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ono acqua e sale, Sansa e Arya,
sorelle che potrebbero completarsi senza riuscirci mai davvero.
Petyr le guarda camminare davanti a
sé, mentre salgono le scale per raggiungere Robb.
Lo
vedrò anch’io.
Cosa dirà quando lo troverà con loro?
Quando saprà del suo ruolo di accompagnatore? Cercherà di impedirglielo? O si
sentirà più sollevato…?
«Robb!» chiama Arya, correndogli
incontro. «Parto anch’io.»
Il primogenito di Cat ha i suoi
stessi occhi ribelli, il colore dei capelli simile a quello di sua madre,
eppure, nel suo sguardo, Petyr vede la freddezza degli Stark. E riconosce il
sospetto, quando li vede posarsi su di lui.
«Arya? No» mormora, lanciando
un’occhiata di rimprovero a Sansa. «Mi servi qui. Chi baderà a Bran? Non posso
permetterti di andare.»
«Non puoi impedirglielo.»
Stranamente, a parlare è proprio
Sansa, mentre Robb posa ancora gli occhi su Petyr senza riconoscerlo. Poi,
finalmente, sembra riuscirci.
«Baelish? Il compagno di scuola di
nostra madre, giusto?»
Non
solo quello. Petyr fa un cenno con la testa per dire di
sì, e rimane in silenzio.
«È con me» riprende Sansa, facendogli
segno di restare indietro. «Ma è una storia troppo lunga da raccontare.»
«Robb, non puoi impedirmi di andare!»
«E Bran? Chi si occuperà di Bran e
Rickon?»
Sansa posa una mano sul braccio di
Robb, e Petyr – senza sapere perché – sente un piccolo moto di gelosia
nascergli dentro.
Sono
fratelli, dice tra sé e sé, come se servisse a placare quel
calore.
«Parlerò con Bran. È grande
abbastanza da capire, Robb. E poi ci saresti tu.»
«Io lavoro, Sansa! Come puoi
pensare…»
Ma Sansa solleva una mano per
interromperlo. «Lo so, ma puoi prenderti una pausa. Chiedere qualche giorno.
Noi torneremo presto, te lo prometto.»
«Sì, non devi temere per noi» dice
Arya, chiudendo la mano a pugno e spostando il peso da un piede all’altro.
Petyr sa a cosa sta pensando, a quale
episodio. «E poi ci sarà lui con noi.»
Robb lo guarda, ed è come se gli
stesse chiedendo di badare alle sue sorelle, di proteggerle. Senza conoscerlo, senza sapere ciò che ha fatto – ciò
che farà – il giovane Stark si sta
fidando di lui.
Perché?
Si chiede Petyr. Come può essere così
ingenuo? Così simile a suo padre?
Lui annuisce lentamente.
Non aveva bisogno della sua richiesta…
se ha deciso di partire con Sansa è proprio per poter badare a lei. Per avvicinarsi ancora.
«Saluto Jon» dice Arya, nel momento
in cui Robb acconsente. Petyr la vede raggiungere il letto dove riposa il
ragazzo, i tubicini che escono da sotto le lenzuola, le macchine a cui è
collegato, il cui ticchettio arriva fino in corridoio.
Sansa si avvicina a Robb, china la
testa e si morde un labbro. Ha paura,
capisce Petyr. E cerca conforto da lui.
Li guarda stringersi, socchiudere gli occhi, godere di quella vicinanza di cui
si sono privati per tanto tempo.
Non c’è imbarazzo, solo amore per la
famiglia e bisogno di ritrovarsi.
Nella stanza in fondo, Arya si è
appena chinata sul fratellastro, e Petyr percepisce il bacio sulla fronte senza
vederlo, come se ce l’avesse davanti… Le dita che artigliano le lenzuola, le
labbra che sfiorano la pelle, come mute promesse di ritorno, di speranze, di
aiuto.
Sono diverse, le sorelle Stark,
eppure, in fondo, così simili…
Sansa raggiunge Arya, chiudendosi la
porta alle spalle, e Petyr perde ogni contatto con quel momento così intimo.
