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Autore: KleineJAlien    06/12/2016    1 recensioni
Sulla diapositiva proiettata sulla parete nord della stanza, vi erano due colonne formate dai loro nomi. Apparentemente per loro sembravano disposti in maniera causale, ma dovettero ricredersi quando la donna riprese parola.
«Walsh, Adams, Clifford, Irwin, Lahey, Styles, Horan, Thompson, voi formerete il primo gruppo.» decretò solenne questa lasciando solo pochi secondi ai ragazzi per guardarsi tra di loro completamente increduli «Avete tre settimane di tempo per affinare le vostre potenzialità, dopodiché vi sarà affidata una sede in cui opererete a tempo indeterminato. Davanti a voi trovate delle cartelle nelle quali sono stilate delle liste sulle competenze che dovrete raggiungere prima dello scadere del tempo, e poi sostenere un esame finale con i nostri esaminatori stessi. Il fatto che voi siate stai chiamati oggi per far parte di una squadra d’intervento, non impedisce che prima della partenza possiate esser rimossi per mancato raggiungimento degli obbiettivi. Ci sono domande?»
AU | One Direction | 5 Seconds Of Summer
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6



«Vietato usare i poteri.» ribadì come sempre il professore «Non sfidate la mia pazienza voi due.» indurì il suo sguardo portandolo su Michael e Jess in posizione agli opposti della pedana.
Dopo la sfida avvenuta due settimane prima il professore aveva voluto dare una seconda possibilità ai due e valutare cosa davvero potessero fare, fino alla fine.
La ragazza accennò un sorriso mentre pensava  alla piccola vittoria che era riuscita ad ottenere la volta precedente. Avrebbe fatto a meno di utilizzare la costrizione delle azioni, niente le avrebbe impedito però di utilizzare il secondo potere. Nessuno tranne il professore sapeva ancora di cosa si trattasse, perciò bastava solo che lo usasse con moderazione e nessuno se ne sarebbe accorto.
Il rosso invece mantenne lo sguardo concentrato davanti a sé,  ripetendo nella sua testa diversi schemi e mosse che in un primo momento a Jess non presagirono niente di pericoloso.
Fu così per i primi cinque minuti. Tutto abbastanza calmo o perlomeno prevedibile e facile da scansare visto che Jess continuava a leggere le mosse in anticipo. Michael allo stesso tempo era molto più agguerrito e mostrato in tutto e per tutto il suo non voler incontrare la katana della mora, o rischiare di essere atterrato improvvisamente.
Molti dei colpi della ragazza andavano a vuoto perché lui riusciva a scivolare via poco prima, o perché con un colpo di frusta delle sue catene, la spingeva via, arrivando persino a farle perdere l’equilibrio, cosa che la infastidiva parecchio.
Andò avanti così per un po’, quel lento chiapparello che manteneva entrambi in parità.
Jess nella testa del rosso lesse un secondo prima, giusto il tempo per scansarsi lateralmente, la sua intenzione di avvolgere con la propria catena la sua katana, ma grazie al suo potere, riuscì ad evitarlo. Soddisfatta vide la frusta di metallo andare a vuoto e il ragazzo costretto a farla ruotare un paio di volte sopra la sua testa per mantenerne il controllo.  Stava per tornare in posizione quando vide il suo avversario far prendere nuovamente velocità alla sua arma e senza preavviso, con uno sguardo che Jess pensò fosse glaciale, farla cozzare contro il suo stesso fianco.
In situazioni diverse, la ragazza avrebbe pensato che ciò fosse strano, ma quando una forte fitta di dolore la colpì al fianco senza che niente fosse entrato in contatto con esso, non ebbe il tempo per fare congetture. Si accasciò al suolo trattenendo un gemito, stringendo il labbro inferiore tra i denti e portandosi la mano nel punto in cui aveva ricevuto quello che non riusciva a definire in maniera diversa da colpo. Si accorse persino di esser rimasta senza fiato, solo quando tornò a respirare, dopodiché puntò lo sguardo su quello – ora nuovamente normale – di Michael e in una frazione di secondo fu in grado di frugare all’interno della sua mente.
«Non ci credo..» biascicò la mora «Sei una fottuta bambola voodoo..»
«Nessuno mi ha mai dato della bambola, ma apprezzo il fatto che tu ci sia arrivata.»
