Nota: Ecco il nuovo capitolo!! Ed ultimo... Va be, vi ho già detto che ci sarà il seguito, non vi preoccupate. Comunque prevedo con la mia sfera magica che molti verseranno un sacco di lacrime, soprattutto chi ama gli happy ending. Mi dispiace molto, ma non sempre le cose vanno come vorremmo. Mi odierete, ma vedrete che tornerete ad amarmi!! ^^ Eheh... Allora alla prossima, aspetto tante recensioni così metto il seguito il più presto possibile!!
Grazie a tutti!! Ringraziamenti alla fine... _Ary_
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Jinny
stava tremando. E anche violentemente.
Era rannicchiata sul divano in salotto, le gambe strette al petto
più che
poteva, la testa fra le ginocchia.
Erano
le otto e mezza di sera e la pizza che
avevano mangiato a cena le era rimasta tutta sullo stomaco, tanto che
avrebbe
persino vomitato per levarsela da lì. Oppure era
un’altra la cosa che la faceva
sentire così male: la partenza dei ragazzi.
Ricordò
il primo giorno, quando si erano
conosciuti. Si rese conto che anche la prima sera avevano mangiato la
pizza. Sembrava
un dejavù,
ma le condizioni di lei erano pessime, al contrario
dell’insolita felicità che aveva provato quando si
era trovata costretta a
convivere con quei quattro.
Sarebbero
spariti così com’erano venuti, solo
che le avrebbe fatto molto più male. Bill le aveva fatto
quella promessa, sì,
ma… lui era un bambino quando si trattava di quelle cose:
diceva sempre tutto
per consolare una persona e poi non faceva mai niente di concreto e di
vero. Il
pessimismo ormai era una parte di lei, della sua vita e del suo modo di
vedere
le cose.
«Georg!
Si può sapere dov’è finita la mia
piastra?!», gridò Bill in mezzo alle scale.
«E
io che ne so?! Piuttosto, qualcuno sa dov’è
finita la mia maglietta verde militare?!»
«In
lavanderia hai guardato?», disse Tom
passando velocemente da una stanza all’altra per controllare
se aveva
dimenticato qualcosa. Era più o meno il decimo controllo
della serata.
Jinny
li guardò frettolosi e nervosi, non
stavano mai fermi e tutto sembrava andare a pezzi, come ad ogni
partenza. Quella
era diversa, si sentiva perfettamente che c’era anche quel
velo pesante di
tristezza che li avvolgeva, ma nessuno diceva niente a proposito.
«Jinny?»
Lei
alzò la testa e fissò Gustav di fronte a
sé che la guardava dolce, la testa appoggiata sulla spalla.
Non riuscì a
trattenere le lacrime e i singhiozzi, che la travolsero
all’improvviso in un
pianto doloroso.
Si
lasciò cadere di lato, come pietrificata,
senza dare nessuna importanza alla scenata inutile che stava facendo,
proprio
come una bambina, perché loro sarebbero partiti comunque,
anche se avesse
pianto in giapponese.
«Jinny…»,
sussurrò Gustav accarezzandole la
nuca, ma lei gli allontanò bruscamente la mano, stringendo
il cuscino fra le
braccia.
Gustav
guardò i ragazzi, immobili e
ammutoliti, e in labbiale disse: «Siete dei
deficienti!»
Tom
fece la faccia da: «Cosa abbiamo fatto?!»
Gustav
andò da lui e lo prese per la spalla,
allontanandolo dal salotto mentre Bill andava da Jinny e tentava,
inutilmente,
di farla smettere di piangere.
«Ma
vi pare il caso di mettervi a gridare per
chiedervi che cosa manca prima di lasciare questa casa?»
«Gustav,
cosa dovremmo fare?»
«Hai
la sensibilità di un elefante!»
«Ha
parlato l’orsacchiotto di peluche.»
«Non
mi pare che io abbia avuto l’idea
brillante di fare quello che facevate voi mentre Jinny era
sconvolta.»
