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Autore: hikachu    20/12/2016    2 recensioni
D’altronde, nessuno intorno a lui sembra trovare il mero atto di esistere, giorno dopo giorno, così difficile. Una frammentaria biografia introspettiva di Yuuri Katsuki.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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A quell’età, per Yuuri, Minako è perlopiù una delle figure che, in tarda mattinata, scivolano regolarmente nella sala ristorante di Yu-Topia per consumare un pasto caldo mentre si commenta imprecando il notiziario o il match sportivo di turno.

Ci sono muratori che finalmente staccano dopo un turno iniziato prima dell’alba, anziani in pensione, spesso vedovi, freeters ed altri lavoratori part time che l’ora di buca vogliono spenderla lontano dal posto di lavoro, e poi quelli che un lavoro lo cercano, pallidi e fasciati nei loro completi migliori, e talvolta pure quelli che il lavoro in realtà l’hanno perso, ma ancora non sanno come dirlo alle proprie famiglie. È un’accozzaglia di umanità fondamentalmente sola, che solo in questo luogo riesce a ritrovare qualcosa di simile alla quotidianità familiare che, ad un certo punto, ha perso. Yuuri è troppo piccolo per capire davvero le circostanze di adulti che si sono smarriti seguendo la corrente, eppure, quando li osserva dall’uscio, nascosto tra le ombre del corridoio, sente un peso immateriale premergli sul petto. 

Yuuri osserva a bocca aperta Mari che, invece, nei giorni di ferie o al ritorno da scuola si muove tra i tavoli con disinvoltura, mani in tasca e schiena curva (maschiaccio, ha sentito dei ragazzini che la canzonavano, ma la mamma non le rimprovera mai questa mancanza di femminilità, tale o presunta che sia, e Yuuri pensa che non saprà mai essere coraggioso come loro). Mari saluta quei grandi come fosse una di loro; di tanto in tanto si ferma a fare da consigliera durante una partita di shoji o dispensa rimproveri a chi alza il gomito come se, a undici anni, non fosse soltanto la sorella maggiore di Yuuri, ma di tutti gli ospiti di Yu-Topia.

Quando Mari lo scorge tra le ombre del corridoio, sospira e gli ricorda: guarda che questa è casa tua. Yuri allora avvampa di vergogna; si chiede se lei abbia intravisto lo spettro che lo perseguita; quello che lo fa sentire sempre un po’ fuori luogo, mai abbastanza bravo o buono o capace; quello che gli preme una mano gelida sulla bocca le rare volte che pensa sul serio di urlare a qualcuno: aiuto.

Sono come stelle cadenti, questi impulsi, comunque. Iniziano con un bagliore accecante che sembra squarciare finalmente - finalmente - l’oscurità, per poi venirne inghiottiti subito, come non fossero mai esistiti, e Yuuri si sente più sperduto di prima, solo con la sensazione di essere oppresso da qualcosa che non è reale--di essere semplicemente debole.

D’altronde, nessuno intorno a lui sembra trovare il mero atto di esistere, giorno dopo giorno, così difficile.

Poi, una sera, Minako è al ristorante.

Sta seduta col busto allungato sul tavolo più vicino alla TV, le gambe piegate come fossero molle pronte a farla balzare nel mondo oltre lo schermo. Ha il volto arrossato ed i tratti contorti da un sentimento che potrebbe essere rabbia, o concentrazione. La mamma le sta accanto, in piedi, e ride con benevolenza della sua espressione agguerrita. Sono amiche, hanno frequentato la stessa scuola: è questa una di quelle cose che differenziano Minako dal resto della clientela.

“Guarda un po’, Hiroko. Dico: guarda.”

La mamma obbedisce con un sì, sì un po’ condiscendente mentre gli occhi di Yuuri restano incollati su Minako alla ricerca di altri segnali familiari che lo aiutino a decifrare la situazione. Poi vede che la bottiglia di liquore sul tavolo è mezza vuota e il puzzle è completo. Minako presta molta attenzione a quel che mangia, a quanto mangia, ma non sempre a quanto beve.