Robb sembra volergli parlare, fa un passo avanti e si ferma.
Ha
cambiato idea, pensa Petyr, osservandolo tornare
indietro e raggiungere le sorelle.
Lui rimane isolato da quel mondo, da
quella famiglia a cui ha dato – e tolto
– così tanto, per cui si è perso, struggendosi per anni, fino alla resa.
E
alla ripresa, quando ho incontrato Sansa.
Quando le ragazze escono, non servono
parole per sapere quale sia il prossimo passo prima della partenza.
Sandor sta fumando una sigaretta, e
Petyr riesce a scorgere i suoi occhi posati su Sansa mentre si avvicina
all’auto. C’è brama, e desiderio, e
qualcosa di celato tra loro, che forse lui non scoprirà mai.
Sansa si stringe le mani intorno al
corpo, come se quel gesto potesse proteggerla da tutti loro. Ha la stessa
camicia che indossava al mattino, quando Petyr è stato così vicino a lei, a un
soffio dal baciarla…
Quando ha scorto quella vena di
morte, e vendetta, e speranza, sentendo una voglia folle di prenderla e farla
sua, anelando alla sua innocenza, a quella sorta di luce e oscurità che sembra
caratterizzarla. E che lo fa impazzire.
“Lo
voglio morto”, Sansa non lo ha mai detto, eppure Petyr
le ha letto quel messaggio negli occhi, l’ha sentita implorare piano, senza
bisogno di usare le parole.
E l’ha accontentata.
Non
l’ho fatto solo per lei, confessa a se stesso. Ma ricaccia
quella verità a fondo dentro di lui, come se non potesse permettersi di
lasciarla fuggire.
«Non possiamo andare via!» grida
Arya, riportandolo nel tiepido parcheggio dell’ospedale, con gli occhi puntati
sul profilo di Sansa. E sul modo in cui
il Mastino la guarda…
Sandor sbuffa, come se non ne potesse
più di aspettare. Getta il mozzicone a terra e lo calpesta con la scarpa.
«Perché?» domanda Sansa. Ha il volto
stanco, come se avesse passato la notte insonne.
«Devo avvertire Gendry. Dovevamo
vederci questa sera.»
«Dobbiamo anche passare da casa. Devo
controllare una cosa…» spiega lei, prendendo a fissare le ruote della macchina.
«Qualcosa di utile per Jon?»
Le due sorelle si guardano – occhi
diversi che si scambiano messaggi diversi – ma Petyr non riesce a comprendere i
loro sguardi.
«Forse» sussurra lei, prima di salire
in auto.
L’appartamento di Londra non dista
molto dall’ospedale, e Petyr fa presto a raggiungerlo. Quando accosta, Arya è
la prima a scendere, spingendo contro la porta della macchina, dalla parte di
Sandor.
«Voi restate qui.»
Un colpo secco del Mastino allo
sportello e la ragazzina è a terra.
«Arya!» grida Sansa, preoccupata.
Petyr scende, osservandola raggiungere la sorella. «Ti sei fatta male?»
«No» mormora, rialzandosi. «Ma loro
restano qui.»
Sansa non sembra d’accordo; lancia
un’occhiata a Petyr come a chiedergli scusa, come a dirgli che è per Sandor –
per ciò che ha appena fatto – se non insiste, se li lascia fuori.
Lui fa un cenno con la testa, e le
guarda sparire nel portone.
«Non hai detto niente» ringhia il
Mastino, con una nuova sigaretta tra le dita. «Ci ha lasciati qui come cani
alla catena.»
«Non è una novità per te» sogghigna
Petyr.
Sandor gli mostra il dito medio e
solleva gli occhi al palazzo alto dove sono appena entrate le ragazze.
Sansa
mi avrebbe fatto entrare, pensa lui, chiedendosi da quale
finestra potrebbe affacciarsi la figlia di Cat. Se fossi stato da solo… ora sarei di sopra con lei, invece che qui
sotto con lui.
