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Autore: MadAka    11/12/2016    1 recensioni
“Il sovrano aveva impiegato due anni per sentirsi all’altezza del compito che il padre gli aveva prematuramente lasciato. Tuttavia, alla fine, l’erede di T’Chaka si stava dimostrando un ottimo re, così come un perfetto Pantera Nera.”
[Post Civil War. Sono presenti riferimenti ad altri film Marvel, in particolare AoU. Alcune cose possono essere tratte anche dai fumetti]
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nuovo personaggio, Sam Wilson/Falcon, Steve Rogers, T'Challa/Black Panter
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Il mattino seguente allo scontro alla centrale T'Challa si accertò di rendere omaggio nel migliore dei modi alle vittime. Durante la notte, con i soccorsi provenienti dal suo Paese, aveva contribuito a recuperare i corpi e, come aveva dolorosamente sospettato, nessuno era riuscito a sopravvivere al crollo dell’edificio. La Pantera aveva dovuto accettare la scomparsa di ventisei soldati, troppi per essere considerati solo una tragica fatalità. Aveva sottovalutato Klaw – e anche i due uomini che erano con lui e che ora gli parevano ancora più pericolosi – e degli innocenti ne avevano pagato le conseguenze. Tuttavia non avrebbe permesso che una cosa simile capitasse nuovamente.

Fermo davanti alla statua raffigurante Bast – la Dea Pantera, protettrice del Wakanda – T'Challa lasciò la mente libera di vagare alla ricerca di una soluzione.

Ulysses Klaw era fuggito e lui lo aveva permesso. Prima che l’uomo potesse essere fermato, però, era necessario trovarlo e per T'Challa ciò significava svolgere altre ricerche nella speranza di individuare in fretta il nuovo rifugio del nemico, o almeno trovarlo prima che potesse diventare nuovamente pericoloso. Era consapevole che non sarebbe stato semplice e, anche se lo avesse trovato, avrebbe dovuto affrontarlo in un’altra maniera. L’esito della missione della notte precedente – che lui aveva erroneamente immaginato veloce ed efficace – continuava a bruciargli dentro. Non riusciva a darsi pace per il fatto di essere stato tanto ingenuo da credere che tutto si sarebbe risolto in fretta e nel migliore dei modi, tuttavia era anche consapevole che non sarebbe riuscito a continuare se i sensi di colpa lo avessero sovrastato.

Ripetendo uno a uno i nomi dei ventisei soldati caduti, T'Challa accese una candela per ciascuno di loro e pregò Bast di accoglierli e guidarli verso il loro nuovo cammino oltre la morte. Dopodiché uscì dal tempio.

 

*

 

Anisa era ferma in piedi, le mani intrecciate all’altezza della vita, gli occhi bassi. L’ampia sala del tempio era gremita di persone, raccolte in preghiera e in ricordo dei soldati caduti. La veglia del sacerdote non era ancora iniziata e la voce che si stava levando sicura, forte, ma anche amareggiata, era quella del sovrano del Regno di Wakanda.

Era il pomeriggio successivo all’attacco al deposito, il momento in cui si piangevano le vittime. Anisa aveva ancora negli occhi la luce delle fiamme, i corpi privi di vita e le macerie, mentre le sue orecchie sembravano ancora ascoltare le grida di dolore e le richieste d’aiuto. Nonostante le fosse già capitato di vedere persone perdere la vita, ogni volta era per lei difficile assimilare la cosa e passare oltre. Avere rivisto Klaw, inoltre, aveva risvegliato in lei i fantasmi del passato e quel dolore così intenso che sembrava divorarla, non se ne andava mai. Per la donna la consapevolezza che quell’uomo era ricomparso la rendeva nervosa e il forte desiderio di fare qualcosa si era insinuato in lei. Tuttavia era necessario che si attenesse alle volontà del suo sovrano e, da quando erano rientrati a palazzo alle prime luci dell’alba, loro due non avevano avuto molto tempo per parlare. T'Challa era rimasto quasi tutta mattina in conferenza con il primo ministro etiope, trovando solo poco tempo per il suo personale ricordo alle vittime. Anisa, invece, si era accertata che i superstiti ricevessero cure adeguate e aveva fatto in modo che nessuno disturbasse il sovrano prima del tardo pomeriggio. In tutto ciò entrambi avevano dovuto convivere con la consapevolezza che tutto era accaduto a causa di Klaw.