«Gustav,
non è colpa nostra se dobbiamo
partire.»
«Ma
non essere così brusco!»
Si
guardarono negli occhi e Gustav colse il
messaggio: Tom voleva una cosa veloce ed indolore. Per chi sarebbe
stata veloce
ed indolore? Non per Jinny, sicuramente.
«Sei
sicuro di volerlo fare?», gli sussurrò
preoccupato.
«È
l’unica soluzione.»
«No
che non lo è! Pensaci», gli prese il
braccio.
«Ci
ho già pensato, sono due settimane che ci
penso, giorno e notte.»
«E
il massimo che hai ottenuto è questo:
scappare?»
«Io
non sto scappando.»
«No,
figurati. E allora perché cavolo hai
scelto di fare in questo modo?»
«Se
Jinny soffre così adesso, pensa quando…»
«Ma
è una reazione normale, Tom! Ogni ragazza,
che ci tiene ovviamente, farebbe così!»
«Beh,
non mi sta bene.»
«Forse
Bill ha davvero ragione: non capisci un
cazzo d’amore.»
Si
guardarono truci un’altra volta e Gustav
lasciò il braccio dell’amico, ormai arreso.
Sarebbe successo e niente, se non
un miracolo, avrebbe potuto cambiare gli eventi.
Bill
era seduto accanto al corpo tremante di
Jinny, sembrava in agonia, e lui non poteva fare assolutamente niente,
oltre
che assistere a quello spettacolo fin troppo doloroso per lui.
Non
era difficile solo per lei lasciarli, ma
anche per loro lasciare lei. Avevano passato momenti bellissimi
assieme, mai li
avrebbe dimenticati, eppure non solo quelli: c’erano stati i
pianti, le
confessioni, le litigate, ma si erano affezionati gli uni gli altri
come mai
gli era capitato da quando erano ciò che erano,
cioè i Tokio Hotel.
«Jinny,
ti prego, basta», le sussurrò
accarezzandole i capelli, ma lei si scostò con rabbia e si
alzò asciugandosi le
guance, anche se era prettamente inutile perché le lacrime
non sembravano
volersi fermare.
«Non
puoi essere arrabbiata con noi per
questo», le disse.
«Lo
so», mugugnò.
Raggiunse
la porta con le stampelle e se la
sbattè dietro, lasciandoli soli e lacerati nel petto in
salotto.
Tutti
si guardarono e, per caso o forse no,
concluso il primo giro di sguardi, il secondo fu monotono e fisso:
Bill, Gustav
e Georg guardarono Tom e lui fissava beatamente il soffitto pensieroso.
Quando
si accorse che aveva tutta l’attenzione addosso fece un altro
respiro profondo.
«Tomi,
ti prego, non farlo», mormorò Bill con
le lacrime agli occhi.
«Ma
devo.»
«No
che non devi, no! Tu… tu sei…»
«Innamorato
di lei?»
«Sì.»
«E
questo lo dici tu?»
«Dovresti
dircelo tu, in realtà.»
«Appunto.
Io dico di no.»
«Se
sei così stupido da non rendertene conto
non è colpa nostra!», gridò in lacrime.
«Bill,
non ti ci mettere pure tu, ti prego.»
«Io
faccio quello che mi pare, capito?! Sei tu
quello che sbaglia!»
«Scelte
mie, errori miei.»
«Bene,
allora! Fai quel cazzo che ti pare!
Quando verrai da me piangendo e dicendo che hai sbagliato, io ti
dirò: “Te
l’avevo detto!”», gli gridò in
faccia.
«Ok.»
«Ok.
È tutto quello che hai da dire?»
Tom
scrollò le spalle e chiuse gli occhi
annuendo.
«Bene,
fai l’errore più grande della tua vita.
Vedremo se soffrendo crescerai un po’.»
Gli
diede una leggera spinta sulle spalle e
poi si avviò a passi pesanti verso la porta. Se la chiuse
anche lui alle spalle
e rimasero in tre.
Tom
guardò Georg e Gustav e fece un nuovo
respiro profondo.
