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Autore: determamfidd    04/12/2016    2 recensioni
La battaglia era finita, e Thorin Scudodiquercia si svegliò, nudo e tremante, nelle Sale dei suoi Antenati.
La novità di essere morto sparisce in fretta, e osservare i propri compagni presto lo riempie di dolore e senso di colpa. Stranamente, un debole barlume di speranza si alza nella forma del suo parente più giovane, un Nano della linea di Durin con dei capelli rosso intenso.
(Segue la storia della Guerra dell'Anello)
(Bagginshield, Gimli/Legolas) Nella quale ci vuole tempo per guarire, i membri morti della Compagnia iniziano a guardare Gimli come se fosse una soap opera, Legolas è confuso, il Khuzdul viene abusato, e Thorin è quattro piedi e dieci pollici di sensi di colpa e rabbia.
[Traduzione]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gimli, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Andate a Nord» disse Gimli, porgendo a Kara un sacco a pelo e una borraccia «Troverete santuario ad Erebor. Gli scriverò io.»

Il volto di Ashkar era sardonico. «Non credo Orla sarà tanto felice di rivederci, per qualche motivo.»

«Non si può mai sapere, no?» ribatté Gimli, e porse allum Nerachiave un bastone per poggiare meno peso sulla sua gamba «I passi rimarranno sicuri per qualche tempo: la vittoria a Nord ha fatto scappare tutti gli Orchi nei loro buchi, e con la primavera che si avvicina non c'è momento migliore per viaggiare. Fermatevi alle case dei Mutaforma, ci sono sempre stati amici.»

Poi estrasse l'ascia da lancio dallo stivale (Merry gliel'aveva restituita dopo la battaglia) e la porse bruscamente. «Ecco. Prendete. Tutti nella Montagna sapranno che è mia.»

«Perché offrirci questo?» disse Ashkar, la voce piatta e sospettosa «Perché offrirci santuario?»

Gimli sorrise, e scosse l'ascia finché id non la prese. «Perché Dwalin è mio parente e maestro, e Orla è un'amica. E forse il mondo sarà più piccolo ora che non ci sono grandi forze del male a tenerci distanti. Penso di creare una colonia a Rohan, se il mio Re lo permette: se Erebor non vi piacerà, allora forse quella sì – fino al giorno in cui potrete tornare alla vostra casa.»

«Non penso succederà mai» disse Kara, il giovane volto amaro.

«Chi può sapere cos'è possibile, in questi giorni?» disse Gimli dolcemente «No, non intendo darti della sciocca. Ma non abbandonare la speranza. Tua Zia vive ancora, non è così, quando voi la pensavate morta?»

«Suppongo» disse Kara.

«Andate a Nord, amici miei, e riunitevi» Gimli si premette una mano contro il petto, e si inchinò «Gaubdûkhimâ gagin yâkùlib Mahal


A Orla figlia di Ara,

So che questa lettera potrà sembrare inaspettata, e me ne scuso. Ti potresti chiedere perché scrivo a te e non a Dwalin che fu il mio maestro e amico. Non mi perderò in chiacchiere e discorsi; andrò dritto al punto.

Ho conosciuto alcuni Nani Nerachiave qua a Minas Tirith. Erano stati mandati in avanscoperta durante la guerra come punizione della lealtà a te e al tuo ricordo. Non ti biasimerò o giudicherò per il tuo inganno: capisco perché volessi tenere il segreto.

Mi dispiace così tanto.

Provo anche una tremenda vergogna del fatto che una Regina mi abbia visto ubriaco marcio agli addestramenti.

Ashkar e Kara mandando il loro affetto e le loro congratulazioni più sentite alla tua famiglia. Kara aggiunge inoltre che non hai potuto vederle spuntare la barba.

Ashkar dice: tutto è finito nel letame di cammello durante la tua assenza, e vuole rivederti presto, e nessuno ha osato giocare a 'uzghi ma ziraku con id da quando sei scappata dalla corte Ghomali.

È anche felice che tu abbia trovato le scorte quando sei scappata.

Intendo partire presto verso il Nord e casa, facendo una breve deviazione, e sarò ad Erebor prima di mezzaestate. Dai la mia gratitudine e il mio affetto al mio riverito maestro, e digli che le sue istruzioni mi hanno tenuto intatta la pellaccia.

Ashkar e Kara e la loro gente intendono anche loro andare a Nord, appena Ashkar si sarà in grado di viaggiare. Ha sostenuto una ferita, ma si riprenderà. Non so dire se raggiungeranno Erebor prima di noi: dunque, ti avverto e preparo a ciò che potrebbe succedere.

(Legolas mi dice che i nostri sforzi nel dare avvertimenti agli altri per ora sono stati pessimi: posso solo sperare per te che stavolta avremo miglior fortuna. Capisco che la Montagna sia leggermente nel caos, e posso solo scusarmi per i problemi che abbiamo causato a voi e ai vostri sforzi nel mantenere la pace.)

Qualsiasi cosa tu scelga di fare, per favore sappi che tu hai sempre avuto e sempre avrai,

Il mio più sincero rispetto

Gimli figlio di Glóin


«Penso... potrebbe essere finito» disse Gimli, studiando l'anello nel suo palmo «Sei certo non sia troppo... approssimativo?»

«Sarei orgoglioso di chiamarlo un mio lavoro» lo rassicurò Thorin.

Gimli lo rigirò, e poi lo alzò alla luce per controllare la lucidatura finale. Fili d'argento e d'oro vi erano stati attentamente avvolti attorno e poi riscaldati e uniti al corpo dell'anello. Il motivo decorativo ripetuto dell'elmo e armatura di Gimli era ora circondato da viticci. «Non sono ancora del tutto sicuro delle dimensioni» grugnì.

«Ebbene, ci sei abbastanza vicino, direi» Thorin guardò Gimli mettersi l'anello sul mignolo, dove si fermò solamente alla seconda nocca. Era la cosa più vicina che aveva trovato a una misurazione.

«Che Mahal lo voglia» sospirò Gimli. Togliendosi l'anello, lo mese in un sacchetto di pelliccia e lo sistemò nel suo panciotto. «Ora dovrò trovare il momento giusto... o lasciare che il momento giusto arrivi, suppongo.»


«Dimmi cos'hai scoperto»

Thranduil era apparentemente stravaccato pigramente nella sua sedia, le lunghe mani leggere dove cadevano sui braccioli in pietra intagliata.

«Molto poco, Adar» disse Laindawar truce «Non rispondono alle mie domande. Sua sorella, Gimrís, ha nulla di positivo da dire di suo fratello. E se lei che è sua sorella non ha null'altro che irritazione da condividere, cosa possiamo aspettarci degli altri? A cosa si è legato il nostro Legolas?»

Gli occhi di Thranduil non cambiarono, ma la sua mascella si strinse. «Vedo.»

«Il Re ha menzionato che questo Gimli sia bravo con le armi» continuò Thranduil, la voce pacata «Non è un complimento da poco in un regno di guerrieri.»

«Sua sorella mi dice non sia altro che un idiota pieno di muscoli» disse Laindawar. I suoi pugni si strinsero ai suoi fianchi. «Non risponde a nessuna delle mie domande molto ragionevoli, e temo che le risposte siano terribili. Un Nano che non si pettina i capelli! E un Nano della Linea di Durin per di più: conosci la loro maledizione quanto me. Tremo al pensiero di ciò che sia successo a nostro fratello, di cosa questo Gimli gli farà. Sai come sono quando si tratta dei loro tesori...»

Accanto a lui, Laerophen sbuffò piano.

Thranduil chinò la testa. «Qualcosa da aggiungere, ionneg?»

Laerophen sobbalzò all'improvviso cambio di attenzione, e si raddrizzò in tutta la sua torreggiante, allampanata altezza, dondolandosi. «Ebbene, sì... posso parlare con franchezza?»

«Non vorrei nulla di meno da te, figlio mio» disse Thranduil, ma il suo sguardo si addolcì nel guardare il suo secondogenito.

«Siete senza cervello?»

Il volto di Thranduil, ancora, non cambiò. La testa di Laindawar si girò verso suo fratello, e lo incenerì con lo sguardo.

«Forse sei stato piegato dalla tua lunga prigionia» iniziò Laindawar, rigido.

«Non sono prigioniero, e mai lo sono stato!» Laerophen si massaggiò il naso, e fece un respiro profondo «Ho vissuto fra loro. Li conosco! Per le stelle, honneg nín, attacchi Gimrís con domanda dopo domanda come se fosse il suo scopo nella vita risponderti? E ti chiedi perché si arrabbi e ringhi e scappi via!»

«Allora prego, illuminaci sui loro usi» disse Thranduil, prima che Laindawar potesse esplodere in furiose polemiche.

«La Lady Gimrís è la persona peggiore a cui chiedere di suo fratello» disse Laerophen, e iniziò a muoversi, camminando avanti e indietro per la sala e muovendo le mani in agitazione «Questa gente, si prendono in giro e si provocano con facilità: bisogna imparare a trovare la risata sotto le loro parole. E non parlare della maledizione della Linea di Durin nelle loro sale! Sai quanto me che è svanita nel nulla con la puzza di drago e la perdita dell'Anello dei Nani. Ma definiresti lo stesso un Nano avido senza averlo mai incontrato? Dispero del fatto di aver pensato come fai tu, un tempo.»

«A chi vorresti che parlassimo?» disse Thranduil, interrompendo gli sputacchi che venivano dalla direzione di Laindawar.

«Fareste meglio a parlare col figlio di lei, o con Glóin» Laerophen fece una smorfia «Sì, se riesci a stare in una stanza con lui, e viceversa. Dwalin figlio di Fundin è stato un suo insegnante, e la cantante Barís Linguacristallina è l'amica più cara di sua sorella. Ha chiamato la Principessa Dís “zia” da quando era ragazzo, da quanto capisco. E soprattutto, Mizim, sua madre – è un'anima più calma di suo marito, e saggia. Mi ha parlato di suo figlio, e io penso che Gimli sia all'altezza di mio fratello.»

«L'amore di una madre può distorcere la realtà» rispose Laindawar.

«Mi hai appena detto che sua sorella lo crede un feroce criminale: io non mi fiderei delle mie fonti, se fossi in te» ribatté Laerophen.

«Pace, figli miei» disse Thranduil, e si piegò in avanti «Dimmi cosa ha detto sua madre.»

Laerophen lanciò a Laindawar un ultimo sguardo rabbioso, prima di girarsi di nuovo verso suo padre. «Egli è onesto fino al midollo – spesso onesto oltre le regole dell'educazione» disse «È coraggioso, quasi incosciente. Ha la lingua di un poeta, e ama cantare. Accetta di buona grazia sia vittoria che sconfitta, anche se non ama perdere – penso di capire che sia ferocemente competitivo. Il suo senso dell'umorismo tende ai giochi di parole e prese in giro. E infine, è leale oltre misura.»

«Ed è un buon guerriero?» chiese Laindawar. Il suo volto era ancora arrossato, gli occhi pieni di risentimento.

«Solo il migliore dopo Dwalin, faccia da scemo» giunse un mormorio dalla porta. Sarebbe stato inudibile da chiunque non fosse un Elfo.

Laerophen si bloccò, la bocca spalancata.

«Chi ci spia?» disse Laindawar, e si allungò per la spada al suo fianco.

«Oh, Elbereth» Laerophen chiuse gli occhi per un momento «Gimizh?»

Ci fu uno squittio, e dei movimenti dietro la pesante porta.

Thranduil si alzò in un movimento fluido, andando alla porta trascinandosi dietro il mantello. La spalancò, e guardò giù con occhi di ghiaccio. «Chi sei?»

«Gimizh, cosa ci fai qui?» disse Laerophen stancamente.

«Pulisco la maniglia» disse Gimizh, il piccolo volto pieno di sfida.

«Una menzogna» disse Thranduil, la voce bassa e dolce.

«La tua piccola ombra riappare» commentò Laindawar a Laerophen, che scosse la testa.

«Mi stavi cercando?»

«Stavo pulendo la maniglia, e se uno sente delle cose quando pulisce le maniglie, non è colpa sua» disse Gimizh a Thranduil, incrociando le braccia cicciotte e alzando la testa «Ci stavi mettendo troppo» aggiunse a Laerophen «C'è la torta stasera: Barur ha riaperto i forni dei pasticcieri!»

«Mi sembra una grande avventura, ma tu non dovresti spiare conversazioni private» disse Laerophen, avvicinandosi a Gimizh e abbassandosi in ginocchio per posare una mano dolce sulla spalla del Nanetto «Tua madre si arrabbierà.»

«Quando sua madre non si arrabbia» mormorò Laindawar.

«Non si deve neanche dire cose brutte sulla gente, ma lui lo fa» rispose Gimizh, facendo un cenno verso Laindawar «Prima mio zio Gimli, e poi mia mamma!»

«Questo è vero» disse Thranduil. Il suo sopracciglio era leggermente alzato, dandoli un'aria vagamente confusa «Allora dovresti scusarti per averci spiato, e mio figlio si scuserà per la sua maleducazione.»