«Che la Dea Bast possa avere cura dei nostri fratelli.»

Le ultime parole di T'Challa ridestarono Anisa, che ricacciò indietro i vari orrori e si sforzò di alzare lo sguardo. Nel suo elegante abito da cerimonia, il sovrano scambiò veloci parole con il sacerdote, infine raggiunse Anisa che, dopo un rapido inchino in direzione della sala e dei presenti, seguì T'Challa lungo il corridoio posto dietro l’altare. Sul retro del tempio li attendeva una lucida berlina nera che li avrebbe ricondotti a palazzo.

Durante i primi minuti di viaggio nessuno dei due parlò. Anisa non voleva fare il nome di Klaw e discutere di tutt’altro non avrebbe avuto alcun senso. Dopo altri, lunghi, minuti di silenzio, fu il sovrano a parlare: «Questa mattina il primo ministro etiope mi ha informato che i suoi soldati inizieranno a cercare Klaw per poterlo arrestare.»

A quelle parole la donna si voltò subito per poter vedere in viso l’uomo, rivolto, però, verso il finestrino. Il tono con cui aveva parlato rasentava la rassegnazione e ad Anisa non serviva domandare per quale motivo. Certamente T'Challa la pensava come lei, ovvero che chi non aveva mai avuto a che fare con Klaw direttamente non poteva sperare di catturarlo alla prima occasione. Perfino T'Challa, che lo aveva già incontrato più volte in passato, era stato sopraffatto nel loro ultimo faccia a faccia. Inoltre gli uomini che erano con Klaw erano un’incognita probabilmente ben più pericolosa di quanto si potesse pensare e le ventisei vittime della sera precedente potevano esserne la dimostrazione.

«Che cosa?» chiese Anisa, forse in modo più sconvolto di quanto lo fosse in realtà.

T'Challa rispose al suo sguardo.

«Non potevo non informarlo di Klaw. Non dopo quello che è successo» replicò il sovrano, infastidito da quella che a lui parve eccessiva insolenza.

La donna scosse la testa, tentando di rimediare all’errore. «No scusami, non volevo, è solo che… perché l’Etiopia vuole intervenire?»

«Immagino sia perché si sentano minacciati. Furti e uccisioni a Omorate… Ora che sanno a chi dare la colpa non possono fingere di non vedere.»

«Ma è Klaw» esclamò affranta la donna, dopodiché le tornarono alla mente le due possenti figure che erano con l’uomo e l’esito della notte precedente. «E non è solo. Le armi convenzionali non funzionano con lui, men che meno se usate da persone che non lo conoscono.»

Sospirò, un misto di disperazione e rabbia a riempirla. «Perché non possono lasciare che ci pensi Pantera Nera?»

T'Challa abbassò lo sguardo. Era d’accordo con Anisa. Anche secondo lui l’intervento Etiope – nel caso fossero prima riusciti a trovare Klaw – non avrebbe portato a nulla, se non ad altre vittime. Klaw era ricomparso più organizzato di prima e, come già aveva detto la donna, non era solo. Questa volta avevano a che fare con qualcuno che aveva imparato a conoscerli e che si era attrezzato di conseguenza.

«Temo che questa volta anche la Pantera non sia in grado di farcela da sola.»

Ammise infine T'Challa. Anisa lo guardò, stupita da tale dichiarazione. Non le riuscì di dire nulla se non uno sbigottito: «Cosa vuoi dire?»

