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Autore: Dragon gio    10/12/2016    3 recensioni
Raccolta Stucky Superfamily con Peter Parker.
Peter era steso su un tavolo di acciaio, legato mani e piedi, mezzo nudo, il viso privo di maschera.
Era così pallido e immobile, che perfino il cuore di Bucky sussultò a quella vista.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Movieverse, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Soldier, The Captain & The Spider
Hey, Dad
 
Come fosse accaduto tutto questo, ancora non se lo spiegavano. Doveva essere una semplice missione di recupero ostaggi: trenta civili fatti prigionieri da una cellula terroristica sconosciuta.
 
Captain America, Spider Man, Iron Man e il Soldato d’inverno erano stati chiamati in causa per svolgere tale compito. Tony, scherzando, aveva affermato di poter sistemare la faccenda da solo, se non fosse stato reduce da una sbornia colossale.
Quella fu anche la prima missione di Bucky assieme agli Avengers. Dopo otto mesi di riabilitazione, cure mediche e segregazione nell’appartamento di Rogers, era finalmente pronto per cominciare a ripagare la società di tutte le vite innocenti che aveva spezzato. E lui era ben lieto di poter fare qualcosa di buono, finalmente.
 
Tutto era andato liscio, come previsto. Ostaggi liberati e portati in salvo, i terroristi arrestati. Quando compresero però, che l’intera operazione era una gigantesca trappola, volta a catturarli, era troppo tardi.
L’imprevisto fu gestito bene, tutto sommato, eccezion fatta per il rapimento di Spider Man. Lui, giovane e ancora così ingenuo, si era fatto ingannare da un uomo, che si era finto uno degli ostaggi in pericolo.
Invece si trattava di un mercenario, ingaggiato da qualche organizzazione segreta, mandato lì con la sua squadra per far prigionieri gli Avengers. Forse per usarli come armi, o per esperimenti di genetica, Dio solo lo sapeva.
Dopo averlo messo fuori gioco con una pistola spara sedativi, se lo era caricato sulle spalle ed era scappato, supportato dai suoi compagni.
 
Da quel momento, era cominciata una caccia all’uomo senza quartiere e, da quel preciso istante, Steve era diventato freddo come un pezzo di ghiaccio. Bucky non si perse una sola sua reazione in merito, il capitano ostentava calma e controllo, pianificando minuziosamente un attacco ai danni delle persone che avevano rapito Peter. Tony, al contrario, era furibondo, lui non si vergognava di palesare le sue emozioni. Tipico di Stark. Anche Bucky fremeva per la preoccupazione, ma non era nella sua natura cadere preda delle emozioni. Barnes era fatto così, tutti gli anni passati come Soldato d’inverno, purtroppo, avevano lasciato un segno inesorabile dentro il suo animo. Quindi per lui, era assolutamente normale rimanere così apatico, nonostante ci fosse in gioco la vita di una persona a cui tenesse molto.
Ma non era una cosa normale per Steve. Lui voleva molto bene a Peter, lo considerava davvero suo figlio ormai. Per cui, quell’espressione così dura e lo sguardo atono, preannunciavano solo la quiete prima della tempesta.
 
Ne ebbe conferma, non appena localizzarono lo stabilimento dove avevano portato Peter. Ci erano volute quarantotto ore. Due lunghissimi giorni in cui la tensione si era tagliata con un coltello e, anche solo comunicare, era divenuta un impresa epica.
Non appena giunsero a destinazione, nel laboratorio numero 5, Steve sfondò la porta con un poderoso calcio. Dentro, ci saranno stati una decina di uomini fra guardie e sedicenti “medici”. Peter era steso su un tavolo di acciaio, legato mani e piedi, mezzo nudo, il viso privo di maschera.
Era così pallido e immobile, che perfino il cuore di Bucky sussultò a quella vista. Poi, un moto di rabbia, gli salì dritto al cervello conducendolo all’attacco assieme a Steve e Tony.
Avevano visto in volto Spider Man, svelandone l’identità. Non ci fu bisogno di consultarsi, per decidere che tali soggetti andavano messi a tacere definitivamente. La scusa dell’identità svelata, era ottima per mascherare il semplice e umano sentimento di vendetta verso coloro che avevano rapito e seviziato uno di loro.
Bucky osservò con orrore alcuni strumenti presenti nella stanza, fra cui una macchina per l’elettroshock. Tanti, troppi ricordi spaventosi si affollarono nella sua mente, paralizzandolo dal terrore.
 