«Va bene» borbottò Gimizh «Scusa per aver sentito delle cose per sbaglio.»

Laindawar aprì e chiuse la bocca, e poi chinò la testa. «Mi scuso per aver parlato male della tua famiglia.»

«Pfft, non sai niente comunque» disse Gimizh, alzando la testa. Le sue trecce curve rimbalzarono. «Non è colpa tua che sei così ignante.»

Laerophen si fermò, e tentò di indovinare. «Ignorante?»

«Vuol dire che non sa niente» disse Gimizh. Innocente desiderio di aiutare usciva da ogni suo poro.

«Io...» iniziò Laindawar, e poi si fermò tirando su col naso.

«Gimli è tuo zio» disse Thranduil, le parole lente e misurate «Bambino, gli sei vicino?»

Gimizh guardò Laerophen, che gli strinse il braccio. «Stiamo cercando di imparare di più di lui» disse «Mio fratello è legato a lui, vedi, e vorremmo sapere che genere di persona sia.»

Gimizh parve orripilato. «Tuo fratello!?»

«No, l'altro mio fratello» disse in fretta Laerophen, e Gimizh fece un enorme sospiro di sollievo, rilassandosi drammaticamente.

Laindawar ringhiò. Senza dire nulla, Thranduil gli passò un calice di vino.

«Mi ero scordato che hai un altro fratello» disse Gimizh «Posso entrare? La maniglia è molto pulita ora.»

«Ne sono certo» mormorò Thranduil «Entra, bambino.»

Gimizh corse dentro e si strinse al fianco di Laerophen. Mentre il Re Elfico si girava e si sedeva di nuovo, il Nanetto fece la linguaccia a Laindawar.

«Questo è maleducato» disse Laerophen, e lo spinse gentilmente.

«Allora siamo pari» disse Gimizh, senza dare importanza alla cosa.

Laindawar strinse forte il suo vino, e bevve metà del bicchiere in un sorso.

Thranduil si sistemò le vesti ai suoi piedi, e poi studiò Gimizh per un secondo. Poi disse di nuovo: «sei vicino a tuo zio?»

«Sì» disse Gimizh «Oooh, avete dell'uva! Posso prenderne un po'?»

«Vorresti per favore» disse Laindawar, riempiendo la parole “favore” di tagliente sarcasmo «parlarci di lui?»

«È grande e forte e ha una barba rossa enorme» disse Gimizh, gli occhi che andavano al contenitore d'uva sul tavolo «Ho una bambola di lui.»

«Allora gli vuoi bene» disse Thranduil, chinando la testa per osservare il bambino seriamente.

Gimizh alzò gli occhi al cielo. La sua bocca era piena quando ricominciò a parlare. «È mio zio Gimli. È il guerriero migliore di tutta la montagna, e non devo toccare le sue cose quando non c'è. Racconta delle belle storia. A volta insegue me e Piccolo Thorin e Balinith per tutta la Montagna, o gioca a nascondino con noi. Mi sono tagliato la gamba sulla sua ascia che avevo preso in prestito per sbaglio una volta, ed era un po' arrabbiato, ma non lo era davvero perché Zio Gimli non si arrabbia mai con me. Stava solo facendo finta perché aveva paura. Anche Mamma lo fa. Mi piacciono le sue asce, erano di Nonno. Zio Gimli mi ha detto che me le darà un giorno. Ma ha anche detto che non devo prendere cose che non sono mia, e che non devo fare tutto quello che mi viene in mente senza dire niente a nessuno. Ma visto che lui è andato in un Missione importante senza dire niente, penso non sia giusto. Gli adulti sono così però.»

«Vedo» disse Thranduil, e la sua bocca tremò.

«Mi chiama ancora 'sassolino' a volte, che non è giusto perché sono un Nano grande ora» disse Gimizh, e fece spallucce. Un altro chicco scomparve con il movimento di una piccola mano sporca. «Se ti trova mentre giochi a nascondino, ti fa le pernacchie sulla pancia per farti ridere. Sa un sacco di canzoni, e a volte ne inventa di nuove! Anch'io farò delle canzoni. Ma Mamma ci sgrida quando canto le canzoni da minatore di Zio Gimli, perché a volte hanno delle parole brutte dentro. Papà ride fino a piangere, ma in fondo, anche Papà è un minatore.»

«Lo... fai? Voglio dire, lo è?»

Gimizh annuì con aria di importanza – e prese un altro chicco. «Me l'ha detto Zio Gimli una volta. Era un minatore a Ered Luin. Io non sono mai stato a Ered Luin, e Nonno dice che era dura là. Zio Gimli non ne parla molto. Penso sia buono che non siamo più là, così Papà può fare il negoziante e Zio Gimli può essere un guerriero ora. Scommetto che ha ucciso millemila Orchi. Anche tuo fratello è in missione??»

«Sì, è lì che si sono incontrati» disse Laindawar.

«Oh» Gimizh fece una smorfia mentre masticava, e poi ingoiò «Lui è maleducato?»

«Ah... quando è dovuto» disse Thranduil. I suoi occhi erano lucidi.

«Anche Mamma è maleducata con Zio Gimli tutto il tempo, e lui lo è con lei» disse Gimizh con un ghigno. La sua mano andò dalla ciotola alla sua tasca. «Lei chiama Zio Gimli un testone e un Troll, e lui la chiama un goblin e un'Elfa vanitosa! Mi tirerebbe le orecchie se io lo dicessi mai! Sono fratello e sorella, ma io non ho un fratello o sorella o fratellum. Ho Piccolo Thorin, ma lui mi può mandare per terra quindi non lo chiamo un testone. Ma ho visto Zio Gimli tirare un pugno nei denti a un tipo – wham! Così! - perché aveva detto delle cose brutte su mia Mamma. Quindi non penso vogliano dire davvero quelle cosa: penso vogliano dire altre cose. Cose più gentili.»

«Sei stato tu a chiederlo» mormorò Laerophen a Thranduil, che stava iniziando a sembrare un po' sopraffatto.

«Hai finito l'uva» aggiunse Gimizh.


«Gimrís mi dice che avete mandato vostro figlio a perseguitarla» disse Dís. La sua mascella era dura e contratta, e i suoi occhi erano piatti.

Víli poteva vedere la rigidezza nei suoi arti che parlavano di articolazioni doloranti, il tremore nascosto delle sue mani. Lei era così stanca, pensò lui, e chiuse gli occhi per farsi forza.

«Principessa, un piacere rivedervi» disse Thranduil, e si alzò in un movimento liquido e andò al mobile dei liquori. Sarebbe dovuto sembrare umiliante per lui usare mobili così piccoli, ma in qualche modo riusciva a farlo sembrare aggraziato. «Vino?»

«Non sono più una Principessa» disse Dís «E vi chiederei di non ignorare quello che ho detto.»

«Gli ho chiesto di scoprire quello che può su questo Gimli» disse Thranduil, girandosi di nuovo verso di lei. Aveva due bicchieri in mano. «Mi scuso del fatto che abbia importunato la Signora.»

«Vi chiedo di chiedergli di smetterla di infastidirla al lavoro. È una Nana occupata» disse Dís «Non le renderà simpatico suo fratello.»

Le sopracciglia di Thranduil si alzarono leggermente, come se non avesse nemmeno considerato la possibilità. «Non tratterebbe male Legolas...»

«Non più di quanto gli Elfi non trattino male i Nani» rispose Dís, rapida come un pugnale nel fianco «Non più di quanto un Elfo guarderebbe un bambino affamato e si girerebbe dall'altra parte.»

Thranduil la considerò con freddo silenzio per un momento. «Eravate quella bambina.»

Gli occhi d'acciaio di lei si strinsero. «Come sapete.»

Thranduil le porse il bicchiere di vino, senza parole. Lei lo fissò per un momento, prima di prenderlo in una mano dalle dita storte. Il suo respiro era rapido. «Sono una delle ultime rimaste di quell'epoca» disse allora, e bevve un gran sorso.

«Non rimpiango di non aver attaccato il drago» disse Thranduil, e la sua voce era stranamente bassa.

Dís alzò lo sguardo dal suo bicchiere. «Ma rimpiangete altro, non è così?»

Thranduil non rispose. Bevve un piccolo sorso dal suo bicchiere, e i suoi occhi non lasciarono mai quelli di lei.

Lei non si allontanò da quello sguardo ultraterreno e affilato, né distolse il proprio. «Argento e acciaio fino in fondo, mia cara» mormorò Víli.

«Sedetevi per favore» disse Thranduil infine, e indicò col suo calice uno dei bassi divani «Non dovreste...»

«Rimanere alzata a lungo, alla mia età?» finì Dís per lui, e le sue labbra si contrassero «No, forse no. Non penso voi capireste.»

«Forse sto imparando»

«Forse» Lo sguardo di Dís oltre l'orlo del suo bicchiere era concentrato. In ogni caso, andò lentamente alla sedia e si sistemò. «Ebbene? Non sarò l'unica seduta.»

Thranduil batté le palpebre al suo tono, e Víli sbuffò involontariamente. Poi il Re Elfico andò a un divano, e vi si ripiegò sopra. Il suo manto cadde per terra.

«Tutto troppo piccolo per voi, eh?» Dís bevve un sorso, e lo guardò che la guardava «Ora che abbiamo legna e possiamo riaprire le falegnamerie, faremo qualche stanza a misura di Elfo. Non potete essere comodi.»

«Questo sarebbe un tentativo di umiliarmi per la mia mancanza di ospitalità?» disse Thranduil, piegandosi in avanti «Vi giuro, non funzionerà.»

«Non penso voi abbiate abbastanza compassione per i Nani per sentirvi umiliato per come ci avete trattati» disse Dís calma, e bevve un altro sorso «Cosa importa è che state imparando. Forse un giorno ci riuscirete.»

«Sono di vari millenni più vecchio di voi»

«Congratulazioni»

Víli si mise una mano contro la bocca. «Oh, ragazza mia, sei crudele» ridacchiò.

«Mi è stato detto che non posso cambiare così drasticamente» Thranduil bevve un altro sorso di vino, e continuò a guardarla «Cosa credete voi, Primo Consigliere?»

Lei fece spallucce. «La gente cambia. Suppongo valga sia per gli Elfi che per i Nani. A volte cambiamo perché lo vogliamo. A volte siamo cambiati che ci piaccia o meno.»

«Lo trovo riduttivo»

«Una volta, mi guardaste da bambina e mi chiamaste Principessa» disse lei, e chinò la testa. La sua voce era ancora perfettamente chiara, e il suo sguardo lanciava scintille nell'aria fra loro. «Poi avete visto quella bambina senza casa e affamata, e vi siete voltato. Poi ci avete visto armati, e avete posto la nostra casa sotto assedio. Poi avete mandato aiuto al nostro popolo quando nessun altro l'ha fatto. Poi ci avete nutrito quando avevamo fame. Ora mi salutate di nuovo come “Principessa”, mi invitate nelle vostre stanze e mi offrite vino e una sedia per le mie vecchie ossa.»

Thranduil ci riflette su, e alzò il bicchiere in accettazione silenziosa.

«Lasciate che vi racconti una fiaba, Thranduil Oropherion» disse lei, e si sistemò nella sua sedia «Io ero una gioielliera a Ered Luin. Le mia mani fuggivano l'oro. Amavo il tocco dell'argento e della pietra di luna, come frammenti di luce stellare resa solida. Eppure io lavoravo l'acciaio, perché c'era poca gioia nel creare in quel luogo freddo e duro, e la mia famiglia doveva mangiare.

«Un terribile giorno, tenni una lettera in mano. Era stata mandata da mio cugino Balin. Mi diceva che i miei figli e mio fratello erano morti. Io ero l'ultima. La mia intera famiglia, distrutta, cancellata. I miei figli massacrati. Mio fratello assassinato. Io ero sola, e dimenticata nel mio dolore mentre il nostro popolo lottava per vivere.

«Gimli venne da me. Ancora mezzo bambino, la barba appena spuntata. Gli urlai contro» le sue labbra si incurvarono in un debole sorriso al ricordo «Oh, come lo attaccai. Quel coraggioso bambino rimase dov'era di fronte alla mia rabbia ululante e al mio dolore, e mi disse che non ero sola. Mi strinse mentre piangevo.»

Lei rimise il suo bicchiere sul tavolino, e si alzò con un grugnito di sforzo, raddrizzando la schiena. «Tornò da me ogni giorno» aggiunse «Ogni giorno.»

Thranduil era leggermente accigliato mentre la guardava andarsene.


Fíli guardò Frodo che camminava sopra le pietre del cortile bianco. Seduti sulla bassa recinzione del giardino erano Aragorn e Arwen, le loro mani strette. Arwen stava cantando sottovoce, guardando i boccioli cadere dai rami del giovane albero.

Frodo si muoveva solo con un leggero dolore ora, ma sembrava ancora molto piccolo e fragile nell'avvicinarsi.