Lei poteva aiutarlo, poteva combattere al fianco di Pantera Nera come aveva già fatto altre volte. Era pronta a ricordarlo all’uomo quando lui rispose alla domanda: «Hai visto anche tu, Anisa. Klaw sa cosa aspettarsi da noi e sono certo che i due uomini che erano insieme a lui non sono né gli ultimi arrivati ne tantomeno individui da sottovalutare.»

La donna non poté dargli torto. Ripenso a quelle due figure e al modo in cui tutto era rapidamente andato per il verso sbagliato appena avevano varcato la soglia della stanza nella centrale idroelettrica al fianco di Klaw. Tuttavia non poteva fare a meno di sentirsi confusa.

La macchina accostò sul ciglio della strada, davanti a uno degli ingressi a palazzo. T'Challa aveva già aperto la portiera dell’auto e stava per scendere quando la donna chiese: «Perciò cosa hai intenzione di fare?»

Non lo chiese con arroganza, ma con la sincera curiosità di chi non ha la più pallida idea di quale sia la risposta. Il sovrano si voltò a guardarla e le fece cenno di seguirla. Anisa capì che non avrebbe ricevuto una risposta subito, ma quasi certamente l’avrebbe ottenuta in tempi brevi, per tale motivo si affrettò a scendere dalla berlina. Insieme risalirono la gradinata per poter entrare a palazzo e, una volta dentro, proseguirono diretti all’ufficio del sovrano, la stanza più al sicuro da orecchie indiscrete. Lungo il tragitto T'Challa fu fermato da numerose persone che chiesero il suo parere o in che modo procedere con una determinata operazione. Il sovrano aveva impiegato due anni per sentirsi all’altezza del compito che il padre gli aveva prematuramente lasciato. Tuttavia, alla fine, l’erede di T’Chaka si stava dimostrando un ottimo re, così come un perfetto Pantera Nera.

Finalmente, dopo diversi minuti e confronti con altrettante persone, T'Challa e Anisa raggiunsero l’ufficio del sovrano. Non lo trovarono vuoto; al suo interno, in un elegante tailleur bordeaux scuro molto simile a quello di Anisa, c’era in attesa una giovane donna. Teneva stretta al petto una cartellina, i lunghi capelli neri acconciati in strette e ordinate treccine.

«Ah, Mandisa» disse T'Challa appena la vide.

Lei si esibì in un rapido inchino. «Sire» lo salutò, lanciando poi un’occhiata torva in direzione di Anisa, che per via del suo colore di pelle non era ben vista da diverse persone – anche per l’incarico che ricopriva all’interno del palazzo.

«Hai qualcosa per me, non è vero?» proseguì l’uomo affabilmente.

Mandisa gli porse alcune carpette che teneva ancora strette al petto.

«Ti ringrazio molto» disse T'Challa, sfogliando rapidamente il contenuto di ciò che aveva appena ottenuto.

«Devo anche ricordarle» riprese la donna. «Che alle 18 è atteso per la conferenza con gli Stati limitrofi.»

«Ma certo. Non posso dimenticare una cosa di simile rilevanza.»

Indicò Anisa con un breve cenno, quest’ultima non si scompose minimamente.

«Ora, se non ti dispiace, dovremmo parlare di cose importanti» concluse il sovrano alludendo, grazie al gesto di poco prima, a lui e alla sua personale assistente. Mandisa fece un altro rapido inchino, dopodiché si affrettò a uscire. Fu solo dopo che si fu chiusa la porta alle spalle che T'Challa sollevò le carpette che aveva ricevuto poco prima e disse: «È questo che intendo fare.»

Allungò il tutta ad Anisa, la quale sfogliò confusa le prime carte, per poi capire. Quelli che teneva in mano erano documenti che gli esperti hacker di cui T'Challa disponeva avevano trafugato. Riuscì a intuirlo perché le carte che stava guardando avevano strani segni e codici non riconducibili a niente che le fosse famigliare. Continuò a sfogliare i vari documenti, soffermandosi con maggiore attenzione nelle parti che erano state evidenziate, sottolineate o cerchiate. Ogni diverso foglio di carta portava con sé alcune immagini sgranate prese da satellite, le coordinate del punto esatto e un’altra serie di immagini poco nitide di alcune persone. Anisa continuò a scrutare fra le righe, cercando di unire in fretta i tasselli così da avere la conferma dei suoi sospetti. Ogni singolo foglio, ogni singola indicazione, ogni parola evidenziata si riferivano alla stessa persona, quella che, in quei documenti criptati, sembrava essere inseguita con mediocre competenza: Captain America. Erano su di lui tutti i dati raccolti, così come le posizioni segnate e le foto sfocate che lo avevano mal immortalato.