“Accidenti,” batte la mano contro il tavolo. Suona come uno schiaffo. Tra le ombre del corridoio, Yuuri sobbalza. “Questi sarebbero professionisti? Ai miei tempi non avrebbero mai ottenuto un ruolo principale con quei movimenti rigidi.”

La mamma ridacchia il suo assenso mentre allontana con discrezione il bicchiere, prima che Minako possa afferrarlo. Lei è così presa dal balletto in TV che pare dimenticarsi dell’intenzione di bere dopo che le sue dita si flettono ad afferrare il vuoto un paio di volte. Forse, ironicamente, è proprio colpa dei fumi dell’alcol.

“Lo so,” dice la mamma. “Senpai, lo so.”

Minako balza in piedi con decisione.

“Oh no, tu non lo sai, tu non capisci: guardami, la mia carriera sui palchi più rinomati del mondo è finita, i giovani sono sempre meno interessati alla danza classica, ed io sono… sono così sola! Tu hai una splendida famiglia e il mese prossimo passerai il Natale con loro, mentre io dovrò fare i conti ancora una volta con la mia triste vita da single. Comprerò una bottiglia di alcol che in realtà non posso permettermi, ed una torta che mi pentirò di aver divorato il giorno dopo, e trascorrerò la serata con i varietà che propone la TV, quelli fatti apposta per la gente come me!”

“Ma no, ma no, senpai ha tante buone qualità, semplicemente non ha ancora incontrato l’uomo giusto,” la mamma giura, serena come il Buddha illuminato.

La mamma sembra avere sempre una soluzione per tutto: le sue mani un po’ ruvide e grassocce sanno sempre trovare uno spiraglio di luce anche nella notte più nera. Yuuri ammira quel modo di vivere leggero e libero come il volo di una farfalla, eppure non gli riesce di provare alcun risentimento, quando Minako la ignora completamente e prende a danzare per la sala, seguita dagli applausi ammirati degli altri avventori. In quel frangente, c’è qualcosa di misterioso che lo lega a quella donna così piena di vita e diversa dagli altri adulti che conosce, qualcosa che, per certi versi, è più profondo del sangue e dell’affetto che lo legano a sua madre.

Forse è per questo che quando Minako raggiunge l’uscio con una piroetta e si inchina davanti a lui facendo volteggiare le mani come colombe, Yuuri afferra il palmo che gli viene offerto e, ridendo, lascia le ombre del corridoio per danzare assieme a lei.

Gli applausi si fanno più forti.



Yuuri insegue quella sensazione di leggerezza sul parquet dello studio di Minako.

Cerca la libertà che ha assaporato quella notte tra i nomi complicati dei passi che impara e, quando il suo corpo non obbedisce come dovrebbe ai suoi comandi, le cadute; la cerca senza essere mai del tutto certo di quando potrà sfiorarla di nuovo e quanto durerà questa volta; si sente come il principe che mette a soqquadro il suo regno per ritrovare Cenerentola, ma senza neppure un coccio della scarpetta che lo guidi da lei.

Minako lo segue con attenzione. È esigente ma non arcigna: non gli risparmia rimproveri e punzecchiature quando occorre, né un abbraccio entusiasta quando decide che Yuuri ha appena fatto qualcosa di straordinario.

È stata lei a proporgli di diventare un suo studente--o, piuttosto, l’ha proposto a Hiroko con un fuoco negli occhi tale che però Hiroko non ha intravisto oppure ha scelto di ignorare. Yuuri invece l’ha visto bene, e in quella scintilla ha scorto una via, la possibilità di essere un bambino come gli altri, una persona normale che ha il diritto di camminare alla luce del sole, invece di nascondersi negli anfratti bui di casa nutrendo la speranza che il mondo non si accorga mai della sua esistenza.

Hiroko l’aveva guardato con il suo sorriso caldo eppure mite, un po’ sbiadito, mentre chiedeva, beh, Yuuri, cosa vuoi fare, e lui aveva stretto i pugni e contratto il viso con una determinazione che fino ad allora gli era stata estranea. “Voglio imparare la danza classica,” aveva detto. Hiroko gli aveva carezzato i capelli come a dire: va bene, capisco.

