvere tutto con la tua sola voce.

Petyr non sorride, si limita a guardarla. Ed è tutto ciò che le serve per spingersi ancor più contro il muro, quasi a voler diventare una cosa sola con lui.

«Quando ho sentito la notizia sono corso alla macchina. Sapevo che ti avrei trovata qui. Vicina alla tua famiglia… proprio come vorrebbe tua madre.»
Sentir nominare sua madre le provoca fastidio e senso di colpa, come un pizzicore sulla pelle.

«Perché sei qui?»
Avrebbe preferito non chiederlo. Si sente un mostro, ma avrebbe preferito continuare quel gioco con lui.

Un passo dopo l’altro, e sarebbe arrivata a domandarglielo, mentre ora è costretta ad anticipare la sua mossa.

«Potresti fare una cosa per me» dice, senza lasciargli il tempo di replicare.
«Qualunque cosa.»

Sansa sente torcersi lo stomaco e d’istinto lo copre con la mano.
Non sa perché, ma ogni frase, detta da lui, assume un significato particolare.

«Sei sicuro?»

Vorrebbe risultare decisa, ma sente la voce affievolirsi. Diventa come una carezza, come un soffio sulle labbra, come se il resto del mondo non esistesse.
Due parole, eppure Sansa non sa cosa darebbe per poter fermare il tempo e assaporare l’attesa. Sa cosa le risponderà, e questa consapevolezza le blocca il respiro.

Vorrei sentirmi sempre così. Sull’orlo del precipizio. Pronta a saltare.

«Non dovrei?»

Ma io non sono così, pensa. Gli occhi di Petyr incatenano i suoi, sembrano sondarle l’anima. Io ho paura del vuoto. Voglio certezze, non attese.
«Dimmelo tu.»

Il primo sorriso di Petyr accende un piccolo fuoco nella sua pancia, come se si fosse appena guadagnata il suo rispetto.
«Sono sicuro» dice, superando la poca distanza che li divide.
Poi resta in silenzio, e Sansa sa che tocca a lei. È il loro gioco.

«L’uomo che ha accoltellato Jon… Arya lo sta cercando.»

Fa una pausa, certa che lui abbia già capito cosa si aspetta.
Lo vede abbassare gli occhi sulla sua gola e risalire lentamente il suo viso. Sansa sente ardere ogni punto dove Petyr l’ha appena accarezzata con lo sguardo.
Non può fare a meno di chiedersi cosa accadrebbe, ora, se fosse lei a oltrepassare quella linea invisibile che li separa… Lo lascerebbe senza parole? Lo stupirebbe?
Stringe la stoffa che le copre lo stomaco per non commettere quell’errore.

Non sono così, si ripete.

«Temo per la sua incolumità» dice, riferendosi ad Arya. Eppure sembra parlare per se stessa. «Non so dove sia ora, se sia riuscita a trovarlo… Anche la polizia lo sta cercando.»
Petyr le risponde con gli occhi.
C’è un intero linguaggio che conoscono loro due soltanto. Sansa abbassa il mento, prende a fissare il pugno chiuso sulla sua pancia. Ed è il suo errore.

«Non lo troverà» mormora Petyr.
Non deve nemmeno allungare la mano per prendere la sua: sono così vicini che gli basta muovere le dita per sfiorarla. E la pelle di Sansa diventa bollente dove lui l’ha toccata, avanzando sul suo braccio ed estendendosi su tutto il corpo.

«Ma io voglio che lo trovi» dice Sansa, con un filo di voce.

Ha un lieve sussulto quando lo sente arrivare al polso, sotto la manica della camicia.
La camicia di Robb. È tutto sbagliato…

«Cosa farai di lui?» chiede Petyr in un sussurro.
Non sembra nemmeno una domanda, da tanto è bassa la sua voce. Prende la sua mano delicatamente, racchiudendola tra le sue.
Sansa schiude le labbra quando sente le dita scorrere sul dorso della mano, indugiando a stento sulle nocche prima di intrecciarsi con le sue.