«Il capitano Rogers?» chiese infine Anisa, che aveva, sì, capito, ma non ne era tanto convinta.

T'Challa annuì con la testa, smettendo di guardare fuori dalla finestra come aveva iniziato a fare in attesa che la donna dicesse qualcosa. «Quelli che hai in mano sono documenti che i nostri hacker hanno “preso in prestito” dalle Nazioni Unite. Sono relativi agli ultimi avvistamenti di Captain America.»

La donna lesse la data dell’ultimo dei fogli che teneva in mano e che si riferiva a soli tre giorni prima.

«Ammetto di non capire» disse infine, scuotendo leggermente il capo.

T'Challa sorrise, ma tornò serio immediatamente. «Come ti ho detto prima, temo che la Pantera non possa vincere questa battaglia da sola.»

«Vuoi chiedere a Captain America di aiutarti?» domandò lei, a cui bastarono le poche parole del sovrano per afferrare le sue intenzioni.

«Sì, esattamente.»

«Ma…» cominciò, mentre T'Challa sollevava le sopracciglia in attesa che continuasse la frase.

Anisa si era fatta raccontare tutto dall’uomo, tutti gli avvenimenti che avevano stravolto il gruppo degli Avengers ormai due anni prima e che avevano portato alla presenza di un ex assassino professionista nella loro camera criogenica. Così come sapeva di quella storia, sapeva anche che Steve Rogers, per quanto per molti continuasse a essere un eroe, era improvvisamente diventato un ricercato e che, insieme a lui in quella libertà precaria, c’erano almeno altre quattro persone.

«Perciò vorresti chiedere aiuto a lui?» domandò infine la donna, piuttosto confusa da tutta quella faccenda.

T'Challa annuì, ma non riuscì a dire altro. Anisa, infatti, intervenne nuovamente: «Perché chiedere aiuto a Rogers…»

Bloccò l’uomo, in procinto di replicare, con un gesto della mano. «Non fraintendere. Mi piace Captain America, penso che stia facendo del suo meglio per mantenere il mondo al sicuro. Tuttavia, e non puoi non essere d’accordo, ha un mandato d’arresto sulla testa.

«Non ha più senso chiedere a quegli Avengers che possono intervenire senza correre il rischio di trovarsi le Nazioni Unite alle calcagna?»

T'Challa non rispose subito. Capiva le perplessità e i dubbi di Anisa.

Aveva deciso di contattare Steve Rogers quella stessa mattina, mentre accendeva le ventisei candele per i soldati caduti. Per quanto paradossale potesse sembrare le Nazioni Unite sarebbero state un problema e lui lo sapeva perfettamente. Due anni prima Captain America si era reso disponibile ad aiutare il sovrano del Wakanda se ve ne fosse stato bisogno, siglando con tali parole l’amicizia che si era instaurata fra i due anche grazie al segreto che T'Challa aveva deciso di custodire e che rispondeva al nome di James Buchanan Barnes. Ora che T'Challa aveva bisogno di aiuto sapeva anche che di Rogers si sarebbe potuto fidare.

L’uomo prese una lunga boccata d’aria prima di parlare e decise che avrebbe impedito qualsiasi tipo di interruzione da parte della donna. «Se volessimo chiamare gli Avengers a cui ti riferisci dovremo rivolgerci direttamente alle Nazioni Unite. Dopo gli Accordi di Sokovia sono praticamente loro sottoposti, credi veramente che permetteranno a Iron Man o Visione di intervenire in Wakanda per fermare un uomo che, per loro, sta solo rubando munizioni? Le Nazioni Unite lo considereranno certamente una cosa di poca importanza e manderanno qui delle semplici forze speciali che non saranno in grado di fare meglio di ciò che abbiamo fatto noi questa notte.»