Non passa molto che il cellulare di
Petyr prende a squillare. Che sia Lysa? Shae avrà avuto problemi con Robin?
O si tratta di affari?
Sandor posa gli occhi su di lui,
tanto che Petyr si vede costretto ad allontanarsi. Il numero è sconosciuto,
così fa un bel respiro prima di rispondere.
«Sì?»
«Lord
Baelish, che sorpresa. Ti credevamo tutti morto.»
Cersei.
Petyr si allontana ancora dal Mastino,
prima di rispondere. «A cosa devo il piacere di…»
«Nessun piacere» lo interrompe lei,
glaciale. «Almeno, non per me.»
Petyr riesce a immaginarla, mento in
alto e schiena dritta, mentre lo guarda con freddezza.
«È un vero peccato…»
«Non credo, Ditocorto» Ora, dalla sua
voce, Petyr è certo che lei abbia appena sorriso. «Nemmeno per te è un piacere
sentirmi.»
Lui resta in silenzio, si sfiora la
gola, quasi come se avesse il nodo di una cravatta da allentare. E aspetta.
«Sai» riprende Cersei, e dal tono
sembra pronta a infierire su di lui. «Ci chiedevamo tutti dove fossi finito… Tu
e quella stupida di Sansa.»
Lei fa una pausa, e a Petyr sembra di
vederla mentre abbassa un momento le palpebre per mantenere il controllo.
«Finché qualcuno non ci ha chiamato…
e vi abbiamo trovati a Londra» dice Cersei, gelida. «E il cane… è con voi. Non lo pensavo, non credevo che sarebbe arrivato a
tradire. Quanto gli hai offerto, Ditocorto? Quanto gli hai dato per voltarci le
spalle?»
D’istinto, lo sguardo di Petyr corre
a cercare Sandor, trovandolo appoggiato al muro di fianco al portone. Stringe
le labbra prima di parlare.
«Niente.»
Silenzio. Persino Cersei sembra
incredula. Non quanto me quando l’ho
capito.
«Che significa?»
Che
il cane ha cambiato padrone.
«Non ho fatto nessuna offerta. Non ce
n’è stato bisogno» sussurra, sapendo che sono le parole giuste per ferirla.
«Che cosa gli hai detto, Ditocorto?»
Mi
basta nominare Sansa per farlo girare in tondo come una trottola.
«Perché non lo chiedi a lui, maestà?»
«Lo chiedo a te.»
Petyr sogghigna, abbassa ancora la
voce accarezzandosi il mento con le mani. «Dov’è Payne, Cersei?»
«Payne? Che c’entra, ora?»
Lo
sa… o forse no.
«Sembra che si nasconda a Londra. Non
era uno dei tuoi?»
«Lo è ancora.»
Petyr sorride, infila una mano in
tasca e solleva gli occhi a osservare le finestre del palazzo. Dietro uno di
quei vetri c’è Sansa.
«Devo supporre che sia stata tu a
mandarlo qui, allora…»
«Ha una commissione da fare. Perché
me lo stai dicendo?»
«Sembra che il tuo amico abbia investito il fratellino di
Sansa…»
Cersei resta zitta. Non ne sapeva
nulla, non è stata lei. Ma questo, pensa Petyr, non gli impedisce di sfruttare
quel vantaggio. Anche se non è stata lei…
«Non ti credo.»
«È la verità. C’è chi lo sta
cercando…» sussurra, mellifluo, prima di incrociare lo sguardo sospettoso di
Clegane. «E quando lo troverà, non c’è bisogno che ti dica chi sarà il
prossimo, vero?»
«Maledetto. Sarai tu il prossimo!
Jamie ti ucciderà quando saprà delle tue minacce! Verrà a prenderti, Ditocorto,
e non c’è bisogno che io ti dica cosa
ti farà quando sarai nelle sue mani…»
Petyr prova un brivido. Fa un passo
verso il Mastino, chiedendosi chi abbia mandato Payne.
