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Autore: Roberto_Yoda    19/05/2009    1 recensioni
Un ultimo addio tra vittima e carnefice. Nei capitoli successivi a quelli della vicenda di Hitomiko, Naraku riceve una visita da un fantasma del passato, rivive eventi da tempo trascorsi ...
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kikyo, Naraku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Glossario

Glossario.

 

Kokoro: tradotto con “cuore” in senso metaforico. Attenzione, però, perché si tratta di un vocabolo molto fuorviante.

Kokoro può essere inteso infatti come il cuore e la mente, la sensazione e il pensiero e le viscere.

Ovvero anche, lo stato della mente inteso come il dominio sui fenomeni relativi al proprio “linguaggio interiore”, la propria coscienza, o ancor meglio la propria autocoscienza.

 

Anche quando, in questi capitoli, userò il termine “cuore” in italiano starò solitamente pensando al kokoro.

 

 

 

Il fantasma e il demone stanno in silenzio.

 

Naraku sa che Kikyou non può nulla contro di lui. Le sue sono parole e nient’altro.

Questo gli dà una sensazione strana.

Per un verso, si sente stranamente confortato. Lei non è più una minaccia. Non la sarà mai più.

C’è un solo punto di luce che non sarà un ostacolo ancora per molto.

Perciò è quasi piacevole, liberatorio, potersi misurare con lei, senza timore dei suoi trucchi, delle sue astuzie. Sapendo, per una volta, di non dovere tenere la guardia alzata, per essere pronto a rispondere colpo su colpo. E’ quanto di più simile a uno svago lui riesca a concepire.

 

D’altro canto, Naraku non si fida affatto di queste sensazioni. Se lei gli è apparsa – in che modo vi sia riuscita, non è importante – certo non è per aiutarlo o fargli piacere. Deve metterla alle strette e scoprire la ragione della sua presenza. Per farlo deve stare al suo gioco, sapendo che ciò non può nuocergli; ma senza imprudenti distrazioni.

Poi potrà dedicarsi di nuovo a quelli che sono i suoi veri obiettivi.

 

“Per quanto la nostra conversazione possa essere piacevole, Kikyou, ancora non capisco perché vuoi intrattenermi con ricordi del passato. Ciò che ero un tempo è stato oramai abbandonato, come la vecchia pelle di un serpente lasciata lungo i margini di un sentiero smarrito. Tu lo sai bene, mia nemesi. Te l’ho dimostrato più di una volta, non è vero? Il mio tempo è prezioso, a differenza del tuo. Non desidero sprecarlo inutilmente.

 

Kikyou scuote la testa e i capelli ondeggiano come un drappo. Naraku si chiede curioso se questi piccoli gesti impazienti abbiano per lei lo stesso significato di quando apparteneva ancora, seppur tenuemente, al mondo mortale.

 

“Naraku, non hai torto. Ma non è semplice parlare di tali portenti, neppure con te, che pure sei l’unico in grado di poterli capire.”

“Noi sappiamo, come nessuno altro può sapere, cosa vuol dire essere un mistero per se stessi. Noi, creature impensate che non hanno ragione essere udite in nessuno dei mondi possibili.

“Noi, così strettamente legati.”

“Sì. Vedo che sorridi. Cosa c’è? Perché torni serio? Non ti eri accorto che stavi sorridendo? E’ per questo? Ma non c’è nulla di male! Anche io lo sento. E’ come il dolore e la sua consolazione, assieme. Lo capisco.

“Io che ti sono madre. Tu, figlio e frutto dei sogni che mi era stato proibito di sognare.

 

Naraku non riesce a cancellare il sorriso, colto di nuovo dal piacere di una disputa che, forse, attendeva da sempre. Così, la interrompe, calcando i suoi passi.

 

“Tu che mi sei figlia. Rinata alla tua nuova vita, dopo che io ti ho liberata di quella vecchia.”

 

Kikyou annuisce e anch’ella sorride a un tempo di partecipazione e di minaccia.

 

“Io che ti sono amante. Il frutto candido che la tua anima umana ha agognato così a lungo.

 

“Tu che mi sei sorella. Poiché in nessuno dei possibili mondi, c’è spazio a sufficienza per due creature quali noi siamo, Kikyou.

 

“Sì, Naraku. Eppure, dopo tutto questo tempo, ancora tu non riesci a vedermi. Se ci riuscissi, avresti già compreso da te solo, quel che ti inquieta, che cosa ti turba.”

“Anche tu, come Inuyasha, mi hai fatto conoscere tante cose, Naraku.

“E per questo, mio assassino, io ti ringrazio.

“Per ogni stilla di dolore che mi hai costretta ad assaggiare. Per ognuna delle lacrime che mi hai impedito di versare.

“Sono qui, solo per pagare questo debito aperto.

“Dimmi. Non c’è davvero nulla che tu voglia sapere da me? Sentiti libero di chiedermi qualunque cosa. Lo so, Naraku. Per te, sapere è importante, tanto quanto lo è il respirare per le creature mortali. Avanti.” Ride appena “Non avrai paura di uno spettro impotente, no?”

 

Naraku contrae le dita, innervosito suo malgrado. I fantasmi possono fingere, ingannare, confondere?

Così sicura di sé. Per quale ragione?

 

Scaccia l’impazienza, e trova la domanda che gli pare adatta.

 

“Come riuscisti a sopravvivere, Kikyou? Quella volta. Avevo preparato tutto per te. Saresti dovuta perire allora. Tutto sarebbe dovuto finire allora. Cosa accadde?”

Cosa accadde, là sulla cima del Monte Hakurei?”

 

Il nervosismo di Naraku serpeggia più intenso, mentre la vede annuire come se avesse aspettato proprio quelle parole.