«So che cosa sei venuto a dirmi, Frodo: desideri tornare alla tua casa» disse Aragorn, e guardò su e sorrise a Frodo.

Frodo parve combattuto. «Io... sì. Mi manca. Mi manca Casa Baggins. Mi manca come erano le cose.»

Il sorriso d Aragorn si spense un poco. «Ebbene, carissimo fra i miei amici, l'albero cresce meglio nella terra degli avi; ma in tutte le terre dell'Ovest tu sarai sempre il benvenuto. E benché la tua gente abbia conosciuto poca fama nelle antiche leggende dei grandi, adesso sarà più rinomata di molti vasti regni scomparsi.»

Frodo annuì, e poi disse: «Prima mi devo recare a Granburrone. Perché io sento la mancanza di Bilbo. Sono rimasto rattristato nel vedere che non era venuto insieme con la gente di Elrond.»

«Te ne stupisci, Portatore dell'Anello?» disse Arwen. I suoi occhi erano dolci e forti. «Conosci il potere di quell'oggetto ora distrutto; ed ogni cosa creata da quel potere sta comparendo. Ma Bilbo ha posseduto l'Anello più a lungo di te. Egli ora è anziano, come tutti quelli della sua razza; e ti attende, perché non desidera fare altri lunghi viaggi prima dell'ultimo.»

Lui la guardò con preoccupazione malamente nascosta negli occhi. «Tu l'hai visto, come sta?»

Lei abbassò lo sguardo. «Vecchio. Stanco.»

Fíli imprecò sottovoce. Thorin sarebbe preoccupato.

«Allora chiedo il permesso di partire al più presto» disse Frodo.

«Non andrai da solo» Aragorn si alzò e strinse le piccole spalle di Frodo «Percorreremo con te un grande tratto di strada, sino alla terra di Rohan. Fra tre giorni Éomer tornerà qua per portare Théoden a riposare nel Mark, e noi lo accompagneremo per onorare il caduto. Ma ora, prima di partire, voglio confermare ciò che ti disse Faramir: sei per sempre libero nel Regno di Gondor, e con te i tuoi compagni. E se vi fossero doni degni delle vostre gesta sarebbero vostri, ma qualunque cosa desideriate la porterete con voi, e cavalcherete con grandi onori e vestiti come principi del regno.»

«Io non sono un principe» disse Frodo, allarmato «Voglio quello che ogni viaggiatore vuole: casa mia, e il sentiero che mi ci porti.»

Arwen chinò la testa, studiandolo. «Io ti farò un dono. Perché io sono la figlia di Elrond. Non partirò con lui quando si recherà ai Porti, perché la mia scelta è quella di Lúthien, e anch'io ho scelto come lei allo stesso tempo il dolce e l'amaro. Ma in vece mia partirai tu, Portatore dell'Anello, quando giungerà l'ora, e se lo vorrai. Se la tua ferita sarà ancora dolorante e il ricordo del tuo fardello sarà pesante sul tuo cuore, allora potrai recarti ad Ovest, finché tutte le tue ferite e stanchezze non siano sanate. Ma ora prendi questo in memoria di Gemma Elfica e Stella del Vespro, i fili che si sono intrecciati con te nel tessuto della tua vita!»

Poi lei prese una gemma bianca, come fuoco di stelle catturato in catene d'argento, dal suo collo e la mise sulla mano di Frodo. «Non posso accettare» sussurrò lui, fissandola.

«Puoi e lo farai» disse lei, e gli baciò la fronte «Quando ti sentirai turbato dal ricordo della paura e dell'oscurità, questo ti sarà d'aiuto.»

Fíli sospirò. «Grazie, Stella del Vespro» mormorò, e permise alle stelle di portarlo via.

Tre giorni dopo, Éomer tornò. Con lui era la sua Éored, guidando una grande bara bianca coperta del verde e bianco di Rohan. Quella notte, una festa fu tenuta in suo onore e in ricordo di Re Théoden, e lui guardò tutta la gente di Gondor nel colmo della sua bellezza e formalità. Gente in armature scintillanti, e la luminosa sala del Re decorata d'argento e piena di fiori. I Signori Elfici meravigliosi e risplendenti, Celeborn vestito d'argento, Glorfindel luminoso come il sole e Elrond con i suoi profondi occhi saggi. E le dame erano agghindate e stupende: ecco sua sorella vestita di bianco e oro, e stava ridendo! La sua mano era stretta a quella di un signore di Gondor, e lui se ne meravigliò.

L'Elfa Galadriel era luminosa di gloria, una luce interiore che non poteva essere riconosciuta, e lui si allontanò dai suoi occhi. C'era un'altra nobile, una dama dai capelli neri di Dôl Amroth, che gli fece girare la testa. E poi la nuova Regina, alta e abbigliata di argento e nero, come la creatrice stessa delle stelle.

Lui dovette uscire per un attimo, prima di fare la figura di un idiota davanti a tutti i nobili. Trovò Gimli e Legolas nascosti insieme in un'alcova, i volti vicini, e scoppiò a ridere.

«Vedo che altri hanno usato la folla per scappare»

«Aye, ma non per meno compagnia» disse Legolas, i suoi occhi luccicanti di gioia.

«Devo congratularmi con voi, signori?»

«Puoi» concesse Gimli. E ghignò. «E farai meglio a farlo, amico mio!»

«Allora tutti i miei desideri e speranze vanno a voi per tutti i giorni della vostra vita» disse Éomer, inchinandosi «Un'alleanza più strana di quanto io abbia mai sentito, ma in questi giorni sembra che lo strano sia piuttosto comune!»

«Ha! E in strani tempi, strani amici fanno strane benedizioni! Devo farmi portare la mia ascia?» rise Gimli, guardandolo e chinando la testa.

«Forse» disse Éomer scrollando le spalle, ma stava sorridendo «Tocca a te giudicare, perché vi sono ancora fra noi alcune rudi parole sul conto della Dama del Bosco d'Oro. Ed ora l'ho veduta con i miei occhi.»

«Ebbene, sire» disse Gimli «che cosa dici adesso?»

«Ahimè!» disse Éomer con finto rimpianto «Non dirò che ella è la più splendida dama vivente.»

«In tal caso devo andare a cercare la mia ascia» disse Gimli.

«Ma prima desidero addurre una scusa» disse Éomer «Se l'avessi veduta in altra compagnia, avrei detto tutto ciò che vuoi. Ma ora metterò per prima la Regina Arwen Stella del Vespro, e sono pronto a sfidare chiunque osi contraddirmi. Vuoi che prenda la spada?»

Ma la sua mente era piena della vista di una donna vestita nel blu dei cigni, anche mentre diceva ciò.

«Nay, sei scusato per quel che mi concerne, sire» disse Gimli «Tu hai scelto la Sera, ma io ho donato il mio amore alla Mattina. E nel mio cuore vi è il presagio che presto svanirà per sempre» Guardò di sottecchi Legolas.

Legolas gli strinse le mani. «Non così presto» mormorò «Cosa sarebbe l'alba senza la sua stella del mattino?»

Gimli rise la sua profonda, rombante risata. «Ah, ghivashelê, sì, tu lo ricorderai a me, così come io lo ricorderò a te. E Éomer, vivi felice e senza minacce di asce – per ora!»

«Mastro Gimli, mi salvate la vita» disse Éomer, scuotendo la testa e ridacchiando «Vuoi cancellare tutto quel lavoro?»

«Dipende se mi regalerai mai un altro cavallo»

«Arod non ti piace?»

Legolas ridacchiò. «Oh, Gimli, grande dolce sciocco. Éomer, vizia quel cavallo come nessun altro che io abbia mai visto, nonostante continui a giurare il suo odio per esso.»

Il volto di Gimli era mezzo indignato, mezzo divertito. «Non è vero!»

«È vero» disse Legolas affettuosamente, e gli diede un bacio sulla testa.

«E io penso sia ora di andarmene» disse Éomer, e si inchinò ancora una volta «visto che non terremo un duello stasera.»

«Non uno a cui tu sia invitato, perlomeno!» urlò Gimli mentre lui se ne andava, ed Éomer rise e agitò la mano in saluto. Forse avrebbe potuto rubare qualche momento di conversazione con la dama dei cigni prima che fosse ora di danzare.


Era strano, pensò Thorin, mentre si spazzolava la barba e iniziava a legarla in una treccia sottile. La routine che avevano costruito con tante fatiche – con i turni e gli orari e le pause per dormire e mangiare e lavorare – era ancora in piedi, anche ora che la fretta dei mesi passati era svanita. La rete di relazioni di cui si era trovato a far parte era ancora lì, e la maggior parte dei Nani rimanevano parte della guardia, parte del gruppo. Era ancora circondato dai suoi amici e la sua famiglia, nonostante la calma. Era come se lui non fosse stato l'unico a trovare un'importanza e uno scopo nella loro vicinanza e familiarità.

Strano ma piacevole, in un certo modo.

«Sta diventando lunga» giunse una voce dalla porta, e Thorin guardò nello specchio per vedere il riflesso di Thráin che gli sorrideva «Ha un bell'aspetto.»

«Mi trovi d'accordo» disse Bilbo, piano.

«Il tuo turno inizia fra poco?» Thráin andò da lui e prese la spazzola. Dovette allungarsi un poco per passarla in cima alla testa di Thorin, e lui si abbassò per dare a suo padre più spazio. «Tua nonna sarà felice del fatto che ti sei preso del tempo per sistemarti. Tua madre sarà meno felice del fatto che tu abbia scelto questo invece di mangiare.»

«C'è ancora abbastanza tempo per un pasto» disse Thorin, e la sua mano sfiorò la piccola scatola di fermagli che erano sul tavolino, il coperchio intagliato con fiori e rune «La vedrò a tavola.»

«Tuo fratello è già andato, a proposito» disse Thráin, e mise una mano sulla testa di Thorin, come una domanda.

Thorin annuì.

Con un altro piccolo sorriso, Thráin iniziò a separare le ciocche di capelli per la treccia della famiglia. «Si sta divertendo con Fíli, e osserva quella ragazza Rohirrim e il ragazzo di Gondor in ogni secondo libero. L'hai aiutato molto, Thorin.»

Thorin guardò nello specchio Thráin che rapidamente gli faceva la treccia sulla tempia, le mani abili come quelle di sua madre. «Alla fine, suppongo.»

«Dovresti fare un passo indietro e vedere la differenza in lui» disse Thráin, e alzò una mano per avere un fermaglio. Thorin gli diede quello piccolo d'argento con i fiori di luna, e si tenne quello decorato con edera per la barba. «Ricordi com'era quando sei arrivato qui? Nascondeva tutte le sue emozioni di paura e inadeguatezza dietro sorrisi e battute. Si spingeva così tanto, persino a tornare nelle battaglie, cercando di essere ciò che non è. È molto più orgoglioso – molto più calmo ora. Lo hai aiutato tanto.»

«Lui mi ha aiutato per primo»

«Non è una gara, inùdoy» Thráin terminò la treccia, e la lasciò cadere «Anche se non riesco a rendermi conto di quanto tu sia cambiato a volte, è bello vedere che certe cose sono rimaste le stesse. Però, lascia che un padre abbia qualche orgoglio nei suoi figli, eh?»

«E tu?» Thorin si voltò verso di lui, e incrociò il suo sguardo «Ora che Dôl Guldur è distrutta, come stai?»

Thráin rise. «Meglio. Sto molto meglio, figlio mio. I miei incubi non mi rimangono attaccati come nappole a una capra. La vista di quella radura piena di fiori dove prima era quella cosa – mi torna spesso in mente e mi porta pace. Vieni, sei presentabile ora, e devi mangiare.»

«Un momento» disse Thorin, e alzò di nuovo le braccia e fece la treccia di matrimonio sulla sua fronte. Non la legò con metallo, ma con un fermaglio di legno, e gli rimbalzava contro la guancia ogni tanto, odorando di calda resina e lavorazione. «Ecco.»

Thráin la guardò, e poi disse: «Per Bilbo?»

«Meglio tardi che mai» rispose Thorin, sentendosi stranamente piccolo.

«Ha. Sarebbe un bel titolo per la nostra storia, non è così, mio caro?» mormorò Bilbo «Meglio Tardi Che Mai: Una Storia Di Uno Hobbit E Un Nano

«Vero» Thráin picchiò insieme le loro fronti, e poi mise una braccio attorno alle spalle di Thorin per portarlo fuori dalla stanza. «Vieni.»

Andando alle sale da pranzo, passarono davanti alla porta della forgia di Thorin. L'orario di Ori, con tutte le sue cancellature e pieno di una miriade di calligrafie diverse, era ancora lì. Thorin si chiese se avrebbe dovuto incorniciarlo.