Immediatamente il professore si posizionò tra i due mettendo fine allo scontro «Ora basta!» tuonò alzando il volume della voce tanto da sentire il suono ripercuotersi all’interno delle loro teste  «Andate subito dalla preside. Qualsiasi sia il vostro problema, lo risolverete lì.»
Con le parole che ancora rimbombavano per tutta la palestra, nessuno, tantomeno i due interessati ebbero il coraggio di aggiungere anche solo una sillaba. Anzi fecero come detto e lasciarono la lezione, tenendosi a distanza di sopportazione l’uno dall’altra fino a quando non raggiunsero la segreteria ed entrambi fecero a gara a chi entrasse prima.
La preside non c’era ma la segretaria li fece comunque accomodare nel suo ufficio.
Seduti su sedie adiacenti, per qualche minuto nessuno parlò. Capacità a parte di poter capire cosa il rosso stesse pensando, dalla sua faccia Jess poteva capire chiaramente quanto fosse soddisfatto di esser riuscito ad avere la sua vendetta.
Anche per questo la ragazza cercò di non dare a vedere quanto il fianco in quel momento le stesse facendo male. Con una mano, in maniera quasi impercettibile, si toccava il punto dolorante. Sembrava di star riuscendo bene a camuffare il dolore, fino a quando sollevandosi meglio sulla schiena, un lamento non lasciò le sue labbra.
Il ragazzo allora portò subito l’attenzione su di lei «Ti fa molto male?» le chiese.
«No.» rispose velocemente lei, forse troppo per una che non provava davvero dolore.
«Fammi dare un’occhiata.» la ignorò, mentre le faceva cenno di sollevare la maglia.
«Non ci penso nemmeno. Ho i miei buoni motivi per non fidarmi di te.» sputò fuori lei.
«Non fare la stupida.» insistette spostando la sua sedia molto più vicina a quella della ragazza, quasi di fonte ad essa, tanto che le loro ginocchia si sfiorarono «Posso aiutarti.»
Dopo un ulteriore occhiata decisa del ragazzo che durò interminabili secondi, fu in grado di fare cedere Jess, la quale sollevando gli occhi al cielo, alzò la maglia sul fianco con lentezza.
Su di esso Michael vide subito – anche per il contrasto che la pelle creava – un ematoma dalla forma lunga e irregolare. Era già gonfio e soprattutto il colore era blu scuro tranne per qualche macchia rossa qua e là e in particolare sul bordo.
«Non pensavo di averci messo così tanta forza.» ammise poggiandoci delicatamente la mano sopra. Il suo sguardo era serio e tremendamente concentrato.
Jess sussultò appena, presa alla sprovvista, ma non disse nulla e lo lasciò fare, non staccò però l’attenzione dai gesti decisi dell’altro nemmeno un attimo. Il contatto tra le loro pelli divenne fresco e in pochi secondi, il brutto ematoma che marchiava la pelle della mora, si riassorbì completamente con sua grande sorpresa.
Tempo due secondi, qualcuno alle loro spalle si schiarì la voce «Non vorrei interrompervi..» disse la preside sorpassandoli, e prendendo posto sulla poltrona dietro la scrivania «Mi spiegate come mai siete nel mio ufficio? Centra qualcosa con Clifford che usa la guarigione con lei signorina Adams?» chiese incrociando le gambe e osservandola insistentemente.
Se non sapesse di essere immune al controllo mentale o alla lettura del pensiero, Jess avrebbe sicuramente giurato che la donna lo stesse facendo con lei in quel momento.
«È stato un incidente. Un’incomprensione che abbiamo già risolto.» prese parola.
«É come dice lei Clifford?» chiese conferma al ragazzo la preside.
Il diretto interessato ancora stupito da quanto detto annuì frequentemente e «Sisi proprio così.»
La donna li osservò nuovamente con lo sguardo di ghiaccio dopodiché abbozzò un sorriso, e una risata appena accennata prima di appoggiare le spalle alla schiena con scioltezza «Fortunatamente l’esperienza mi ha insegnato di parlare con i docenti prima di farlo con gli studenti quando si trovano nel mio ufficio. Non tanto per lei Clifford, ma Adams mi avrebbe anche convinto se non sapessi la verità. Nonostante mi sembra abbiate pattuito durante l’attesa, per aver disubbidito ripetutamente durante la lezione vi sarà vietato per tre settimane lasciare l’accademia durante i weekends. Vi è vietato superare il confine del cortile.»