 

E tu, Naraku? Come riuscisti? Quella volta. Come fosti capace di sbarazzarti del kokoro di Onigumo?”

Cosa accadde, là …

 

 

 

 

… nelle viscere del monte Hakurei.

Trova che le radici della montagna siano un luogo adatto a lui. La tenebra è, come sempre, amica e riposante. Le grotte sono antiche di millenni. Davvero, ossa del mondo. Ossa cave come quelle degli uccelli.

Se fosse capace di leggerne i segreti, è certo che gli sussurrerebbero misteri di cui gli stessi Kami non hanno più memoria. Forse, un giorno, chissà, ne sarà capace.

 

Ma i segreti che deve leggere adesso sono ben più importanti e, per certi versi, indecifrabili. E’ stato sconfitto e costretto a una fuga precipitosa. La sua forza si è rivelata essere inferiore del previsto, e questo nonostante l’ausilio della Shikon no Tama ormai quasi completa.

 

E’ inquieto, e deve comprenderne le ragioni. A qualsiasi costo. La sua coscienza fluttua attraverso il suo corpo. Grappoli di carne, abbozzi di youkai consumati, chele, zanne, occhi, creste ossee, filamenti, antenne. Un caos nel quale non vi è nulla di umano.

 

Attaccato alle pareti dei budelli di roccia per decine e decine di metri.

 

Sparso sul fondo come rottami marci scartati dai Kami prima della creazione del mondo.

 

A penzolare come stalattiti di carne partoriti dal sogno di un folle.

 

Kagura una volta lo vide in una condizione simile. Ma, ora, probabilmente neppure lei potrebbe sostenere la vista di ciò che è senza perdere, in un istante e per sempre, la ragione.

 

Eppure, Kagura, fu da tutto questo che un tempo tu fosti partorita.

 

Occhi spalancati e senza palpebre punteggiano le porzioni disordinate di quel che è. Occhi piccoli, occhi sfaccettati d’insetto, occhi che vedono colori ignoti all’essere umano, occhi che conoscono solo il bianco e il nero, occhi fissurati, occhi ferini, occhi antichi e sapienti, occhi pieni solo di bestiale violenza …

Il suo cervello è bombardato da immagini disordinate, poiché ognuno dei suoi occhi fissa in una direzione diversa e vede ciò che lo circonda in un modo unico e differente.

L’immagine che cerca di coagularsi nella sua testa è liquida e sovrapposta; un groviglio in grado di spappolare le menti. Ma non la sua.

 

Naraku volge nello stesso momento tutti i suoi occhi su di sé.

 

Tu e io siamo simili, Naraku.

 

Così hai osato sfidarmi, Kikyou? Tu. Pallido fantasma di una vita perduta lungo sentieri ignoti. Colma di desideri disperati e dispersi. Tu mi paragoni a te? Solo questo … questa, da sola, è ragione sufficiente per ucciderti.

 

Eppure, anche se non è più ciò che era, né mai più potrà esserla, quel che resta della sacra vergine custode della Shikon no Tama è un pericolo. Forse è persino più pericolosa di quando era in vita. E lui sarebbe davvero un pazzo se non ne tenesse conto.

 

Quel che è accaduto con la kuro miko, Tsubaki, glielo ha dimostrato. Kikyou ha il potere di deviare i suoi passi. Esattamente come lui devia quelli di chiunque altro.

 

Questa debolezza su cui lei può fare leva senza fallo … Onigumo.

 

Ripugnante essere umano … sciagurato bandito che mi perseguiti … tu … tu sei simile a Kikyou! Anche tu, solo il pallido fantasma di una vita perduta. Non certo io! E adesso è il momento di dimostrarlo, una volta per tutte.

 

Il corpo di Naraku spasima, si contorce, geme, soffia come un gatto, digrigna zanne, grida e sbriciola la roccia.

 

Allontana questi stizziti pensieri infantili, adatti a un debole e indegni di lui, ma che sono la misura della rabbia impotente che lo tormenta.

 

Fu dopo la sconfitta di Tsubaki, durante un periodo di riposo simile e al tempo stesso dissimile a questo, che decise di espellere a qualunque costo Onigumo da sé.

 

Musou. Ma non era bastato. Non solo frammenti di Onigumo erano rimasti presenti dentro di lui, impedendogli di abbattere Kikyou. Come temeva, aveva scoperto che, senza l’avidità, il bisogno, l’affamata lussuria di Onigumo, il suo corpo cedeva, si sbriciolava, decomponendosi.

 

Inaccettabile.

 

Eppure, cosa resta? Che cosa può sostituire la passione di una tamashii attorcigliata come un vecchio albero malato e contorto?

 

Quale arma usare contro due nemici così formidabili?

 

Come sempre, necessità e bisogno.

 

Palpitano branchie e polmoni sospirano.

 

Che cosa cercano le anime perdute? Quale, quale la loro necessità?

Vite buttate, vite che non sono più vite, vite che sono terrorizzate sia dalla tenebra che dalla luce.

 

In un lampo Naraku ha la risposta.

 

Più di qualsiasi altra cosa, affannosamente cercano una strada da percorrere, una strada purchessia. E chiuse e prigioniere in questo feroce bisogno, possono smarrirsi per sempre.

 

Le bocche e le fauci di Naraku sorridono e masticano l’aria.

 

Servimi un’ultima volta, Kansuke Rasetsu.

 

 

 

@Me91: ahhhh, vacanze. Le voglio anch’ioooo! XD

 

Si chiude una parte della fic, se ne apre una seconda … sperando che anch’essa possa coinvolgerti. ^^ (e due capitoli arrivano adesso, hai visto? ;) ) Ciao!

  
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