La colazione fu silenziosa, calda e confortevole, un periodo familiare nel quale Thorin prese in giro suo nipote più giovane, chiacchierò con Balin, schivò il mestolo di sua nonna e rise con gli altri delle scenate di Nori. Il ladro si era messo nei guai con Narvi e Haban, per qualche motivo – c'era apparentemente una scommessa e uno degli strumenti di Narvi a che fare – e stava al momento dichiarando totale innocenza. Nessuno gli credeva. Haban aveva apparentemente dichiarato vendetta, giurando di fargli vedere perché lei fosse conosciuta come “la danzatrice con l'ascia migliore della sua generazione!”

Le stelle del Gimlîn-zâram erano fresche e dolci come aria primaverile, e Thorin vi entrò pieno di gratitudine con Kíli al suo fianco.

Il giorno della partenza era arrivato, e una grande compagnia di Rohirrim, Elfi e Uomini di Gondor andavano a nord fuori dalla Città. A una certa distanza nella pianura, Aragorn si fermò e guardò gli stendardi svolazzare sulla Torre di Ecthelion per un momento, e un piccolo sorriso gli tirò le labbra. Poi si voltò e guidò la marcia verso Rohan.

Fra loro erano uno Stregone, un piccolo gruppo di Hobbit, e un Nano che cavalcava con un Elfo dei boschi.

Gimli passò molto tempo in conversazione con la Dama Galadriel, parlando dei suoi piani per i Cancelli di Minas Tirith e per la Caverne Scintillanti di Aglarond. Dato che la folla non si muoveva rapidamente, Thorin riuscì a udire gran parte della loro discussione. Per sua sorpresa, la Dama era assolutamente rapita dalla conversazione, e aveva molto da dire a riguardo di arte e del lavoro delle mani.

«Questo è inaspettato» mormorò.

«...gran lavoro» stava dicendo lei, gli occhi pensierosi «Ci vorranno molti anni perché molti artigiani riescano a fare ciò che immagini. Anche se ti ho scambiato per un guerriero, devo ammettere. Non ti avevo creduto un maestro dell'acciaio, mio campione.»

«Mostra un qualche talento» disse Thorin, l'angolo della sua bocca che si incurvava. Non menzionò alcuni dei tremendi errori iniziali.

Gimli batté le palpebre, e ghignò. «Ah, ma io ho un vantaggio nascosto, che voi mi mostraste molto tempo fa! Il mio parente è tornato, Dama: quello che io vidi per la prima volta nel tuo Specchio. Non sono un fabbro, è vero, ma lui mi sta istruendo.»

«Davvero?» disse Legolas, saltando sulla nuova informazione con una certa allegria «Ha per caso qualcosa a che fare col tuo segreto, meleth nín? Gimli mi lascia, mia Dama, ogni mattino. Torna con la barba piena degli odori del fuoco e del metallo. Non mi dirà nulla!»

«Non sta ancora indossando l'anello» sussurrò Kíli. Thorin controllò, e effettivamente la mano di Legolas era ancora spoglia.

«Aye, è una sorpresa per te, curioso! Ma lo sai già!» Gimli rise, e strinse la vita di Legolas «Pazienza!»

«Mai un Nano fu così terribilmente opaco» gemette Legolas.

«Dovrò riferirlo a Balin e Óin, ne saranno felici» commentò Kíli, ghignando. Gimli sbuffò.

«Dunque puoi ancora udire i tuoi parenti, non è così?» i meravigliosi capelli di Galadriel erano legati per la cavalcata, e indossava pantaloni e una tunica leggera nella chiara luce di settembre. Sembrava meno la grandiosa Dama e più una giovane guerriera, in quegli abiti. «Non me lo aspettavo. Pensavo che la connessione si sarebbe spezzata una volta che l'incantesimo dello Specchio fosse passato, e il potere di Nenya svanito.»

«Nay, sono ancora tutti con me» disse Gimli «Idmi, Thorin! Andiamo a Edoras, per dare riposo a Théoden. Da là, manterrò la mia promessa e porterò Legolas alle Caverne Scintillanti sotto il fosso. E poi vedremo ciò che un Elfo può fare con la canzone della pietra!»

«Potrei fare un tamburo, forse» disse Legolas, perfettamente serio «o forse un sonaglio...»

«Elfo impertinente» Gimli gli strinse di nuovo la vita «Avrai la tua vendetta contro di me ben presto: Fangorn è vicina, in fondo!»

«Devi dargli l'anello, Gimli» disse Thorin, alzando un sopracciglio «Hai dei dubbi?»

«No, niente dubbi!» disse Gimli subito «Solo... il momento non si è ancora presentato. Il momento giusto.»

«Gimli» disse Thorin, e sospirò «Non esiste “il momento giusto”. Puoi fidarti di me a riguardo.»

«È piuttosto fastidioso quando parla con l'aria, no?» chiese Legolas alla Dama, che sembrava piuttosto stupita «Mi ci è voluto del tempo per abituarmici.»

«Chi altro sa?» chiese lei, dopo essersi schiarita la gola.

«Aragorn» disse Gimli, e sbuffò «Pensava che avessi avuto un colpo di sole.»

Lei sorrise, e poi la sua fronte si corrugò in pensiero. «Non so perché puoi ancora udirli» disse, scuotendo la meravigliosa testa «C'è una forza che non comprendo.»

«Il tuo Dono?» sussurrò Kíli, e Thorin fece spallucce.

«Forse. Non spiega come Gimli possa udire il resto di noi, però»

«Forse non lo sapremo mai»

«Forse» Il pensiero non disturbava Thorin, come avrebbe fatto una volta.

Kíli storse il naso, e poi alzò la testa per guardare il cielo, blu per miglia e miglia all'orizzonte. «Ebbene, è una belle giornata per cavalcare» disse.

Fu un viaggio piacevole. Thorin rimase fino a ora di pranzo, quando salutò Kíli. Dopo la sua visita a Bilbo a Granburrone (il vecchio Hobbit stava dormendo sulla scrivania), passò qualche tempo alla sua forgia, lavorando con sua madre. Lei stava facendo una nuova arpa.

Dopo cena, decise di fare un'ultima visita a Gimli. Vestito solo dei suoi abiti da notte, camminò scalzo nelle silenziose, echeggianti Sale. L'unico suono era il sussurro dei suoi abiti contro la pietra.

Quando emerse, scacciando le acque e scuotendosi, fu davanti a un grande accampamento. Le alte tende erano probabilmente per Aragorn, gli Hobbit, Éomer e i grandi degli Elfi, ma Thorin, per qualche motivo, non pensava che Gimli sarebbe stato lì.

Li vide presto. Gimli e Legolas guardavano le stelle insieme, sdraiati sull'erba con le teste vicine. «Quella la chiamiamo “lo Scalpello”, e là c'è l'Elmo di Azaghâl» disse Gimli, le dita che tracciavano il vasto cielo luminoso.

«Non dimenticarti la Corona di Durin: la puoi vedere ad Est» gli ricordò Thorin.

«Ah, certo – puoi vedere la Corona di Durin là, le sette stelle sopra le Montagne Nebbiose. Puoi vederle? Sono quelle che si riflettono perfettamente nel Kheled-zâram, dove il mio grande antenato camminò dopo essersi svegliato dal suo lungo sonno.»

Legolas guardò il volto di Gimli, la luce stellare si rifletteva sulle sue guance e sulla sua fronte chiara. «Ho tutte le stelle che desidero vedere proprio qua» mormorò.

Il rossore di Gimli poteva essere notato anche nel buio. «Come le chiamate voi?»

Legolas sorrise, e permise a Gimli di ritirarsi. Sistemando la testa comodamente sulla spalla di Gimli, alzò gli occhi al cielo stellato e rimase in silenzio per un momento, pensieroso. «Conosci la Lampada di Eärendil» disse, e indico con il lungo dito «Ma puoi vedere anche le costellazioni Wilwarin, Telumendil, Soronúmë, e Anarríma. Sono antiche, poste là da Elbereth stessa prima che si svegliassero gli Elfi, un segno per noi nel buoi. Da quel tempo primordiale abbiamo sempre avuto le stelle come guida.»

Gimli guardò quella che Legolas aveva chiamato Telumendil. «Noi quella la chiamiamo l'Arnese di Mahal.»

Legolas scoppiò a ridere.

«Il Martello di Mahal, Gimli» sospirò Thorin, divertito nonostante tutto.

«Oh, piantala, Thorin, sai benissimo come la chiama la gente» disse Gimli, gli occhi luminosi per il divertimento «Il Martello di Mahal sarà nei documenti ufficiali, ma non è così che è chiamata nella canzone e nella filastrocca!»

Thorin scosse la testa. «Tuo padre sarebbe mortificato.»

«Mio padre è quello che me l'ha insegnata»

«Avrei dovuto saperlo»

Ci fu una pausa, e Legolas chiese: «Re Thorin, sapete nulla di come stanno le nostre famiglie? Se poteste dircelo, ne sarei grato.»

Le labbra di Gimli si strinsero, e avvolse un braccio attorno alle spalle di Legolas. «Ti arrabbieresti se glielo dicessi Thorin?»

«Mi arrabbierò se sprechi più del tuo tempo per dargli quell'anello» gli disse Thorin, e si sedette al loro fianco. I suoni dei cavalli legati e l'occasionale russare dei cavalieri addormentati attorno a loro accentuava la pace del momento. «Ma no, non ho obiezioni. Sa del fatto che le lettere sono arrivate?»

«Aye»

«Bene, allora non dovrò raccontarti tutta la storia» Thorin si stiracchiò il collo «Dovrò tornare presto. Vi racconterò come stanno le cose, e poi andrò a letto. E anche voi dovreste.»

«Grazie, Signore»

«Il mio nome, per favore. Ursuruh inùdoy kurdulu potrai essere, ma non sono un padre per te»

«Scusa. Thorin. Mi dimentico a volte»

Legolas lo stava guardando perplesso.

«Ah, solo qualche chiacchiera. Scusami, âzyungelê» Gimli gli carezzò la spalla con un largo pollice «Thorin, è successo nulla da allora?»

«Non molto, no» Thorin si grattò la guancia «I fratelli di Legolas sono divisi in proposito, però. Il maggiore, Laindawar, ha fatto sua missione scoprire tutto quello che si può di te.»

«Oh, mahumb» gli occhi di Gimli si allargarono «Spero sinceramente che non parli con Dwalin, allora. Sarebbe imbarazzante.»

«Cosa?» Legolas gli punzecchiò il fianco «Alcuni di noi possono solo sentire un lato della conversazione!»

«Ti sta bene per spettegolare in Elfico con Aragorn tutto il tempo» disse Gimli «I tuoi fratelli non sono d'accordo su di noi. Quello maggiore, Lain-?»

«Laindawar» disse Legolas, la voce mozza.

«Sta cercando di raccogliere tutte le informazioni compromettenti su di me» finì Gimli. E fece una smorfia. «Urgh. Spero non scopra mai la Taverna di Nori.»

Thorin sbuffò piano. «Speriamo. Il minore, Laerophen, è fermamente dalla vostra parte. È diventato buon amico di tuo nipote.»

«Cosa! Davvero?» Gimli si sedette di colpo, facendo cadere Legolas per terra «Ebbene, questa è una vera notizia! Il mio bell'Azaghîth, il mio piccolo tasso, amico col fratello di Legolas!»

«Aspetta! Spiegami, per favore!» disse Legolas, spingendosi su e levandosi una ciocca di capelli dalla faccia «Intendi dire Laerophen?»

«Aye, quello di mezzo, giusto?» Gimli diresse la sua meraviglia all'Elfo, che annuì in uguale stupore «Amico con il nostro piccolo terrore combinaguai! Questa è una sorpresa e mezza! Ebbene, se c'è anche solo un Elfo nella montagna che ci vede per come siamo, allora ne sono felice. Benedetto il cuoricino allegro di Gimizh!»

«E mio padre?» disse Legolas dopo essersi ripreso, e Thorin fece una smorfia.

«Rimane nella Montagna, anche se il ghiaccio si è sciolto. Alcuni si chiedono perché. Riguardo la vostra relazione, non commenterà. Si attiene alla sua precedente dichiarazione: che né riconosce né acconsente all'unione, e la crede innaturale e indegna della posizione di Legolas. Ma sembra ci sia qualche prova che non sia tanto intransigente.»

Legolas sbuffò in modo indelicato. «Ora, questo è un sollievo!»

Gimli passò una grande mano abbronzata sui capelli di Legolas. «Glielo faremo vedere, in qualche modo» mormorò.

«Vorrei avere il tuo ottimismo» disse Legolas, e il suo sospiro era amaro.

«Adesso, mio caro» disse Gimli piano, e la sua mano andò ad accarezzare il mento di Legolas e alzarlo «Sei tu ad avere avuto speranza per noi, tutto questo tempo: non mi dà fastidio portarla per un po' se tu barcolli.»

Legolas sorrise, e lo baciò. «Va bene.»

«Che mi dici di Gimrís? Mia madre?» Gimli esitò «Mio padre?»