Voglio che muoia.

«Non lo so» mente, vergognandosi dei suoi desideri.
Petyr volta la mano sul palmo, scorrendo un dito dalla manica rigida della camicia fino al suo polpastrello.
«Lo sai» ribatte, interrompendo il loro contatto.

Vuole che sia io a dirlo.

Sansa allunga il mento verso di lui, tanto da non riuscire più a guardarlo negli occhi. «Non posso» sussurra, soffiandogli sulla guancia. Non posso dirlo.
È la prima volta che cerca di provocarlo, che è lei ad avvicinarsi. Si chiede cosa sia cambiato… quando sia cambiata, per arrivare a tanto.

È un invito sufficiente: Petyr la prende per le spalle, percorre lentamente le spalline e il colletto che lo separano dalla sua pelle. Eppure Sansa riesce a sentirlo… a percepire il suo tocco, così diverso dall’irruenza di tutti gli altri.
Petyr non ha fretta, non le mette fretta. Sa aspettare.
E forse è la cosa che più apprezza di lui.

«Sì che puoi» risponde al suo orecchio, sfiorandole il lobo con le labbra.
Non le provoca un brivido, ma un’esplosione di luce, come se non aspettasse altro che potergli confessare ogni cosa, che essere convertita a quel lato oscuro.

Vorrei che morisse, pensa Sansa, gridandolo nella sua mente più e più volte.

«No» mormora, afferrando la mano di lui che sta varcando il limite del colletto. La allontana senza sforzo, sollevandola davanti al viso. «Non posso.»
Sfiora le dita con le labbra, prima di lasciargli la mano.

«Voglio solo che Arya stia al sicuro. Puoi fare questo per me?»
Petyr sa attendere, lo sapeva e ne ha ulteriore conferma adesso che lo vede sorridere, mentre inclina la testa di lato in un muto sì.

«Farò questo… per te.»
«Grazie» dice Sansa, muovendo appena le labbra.

Vede il desiderio negli occhi di Petyr riaccendersi, come se fosse tentato di lasciarsi andare, di sollevare una mano e toccarla, di baciarla, come se intorno a loro non ci fosse niente.
Ma c’è tutto, invece.

 
Sandor fuma una sigaretta, appoggiato alla sua auto.
È primavera, e la brezza ricorda a Petyr il sorriso di Sansa, mentre raggiunge il Mastino. Solleva gli occhi al cielo, osserva un aereo sorvolare Londra, la nebbia abbattersi sulla città.
Gli manca casa, lì dove vorrebbe tornare con Sansa. Sistemare alcuni affari, piegare alcuni nemici, sbaragliare la concorrenza… e poi partire con lei.

Sa già dove portarla.
Ha già in mente tutto.
Una casa isolata, avvolta nel verde, dove tornare giovane al suo fianco. Dove vivere le cose che ha perso, durante la sua scalata al successo.

«Andiamo» dice Petyr, facendogli cenno di spostarsi. Vuole guidare lui.
«Allora sali.»
Petyr sorride, fermandosi davanti all’uomo. «Mi sembrava chiaro ormai: guido io.»
«Oggi no.»

C’è una strana luce negli occhi del Mastino, come se avesse risvegliato qualche demone dormiente. Batte un pugno contro il vetro, come a dire che l’auto è sua, e sua è la decisione.
Cos’è cambiato?
Ma conosce la risposta: Sansa.

«Dobbiamo cercare la sorella di Sansa…» comincia Petyr, sperando di volgere le parole a suo vantaggio.
Ma Sandor non ha orecchie, quando la sente nominare. Allunga le braccia possenti e lo afferra per la collottola, come se fosse pronto a colpirlo.
Petyr lo vede digrignare i denti.

«Me l’ha chiesto lei» insiste, sollevando le mani in segno di resa. «Stava per chiederlo a te, ma poi te ne sei andato.»
Gliel’ho letto negli occhi… se non fossi arrivato, forse non mi avrebbe detto niente.
Il Mastino rafforza la presa, tanto da consentirgli una mappatura precisa della sua cicatrice.