«Cosa? Tre settimane sono un’infinità di tempo. È ingiusto!» si lamentò Michael il quale vedeva già la faccia che avrebbero fatto gli altri quando avrebbe detto loro che non ci sarebbe stato, dopo tanta organizzazione, al bowling il sabato successivo. Non era disperata allo stesso modo Jess, la quale si trattenne dall’esultare perché quel divieto non cambiava per nulla le sue abitudini.
«Inoltre..» proseguì la donna «..dovrete riordinare senza poteri l’archivio nei sotterranei. Il tempo che ci metterete dipenderà unicamente da voi e da quanto collaborerete. Intesi?»
Dopo un attimo di esitazione «Si signora.» risposero entrambi scrutandosi astiosi.
Tutto ciò sarebbe significato alla fine delle lezione, dopo una giornata stancante e infinita, ritagliare quante più ore possibili per riordinare un archivio che solo per il nome entrambi lo immaginavano enorme, con luci a neon fatiscenti e centimetri e centimetri di polvere. Il tutto sommato alla possibilità di non uscire nel finesettimana, cosa che sicuramente sarebbe stata sostituita dalla seconda parte della punizione.
«Se scopro che ha obbligato il suo compagno a fare tutto il lavoro da solo..»
«Non succederà.» la interruppe Jess.

«Quindi dite che così vestita, vado bene per l’occasione?» chiese Alexis guardandosi ancora una volta allo specchio. Indossava dei pantaloni neri a vita alta, i suoi stivaletti del medesimo colore, un top bianco incastrato all’altezza della cintura e un giubbino in pelle che le ricadeva leggero sui fianchi. In situazioni diverse non avrebbe avuto molti dubbi, ma quella sera sarebbe dovuta uscire con Ashton, e nonostante l’avesse vista in condizioni ben peggiori, voleva essere perfetta.
«Smettila di agitarti tanto, stai benissimo.» tentò di rassicurarla Sylvia ruotando veloce sulla sedia mobile su cui era seduta a cavalcioni.
«Ancora stento a crederci che si sia finalmente svegliato e ti abbia chiesto di uscire.» disse l’altra.
«Potrebbe ancora andare tutto storto, e lui potrebbe non parlarmi più.» ribatté la castana.
«Si certo.. nemmeno se tu gli sputassi in faccia un boccone della cena, smetterebbe di sbavarti dietro. È impossibile che tu non ti accorga di quanto gli piaci.» sostenne la mora ovvia «Quello che mi chiedo è perché ti porti al mini golf in macchina. Con il potere dell’orbitazione, perché non ti prende tra le sue braccia e non vi teletrasportate direttamente lì?»
«E magari ricompariamo davanti alla cassa pronti a richiedere due biglietti, o ancora peggio tra la buca numero tre e la quattro, così da scioccare per bene un bambino e i suoi genitori.»
«Non hai tutti i torti..» constatò Sylvia «E ricomparire in un vicolo secondario?»
«Perché vi stona così tanto che andiamo in macchina?» chiese Alexis osservando ora le amiche.
Entrambi le ragazze risposero alzando le spalle e borbottando a voce bassa le loro motivazioni.
La castana si guardò ancora una volta allo specchio, questa volta molto più da vicino ed esaminò il trucco. Sollevò gli occhiali e si passò in maniera attenta il polpastrello dell’annullare sotto gli occhi per rimuovere quell’ombra di trucco che sempre le colava un po’. Poi osservò con la coda dell’occhio la sveglia sul suo comodino e sussultò notando che rischiava di arrivare in ritardo.
Si catapultò al suo armadio e prese la sua borsa ed una giacca che appallottolò dentro «Voi rimante qui o uscite? Fosse per me potreste anche rimanere ma non so quanto sareste a vostro agio con Jess quando rientrerà in stanza.» disse aprendo la porta.
Subito le ragazze saltarono sul posto e l’affiancarono «No grazie.»