Thorin si era girato leggermente: non aveva alcun desiderio di vedere le dita di Legolas stringersi nell'onda rossa della barba di Gimli, non importa quanto volesse bene a entrambi. Si concentrò di nuovo su di loro e riportò la mente sulla questione. «Tua sorella è ferocemente occupata» disse «Mi ricorda Óin a volte, sempre in movimento qua e là con qualcosa da fare e le medicine che le cadono dalle tasche! Ha sviluppato una forte antipatia per Laindawar, perché ha diretto a lei la maggioranza delle sue domande impertinenti.»

Gimli si morse il labbro. «Oh. E lui ha ancora tutti gli arti attaccati, sì?»

«Sì» rispose Thorin «A malapena. Tua madre si è presa il compito di attendere all'educazione di Laerophen.»

Gimli riferì ciò a Legolas, che si accasciò contro di lui e fissò Gimli. «Questo è tutto così difficile da credere» disse con voce debole.

«Cosa troveremo» mormorò Gimli. Poi alzò il mento. «E Pa'?»

«Si è assentato per qualche tempo» gli disse Thorin, con rimpianto «Non viene più nemmeno al Consiglio.»

«Oh per la barba di Durin, il Consiglio, mi ero dimenticato del Consiglio! Mahal solo sa cosa ne pensi il Re di questo» disse Gimli, e le sue spalle si abbassarono.

«Ah, almeno in questo caso ho delle nuove migliori» Un'ondata di orgoglio gli riempì il petto «Il Re Elminpietra lo trova sia esilarante che bizzarro, ma non porta rabbia per nessuno di voi due, e ciò che il Re decide il Consiglio deve seguire. Si sono tutti messi in riga dietro a mia sorella. Non vuole sentire nulla contro di te, né contro Legolas. Nulla.»

«Oh, che la tua barba diventi sempre più lunga, Zia Dís» disse Gimli esplosivamente, e si appoggiò a Legolas. Guardando l'Elfo, disse: «Ebbene, ci aspetta un bel nido di vespe quando torneremo.»

«E ci abbiamo messo dentro la faccia con quelle nostre lettere» disse Legolas, la sua espressione cupa.

«Non poteva saperlo» disse Thorin «Tentare qualcosa che non funziona a meraviglia è meglio di non tentare nulla, non siete d'accordo?»

«Aye, c'è della saggezza in ciò che dici» Improvvisamente Gimli ghignò «Sembra che alla fine riuscirò a combattere un drago o due, eh?»


Vestiti dei loro abiti migliori, le armi scintillanti alla luce del sole, la gente era raccolta attorno ai Tumuli di Edoras. Una pietra tombale era stata innalzata, l'ottava da quel lato del campo. Gimli aveva prestato la forza delle sue braccia per alzarla, e sarebbe rimasta là fino alla fine dei tempi.

Quando la porta fu chiusa, Éowyn alzò il viso e iniziò a cantare.

[Traduzione]

Out of doubt, out of dark, to the day's rising
He rode singing in the sun, sword unsheathing.
Hope he rekindled, and in hope ended;
Over death, over dread, over doom lifted
Out of loss, out of life, unto long glory.

Merry rimase da parte, il volto bagnato di lacrime. Pipino gli stringeva la mano, e per una volta la sua lingua era ferma.

«Théoden Re, Théoden Re! Addio! Come un padre fosti per me, per qualche tempo» disse Merry piano, mentre l'ultima pietra veniva posata da Éomer stesso «Addio!»

Allora i cavalieri si fecero avanti e si tolsero le loro belle tuniche, e coprirono la tomba di terra. Gimli strinse la mano di Legolas, e si fece avanti per aiutare come poteva, togliendosi la giacca e il panciotto e inginocchiandosi accanto agli Uomini. Legolas lo guardava avidamente, e Aragorn nascondeva un sorriso.

«Merry» disse Éowyn piano, avvicinandosi a lui.

Lui alzò la testa verso di lei, il labbro tremante. Senza una parola corse avanti e la strinse attorno alla vita. Lei gli posò una mano dolce sulla testa, e le lacrime le correvano lungo le guance mentre parlava.

«Era il migliore dei padri» sussurrò.

Infine la tomba fu coperta. Gandalf si fece avanti e alzò il bastone, e fiori bianchi iniziarono a spuntare da sotto il terreno mosso, coprendo il tumulo. «Che tu possa dormire sereno, amico mio» lo si udì mormorare. Gli Elfi osservavano con occhi solenni.

Il Palazzo d'Oro di Meduseld era pieno di luce, e le celebrazioni erano rumorose quanto Thorin ricordava. Socchiuse gli occhi attraverso la nebbia di fumo che saliva dal pavimento, e riuscì a vedere Éowyn porgere a suo fratello una coppa. Éomer baciò la fronte di sua sorella e la strinse a sé alzandola.

«Ora, ascoltiamo i nomi dei Re!» urlò un menestrello, e poi tutti furono recitati: tutti i nomi dei Signori del Mark in ordine, da Éorl il Giovane fino a Théoden il Vecchio. E al nome di Théoden, Éomer bevve la coppa.

Éowyn gli sorrise e disse: «Salve, Éomer, Re di Rohan!»

«Oh, non si può parlare soltanto di me, sorella» disse lui, un luccichio negli occhi «Perché non sono io l'eroe in questa ora, e nemmeno nostro zio...»

«Éomer, non osare...» iniziò lei, ma lui si stava già facendo avanti, la coppa alta.

«Riempitemela, per favore! Buona gente, ci chiedo di riempire nuovamente le vostre coppe! Perché questa è la festa funebre di Re Théoden, ma prima di andare voglio annunciarvi notizie di gioia, perché a lui non dispiacerebbe: fu sempre un padre per mia sorella Éowyn. La mia coraggiosa e valorosa sorella!» Qua picchiò i piedi e alzò la voce in un urlo, e tutti ruggirono in risposta.

Éowyn arrossì, e si alzò dritta.

«Ecco come ci si sente ad essere vista infine, mia Signora» disse Gimli sottovoce. Thorin lo guardò, e sorrise. Legolas si era sdraiato sulle spalle larghe di Gimli come un mantello determinato, la guancia premuta contro i capelli di Gimli. «Ora tutta la libertà del mondo sarà tua.»

Éomer aspettò sinché l'urlo si fosse calmato prima di continuare. «Udite quindi, voi tutti miei ospiti, popoli felici di molti reami, come non se ne sono mai veduti in questo salone! Faramir, Sovrintendente di Gondor e Principe dell'Ithilien, chiede che Éowyn Dama di Rohan divenga sua moglie, ed ella lo accetta con tutto il cuore. Essi quindi si fidanzeranno davanti a voi tutti.»

Così Faramir fu spinto in avanti dai suoi uomini, che stavano ridendo, e prese le mani di Éowyn. Lei abbassò gli occhi, il rossore imbarazzato ancora sulle sue guance, ma quando li alzò di nuovo erano compiaciuti, e felici. Faramir, da parte sua, sembrava sul punto di esplodere dalla gioia. Quando l'unione fu dichiarata, la sala erutto in grida nuovamente.

«Un giorno» sussurrò Legolas all'orecchio di Gimli «andremo davanti ai nostri Signori e si stringeremo le mani, e annunceremo il nostro fidanzamento. E loro ne saranno felici.

«Aye, lo saranno» Gimli bevve un sorso dalla sua coppa, e deglutì «Spero che lo saranno.»

«In tal modo» urlò Éomer sopra la confusione «un nuovo vincolo rinsalda l'amicizia di Gondor e del Mark, procurandomi ancora più felicità! Perché mia sorella più di tutti si merita gioia!»

Éowyn guardò sorto suo fratello quando le urla tornarono, il suo nome urlato ancora e ancora dalla folla. Lui ghignò, senza alcun rimorso.

«Non dimostri certo di essere avaro, Éomer» disse Aragorn «dando a Gondor ciò che di più bello c'è nel tuo reame!»

Éomer sbuffò. «Come se io avessi deciso nulla. Le scelte di Éowyn sono le sue, infine.»

Éowyn guardò Aragorn negli occhi, come se stesse abbandonando un pensiero che a lungo l'aveva perseguitata. Dopo un momento disse: «Augurami felicità, mio sire e mio guaritore!»

Il volto di Aragorn si addolcì. «Ti augurai felicità la prima volta che ti vidi. E guarisce ora il mio cuore al vederti colma di gioia. Sii felice, Éowyn.»

«Bene! Basta con queste cose ora. Sentiamo della musica!» disse Glorfindel forte. Elrond sospirò.

«Mi piace lui» disse Pipino, ghignando.


Passò qualche settimana. Dáin era ad Erebor spesso quasi quanto Víli, osservando suo figlio e Bomfrís e quasi illuminandosi per l'orgoglio. «Lei è una gran ragazza, sapete?» lo si poteva sentire dire a Balin, che annuiva divertito «Quel corvo sulla sua spalla non sta mai fermo. Lei ha convinto tutti gli arcieri ad aiutare nelle ricostruzioni di Dale. Dovrebbe riposarsi di più però: quel bambino non è certo piccolo e cresce in fretta, e lei si stanca subito ora. Ma dannazione se non continua ad andare!»

«Non l'ha ancora sposato, sbaglio?» chiese Balin «Al Consiglio non piacerà.»

«No» Dáin si strofinò le mani con una certa allegria, svegliando il maialino che teneva in braccio «Ah, gli fa bene essere contraddetti ogni tanto. E francamente, non penso lei voglia sposarlo. Lei ama il mio ragazzo con tutta se stessa, certo, ma non vuole una corona e l'ha fatto sapere a tutti.»

«Non lo sposerà!» la bocca di Balin si spalancò, e lui iniziò a sputacchiare «Ma... ma...!»

«Adesso, non farne una tragedia, mio amico Siniscalco» disse Dáin sorridendo «Sono sposati in tutto tranne che in nome, no?»

«Come lo segnaleranno gli storici? Perché no?»

Dáin si diede delle pacche sulle ginocchia, e ghignò al nulla. «Ha detto di essere Bomfrís, la figlia di una conciatrice e di un cuoco, e così vivrà e così rimarrà. Possono chiamarla Lady, se vogliono. È una gran concessione, per lei! Ma non la chiameranno mai Regina, ha giurato.»

Balin fece un enorme sospiro, e si raddrizzò. «Il bambino, allora... non sarà...»

«Aye, certo che lo sarà!» rise Dáin «Chiunque sarà il prossimo a governare Erebor, non sarà un Thorinul. Sarà un Bomfrísul!»

Balin rimase a bocca aperta. «Hrera avrà un aneurisma.»

«Avrò cosa?»

Balin chiuse gli occhi. «Oh, Creatore salvami.»

Dáin spiegò tutto – con molti dettagli e molta gioia. Quando finì Balin si preparò all'inevitabile cascata di terribile sarcasmo, ma stranamente Hrera si limitò ad annuire in severa approvazione, e disse: «brava ragazza. Ha mostrato un eccellente buon senso Vastifascio, così facendo. È ora che voi tutti ne abbiate un po'.»

Quando Balin aprì gli occhi, Dáin stava accarezzando il suo maialino e lo fissava con uno sguardo compiaciuto che non aveva bisogno di parole.

«Oh, sta zitto, vostra Maestà» disse Balin, e seppellì il volto nella barba.


«Guarda dove cammini qua» disse Gimli, spingendo Legolas in avanti con entrambe le mani.

«Non riesco a guardare nulla, meleth, come sai benissimo» disse Legolas irritato. Tutta la sua grazia Elfica l'aveva abbandonato nel buio totale, e stava cercando a fatica di respirare. «Non capisco come io possa vedere la bellezza di queste caverne se non vedo nemmeno la luce dei tuoi occhi, forse due piedi davanti a me!»

«Presto, amore. Presto accenderò la torcia. Ma dove il sentiero si restringe noi non riusciremmo a portarla senza bruciarci» disse Gimli, le scuse profonde nella sua voce «Mi dispiace. Stai abbastanza bene? Possiamo tornare indietro.»

«Abbiamo fatto un patto e io lo rispetterò» disse Legolas, stringendo la mascella testardamente e stringendo le mani di Gimli «Mi vendicherò quando ogni radice di Fangorn cercherà di farti cadere.»

Gimli rise. «Aye, e mi vedrai inciampare e imprecare, te lo prometto. Siamo quasi arrivati. Il passaggio si stringe fra circa dieci iarde: dovremo strisciare per un poco.»

«Strisciare!» Legolas era stupefatto «Sarebbe normale per i Nani? Ho parlato con più accuratezza di quanto non sapessi quando ti ho chiamato una talpa?»

«Abbastanza normale per chi esplora caverne, Elfo impertinente. Ho fatto un apprendistato nelle miniere, anche se non mi chiamerei un esperto, e sono strisciato in molti tunnel in gioventù. Dunque forse talpa non è troppo lontano dalla verità: in fondo hanno degli artigli piuttosto impressionanti e fanno grandi scavi!»

«Sostieni di non essere un esperto in nulla tranne combattere, Gimli» sospirò Legolas.