«Ma è Klaw!» esclamò lei, senza che T'Challa fosse in grado di fermarla. Ripeteva quella frase come un mantra; non riusciva a sopportare che qualcuno non si rendesse conto di chi fosse quell’uomo e, soprattutto, di cosa fosse capace di fare.

Il sovrano si avvicinò alla donna, tentando di calmarla. Anisa gli parve sull’orlo delle lacrime. Quando riprese a parlare lo fece con voce calma e sicura: «Proprio perché si tratta di Klaw abbiamo bisogno dei migliori aiuti possibili. Ed è per questo che voglio che le Nazioni Unite ne rimangano fuori. Captain America e chiunque abbia voglia di intervenire insieme a lui, sono i più indicati per aiutarci.»

Anisa annuì debolmente, dando così ragione a T'Challa, il quale proseguì: «Se Steve Rogers è disposto a darci una mano potremmo riuscire a fermare Klaw prima che faccia ancora del male. Tuttavia trovarlo non sarà semplice.»

Prese dalle mani di Anisa le carte che lei ancora stringeva e che si erano stropicciate in più punti. «Rogers è piuttosto in gamba e sa come evitare di farsi trovare.»

La donna continuava a guardare il sovrano in modo assente. Tentava ancora di riprendere il controllo di sé dopo l’ultima esplosione che l’aveva travolta e che aveva provocato nuovamente in lei l’apertura di vecchie e inguaribili cicatrici.

«Sai dov’è?» chiese infine a T'Challa.

Lui si voltò a guardarla. «Dimentichi che ho ottimi uomini a mia disposizione» detto ciò girò intorno alla scrivania, afferrò la cornetta del telefono e digitò alcuni numeri. Appena Anisa sentì il nome che aveva pronunciato cercò di ricomporsi al meglio, consapevole che entro breve, nell’ufficio, non sarebbero più stati soli.

Infatti, solo pochi minuti dopo, qualcuno bussò alla porta. Quando questa si aprì la figura di un giovane uomo, di proporzioni minute ma con uno sguardo sorprendentemente astuto, fece il suo ingresso nella stanza.

«Mio signore» disse, salutando il sovrano e facendo un inchino anche in direzione di Anisa.

Edet Usutu era uno degli uomini più fidati di T'Challa, così come lo era stato prima anche per T’Chaka. A soli ventiquattro anni era già uno dei migliori agenti wakandiani, in grado di ottenere informazioni certe in poco tempo e di riportarle utilizzando i canali più sicuri. Anisa non rimase sorpresa di vederlo lì; se c’era da rintracciare qualcuno in fuga nessuno era più indicato di Edet. Tuttavia si ritrovò a sperare con tutta se stessa che il ragazzo avesse già delle informazioni a riguardo. Non voleva che passasse troppo tempo prima di una nuova azione contro Klaw, c’era il rischio che l’uomo uccidesse ancora.

«Come stai, Edet?» domandò T'Challa, con una domanda formale a cui quasi nessuno rispondeva. Il ragazzo, infatti, fece un veloce cenno con il capo, sorridendo. Si avvicinò alla scrivania, dietro la quale il sovrano si era messo a sedere. Quest’ultimo, lasciando da parte ulteriori formalità, estrasse da uno dei cassetti una piccola scatola nera, i cui angoli rilucevano per via di lamine argentate. Fece scorrere la scatola sul piano del tavolo e l’affiancò alle carte con gli avvistamenti di Captain America, sotto lo sguardo vigile e attento di Edet. Anisa conosceva quella scatola, così come il suo contenuto.

«Ho un incarico per te» proseguì il sovrano, la voce bassa, determinata.