Come ha fatto, Sansa, a stargli vicino?

«Non mi piaci» ringhia Sandor. «E mi piaci ancora meno quando le ronzi intorno.»

«Non faccio niente che non voglia anche lei.» Anche solo con uno sguardo.
Lo dice con un ghigno, ed è consapevole di quanto grande sia il suo errore.
«Ah sì?» Sandor stringe così forte da allargargli la maglia. «Non cerca proprio niente da uno come te.»

«E da uno come te, Mastino? Cosa può volere dal cane di Joffrey?»

Per un istante, sembra che l’altro stia per colpirlo; per divorarlo tra le sue fauci e farlo a pezzi. Renderlo introvabile, così che Sansa non possa più raggiungerlo.
Ma poi Sandor molla la presa e lo spinge via.
«Mi hai stancato, Ditocorto. Trovatela da solo la lupacchiotta, io torno a casa.»
«Lei vuole che ci sia anche tu.»
È un attimo. Sul volto del Mastino si agita una certa indecisione, tanto che Petyr allunga lo sguardo verso l’ospedale, come a dirgli che Sansa è lì dentro, e si aspetta qualcosa da lui.

«Non lo faccio per te» ringhia l’altro, cedendogli le chiavi.
So bene perché lo fai. Per lo stesso motivo per cui sei venuto a Londra.

Petyr sorride, fa un cenno con la testa e sale in auto.
Partono che è ancora mattina, mentre Sandor volge il capo all’edificio che stanno lasciando.

«Non la troveremo» dice, spingendo Petyr a rallentare per guardarlo.

«Invece sì» ribatte, spostando la mano sul cambio. «Sappiamo cosa sta cercando. Trovarla sarà facile.»
«Cosa sta cercando?»
«L’uomo che ha accoltellato suo… fratello.»
«Il fratello bastardo» lo corregge Sandor, estraendo una sigaretta. «Non la troveremo comunque.»

Passano un paio d’ore, Petyr si ferma per fare alcune telefonate, lontano dalle orecchie del Mastino, e scopre dove trovarla.
In fondo, pensa, scovare lei è la parte meno complicata.
Proteggerla sarà più difficile.
La sorellina di Sansa sta cercando Janos Slynt, e un quinto della città sembra esserne a conoscenza.

Quando ripartono, lui guida dritto nell’ultimo punto dove è stata vista, certo di trovarla ancora lì. È la casa di un suo amico… forse qualcuno che potrebbe aiutarla?
Restano fuori dal palazzo, aspettando che la ragazza esca, un po’ come la sera prima hanno atteso Sansa.
E poi, finalmente, Arya Stark è fuori, sola.

«Le parlo io» dice Petyr, certo di poterla convincere.
Fa un passo avanti, ma il Mastino lo anticipa, muovendosi come un cane feroce che ha puntato una preda.
Lei lo vede arrivare, sgrana gli occhi e sembra pronta a reagire, ma Sandor è più veloce; la afferra e se la carica sotto il braccio, come se fosse un cesto di verdura.

Forse ho sbagliato a portarlo. Sansa si arrabbierà con me quando lo saprà…

Arya finisce sul sedile posteriore dell’auto, come se fosse vittima di un rapimento. Comincia a gridare, a cercare di aprire le portiere, a prendere a pugni i vetri.
«Sta zitta!» grida Sandor, salendo dietro con lei.

«Ma che hai fatto?» chiede Petyr, mettendosi al volante. Per una cosa come quella c’è la galera. «Arya, calmati per favore. Ci manda tua sorella.»
«Non ti credo! Non ha mai parlato di voi!»
La ragazza prende ad agitarsi, a battere i pugni contro il torace massiccio del Mastino, tanto da costringerlo a immobilizzarla.

«Tu sei Arya Stark» dice Petyr, voltandosi e appoggiando una mano sul sedile. «È Sansa a mandarci. Vuole che ti aiutiamo a trovare Janos Slynt.»