«Sdraiato di pancia qua, Legolas. Non per molto»

«Peccato» disse Legolas, completamente innocente, e ascoltò deliziato Gimli sputacchiare. Oh ma che gioia era provocare e stuzzicare con la mente piena di desiderio!

Strisciò nello stretto tunnel dietro gli stivali di Gimli, tenendo i suoi respiri brevi e poco profondi. L'aria non era fetida e malata, come a Moria, né era fredda come una tomba come nei tunnel sotto il Monte Invasato. Era fresca ma pesante: una stanza rimasta chiusa troppo a lungo, che aspettava che qualcuno vi vivesse dentro nuovamente. Legolas trovò che il peso delle Montagne Bianche non lo riempisse di paura, ma di un senso di essere nascosto e protetto dai selvaggi venti delle brughiere all'esterno.

Cosa si poteva fare in questo luogo, si chiese, muovendosi in avanti con i gomiti e le ginocchia? Una porta d'entrata migliore, di certo. Una che non lasciasse coperti di muschio e acqua di caverna!

«Quasi arrivati, mio Uno» sbuffò Gimli «E poi vedrai!»

«Sarei felice di vedere qualsiasi cosa, ora» rispose lui.

«Ah, la leggendaria pazienza degli Elfi!» ridacchiò Gimli, a corto di fiato «Ecco, sono arrivato nella prima caverna. Puoi alzare senza romperti quella bellissima testa, ghivashelê

Con grazia Legolas si tirò fuori dall'imboccatura del basso cunicolo, e allungò le braccia. Le eco attorno a lui parlavano di una caverna spaziosa vicina, di questo era certo; e c'era il suono cristallino di acqua che cadeva vicino, come vetro tintinnante. «Una grande caverna» disse, per ascoltare la sua voce che gli rimbalzava indietro, ingigantita e moltiplicata dalla pietra lontana.

«Aye, e canta come un coro, senti?» grugnì Gimli, allungandosi, e poi si poté udire lo schioccare del suo acciarino «Potresti tenermi la torcia, per favore?»

Legolas allungò le braccia alla cieca, e la mano di Gimli prese la sua e strinse. «Riesco a vederti» mormorò «Non avere paura. Accenderò la torcia in un istante.»

«Non ho paura» E Legolas si sorprese del fatto che davvero non lo era. Questo luogo sembrava accogliente, nonostante la stranezza e la poca dignità del loro ingresso. «Penso di piacere a questa Montagna. Noi gli piacciamo. Penso gli piaccia che siamo qui.»

«Aye?» Il soffio della pietra focaia sibilò nell'aria quando Gimli fece partire le prime scintille «Considerando che la tua unica esperienza con le grandi montagne prima d'ora è stata con il Caradhras, direi ci sia decisamente spazio per i miglioramenti.»

«Non so dire quanto accogliente sarebbe stata se non avessi avuto te al mio fianco, a guidare i miei passi» disse Legolas. Il volto di Gimli si accese a lampi quando la pietra focaia fu colpita, i suoi occhi brillanti come rubini neri. L'esca prese fuoco, e Gimli la alzò verso la torcia che Legolas stringeva.

«Aspetta un momento, per i tuoi occhi» disse Gimli piano «Lascia che si abituino.»

Legolas batté le palpebre, e le strane forme di fuoco premute sulle sue retine lentamente svanirono. «I miei occhi stanno bene, meleth nín» disse, e spinse via una ciocca dei capelli di Gimli che era sfuggita alla treccia mentre strisciavano «Devo rifarti le trecce.»

«Prima, hai una meraviglia da vedere» gli promise Gimli.

«Vedo già una meraviglia» disse Legolas, solo per guardare la bocca di Gimli incurvarsi un sorriso compiaciuto e imbarazzato.

«Non c'è bisogno che tu lusinghi ciò che è già tuo, Legolas. Andiamo, alza la torcia e seguimi! La caverna gira, e poi si apre. Erano quelle le eco che hai sentito.»

Gimli si voltò e trottò avanti. Il sentiero era irregolare e scivoloso, scolpito dalle sconosciute mani del tempo, e Legolas seguiva con piedi cauti. Gimli non si fermò ma camminò senza esitazione, i suoi pesanti stivali trovavano sempre il punto migliore dove poggiarsi.

«Sì, qua» disse infine, e spinse Legolas avanti a sé «Ricorda di tenere alta quella torcia!»

«Non la farò cadere, per chi mi-» E poi Legolas non ebbe più parole, assolutamente nessuna.

Davanti a lui era un immenso spazio diverso da qualunque altro lui avesse mai visto, pieno di pilastri che si attorcigliavano come alberi e brillavano come rugiada. Le colonne si allungavano dal pavimento al vasto soffitto in alto; la pietra ricadeva e si gonfiava come vele di grandi navi. Una cascata scivolava con dita d'argento lungo un intero muro, come una tenda di vetro smerigliato. Un lago era ai suoi piedi, dondolava dolcemente, e gioielli gli fecero l'occhiolino dalle profondità.

Il respiro di Legolas era intrappolato nel suo petto, e alzò la torcia. Il soffitto decorato era pieno di cristalli luminosi di ogni dimensione e colore, ed essi catturarono la sua debole luce nei loro cuori e la infiammarono come le stelle. I pennacchi e le colonne di pietra erano intagliati in forme sinuose, di rosa e oro e marmo tutti mischiati. Erano come antichi alberi, presi da un vento antico, per sempre fermi nella loro ultima posa.

«Gimli» sussurrò «Oh, Gimli...»

«Guarda questo» disse Gimli, i suoi occhi che brillavano gloriosi come una gemma. E prese un sassolino e osservò la grandezza della caverna, guardando il piccolo lago. Poi la gettò in acqua.

Le stelle sotto la terra danzarono, catturando la luce che si rifletteva dalla superficie del lago e cambiandola, giocandovi come un gattino con un nastro. Le gemme sott'acqua luccicarono quando le onde si mossero in cerchi: il soffitto abbagliava gli occhi di Legolas, e lui dovette sussultare e sussultare ancora.

«Questo luogo è stato intagliato dall'acqua» mormorò Gimli. La sua voce tornò da ogni superficie, borbottando come l'anima stessa della terra. «Ogni inverno la neve si scioglie, e quella cascatella allaga ogni cosa. Sono stato fortunato ad aver mancato la piena, o la mia fuga sarebbe stata un poco più bagnata di quanto non avessi pianificato.»

«E cosa farai qua?» Legolas girò sul posto, e arcobaleni di colore esplosero in ogni direzione, la loro luce circondava ogni piccola goccia d'acqua sui cristalli, brillando profondi e accesi attorno al penetrante luccichio delle gemme «Vorresti domare il fiume?»

«Perché, mai e con nessun mezzo» Gimli rise, e la terra rise con lui «Rovinare questa bellezza? No, questa sala rimarrebbe com'è. Potremmo deviare le acque durante la primavera, per altri lavori, ma certo non tutte. Questo lago è troppo prezioso per essere distrutto.»

«Bene» sussurrò Legolas. Alzò una mano, come per accarezzare le mura.

«Ah, no!» Gimli gli afferrò la mano «No, mio caro Elfo, questo non deve essere toccato. I minerali qui non sopportano il grasso della nostra pelle, e sarebbero danneggiati. Sono meravigliosi sia per la loro longevità che per la loro fragilità.»

«Oh» Legolas non poté fare a meno di pensare alla caduca bellezza dei petali di fiore: sia antichi che delicati.

«Ascolta» disse Gimli, e strinse la mano di Legolas «Puoi udire?»

Lo sfrigolare della torcia sembrava troppo rumoroso per Legolas, dunque la incastrò in una fessura fra le rocce e avanzò a mani vuoti. Si sentiva alleggerito senza di essa, senza peso e accolto in quelle braccia stellate di pietra. I suoi occhi si socchiusero mentre sforzava le orecchie. Le eco dell'acqua che cadeva tornavano a lui, e scosse la testa. «Sento solo le eco...»

«Aye, le eco sono come all'inizio ci viene insegnato» disse Gimli, e alzò la testa per guardare Legolas «Alle eco, allora.»

Legolas lo guardò, un Nano circondato di luce danzante e fiammeggiante con i capelli che gli cadevano sulla fronte, mentre ascoltava di nuovo.

«Ancora più vicino, âzyungelê» disse Gimli, quasi troppo piano per essere udito. La sua voce era il movimento sotterraneo dei continenti; il lento scivolare di roccia fusa nelle profondità. I suoi occhi erano più luminosi di ogni gioiello.

C'era una pulsazione bassa e profonda. «Riesco a sentire il tuo cuore» disse Legolas, con lo stesso tono basso di Gimli. Temeva di fare rumori più forti; questa caverna aveva un'aria senza tempo o respiro, un senso di sacro e misterioso, e Legolas fu colpito sino all'anima.

«Dice “Legolas, Legolas, Legolas”?» chiese Gimli, i suoi denti un lampo bianco quando ghignò.

«Dice “birra, birra, birra”» rispose Legolas, sentendosi impertinente.

«Ah! Il mio unico vero amore!» Gimli rise piano «Sciocchezze a parte, sai che batte per te. Riesci a sentire dove la sua eco finisce, dove il silenzio inizia? Ascolta!»

Legolas ascoltò.

C'era davvero qualcosa, tra il lento battere regolare del grande cuore di Gimli – una eco che non era una eco – una risposta. Più lenta e profonda e antica persino delle canzoni di antiche radici, debole eppure presente in ogni cosa. Legolas fu certo che questo strano, profondo ritmo potesse essere udito in tutto il mondo.

«Posso udirla» mormorò, e le sue ginocchia erano deboli.

«Mahal cantò della pietra» disse Gimli, e baciò il dorso della mano di Legolas. La sua barba era un grattare dolce e delizioso. «Nel vuoto, prima che Elfo o Nano o persino terra fossero creati. Cantò della pietra. Ora puoi udire i battiti che usò.»

«Gimli» Legolas non riusciva più a rimanere in piedi, e cadde in ginocchio per seppellire il volto nel petto robusto di Gimli «Oh, Gimli, questa è una meraviglia troppo grande per me...!»

«Non penso, mio Elfo» Gimli spinse una mano fra i suoi capelli, le ciocche gli scivolarono fra le dita «Non se puoi udirla.»

«Ti insegnerò come sentire il canto delle foglie, le radici che bevono dalla terra» ansimò lui, la guancia premuta contro la giacca di pelle di Gimli «Non riuscirò mai a ripagarti per ciò che mi hai dato qui.»

«Sciocco Elfo, non serve che mi ripaghi» Sentì un bacio che veniva posato sulla sua testa, tradendo le parole brusche di Gimli «Tu sei amato da un Nano ora, e questo è ciò che sei. Sarebbe una grande mancanza da parte mia se non te lo mostrassi.»

«Sansûkhâl» sussurrò Legolas contro il suo petto, e lo baciò appena sopra quel dolce, coraggioso, forte cuore «Non ho segreti come questi, non ho grandiosi doni da darti...»

«Tu sei un dono sufficiente, per me e per il mondo» disse Gimli dolcemente, e la sua mano passò lungo la testa di Legolas per accarezzargli una guancia «Non dubitarlo mai. Io ho a malapena iniziato a scoprire che meraviglia tu sia.»

Con lui in ginocchio, erano quasi della stessa altezza: Gimli per una volta un poco più alto di Legolas. Da quella posizione, Legolas poteva allungarsi in avanti e baciare Gimli con facilità, piegando il collo in avanti per catturare le sue labbra.

Non seppe dire per quanto si baciarono, ma seppe che le stelle stavano danzando.

«Mm, parlando di doni» disse Gimli, e diede a Legolas un ultimo rapido bacio sull'angolo della bocca. I suoi baffi erano ruvidi e folti, un dolce contrasto alla morbidezza delle sue labbra. Legolas si premette contro il solido corpo robusto, inseguendo quella bocca intelligente e la sua lingua d'argento, le braccia avvolte attorno al collo tozzo di Gimli. «Ora, sei insaziabile! Ho un altro dono da darti. Ma» ora Gimli pareva timido «Non posso dire che abbia lo stesso valore degli altri due.»

«Sto per scoprire il frutto di tanta segretezza infine?» chiese Legolas, e leccò una striscia lungo la pelle sotto l'orecchio di Gimli. Lui sapeva di sudore e terra, pelle e sangue e carne viventi, non pietra. Gimli rabbrividì, la bocca aperta.

«Ora, basta, o riceverai un tipo di dono completamente diverso!»

«Che genere di incentivo sarebbe quello per fermarmi?»

«E dicono che i Nani siano quelli avidi» Gimli lo baciò fino a farlo rimanere in silenzio, e ci volle un po' di tempo. Legolas si perse nuovamente, e le stelle si avvolsero deliziate attorno a loro. «Dovrebbe calmarti! Ora, dov'è...» Iniziò a cercare nelle sue tasche, e poi ne estrasse qualcosa «Giusto.»