Il giovane uomo davanti a lui annuì nuovamente e prese il primo foglio dalla piccola pila di carte. Lo analizzò rapidamente, infine tornò a guardare T'Challa. «Captain America?»

T'Challa sorrise. «Esattamente. Ho bisogno che tu riesca a trovarlo e quelle sono tutte le informazioni che hai a disposizione.»

Sentendo quelle parole le speranze di Anisa si affievolirono immediatamente. Edet era il migliore nel suo campo, su questo non aveva dubbi, ma quello che il sovrano aveva appena detto lasciava perfettamente intuire che non aveva idea di dove esattamente si trovasse Steve Rogers. La sua ricerca avrebbe potuto richiedere settimane, nel peggiore dei casi addirittura mesi. Non disse nulla, rimase a guardare Edet che lasciava andare il foglio stampato per afferrare la piccola scatola nera, aprirla ed estrarne il contenuto. Era un anello; un anello nero con sottili incisioni argentate e una pietra verde lavorata in modo da farla sembrare un occhio. Per quanto fosse insospettabile quel piccolo oggetto era il canale di comunicazione più sicuro che T'Challa avesse ideato. Lui stesso aveva personalmente lavorato a quella tecnologia. Era riuscito a inserire all’interno di un anello un sistema informatico in grado di ricevere informazioni, criptarle e inviarle a un server sicuro per la decodificazione. Ogni informazioni inserita in quell’anello poteva essere estrapolata solo da poche persone e, esclusivamente, fra i confini del Regno di Wakanda.

Edet infilò l’anello all’anulare destro, decretando in tale maniera che accettava l’incarico.

«Quando lo trovi, di’ che ti mando io e che ho urgente bisogno del suo aiuto. Digli che James sta bene e che non c’entra. Non posso dare informazioni maggiori e se è disposto ad aiutarmi deve fidarsi di me e delle poche cose che posso dirgli fino al suo arrivo in Wakanda.»

Edet annuì alle parole del sovrano. Afferrò le carte dal piano della scrivania e rimase in silenzio, in attesa delle ultime parole che, sapeva, sarebbero giunte a breve.

«Mandisa ha fatto preparare tutto il necessario per la tua partenza. Si trova nell’hangar ovest.»

«Farò del mio meglio, mio Signore» disse il giovane.

«Ho fiducia in te, Edet

Con un nuovo inchino il ragazzo salutò i presenti. Con lo stesso passo sicuro con cui era entrato si affrettò a uscire dall’ufficio di T'Challa, sotto lo sguardo del sovrano e di Anisa. La piccola scatola nera, privata del suo contenuto, giaceva immobile sul piano della scrivania.

 

*

 

T'Challa uscì dal laboratorio di ricerca piuttosto soddisfatto. Le ricerche dei suoi scienziati stavano andando molto bene e sentiva che, almeno in quel settore, poteva lasciarsi andare a un cauto ottimismo. I suoi uomini stavano lavorando a quella tecnologia da ormai due anni e lui aveva contribuito in più occasioni, anche grazie alle quasi sconfinate conoscenze che possedeva. Tuttavia l’ultima versione, quella che avrebbe quasi certamente funzionato, era stata interamente ideata dal suo staff e la cosa lo rendeva carico di orgoglio.

Mentre camminava lungo uno dei corridoi del palazzo, una sensazione positiva a scaldarlo dentro, si accorse che la cosa non sarebbe potuta durare a lungo. Anisa stava sopraggiungendo verso di lui a passo rapido, il volto pallido e preoccupato. Era agitata e T'Challa capì subito che doveva essere accaduto qualcosa.

«C’è una cosa che devi vedere» gli disse la donna appena lo ebbe raggiunto.

Il sovrano seguì Anisa fino a una delle sale da conferenza del palazzo, in cui la donna si infilò velocemente. La sala era deserta e sarebbe stata silenziosa se non fosse per il televisore accesso, da cui provenivano i rumori. Anisa fece intendere a T'Challa che doveva guardare lo schermo e il sovrano lo fece.