Dopo altri due minuti persi a convincere le amiche a non seguirla fino all’ingresso, anche se lo avessero fatto in modo da non essere scoperte dal ragazzo, Alexis raggiunse Ashton che già la aspettava dove avevano accordato il punto di incontro. Indossava un paio dei suoi soliti skinny neri con un paio di All Stars alte anch’esse nere, una maglia bianca con una tasca nera cucita dalla parte opposta rispetto al cuore e una giacca in jeans scura, più larga della sua taglia.
Avanzò stringendosi le mani tra loro nervosamente, e con un sorriso agitato ed emozionato che rispecchiava esattamente quello del ragazzo appena la vide.
«Ciao..» l’abbracciò quando ormai erano uno di fronte all’altra «Stai benissimo.»
Alexis ricambiò e con un sorriso ancora più ampio rispose «A me piace la bandana tra i capelli.»
Non le piaceva solamente, quando il riccio indossava le bandane per controllare i suoi capelli disordinati, lei impazziva completamente, ma decise di non ammetterlo subito.
Il ragazzo la guidò fino al parcheggiò e le aprì lo sportello. Lei lo ringraziò con un enorme sorriso e si sedette composta cercando di camuffare l’imbarazzo. Intanto nella sua testa pensava come un’ossessa a qualche argomento interessante che avrebbe potuto tirar fuori per non rimanere in silenzio e far aumentare così la tensione.
«Sai che i tergicristalli sono stati inventati da una donna?» esordì Alexis appena il castano prese posto al suo fianco «Secondo me dovrebbero trovarsi anche negli occhiali, sai quando piove?»
Ashton rise scuotendo appena la testa «Davvero? Comunque concordo con te per gli occhiali.»
«Owh..» si coprì la faccia imbarazzata la ragazza «Ho detto una stupidata.» aggiunse rendendosi conto troppo tardi di quale fosse l’argomento super intelligente che aveva tolto fuori.
«Molti umani vorrebbero il teletrasporto o la capacità di attirare gli oggetti quando troppo lontani e si è troppo pigri, io non ho problemi di questo genere, ma vorrei proprio che qualcuno inventi un tessuto in grado di non far sudare, o magari uno spray del quale ti cospargi prima di un allenamento così da non sudare. Hai presente durante i test con il professor Donovan?»
Alexis annuì pendendo dalle sue labbra. Con una cosa stupida quanto la sua, stava rendendo la situazione meno imbarazzante, e questo alla ragazza fece molto più che piacere.
«Ho paura ad avvicinarmi a me stesso.» aggiunse facendo scoppiare a ridere l’altra.
Arrivati al minigolf dovettero fare la fila con una decina di bambini accompagnati dai propri genitori e da un trio di ragazzi che doveva avere pressoché la loro stessa età.
Alla biglietteria, quando fu il loro turno, il ragazzo dello staff diede loro due palline, due riserve, e due mazze generiche, il tutto insieme ad una mappa plastificata di tutte e diciotto le buche.
«Ti avviso prima che io faccia danni, o colpisca qualcuno senza volerlo. Non ho mai giocato a golf, non so nemmeno da dove si inizia e potrei essere negata.» mise avanti le mani Alexis.
«Tranquilla inizieremo dalle basi e se dovesse servire ti aiuterò io.» la rassicurò il castano.
Lei sorrise e lo seguì fino alla prima pista ben segnalata da una bandierina con su scritto un uno. Quella come le altre cinque successive, non furono molto difficili. Colpendo la pallina in qualsiasi modo, c’era una buona possibilità che questa entrasse in buca senza troppi tentativi. Ma dalla sesta le cose iniziarono a farsi più difficili perché la pallina doveva percorrere stretti angoli, curve a gomito e piccole salite, che nel complesso richiedevano più concentrazione.
Dopo dieci tentativi a vuoto per la ragazza e solo quattro riusciti per Ashton per mettere la pallina in buca, questo si offrì di aiutarla veramente con la pratica. Sicuro che non ci fosse nessuno che gli stesse prestando attenzione, aprì il palmo della mano destra e attirò a sé la pallina, successivamente la mise di fronte a loro e appoggiò il suo ferro in un punto in cui non intralciasse. Poi si mise alle spalle di Alexis e guidandola con le mani sulle sue spalle, sui suoi fianchi e sulle sue braccia, la posizionò nella maniera corretta, mentre lei in fiamme quasi non respirava. Si costrinse a farlo solo quando Ashton le avvolse il busto con le sue braccia e appoggio le mani sulle sue. Svenire per mancata aria nei polmoni sarebbe stata la sua fine.