« Barnes! Non stare lì impalato, controlla che non arrivi nessuno!! » Urlò Iron man al soldato, facendolo riscuotere dal suo torpore.
Lui, intanto, si preoccupava di liberare Peter, prigioniero di svariate morse di acciaio che gli impedivano di muovere un solo muscolo. Si assicurò inoltre, di tranciare immediatamente il tubo della flebo che era collegata al suo braccio. Non era un medico, ma la soluzione chimica della sacca era chiara: lo stavano tenendo sotto controllo tramite sedativi. La dose era così massiccia che avrebbe stordito pure Rogers, nonostante il suo metabolismo. Conoscendo Peter, doveva aver lottato strenuamente per tentare la fuga, come dimostravano i vari lividi presenti sul suo corpo.
 
« Peter, ehi… coraggio ragazzino, riprenditi! » Tony gli stava schiaffeggiando delicatamente il viso, sperando di svegliarlo. I battiti cardiaci erano lenti, respirava a malapena.
« Rogers, dobbiamo portarlo via da qui, subito! »
Steve, per tutto il tempo, era rimasto alle spalle di Tony, senza smuoversi dalla sua posizione, come pietrificato. Tony dovette chiamarlo ancora un paio di volte prima che reagisse.
« Hai ragione, andiamo. » Biascicò infine chinandosi per prendere in braccio Peter. Era la prima volta che lo faceva e, si rese conto, quanto fosse esile e facile da trasportare.
« Buck! Dammi la tua giacca, per favore! »
Bucky posò il mitra e si sfilò rapidamente l’indumento richiesto dal compagno. Peter indossava unicamente la biancheria intima, e il suo corpo stava diventando molto freddo.
Si fecero strada eliminando gli ultimi superstiti di quella base, facendo piazza pulita, lasciandosi alle spalle solo una macabra scia di sangue.
 
Finalmente riuscirono a rientrare nell’aereo privato di Tony, che avevano usato per raggiungere la base, situata su un isola in mezzo dell’oceano Pacifico.
Il viaggio di rientro  sarebbe stato lungo e, tutti i presenti, erano in ansia per le condizioni del giovane. Tony usò Friday per fare una scansione delle funzioni vitali di Peter, e si fece consigliare cosa fare per farlo rinvenire.
Per sua fortuna, essendo un tipo che si feriva spesso e volentieri, aveva una sacca piena di medicinali di ogni genere a bordo dell’aereo.
Sperando che la sua intelligenza artificiale, non avesse commesso errori di calcolo, somministrò a Peter una dose di adrenalina, per riattivare il suo cuore che batteva troppo lentamente.
Dopo alcuni minuti, Peter gemette riaprendo lentamente gli occhi. Si guardò attorno, spaesato, mettendoci qualche secondo prima di capire di non trovarsi più in quel laboratorio spaventoso.
 
« Peter… » Lo chiamò Steve, portando istintivamente una mano sulla sua guancia con fare protettivo.
« Ehi, ciao… papà… »
A quel punto, la corazza che aveva sollevato Steve crollò come un castello di carte. Non gli importava un accidenti del suo orgoglio, della sua reputazione di Captain America o del fatto che Tony avrebbe potuto prenderlo in giro fino alla fine dei tempi. Ora, era solo Steve, un padre che aveva temuto di perdere suo figlio. Si chinò verso Peter per abbracciarlo, lasciandosi sfuggire dei singhiozzi malcelati.
« Sto bene… non ti preoccupare, sto bene… » Continuava a ripetere Peter, ricambiando l’abbraccio dell’uomo con la poca forza che possedeva al momento. Si lasciò cullare dalle sue braccia confortevoli, fin quando non si staccò dolcemente da lui. Era strano vedere il viso di Steve rigato dalle lacrime, non lo aveva mai visto piangere. Sapeva quanto fosse discreto e che non amasse mostrare le sue debolezze apertamente.
 