Sentendosi un ingrato e vergognandosene, Yuuri aveva subito soffocato il disappunto che gli si era conficcato come uno spillo nel cuore constatando che, pur con tutto l’affetto che riversava su di lui, negli occhi di sua madre non c’era il benché minimo riflesso dell’entusiasmo che ardeva in quelli di Minako.

A volte, quando Yuuri riesce ad eseguire alla perfezione una sequenza di passi o una nuova figura, Minako applaude entusiasta e lui vorrebbe chiederle se crede che la mamma, il papà e Mari ne sarebbero altrettanto contenti. Non lo fa mai; perché sarebbe una domanda sciocca, si dice--quale famiglia non sarebbe contenta? Forse, però, la verità è che ha paura che dopo avergli offerto un sorriso o un abbraccio, tornerebbero tutti alle loro occupazioni, come se non fosse mai accaduto nulla di straordinario.

E cosa credi che debba succedere, domanda allora il riflesso sudato che lo guarda con una smorfia dallo specchio che ricopre un’intera parete dello studio. Sei solo un bambino. Sei solo tu. Il mondo è pieno di bambini che sanno fare anche di meglio.

Yuuri ci pensa su, ed immancabilmente trova che il suo riflesso ha ragione. Dopo un po’, smette di rifletterci perché pure piccolo com’è, non è del tutto stupido, e ha compreso in fretta quale sia il suo ruolo nel mondo e nelle vite altrui.

Dopotutto, Minako non pare mai pentirsi di averlo preso sotto la sua ala e questo, per uno come Yuuri, basta e avanza.

Deve.



Yuuri è l’unico studente maschio di Minako.

Durante le lezioni, essere circondato da bambine lo mette in soggezione. Non perché siano femmine, né sarebbe accurato dire che stare con altri maschi, a scuola, lo metta invece a suo agio; piuttosto, è che c’è qualcosa, in loro, che Yuuri crede gli sia precluso.

Qualcosa di cui non riesce a discernere i contorni, qualcosa che non ha nome, qualcosa che tuttavia è così brillante e prepotente da rendere anche la più piccola e rotondetta delle bambine infinitamente più aggraziata di lui.

Le scorge con la coda dell’occhio mentre si esercitano, con le calze bianche ed i body color cipria, e si sente il brutto anatroccolo, nella sua calzamaglia scura. Un intruso, un ingannatore, fuori luogo. Vorrebbe che la vecchia T-shirt che indossa fosse lunga abbastanza da coprirlo tutto. Si sente avvampare quando allunga le braccia e la sente risalire, scoprendo i fianchi e la pancia che sono pieni (che bel salvagente, ridacchia a volte Mari, pizzicando la carne tenera tra pollice e indice) e spera che nessuno decida di voltarsi verso di lui proprio in quel momento.

Durante le lezioni, Yuuri cade in errori che non commetterebbe mai nelle innumerevoli ore che trascorre nello studio da solo con Minako; una peculiarità che lei ha smesso di commentare ad un certo punto, limitandosi a fissarlo pensierosa. Poi, un giorno, si china su di lui e gli sussurra in un orecchio: “Andiamo, Yuuri, non essere nervoso. Tu forse non lo sai, ma ti assicuro che hai già il tuo piccolo fan club. Forza, mostra a queste signorine di cosa è davvero capace il loro idolo.”

Minako si solleva e strizza un occhio con aria complice.

Yuuri raggela; si sente vuoto, si sente di pietra; ha una pietra legata al piede e sta affondando nel mare ghiacciato senza poter far nulla; qualcuno l'ha gettato nello spazio aperto ed anche se lui grida, la voce gli resta intrappolata in gola. La consapevolezza di essere stato osservato con attenzione per mesi e mesi gli riporta alla mente tutti gli errori, le imperfezioni, le cose stupide che ha fatto o detto e quelle che avrebbe dovuto fare meglio, e scopre che ce ne sono molte di più di quanto credesse; si chiede quante ne abbia rimosse definitivamente, quante non abbia mai nemmeno notato, e se le altre allieve di Minako abbiano una memoria migliore della sua. Se anche una sola di loro l’ha mai guardato con ammirazione, quale delusione deve aver provato quando ha immancabilmente realizzato che Yuuri è solo Yuuri, nulla di speciale. Il brutto anatroccolo. Un ingannatore.