Se
scopro questo, Jamie Lannister non potrà toccarmi. E nemmeno Cersei…
«È stato Joffrey» riprende lui,
ignorando gli avvertimenti di Cersei. «Non è vero? Quello che mi chiedo è perché colpire un ragazzino. Quale
offesa può avergli recato?»
«Tu» La voce di lei è talmente bassa
e roca da attraversarlo, come un fulmine. «Tieni fuori Joff dai tuoi intrighi…»
È
stato lui… Deve essere stato lui.
«Chiediglielo» risponde Petyr,
passandosi la lingua sulle labbra. «E poi richiamami.»
Ω
Arya sta parlando con Gendry al
telefono in camera sua, e Sansa ne approfitta per sgattaiolare nel salotto dove
ha dormito, e dove lo zaino e la sacca di Jon sono ancora nel pieno disordine.
Bran è appisolato sulla sedia a
rotelle, di fianco al divano.
Lei fa un sospiro, spera di non
svegliarlo, e raggiunge le cose del suo fratellastro. Lancia un’occhiata al
ragazzino, giusto un istante prima di mettersi a frugare tra quella roba.
Vestiti, scarpe, documenti e una
mappa.
Chiavi, acqua, biglietto del treno.
Niente di ciò che sperava di trovare,
anche se alla fine, cercando di non farle tintinnare, Sansa infila le chiavi in
tasca.
«Che cosa fai?»
Lei si volta, trovandosi sotto lo
sguardo attento di Bran. Vederlo su quella sedia fa male, ma non quanto l’idea
di Jon in quel letto d’ospedale, non quanto sapere di non poterlo aiutare.
«Dobbiamo andare via» mormora piano,
come se lui stesse ancora dormendo e Sansa temesse di svegliarlo. «Io e Arya.»
«Dove?»
«A casa.»
È una parola. Eppure Bran sgrana gli
occhi, un istante prima di assottigliarli. Come se lei avesse appena nominato
suo padre e sua madre, come se gli avesse appena detto che li rivedrà presto.
«Vorrei venire anch’io.»
Ma
non puoi…
Sansa annuisce, lo raggiunge e si
inginocchia davanti a lui, posandogli le mani sulle ginocchia.
«Torneremo presto.» Torneremo, è il vero messaggio che gli
sta dando.
Bran abbassa gli occhi sulle sue
gambe; c’è un velo di rimpianto. Come se fosse colpa sua il non poter partire,
il non poter camminare. Come se avesse perso qualcosa di più importante della
vita stessa.
«Perché frugavi tra la roba di Jon?»
Speravo
di trovare risposte.
«Per lo stesso motivo per cui devo
andare a nord.»
«Me ne parlerà Robb?»
Sansa fa cenno di sì. «Te ne parlerà
Robb.»
Dieci minuti e sono di nuovo in
strada.
Arya sembra arrabbiata con Gendry,
Sandor non le toglie gli occhi di dosso, e Petyr – lui, che Sansa crede di
conoscere più di tutti – è strano. Assente.
Mentre sua sorella sale in auto, Sansa
si avvicina proprio a lui, tenendosi a distanza dal Mastino.
«È successo qualcosa?» sussurra,
trovando nei suoi occhi una risposta vaga. Vuota.
Petyr scuote la testa, poi le sorride.
In ritardo, come se davvero avesse
qualcosa da nascondere. «Possiamo partire?»
«No» dice Arya, affacciandosi al
finestrino. «Devi portarmi da Gendry a dirgliene quattro.»
«Arya…»
«Niente “Arya”, Sansa! Gli ho chiesto
di venire con noi e non ha voluto.»
Petyr ne approfitta per salire in
auto, evitando di dover rispondere alle sue domande.
«Basta deviazioni» ringhia Sandor,
battendo un colpo contro lo sportello.
«Sì, Arya… Pensa a Jon. Non può più
aspettare.»
Sansa lo dice sedendole vicino, sui
sedili posteriori. Vorrebbe sorriderle, dirle qualcosa di carino, rassicurarla.