« Ci hai fatto preoccupare da matti, bimbo ragno! » Esclamò Tony sorridendogli caloroso. Forse era solo una sua impressione, ma a Peter parve che si fosse commosso nel vedere la reazione avuta da Steve.
« Mi dispiace signor Stark… ho causato solo problemi… »
« Aha, non dire sciocchezze! Un rapimento, capita a tutti prima o poi! E’ il destino di noi super eroi! »
La battuta spezzò la tensione, rasserenando gli animi tormentati dei presenti.
« Manca ancora un po’ prima di rientrare a New York, tu riposati, ok? »
Peter si rimise giù, sul comodo divanetto trasformato in un letto con tanto di cuscini e coperte.
« Vuoi mangiare qualcosa? Posso preparare dei pancake se vuoi! Bé, li farò preparare a Rogers, per poi prendermi il merito, ma a bordo ho dell’ottimo sciroppo d’acero canadese! »
« No, grazie signor Stark, non ho fame. »
« Ok, allora ti lasciamo riposare… »
Tutti i presenti si allontanarono, tranne Bucky.
« Resto con Peter a fargli compagnia. » Disse unicamente l’uomo, suscitando l’espressione sorpresa di Tony. Ma non quella di Steve.
« Buona idea, a dopo. » Commentò il capitano, sorridendo di rimando a Barnes.
 
Rimasti solo Bucky e Peter nella cabina – salottino per fare festini – di Stark, il soldato andò a sedersi accanto al ragazzino. Gli posò, goffamente, una mano sul braccio nel tentativo di confortarlo.
« Allora, come stai? »
Peter preferì non rispondere, concedendo unicamente una criptica alzata di spalle. Bucky non insistette, lasciando cadere un profondo silenzio fra loro.
 
Un silenzio che però, venne rotto dallo stesso Peter senza alcun preavviso.
« Bucky, senti… posso chiederti una cosa? »
« Sì, dimmi. »
« Quando quelli dell’Hydra ti hanno fatto gli esperimenti… insomma, tu… ci hai messo tanto per dimenticare? »
Il soldato si incupì a tale domanda e, un senso di angoscia, lo pervase interamente da capo a piedi. Si morse le labbra, nervoso, inquieto al pensiero di indagare sulla faccenda.
« Peter, cosa è successo in quel laboratorio? »
Il giovane sfuggì al suo sguardo, come scottato, imbarazzato quasi. Bucky comprendeva bene quello stato d’animo, lui lo aveva provato così tante volte in passato da averne perso il conto.
« Non mi va di parlarne… »
« Non devi farlo adesso. Me ne parlerai quando vorrai. »
« Ok… ma devi promettermi, che non dirai niente a Steve… »
« Perché? »
« Non voglio che si preoccupi… e poi… non voglio apparire debole ai suoi occhi. » Affermò il giovane con un tono di voce così basso e fragile, da renderlo irriconoscibile. Barnes trattenne un sospiro, carico di rabbia e frustrazione, maledicendo le persone che lo avevano ridotto in quello stato.
 
« Peter, se a Steve importasse così tanto di certi dettagli, pensi che avrebbe pianto prima? »
« Io non… non lo so… » Biascicò in risposta Peter, confuso e spiazzato da tale quesito.
« Lui non pensa che tu sia debole, credimi. Nessuno di noi lo pensa. »
Forse era a causa dei sedativi che ancora gli circolavano in corpo, ma Peter non se la sentì di proseguire quella conversazione. Avvertiva la testa pesante, il corpo fiacco e i muscoli doloranti perché costretti troppe ore nella stessa posizione.
« Se lo dici tu. »
« E’ così, fidati. Non ci pensare adesso, devi riposare. »
« Ok… » Inspirò profondamente e, stancamente, si voltò su un fianco, cercando una posizione comoda per addormentarsi.
 
 
Nemmeno si accorse quando l’aereo atterrò o, di quando, Steve lo prese in braccio per condurlo in ospedale – nel reparto intimo e speciale creato da Stark - a fare un controllo medico.
Grazie al suo metabolismo accelerato, lo rimandarono a casa il giorno stesso, le sue condizioni di salute risultavano ottime e gli era bastato unicamente dormire per alcune ore.
 
Vennero accolti dal calore del loro appartamento, solo verso sera. Pasteggiarono con una cena leggera, poi si fecero la doccia a turno. Anche se non aveva molto sonno, Peter venne condotto a letto, di forza, da Steve. Il ragazzino protestava e sbuffava, ma il biondo non volle sentire ragioni. Gli rimboccò con cura maniacale le coperte e si accertò che ogni cosa fosse in ordine prima di allontanarsi.
« Se hai bisogno, chiama, ok? Lascio la porta aperta stanotte. »
« Sì, ok. Non ti preoccupare, starò benissimo! »
« Va bene ma, davvero, se avessi bisogno di qualcosa… »
« Bucky, ti supplico, te lo porti via?! » Esclamò il giovane, esasperato dalle eccessive attenzioni di Steve. Bucky se la rise di gusto, trascinando via il compagno, che continuava imperterrito a dare raccomandazioni a Peter.
« Ehi, capitano! Lascialo respirare, dai. » Affermò Bucky, una volta strappato il biondo dalla stanza del figlio adottivo.
« Lo so, lo so! Mi dispiace, sono un po’ stressato… »     
« Sei esausto, non chiudi occhio da oltre quarantotto ore Steve. A malapena hai toccato cibo prima… »
 