«Che
ho fatto per meritarmi tutto ciò?»
«Nulla,
questo è ancora nulla rispetto a
quello che accadrà», disse Georg per poi uscire
fuori pure lui, seguito da
Gustav che non aveva detto nulla a parole, ma tutto con uno sguardo
frustrato.
Tom
rimase da solo e quella casa gli parve
così vuota, così silenziosa… come la
sua mente. Non riusciva a pensare
concretamente ad un qualcosa di preciso, non ce la faceva.
Dopo
un altro lungo respiro camminò lentamente
verso la porta e sentì un brivido quando la aprì
e vide i ragazzi già alla
macchina, che sistemavano le ultime valigie nel bagagliaio.
Ciò voleva dire
solo una cosa: loro l’avevano già salutata e lui
era l’ultimo.
«Odio
i saluti», disse Jinny.
Sobbalzò
vedendola appoggiata accanto alla
porta, le braccia strette al petto, la frangia che le copriva gli occhi
verdi,
quegli occhi che aveva imparato ad… amare.
«Anche
a me non piacciono», disse.
«Davvero?»
Si
sentì nudo di fronte a quegli occhi e fu
una sensazione terribile sapere che erano assieme e tra pochi minuti
non lo
sarebbero più stati; che erano loro
e
che tra poco quel loro
si sarebbe
trasformato in Tom e Jinny, Jinny e Tom, separati. E a causa di chi?
Solo sua.
Un’improvvisa
paura gli fece venire il dubbio.
Ci aveva pensato così tanto in quelle due settimane, eppure
non aveva pensato
mai all’effetto che gli avrebbe fatto vedere Jinny in quelle
condizioni. Non
sapeva se ce l’avrebbe fatta.
Si
avvicinò timoroso e le mise le braccia
intorno al collo, appoggiandosi con il mento alla sua spalla, gli occhi
chiusi.
«Grazie,
Jinny», le sussurrò con un insolito
strato di lacrime a velargli gli occhi.
«Per
cosa?»
«Per
tutti i momenti belli che abbiamo passato
insieme, per le litigate, le notti passate a parlare, i pomeriggi in
spiaggia…
per tutto. Non li dimenticherò. E anche per avermi dato
tempo e fiducia. Mi
dispiace se sono solo stato della fatica sprecata e della sofferenza
inutile.
Mi dispiace davvero tanto.»
«E
così questa è la fine»,
sussurrò.
«Penso
di sì.»
«Me
l’aspettavo, in fondo.»
«Sì?»
«Era
ovvio che andasse a finire così.»
Si
staccò dall’abbraccio e la guardò
triste,
senza sapere che fare: era ovvio anche che non si aspettasse quella
reazione.
«Perché
non mi gridi in faccia, perché non mi
prendi a pugni?» Era quello che si era immaginato e magari lo
avrebbe fatto anche
sentire meglio, anziché vedere Jinny inerme e delusa.
«Perché
non ha senso.»
«Sì
che ha senso, ti ho solo fatta star male.»
«È
qui che ti sbagli.»
Avvicinò
la mano al suo petto e Tom tremò
quando si sentì trascinare verso di lei e aderire
così perfettamente al suo
corpo.
«Non
mi hai fatto solo soffrire, anzi, mi hai
fatto passare tanti bei momenti, mi hai aiutata in molte
occasioni… senza di te
non so come avrei fatto», gli sussurrò
carezzevole.
«Jinny…»,
cercò di sottrarsi, ma era davvero
difficile resistere a quel viso e a quelle labbra ora che ce le aveva
ad un
palmo di naso.
«Uhm?»
«Non
dovremmo, sai?»
«Soffrire
per soffrire, tanto vale farlo con
stile.»
Tom
si arrese al suo abbraccio e la baciò
sulle labbra, chiudendo gli occhi e sentendosi… bene.
La
sorresse con le mani sulle sue braccia,
stringendola forte a sé, mentre una leggera lacrima gli
scendeva solitaria
sulla guancia.