Ma non si sente tranquilla.
Non con loro tre in auto, non con due
uomini di cui non conosce quasi nulla, se non i difetti peggiori. Non con sua
sorella… con la persona che se n’è andata insieme a Robb tanto – troppo – tempo
prima, quando Sansa ha preferito Joffrey alla sua famiglia.
“Robb
non lo farebbe mai!” gridava contro di lui, ogni volta che si
sentiva sola. Ogni volta che il suo fidanzato alzava le mani contro di lei.
“Robb
non picchia le donne!”
Glielo rinfacciava continuamente. Al
minimo insulto, alle prime strette di Joffrey, al suo primo schiaffo.
“Robb
è un uomo. Non è come te.”
Era il suo ritornello preferito;
mentre il resto della canzone erano umiliazioni e suppliche, Sansa si
aggrappava a quelle parole per restare in piedi. Per affrontarlo. Sola.
Quante volte si era pentita di non
essere partita per Londra? Quante volte aveva desiderato – sognato – il
coraggio di prendere e tornare a casa, anche a costo di non avere nessuno
accanto?
«Facciamo una sosta?» chiede Petyr,
riscuotendola.
Un pensiero tira l’altro, e Sansa non
si è accorta del tempo trascorso. Arya si spinge contro il sedile del
guidatore, facendo cenno di sì, mentre lei resta in silenzio.
«Sì» dice Sandor, togliendosi la
cintura che Petyr gli ha costretto a mettere. «Devo pisciare.»
Quando si fermano in una stazione di
servizio, il Mastino sparisce all’istante. Anche sua sorella, che si fionda a
comprare qualcosa da mangiare.
Petyr scende e si appoggia all’auto,
accendendosi una sigaretta. Sansa è di fianco a lui.
«Me ne dai una?»
Si guardano e, all’improvviso, tutte
le risposte che cercava diventano nulle. Le loro mani si sfiorano mentre Sansa
sfila una sigaretta dal pacchetto, mentre spinge la schiena contro il vetro, e
Petyr le si para davanti.
Sono così vicini che quando la fiamma
dell’accendino prende a bruciare tabacco e cartina, è un altro il fuoco che
vede. Negli occhi di lui, nella scintilla – più bella e luminosa – che gli ha
visto anche quella stessa mattina.
Aspira e butta fuori il fumo girando
la testa di lato, in modo da non colpire lui.
Fumano insieme, come se ci fosse
stato altro tra loro, come se stessero condividendo chissà quale segreto. Sono
così vicini che quando Petyr appoggia una mano contro il vetro dell’auto –
proprio accanto a lei – il respiro di Sansa rallenta, si acquieta, come se
servisse a ossigenare quel fuoco che brucia dentro di lei.
«Sei bella, Sansa.»
Quante volte ha sentito quella frase?
Persino da Joffrey… Ma nella bocca di Petyr ha un altro sapore. Lo stesso di
casa.
«Perché fai tutto questo?»
Non gliel’ha mai chiesto, pur
desiderando farlo fin dal primo giorno.
Un altro risponderebbe alla sua
domanda con un’altra domanda. Un altro resterebbe in silenzio, fingendo di non
aver capito.
Ma Petyr allunga le labbra in un
sorriso. In quel sorriso, che Sansa
conosce tanto bene. Solleva la mano dal vetro e la posa con delicatezza sulla
sua guancia, come in una carezza.
Le sfiora le labbra con il pollice,
mentre abbassa lo sguardo.
«Per un sogno.»
Note
dell’autrice:
E ce l’abbiamo fatta! A dirla tutta
avevo previsto anche l’arrivo a “casa” per questo capitolo, considerando che
dovevano solo salutare i fratelli e
avvertirli. Pazienza. È leggermente più breve dei precedenti, ma non penso sia
un problema.
Adoro Petyr, e contando che scrivo di
uno dei personaggi più odiati del fandom, vi ringrazio per continuare a seguire
questa storia.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Celtica