Legolas si raddrizzò mentre Gimli borbottava e sbuffava in un modo decisamente Nanico per un secondo o due, il mento premuto contro il petto e le guance in fiamme. «Legolas» disse, e si schiarì la gola «Ecco. Quando noi ci innamoriamo, sappiamo che sarà l'unica persona per noi, e io non ero... beh, non sono un gioielliere, ma...»

«Gimli» disse Legolas dolcemente «Ti amo, elen nín

Lui si illuminò, e si raddrizzò. «Ed io amo te.»

«Calmati, mir nín. Mi hai fatto qualcosa? Qualcosa che simboleggi il nostro legame? Già lo adoro»

Gimli parve un poco oltraggiato. «Non l'hai ancora nemmeno visto!»

Legolas gli sorrise.

«Va bene, va...» Gimli si riscosse un poco, e poi allungò una delle sue grandi mani, le dita strette attorno a qualcosa che luccicava nella luce riflessa della caverna di gioielli «Ecco.»

Legolas ignorò il proprio tremare prendendolo con dita caute. «Oh, meleth

«È... è la mia vecchia pepita, quella che ti sei tenuto» Gimli fece spallucce, e sorrise nervosamente. Non aveva mai mostrato paura davanti a Mannari, Nazgûl e tutta la potenza di Mordor, pensò Legolas meravigliato, rigirandosi l'anello fra le mani.

«È bellissimo» disse infine «Ti ho detto che mi piaceva.»

Gimli dondolò sul posto, mordendosi le labbra arrossate per i baci. «È della tua misura?»

«Mettimelo» disse Legolas, e alzò la mano con cui usava l'arco «Ah! Sì lo è, è perfetto! Hai un buon occhio. E dici di non essere un fabbro o un gioielliere!»

«Mi sono fatto dare qualche lezione» disse Gimli, fissando l'anello sul lungo dito di Legolas con qualcosa che assomigliava alla meraviglia «E alla mia età! Ma trovo che sia valsa la pena di ogni singolo errore fatto imparando, in questo momento.»

L'anello era coperto in decorazioni rialzate: il sigillo di Gimli intrecciato con foglie e fiori. Il suo peso era strano e non familiare sulla mano di Legolas, ma lui la usò per infilare le dita nella barba di Gimli e tirarlo più vicino. «Ebbene, mio Lord delle Caverne Scintillanti» sussurrò «dato che hai soddisfatto le tue usanze per le unioni, soddisfiamo infine le mie.»

Gli occhi di Gimli si allargarono. «Legolas, sei sicuro?»

Come risposta, Legolas si premette di nuovo contro Gimli e coprì nuovamente la sua bocca, spingendolo sul pavimento coperto di gioielli.

Il battito della terra cantava a ritmo col suo cuore, e le stelle luccicavano per la gioia sopra di lui.


Quando Gimli e Legolas andarono in visita alle Caverne Scintillanti, Thorin li lasciò da soli per rispetto.

(Rispetto, e un forte desiderio di non vedere nulla di... intimo.)

Tornarono dopo qualche giorno, il braccio di Gimli attorno alla vita di Legolas. Thorin poté solo ridere all'accoppiata che facevano insieme. Erano così diversi, ma sembravano così naturali insieme. Chi l'avrebbe mai sognato?

«Sembri felice» disse Bilbo.

«Lo sono» rispose lui, e giocherellò col fermaglio nella sua corta, sottile barba «Lo sono, idùzhibuh

Bilbo si girò nuovamente verso Gimli e Legolas che abbracciavano Aragorn, e alle chiacchiere degli Hobbit attorno a loro. «Ti sta bene» disse.

Thorin lo guardò si sottecchi. C'era una marea crescente di rosa sul suo collo, e la sua bocca era incurvata pensosamente. «Anche a te.»

Legolas indossava l'anello sul suo dito, e c'era una nuova luce nei suoi occhi mentre parlava felicemente con Pipino e Sam. «No, no, non so come poterle descrivere a parole!» stava dicendo «Sono tutto ciò che Gimli aveva promesso, e anche di più. Come una coperta di stelle, come una foresta di corallo sotto le onde, e di più! Ma non riesco a dare loro alcuna giustizia. Solo Gimli può trovare le parole per descriverle. E mai prima un Nano ha potuto dichiarare vittoria su un Elfo in una sfida di parole!»

«Penso che la tua lingua sarebbe piuttosto pronta allo sforzo» mormorò Gimli.

Sam divenne viola.

«Comportati bene, marito mio» disse Legolas, le labbra incurvate «Se non vuoi che Sam qui abbia un colpo! Per quanto riguarda la mia lingua, ebbene, andiamo a Fangorn, e decidiamo in proposito.»

«Non potrò portare la mia ascia in quel bosco» sospirò Gimli «Mi mancherà! Ma d'altra parte, i benefici sono più che sufficienti, suppongo.»

«Aspettate un attimo, indietro – mariti?» disse Pipino ad alta voce.

Legolas sorrise, aperto e privo di preoccupazioni o vergogna per la sua gioia come sempre. Thorin lanciò alla sua stella un rapido sguardo indagatore. Gimli si limitò a ridere e prendere la mano di Legolas, baciandone il dorso e strofinandoci sopra le sue larghe dita abbronzate. «Beh, in un certo senso» disse «Alla mia gente serve un po' più di formalità che a quella di Legolas!»

«Thranduil lo ucciderà» disse Bilbo, suonando piuttosto impressionato.

«Ma è fantastico!» disse Sam, ancora molto rosso attorno alle guance e al collo, ma poi tirò su col naso e aggiunse: «avreste dovuto lasciare che vi cucinassi una banchetto nuziale. Non è un vero matrimonio senza un banchetto.»

Gimli lanciò un'occhiata a Legolas, il quale sbuffò. «Sì, sì, mi avevi avvisato» disse, alzando gli occhi al cielo.

«Sono stupefatto» annunciò Pipino «Avete ignorato tutti i miei ottimi consigli, e ci avete derubati di un'altra festa.»

«Dovremo farne due ora, per metterci in pari» disse Merry.

Gli occhi di Aragorn era seri e profondi quando si posarono sulla coppia. «Possiate voi trovare ogni gioia insieme» disse, e Gimli chinò la testa, mentre Legolas offrì quello strano gesto Elfico della mano sul cuore.

«Cos'hai al dito, Legolas?» disse Frodo, la voce un poco esitante. Legolas guardò la sua mano aperta, e poi la alzò perché gli altri la vedessero.

«L'ha fatto Gimli» spiegò «Sostiene di essere un pessimo fabbro, null'altro che un guerriero, ma guardate cosa sa fare con un pezzo di vecchio oro e un pensiero mezzo formato? Meleth, sei una meraviglia! L'ha fatto a Minas Tirith per me. È per questo che andava a nascondersi tutte quelle mattine!»

«Ah, ho avuto un aiuto» mormorò Gimli, compiaciuto e imbarazzato.

«Hai trovato il momento giusto» disse Thorin, cercando a fatica di non sorridere come uno sciocco che ha avuto troppo sole. L'anello era bellissimo, e nonostante tutte le paure di Gimli sembrava stare alla perfezione sulla mano di Legolas.

«Nay, il tempo non era il problema. Diciamo...» Gimli guardò il cielo, come se stesse parlando con se stesso «Diciamo piuttosto il posto giusto.»

«È bellissimo» disse Frodo. A Thorin parve che si stesse facendo forza per guardarlo. «I fiori, soprattutto.»

«Padron Frodo?» disse Sam, molto piano.

Frodo scosse la testa. «Sto bene, Sam. Mi sta... aiutando, penso. Vedi, non ci assomiglia per nulla.»

«Cos'è successo mentre noi non c'eravamo?» chiese Gimli, cambiando diplomaticamente argomento, pensò Thorin.

«Abbiamo fatto dei preparativi per andare» sospirò Merry «Non voglio dire già addio alla Compagnia. Siamo ancora tutti insieme, e non voglio che finisca. Ma dobbiamo andare avanti, suppongo!»

«Sarò felice di tornare a casa, sono certo che il mio giardino è in uno stato pietoso» disse Sam, scuotendo la testa «E sta arrivando la primavera anche!»

«Porti un bell'oggetto in vita» disse Legolas, facendo un cenno verso il piccolo corno verde e argento legato alla cintura di Merry. Merry lo guardò come se si fosse scordato che era lì.

«Ah, beh, non potevo rifiutare, no?» disse «Volevano tanto farmi partire con qualcosa – Éowyn e Éomer, ecco – e avevo già detto di no a tutti i loro regali, quindi ho dovuto accettare questo. Non è bello? Ha un qualche genere di magia speciale, sembra: colui che lo suona nell'ora del bisogno desterà paura nei cuori dei nemici e gioia nei cuori degli amici, ed essi lo udiranno e verranno in suo aiuto.»

«E non me ne sorprendo, perché quello è un lavoro dei Nani!» esclamò Gimli «Come può essere arrivato qui, mi chiedo!»

«Un tesoro di Rohan, mi dice Éowyn» rispose Merry, porgendolo a Gimli così che lo potesse guardare «Eorl il Giovane apparentemente lo portò dal Nord: una reliquia del bottino di un drago, ha detto. Un verme chiamato Scatha.»

Gimli alzò lo sguardo, la bocca aperta per lo stupore. «Scatha! Ebbene, è storia veramente antica. Un pezzo meraviglioso, Mastro Merry, e non riesco a pensare a mani migliori in cui potrebbe essere, e nessun Nano discuterebbe con me.»

Bilbo stava guardando Thorin con un certo sospetto. «C'è una storia dietro, non è così» disse. Non era una domanda. «Probabilmente una triste.»

Thorin fece un respiro profondo. «Aye. Quegli antichi Uomini di Éothéod – presero il bottino di Scatha come fosse loro, in virtù di aver ucciso il verme. I Nani delle Montagne Grigie, di cui era l'oro, non furono d'accordo. L'ammazzadrago mandò loro i denti del Drago, dicendo loro che erano gli unici gioielli che si meritavano.»

Bilbo fece una smorfia. «Sembra essere un tema ricorrente col tuo popolo.»

«E uno che dovrà presto essere cambiato, in mia opinione» disse Thorin «Comunque, non ci sono più grandi draghi al mondo. Quindi almeno da quel lato possiamo riposare facilmente.

«Grazie al cielo» Bilbo strinse le labbra «E non ti dispiace che Merry tenga quel corno?»

«Per nulla» disse Thorin «Come ha detto Gimli, quale migliore portatore a cui darlo?»

«Vero» Bilbo lasciò allora che il suo sguardo andasse a Frodo, che era silenzioso e fermo mentre giocherellava con la gemma al suo collo «Sembra stia meglio, non credi?»

«Sì» Thorin fece un passo avanti, e Bilbo piegò la testa leggermente.

Se rimanevano molto fermi, era quasi come se l'avesse appoggiata sulla spalla di Thorin.


Due giorni dopo cavalcarono dal Fosso di Helm a Isengard. Il luogo era irriconoscibile, e Ori rabbrividì un poco quando vide gli Ent qua e là, che si prendevano cura dei frutteti e boschetti che riempivano le mura del bacino.

«Nahùba Ori» disse Bifur, incoraggiante.

«Oh, smettila di preoccuparti» Ori tirò su col naso, ma si fece comunque avanti e camminò a grandi passi dietro la Compagnia e il loro seguito «Ooooh! È un lago!»

«Era un lago anche prima» disse Bifur, confuso, e si spinse fra la gente e i cavalli per andare accanto a Ori.

Ori scosse la testa, facendo rimbalzare le trecce. «No, era un mare prima. È un lago vero ora! Alimentato da un torrente eccetera!»

Era vero. La prima corsa dalla diga distrutta aveva allagato il bacino di Isengard, e poi era retrocessa. Ora un lago limpido e luminoso riempiva il suo centro. La torre di Orthanc se ne innalzava, e le spine nere sulla sua cima si riflettevano nell'acqua. Dei piccoli pesci potevano essere visti saltare qua e là nel lago. I suoi argini era circondati da alberi, come sentinelle, i loro rami pieni di germogli primaverili.

Gandalf fece fermare Ombromanto accanto al limite del lago, e presto venne una grande: «Hoom, hoom!»

«Oh no» disse Ori, e si tirò la sciarpa sopra la bocca così che solo i suoi occhi potessero essere visti sopra di essa.

Bifur gli mise una braccio attorno e se lo tirò vicino. «Non ti dà fastidio se mi preoccupo, vero?»

Ori non rispose, ma gli pizzicò forte un braccio. Bifur ridacchiò.

«Giovane Mastro Gandalf!» tuonò Barbalbero, facendosi avanti da un filare di meli in fiore «Sapevo che stavate arrivando, ma ero occupato su nella valle; vi sono ancora molte cose da fare, barum! Comunque, benvenuti al Verziere di Isengard.»

«Grazie, vecchio amico» disse Gandalf, e indicò con la mano l'incredibile trasformazione «Ciò che hai fatto non è nulla di meno che miracoloso.»