Jinny
strizzò gli occhi chiusi e gliela levò
passandoci sopra il dito, accarezzandogli la pelle.
Per
quanto sarebbe riuscita a resistere per
cercare di incidersi nella memoria com’era bello baciare
l’amore della sua
vita?
Le
ci voleva una forza inimmaginabile per non
scoppiare a piangere, e sapeva che quel ricordo sarebbe stato tanto
indelebile
quanto doloroso, ma non le importava seriamente in quel momento.
Tom
si allontanò dolcemente da lei e la
osservò attentamente prima che aprisse gli occhi: era
così bella… eppure
irraggiungibile. Lui l’avrebbe solo fatta soffrire e non
voleva, perché lei era
una delle poche ragazze, anzi l’unica ragazza che era
riuscita ad entrargli nel
cuore in quel modo. E non voleva che lei patisse in quel modo per lui.
Le
accarezzò le guance e le sistemò i capelli
dietro le orecchie con tenerezza.
«Mi
dispiace tantissimo», sussurrò e poi la
baciò sulla fronte.
Jinny
si lasciò scappare un sospiro rotto dal
pianto e strinse le mani intorno alle sue.
«Vedrai,
andrà bene», le disse ancora, ma lui
era il primo a dubitarne, per qualche strana ragione.
«Sì,
ora vai», gli disse abbassando la testa.
«Mi
dispiace tanto…»
«Ti
prego, va’.»
Tom
annuì ubbidiente e ad occhi bassi si
allontanò da lei e si girò. Raggiunse gli altri
alla macchina e si girò ancora
per vederla un’ultima volta, ma lei già si era
infilata dietro la porta e la
stava chiudendo alle sue spalle.
Gli
sembrò di vedere la scena al rallentatore
e poi tutto fu veloce: la macchina di Camilla inchiodò in
mezzo alla strada e
lei uscì senza preoccuparsi di chiudere la portiera. Lo
stereo era acceso e si
sentiva una melodia che conosceva bene, così bene che gli
spezzò il cuore.
Tage
geh´n vorbei
Ohne da
zu sein
Das
ist alles was uns bleibt
Wenn
du gehst
Wenn
du jetz gehst
Versuch
nich zu verstehn
Warum
es nich mehr geht
Geh
Versuch
uns beide zu verlier´n
Für
uns wird´s erst weitergehen
Wenn
wir uns nicht mehr sehen
Geh
Geh!
[I giorni passano
senza essere lì
Questo è tutto ciò che rimane di noi
Quando tu vai
quando tu vai adesso
Non cercare di capirlo
perche non va più
Vai
Cerca di perderci tutte due
per noi continuerà
solo quando non ci vedremo più
Vai
Vai!]
Camilla
non li degnò di uno sguardo, quando
invece tutti loro la guardavano, pensò solo a correre verso
l’entrata della
villa, scansando Tom che si era trovato in mezzo alla sua strada.
Tom
la guardò paralizzato mentre apriva la
porta e si fiondava dentro, per poi sbattersela alle spalle come molti
altri
quel maledetto giorno avevano fatto.
La
loro canzone intanto finiva in maniera
quasi tragica, come il cuore di Tom che si spezzò e fece
più male del previsto.
Tage
geh´n vorbei
Ohne
da zu sein
Bleib!
[I
giorni passano
senza essere lì
Rimani!]
Ecco qui le mie fidate... Vi voglio bene ragazze!! Grazie per tutto!! <3
Ringrazio anche tutti quelli che hanno letto e basta e spero vivamente che vi sia piaciuto e che il seguito vi piacerà ancora di più e sarete ancora di più a dirmi che ve ne pare!! Un bacio, a presto _Ary_
P.S: La canzone di questo capitolo è Geh, dei Tokio Hotel, veramente stupenda... Un omaggio anche a loro perchè senza di loro davvero questa ff non sarebbe mai nata ed esistita e non avrebbe scatenato così tante emozioni dentro me e spero anche dentro a voi!! Ancora baci e abbracci!! _Ary_