Talmente era stanco ormai, che si fece condurre fino in camera da letto senza opporre la minima resistenza. Si lasciò ricadere sul materasso, portandosi entrambe le mani alla testa. Bucky gli fu subito accanto, preoccupato.
« Ohi, tutto bene? » Una mano che massaggiava l’ampia schiena di Steve, nel tentativo di calmarlo come poteva.
« Mh… sì… sono solo davvero tanto stanco… »
Con un colpo di reni, si tirò su, raggiungendo il cassettone dove teneva il suo pigiama. Si cambiò e poi si infilò a letto, beandosi della piacevole sensazione di relax. Per quanto, lui ancora trovasse difficoltà nel dormire in un letto vero, il pavimento continuava a sembrargli un luogo migliore dove riposare. Peccato che la sua schiena non la pensasse così, il materasso l’aveva sempre vinta alla fine.
 
Bucky lo imitò, coricandosi accanto a lui, cingendogli piano la vita in un caldo abbraccio, in cui Steve si abbandonò totalmente.
« Notte, capitano… »
« Notte, Buck… »
Non passarono neanche due minuti, che Steve riprese a borbottare.
« Peter starà bene? Forse non avremmo dovuto lasciarlo da solo, dopo tutto quello che ha passato… »
« Se non taci subito, ti chiudo io quella bocca. »
« Sono serio Buck! »
« Anche io. »
Si scrutarono a lungo senza proferire parola e, quando Steve si azzardò a riaprire la bocca per dire qualcosa, le sue labbra vennero messe a tacere da quelle di Bucky. Un lento, umido e lungo bacio appassionato, che riuscì finalmente a placare tutte le ansie di Steve.
« Non ti preoccupare per lui, è un ragazzino forte. E se avrà bisogno di aiuto, sa dove trovarci. Non è mai solo dopo tutto. »
« Grazie, Buck… »
« Dormi, prima che mi venga voglia di fare altro. »
« Va bene… »
 
Nonostante Bucky non avesse fatto altro che riprendere Steve, perché fosse troppo ansioso, passò il resto della nottata a fare avanti e indietro dalla sua camera a quella di Peter.
E quando si rese conto che il sonno del giovane era tormentato da un incubo, si sedette sul pavimento, allungando una mano verso la sua fronte, carezzandola con dolcezza per calmarlo. Vi rimase per quasi un ora, non smettendo di donare conforto a Peter, sussurrandogli che era lì con lui e non doveva temere niente.
 
Fece ritorno nella propria stanza, solo dopo che Peter si fu totalmente tranquillizzato, venendo accolto dal sorrisetto beffardo di Steve.
« E…ero in bagno! » Tentò di giustificarsi Bucky, arrossendo irrimediabilmente.
« Per un ora e mezza? »
« Sta zitto. »
Si ficcò sotto le coperte, dando le spalle a Steve, che gli ridacchiava allegramente nelle orecchie, facendolo sentire un povero sciocco.
« Ammettilo, sei un tenerone sotto sotto… »
« Ti odio, Pal. »
« Ti amo, Punk. »
 
 
**********
 
Salve miei cari! Mi scuso per l’immenso ritardo con cui posto questo nuovo capitolo, ma è stato periodo intenso e, sebbene avessi questa one shot pronta da mesi, non trovavo mai il tempo per dedicarci la giusta attenzione.
 
Questa volta temo di essere andata un pochino OOC con Steve e Bucky, vi chiedo perdono!! Però, ci tenevo a mostrare il lato più umano e fragile di questi personaggi. Insomma, ormai Petey è considerato da entrambi come un figlio, quindi ho pensato che certe reazioni non sarebbero state poi così esagerate, sebbene esulino un po’ dal loro carattere canonico! Comunque, come si sol dire “ai posteri l’ardua sentenza”.
 
Non ho idea di quando riuscirò a fare uscire una nuova one shot per questa raccolta, al momento non ho molte idee, ma confido che l’ispirazione mi colga all’improvviso quando meno me lo aspetto, come spesso succede! XD
 
Bene, non mi resta che salutarvi tutti e, cogliere l’occasione di farvi tanti auguri di Buon Natale e felice anno nuovo!!
 
Giò ♥
  
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