«Il segreto è tenere le braccia sempre tese e farle oscillare un paio di volte a pochi centimetri dalla pallina. In questo modo tari la distanza, la velocità e la forza con cui colpire.» disse mentre metteva in pratica tutto. Con un solo colpo la pallina superò la salita e sbattendo contro il bordo della pista per superare infine, un angolo con semplicità.
«Grazie..» sussurrò la castana mentre nella sua testa passavano di più le sensazioni che aveva provato mentre i loro corpi si toccavano, rispetto a quanto le aveva detto, perché non era nemmeno sicura di aver afferrato per filo e per segno le direttive che le aveva dato.
Dopo aver contrattato che oltre la buca undici non sarebbero mai riusciti andare, soprattutto perché Alexis aveva iniziato a superare i ponticelli ora più ripidi aiutandosi con spinte d’aria dovute dal suo potere, Ashton l’aveva portata in una pizzeria per famiglie, addobbata da disegni sulle pareti, un piccolo teatrino all’angolo e giochi gonfiabili su cui avevano perso il diritto di poter salire molti anni prima.  A detta del castano quel posto era imbarazzante ma anche improvvisato, mentre a detta di Alexis era perfetto come proseguo di una serata al minigolf.

Il viaggio di ritorno fu tranquillo e dettato principalmente dalla musica soft che a quell’ora passava alla radio. Ashton rimase concentrato sulla strada, una mano sul volante e l’altra per la maggior parte del tempo incastrata tra i capelli o dietro il collo mentre il gomito era appoggiato allo sportello. Alexis si godette il calore dell’abitacolo e soprattutto la vista del ragazzo che osservò per molto tempo, fino a sentirsi così rilassata da addormentarsi.
Lui se ne accorse solamente una volta parcheggiata l’auto nel parcheggio dell’accademia. Estratte le chiavi dal quadro si perse un paio di minuti per osservarla accoccolata, piccola e infreddolita contro il sedile del passeggero. Le spostò una ciocca scivolatale davanti al viso  facendola sorridere nel sonno. Anche lui sorrise senza accorgersene di riflesso.
 Scese dall’auto e fece il giro, aprì lo sportello della ragazza e stando attento a non svegliarla la prese tra le sue braccia. Alexis nascose il viso contro l’incavo del suo collo e continuò a dormire indisturbata. Ashton intanto richiudeva lo sportello con un calcio assestato con il tallone.
Un secondo dopo non ci pensò due volte ad immaginare la camera della castana e a teletrasportarsi al suo interno per poterla mettere a letto. La stanza era buia tranne per qualche spia lampeggiante come quella del computer della ragazza, sulla scrivania.
La stese sul proprio materasso ed inizio a metterla comoda iniziando con le scarpe.
Era solo alla prima quando una voce alle sue spalle lo fece spaventare «Cosa diavolo ci fai in camera nostra?» disse Jess emergendo dalle sue coperte assonnata.
«Merda!» esclamò il ragazzo a bassa voce lasciandosi scivolare la scarpa di mano e andando a sbattere contro la scrivania della castana «I..io.. si era addormentata in auto così ho pensato..»
Alexis si rigirò appena sul fianco sinistro ma non si svegliò per loro - o più di Ashton - fortuna.
«Non pensi che sarebbe stato meglio orbitare fuori dalla stanza e bussare?» gli fece notare lei.
«Si scusa, avrei dovuto fare così.» annuì colpevole. Lo ammetteva, non aveva pensato al fatto che la ragazza non fosse più sola, ma che dividesse la stanza con Jess. Poteva ricordarlo benissimo.
La mora sospirò e si alzò dal proprio letto «Vai pure, ci penso io a lei.»
Il ragazzo osservò per un attimo Alexis, spostò poi l’attenzione all’altra ragazza e si morse l’interno della guancia indeciso sul da farsi. Non che non volesse che ad occuparsi della castana ci pensasse lei, ma voleva salutarla anche se lei non se ne sarebbe mai accorta, e si sentiva a disagio a farlo davanti a Jess. Fortunatamente questa lo capì e per qualche secondo spostò lo sguardo. Stampatole allora un bacio sulla fronte arretrò e salutata e ringraziata la mora, si teletrasportò ancora, nella sua stanza.
   
 
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