Le immagini che vi baluginavano sopra si riferivano al piccolo villaggio di Ileret, ai confini con il lago Turkana e con il Wakanda. T'Challa lesse la scritta in sovrimpressione: “Ileret: trovati i corpi di tre soldati Etiopici. Mistero sulla morte.”

Senza aspettare che l’uomo le chiedesse qualcosa, Anisa intervenne: «Li hanno trovati morti carbonizzati. Non ci sono tracce di combustibile, né segni che lascino pensare che sono stati trascinati fin lì e nessuno sa spiegarsi come ciò sia possibile.»

T'Challa la guardò subito, esterrefatto e improvvisamente preoccupato. Sicuramente anche Anisa stava pensando alla stessa cosa, ovvero a quell’uomo, insieme a Klaw, che aveva fatto scoppiare l’incendio alla centrale semplicemente azionando un accendino.

La donna si lasciò cadere su una delle sedie disposte intorno agli ampi tavoli da conferenza.

«Sono pronta a scommettere che c’entra Klaw» disse avvilita.

Il sovrano non poté darle torto perché anche lui avrebbe scommesso lo stesso. Stava succedendo ciò che non avrebbe voluto, ovvero che Klaw ricominciasse a muoversi prima che lui potesse avere le giuste contromisure per fermarlo. Erano trascorsi sei giorni dalla partenza di Edet e l’agente ancora non aveva dato alcuna informazione sull’avanzamento del suo incarico. Ciò significava che non era ancora riuscito a rintracciare Steve Rogers, né qualcuno a lui vicino e T'Challa sapeva che quando Edet impiegava più di quattro giorni per portare a termine un compito significava che il lavoro avrebbe potuto richiedere molto più tempo.

Costrinse la sua mente a lavorare in fretta in cerca di una soluzione. Quei soldati morti potevano anche essere un caso, una coincidenza che però si incastrava fin troppo bene con tutta la serie di eventi che erano accaduti prima. Ciò però non significava che Klaw fosse già in procinto di fare nuovamente del male o di essere terribilmente pericoloso, i soldati potevano aver incrociato la sua strada per una fatale, quanto involontaria, circostanza. Pensò più rapidamente che poté, fece collegamenti, srotolò ipotesi. Se da solo Pantera Nera non era in grado di farcela a chi poteva chiedere aiuto se Captain America era così difficile da trovare e se voleva, al contempo, che le Nazioni Unite rimanessero all’oscuro di tutta la faccenda?

D’improvviso la risposta gli affiorò nella mente. Era un’idea folle, pretenziosa e arrogante ma che in quel momento gli parve come l’unica che avesse senso seguire. Si sarebbe trattato di un duplice scambio di aiuti che però non avrebbe costretto l’altro a ricambiare, a meno che non avesse voluto.

«T'Challa, mi hai sentito?»

Anisa riuscì a ottenere l’attenzione del sovrano, infine. Lui la guardò e la donna capì che non l’aveva ascoltata.

«Ti ho chiesto cosa possiamo fare. Edet non ci ha ancora fatto sapere nulla. E se non dovesse riuscire a trovare il Capitano Rogers? Forse dovremmo contattare le Nazioni Unite e chiedere l’intervento degli Avengers.»

«No, non chiamerò le Nazioni Unite. Da quando hanno messo sotto controllo gli Avengers non hanno fatto niente di buono» rispose ostinato T'Challa.

Anisa sospirò, accasciandosi nuovamente sulla sedia. Non riusciva a capire per quale motivo il sovrano continuasse a rimanere così fermo e cocciuto su quel punto. Faceva fatica ad accettare che lui tentasse di trovare una soluzione alternativa mentre là fuori un gruppo di uomini armati continuava a seminare morte avvicinandosi sempre più al Wakanda.

T'Challa respirò a fondo, accarezzando leggermente l’anello della Pantera. «Ho un piano» disse infine.

Anisa spalancò gli occhi a quelle parole, osservando con maggiore intensità l’uomo. Dentro di lei la speranza era appena risorta.

 

  
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