«Hmmm, sì. Ma ho sentito che nemmeno voi siete rimasti oziosi» Barbalbero si piegò in avanti, le sopracciglia nodose corrugate mentre guardava lo Stregone «E ciò che sento è molto buono. Sì, molto buono. Siete venuti a vedere il nostro lavoro?»

«Sì, e a trovare il vostro prigioniero» disse Gandalf, girando Ombromanto per guardare la grande spina nera che usciva dalle acque cristalline «Vi ha creato dei problemi?»

«Hoom, hum! Ebbene» disse Barbalbero, raddrizzandosi di colpo e girandosi un lungo dito ramoso nella barba. Lentamente (come se avrebbe mai potuto fare qualcosa velocemente) iniziò a raccontare loro la storia.

«Lasciato andare?!» esclamò Ori «Ma perché?»

«Pietà» sospirò Bifur «Una buona qualità da avere, ma non posso fare a meno di pensare che non avesse avuto posto qui.»

«Ne arriveranno dei guai, ne sono certo» disse Ori cupo. Gli occhi di Gandalf andarono a lui mentre parlava, e lo Stregone sembrava essere d'accordo nel suo dolore senza parole.

«Quanto terribile deve essere per lui, mi chiedo» disse Bifur, piano «Gandalf, gamil bâhûn, birashagimi.»

Gandalf annuì, leggermente. I suoi occhi profondi e antichi si chiusero per un momento, prima che si facesse forza e sorridesse a Barbalbero. «Allora vediamo il tuo lavoro, amico mio, e parliamo del futuro.»

«Hmm, hoom! Non avere fretta! Il futuro aspetterà ancora. Prima, lascia che dica addio a questi grandi che hai con te, perché sono passate lunghe ere da quando ospitai qualcuno del loro calibro nei miei boschi»

Barbalbero si inchinò tre volte lentamente e con grande deferenza a Celeborn e Galadriel. «Non ci vediamo da molto, molto tempo, per sasso e bastone! A vanimar, vanimálion nostari!» disse «È triste incontrarsi soltanto in questo modo, alla fine. Perché il mondo sta cambiando: lo sento nell'acqua, lo sento nella terra, e l'odoro nell'aria. Credo che non ci rivedremo più.»

Celeborn si premette una mano sul cuore. «Non lo so, Antico» mormorò.

Allora parlò Galadriel, ma non stava guardando Barbalbero; i suoi occhi parevano attraversare il gigantesco Ent, fissi su un qualche forse lontano. «Non nella Terra di Mezzo, non prima che le terre sommerse dall'acqua emergano nuovamente. Allora forse nei boschi di salici del Tasarinan c'incontreremo un giorno in Primavera. Addio!»

Barbalbero sospirò come il vento che corre fra i rami. Scricchiolando si voltò, e parlò direttamente a Merry e Pipino. «Ebbene, gente felice» disse «volete bere un altro sorso insieme con me prima di ripartire?»

«Certamente!» urlò Pipino «Riuscirò a battere Ruggitoro di questo passo!»

«Io sono comunque quello più alto» borbottò Merry, ma stava scendendo dalla schiena di Stybba mentre parlava «Barbalbero, ne saremmo felici.»

«Anche noi vi lasceremo qui, ragazzo» disse Gimli ad Aragorn, il quale chinò la testa.

«Fangorn ci aspetta, meleth nín» disse Legolas, e rise alla faccia contrariata di Gimli in risposta.

«Questa è dunque la fine della nostra Compagnia» disse Aragorn, e alzò le mani. Gimli e Legolas immediatamente le coprirono con le loro, e furono rapidamente imitati dagli Hobbit. Per ultimo, Gandalf posò la mano sulle loro. «Eppure spero che tornerete presto nel mio paese con gli aiuti promessi.»

«Torneremo» giurò Gimli «Cancelli ti ho promesso, e Cancelli avrai.»

«Appena i nostri Signori ce lo permetteranno» aggiunse Legolas.

«Per favore non iniziate un'altra guerra nel Nord, voi due» gli disse Gandalf «Ne ho avuto abbastanza di spiare e spegnere fuochi!»

«Mi mancherete tutti terribilmente» disse Pipino tristemente.

«Ah, rallegratevi, miei Hobbit! Dovreste arrivare sani e salvi alle vostre case, ormai, e non rimarrò sveglio dalla paura che corriate in gravi pericoli. Ma per favore, per il mio cuore, stai lontano da pozzi e da Troll, eh?» disse Gimli, sorridendogli.

Legolas fu più solenne nel guardare i loro volti. «Vi manderemo messaggi quando sarà possibile, e forse alcuni di noi potranno incontrarsi di tanto in tanto; ma temo che non saremo mai più riuniti tutti assieme.»

«I legami della nostra Compagnia non saranno mai spezzati» disse Frodo «Mai.»

«Nemmeno in morte, che sia pace alla sua anima» aggiunse Sam tristemente. Ori si morse il guanto, e ringraziò il piccolo cuore onesto dello Hobbit per essersi ricordato di Boromir in quel momento.

«Il tè è alle quattro» disse Merry, e strinse le loro mani con tutta la sua forza «E non disturbatevi a bussare!»

Infine Gandalf lasciò cadere le loro mani. «Sono più orgoglioso di voi tutti di quanto io possa mettere a parole» disse «E vi dico, siate felici e prosperi! Perché voi siete i grandi della Terra di Mezzo ora, e a voi va la sua cura e protezione. Essa non potrebbe desiderare nessun guardiano migliore.»


«Vi rivedrò mai?»

Galadriel esitò con le mani nella sella. «So che lo farai, Portatore della Ciocca.»

Gimli chinò la testa. «Ma, pensavo voi steste partendo. Ora che l'Anello è stato distrutto.»

«Partirò» Lei si voltò, e si inginocchiò davanti a lui. I suoi capelli erano sciolti, e rivoli biondi le circondavano il viso in ondate di gloria. «Partirò. Quando la marea cambierà e il vento soffierà da ovest, il mio esilio sarà terminato e le bianche sponde mi chiameranno infine a casa. Eppure se qualcosa rimane della grazia che mi fu concessa un tempo, allora prevedo che ci incontreremo di nuovo. Questa non è la fine, amico mio.»

Gimli scosse la testa. «Non capisco come. Non capisco.»

Lei gli sistemò una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio, e poi posò un bacio sulla sua fronte. «Namárië» disse, e sorrise alla confusione di lui «Per ora.»


Era un viaggio di due mesi a cavallo per il Nord, ed Erebor. Sembrò nulla a Thorin, che osservava Gimli e Legolas ogni tanto per sincerarsi che fossero al sicuro. Non rimaneva mai troppo a lungo, però. Si ricordava bene com'era essere intorno a un paio di sposi novelli dal tempo in cui si era sposata sua sorella.

Diede qualche varietà alle sue visite controllando periodicamente gli Hobbit e Gandalf mentre viaggiavano a Ovest. Era un compito semplice, dato che erano protetti sia dallo Stregone, che da Elrond e Glorfindel. Erano a pochi giorni da Granburrone: Bilbo era tremendamente impaziente di vederli.

Poi un giorno, l'ultimo della primavera prima dell'estate, una vista così familiare che strappò il cuore a Thorin apparve davanti al naso di Arod.

I campi fra Dale ed Erebor si stavano riempiendo di fiori selvatici quando infine arrivarono davanti ai familiari Cancelli. Le gigantesche statue di pietra ai lati erano state polverizzate sin quasi alla rovina, ma stavano ancora brandendo alte le asce.

«Eccoci» disse Thorin, e fece un lungo, lento respiro.

Legolas guardò i versanti franati e rovinati dalla battaglia della Montagna. «Sei pronto?»

Gimli scosse la testa, agitando le trecce. «No.»

Legolas deglutì. «Nemmeno io.»

«Ebbene, andiamo a non essere pronti insieme» disse Gimli, e strinse la mano di Legolas «Sanno che siamo qui. Le sentinelle ci avranno notati da miglia di distanza.»

Le labbra di Legolas si incurvarono. «Anche alla luce del sole?»

«Ti farò sapere che sappiamo fare cerchi di vetro così levigati che puoi vedere le squame su un singolo capello» disse Gimli, e si pizzicò una coscia «Dovremmo lasciare riposare Arod.»

«Giuro, Gimli, sei diventato più preoccupato per lui persino di me. Ti chiameranno un Nano di Rohan fra un po'»

«Ben presto, se riuscirò a convincere il mio nuovo Re delle caverne» disse Gimli. Fece un respiro profondo, e saltò giù dalla schiena di Arod, i piedi colpirono il terreno con un gran rimbombo. Poi alzò lo sguardo e i suoi occhi si riempirono di determinazione. «Meglio farlo e basta.»

«Sei certo che non possiamo trasferirci nella Contea?» borbottò Legolas, ma anche lui smontò e prese le redini di Arod in mano «Devi chiamare tu. La mia gola è secca.»

«Aye, ci deve essere della birra, e molta – e presto!» Gimli alzò la voce «Salve, Montagna!»

«Salve, viaggiatori! Che strana coppia! Quali sono i vostri affari qui?»

Gimli ringhiò. «I miei affari qui sono prenderti a calci nel tuo maledetto posteriore, Jeri figlium di Beri! Sai benissimo chi sono!»

«E ora ne ho la certezza» giunse la risata leggera dai bastioni «Gimli, benvenuto! È bello vederti a casa finalmente! Hai qualche problema da risolvere, mi dicono!»

«Sei una pettegola, Jeri» urlò Gimli, alzando gli occhi al cielo «Apri i Cancelli!»

«Quello con te è il figlio di Thranduil?»

«No, è la settima venuta. Chi altro pensi che sia?» disse Gimli, incrociando le braccia.

«Come siamo irritabili!» lo canzonò Jeri «Va bene, un momento, le porte sono dure dall'assedio. Apritele!»

«L'assedio deve essere stato davvero terribile» mormorò Legolas, guardandosi attorno. La terra era stata ammucchiata tutta attorno alla montagna, e anche se l'erba stava crescendo, molti posti erano ancora spogli e bruciati.

«Suppongo» disse Gimli, e la sua mascella era tesa «Rapido, le mie trecce sono dalla parte giusta? Sono pulite?»

«Stai meglio di quando di ho incontrato, meleth» rise Legolas «Ora che hai il tuo parrucchiere personale, sei praticamente irriconoscibile. Non crederanno che tu sia lo stesso Nano spettinato che ha lasciato Erebor.»

Gimli parve divertito per un momento, e poi con un grande schiocco i grandi cancelli di Erebor iniziarono ad aprirsi verso di loro. «È ora» mormorò, e aprì le spalle, il mento alto e rigido.

«Insieme» disse Legolas piano, e rimasero immobile mentre la calda oscurità si spalancava davanti a loro.

TBC...

Note

Azaghâl – Lord di Belegost durante la Nirnaeth Arnoediad, giurò alleanza a Maedhros e in battaglia fu ferito dal primo e più grande dei draghi, Glaurung, il grande verme di Angaband

Wilwarin, Telumendil, Soronúmë, and Anarríma – queste costellazioni furono create da Varda per dare il benvenuto agli Elfi nella Terra di Mezzo. Wilwarin vuol dire "Farafalla", Soronúmë vuol dire "Aquila dell'Ovest", e Anarríma vuol dire "Limite del Sole" Quenya.

Mahal che canta della pietra – un riferimento all'Ainulindalë nel Silmarillion, e la musica degli Ainur, la creazione del mondo.

Scatha e gli Uomini di Éothéod – qui i Nani ricordano una versione leggermente alterata degli eventi dagli Uomini di Rohan. Gli Éothéod erano gli antenati dei Rohirrim. Vivevano nel Nord prima che Éorl il Giovane si guadagnasse le terre che ora possiedono (per aver aiutato Gondor in battaglia). In quei giorni, i draghi erano ancora comuni nella Montagne Grigie, e Scatha era uno dei peggiori. Scatha fu ucciso da Fram figlio di Frumgar (e antenato diretto di Éorl). Secondo l'Appendice A del Signore degli Anelli, sia Fram che i Nani locali dissero loro il tesoro del drago. Ma Fram rifiutò le pretese dei Nani e mandò loro i denti del drago, col messaggio “Gioielli come questi non troveranno simile nelle vostre tesoriere, perché sono difficili da trovare”. Per questo insulto, i Nani uccisero Fram. La storia vista dai Nani è un po' diversa.

Dama dei Cigni – questa è Lothíriel, figlia di Imrahil e principessa di Dôl Amroth. Éomer in seguito la sposerà.

Tasarinan – Quenya, Nan-tathren in Sindarin, o “Valle dei Salici”, era un terra che affondò nel mare col Beleriand, ed era forse abitata dagli Ent (o dalle Entesse).

Dal dubbio, dal buio, al sorger del giorno
Galoppò al sole, spada sguainata.
Speranza destò, in speranza partì;
Oltre la morte, la paure e il fato,
Verso la pace, la speranza e la gloria.

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