Lei sembra calmarsi, come se stesse valutando la sua proposta. «Perché?»
«Per ucciderlo.»

 
Robb è al fianco di Sansa e le stringe la mano.
Sono soli con il primario, intenti a capire cosa capiterà a Jon, quali rischi correrà… A dire il vero, Sansa si lascia andare ai ricordi, lasciando che le voci degli altri due sfumino nella sua mente, come i suoi che sbucano dalla nebbia londinese. Suoni che sanno di lontananza…

Come quando suo padre li portava tra i monti, a rincorrersi nella neve. E Robb e Jon si fingevano audaci cavalieri, impugnando i loro bastoni e combattendo davanti ad Arya e Bran.
Rickon era così piccolo… Lui e Sansa restavano al caldo, accanto alla loro madre.

Ricorda i capelli scuri dei suoi fratelli, quando tornavano dentro, e le loro corone di neve.
Ricorda le risate, i giochi, gli sguardi severi che Catelyn riservava a Jon. Gli stessi che Sansa imitava.
Si pente di tutto. Di non averlo mai considerato, di non averlo mai voluto con sé. Si pente di aver dato ascolto a sua madre, unica tra i fratelli.

Sono stata così sciocca… Loro avevano capito tutto.
Mentre ora, ora che Jon si è presentato a casa di Joffrey, ora che l’ha riconosciuto come fratello, sangue del suo sangue, Sansa trema al pensiero che possa essere in pericolo.
Vorrebbe fare qualcosa per lui…

«Sansa?» Robb aumenta la stretta sulla sua mano e la guarda. «Hai sentito?»

Lei sbatte le palpebre, riconosce l’occhiata scettica del medico, il modo in cui sta battendo un piede sul pavimento.
«Beh, vi lascio» dice il primario, allontanandosi.

«Stai male?»
Robb la prende per le spalle, come un paio d’ore prima ha fatto Petyr… Sansa arrossisce al pensiero di essere scoperta.
«No, sono solo stanca.»

«Cosa ne pensi?»

Sansa solleva gli occhi su di lui, specchiandosi nello sguardo ceruleo tipico dei Tully. «Di cosa?»
«Non hai ascoltato, vero?»
Lei fa cenno di no, lasciando che suo fratello si volti verso la stanza dove Jon è in coma farmacologico.

«Tu ricordi niente di quanto diceva nostro padre?»

Sansa osserva la luce giocare con i capelli ramati di Robb, altro dono di Catelyn… Cosa farebbe se fosse qui? Lo lascerebbe morire?
«Riguardo a cosa?»

«Alla madre di Jon.»

Sansa scuote la testa, non riesce a capire. La madre di Jon? Non sanno nemmeno chi sia… C’erano voci, Bran aveva ascoltato telefonate di loro padre, ma niente è certo.
«Jon deve essere trasferito in una clinica per un po’. Ha subito danni che… Dobbiamo trovarla, Sansa.»

Perché? Si chiede, pensando che Robb abbia lo stesso temperamento di Ned.
Riconosce suo padre persino nel modo di parlare, nel modo di ragionare, nella freddezza e nella giustizia che caratterizzano suo fratello.

Nostro padre sapeva… sapeva che Robb ci avrebbe protetti. Voleva che restassimo insieme.

«Dobbiamo trovarla subito» insiste, calcando sull’ultima parola.
«Perché?»
«Jon avrà bisogno di lei.»

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Note dell’autrice:

Qualcuno ricorda, nei primi capitoli (quelli ambientati nella baita), quando Sansa ripensa alla sua famiglia e a quanto Bran diceva sulle origini di Jon? Finalmente ci stiamo arrivando.
Ho cercato di seminare tante bricioline su questo cammino (non per niente si chiama Vieni con Me, ahah) e se la memoria non mi tradirà, le ritroveremo tutte strada facendo.
Ah, posso dirlo? Posso? “Petyr, mi sei mancato!”
Celtica

   
 
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