Minako sgrana gli occhi. Oh, no, deve avere un aspetto orribile.

Minako lo chiama, ma Yuuri è già scappato in bagno a vomitare l’anima.



Qualche tempo dopo, quando l’incidente è stato appropriatamente dimenticato e Yuuri ormai passa sempre più tempo ad esercitarsi quando lo studio è vuoto, sempre di meno a lezione, Minako lo avvicina con il sorriso tirato di una bimba che ha appena commesso qualche marachella e sa che verrà sgridata.

“Ottimo lavoro, oggi, Yuuri.”

Yuuri fissa per un attimo l’asciugamano che gli sta porgendo come se potesse rivelarsi una qualche trappola. Scuote la testa, lo afferra, e prende a frizionarsi i capelli umidi. “Anche a lei, maestra,” risponde come di rito, educato. “Anche oggi, devo ringraziarla per i suoi insegnamenti,” accenna un inchino.

“Oh, suvvia, alza la testa!” ride lei, senza spontaneità. Yuuri ormai conosce bene Minako, il suo carattere, le sue espressioni. Sa bene quando sta nascondendo qualcosa.

Sospira.

“Cosa vuole chiedermi?”

Questa volta è Minako ad inchinarsi: si piega in due con le mani giunte, come non si fa neppure davanti ad un altare, dopo un’offerta.

Yuuriii, piagnucola con una voce che non ha niente della dignità di un’adulta o una maestra.

Yuuri sa di essere già praticamente in trappola.



In teoria, dovrebbe essere semplice.

La coreografia è stata scarnificata all’inverosimile, tagliata, ricucita e rattoppata, poiché le bambine non sono al livello di Yuuri, e quelle poche sequenze che ancora mantengono un certo livello di complessità, sono tutte per lui: affinché Yuuri non divenga un semplice supporto per le altre figurine in scena, e possa brillare di luce propria; possa mostrare ad Hasetsu di cosa è capace il pupillo di Minako. Si tratta, comunque, di passi che lui dovrebbe essere in grado di eseguire senza alcun problema--per questo, inizialmente, pure se seccato, Yuuri non dà troppo peso all’idea dello spettacolo, non si sofferma a sezionare possibili scenari futuri con tutti i loro possibili disastri e relative conseguenze.

Con le prove torna l’esigenza di un’assiduità costante alle lezioni regolari, nasce l’obbligo di interagire con le altre allieve, nonché quello spaventoso di danzare con la prescelta per il ruolo di protagonista. Si tratta di una bambina che frequenta la stessa scuola elementare di Yuuri; la stessa sezione, perdipiù, ma lei è al quarto anno e lui al quinto, e per Yuuri imparare facce e nomi dei suoi compagni di classe è stato già uno sforzo estenuante. Lei, tuttavia, si comporta come se lo conoscesse bene e lo chiama Yuuri-kun e, ad essere sinceri, tutto questo è vagamente irritante. Yuuri vorrebbe spiegare a questa ragazzina che non ha alcun diritto di chiamarlo per nome o di aspettarsi che facciano la strada da scuola allo studio insieme, ma quando lui sbaglia lei si limita a sorridere e aspetta, paziente, che lui si rimetta in piedi e riprenda come se nulla fosse successo: è una gentilezza che sulla lingua di Yuuri assume il sapore della pietà, ma è pur sempre meglio che essere derisi o assaliti, e così Yuuri tiene la lingua a freno e lascia che tutto continui così com’è, e se lei si accorge mai del terrore che gli copre il viso come una maschera quando l’afferra per i fianchi per sollevarla - appena appena - da terra, è abbastanza generosa da tenerlo per sé.

A circa due mesi dallo spettacolo, però, qualcosa crolla. Yuuri scopre di aver sopravvalutato i propri nervi.

Comincia con un errore banale: ad un certo punto, Yuuri poggia male il piede e scivola; non rovina a terra ma si tratta di una sequenza semplice, che non ha mai sbagliato dopo i primi mesi di lezione, e da quel momento non riesce a smettere di pensare.

C’è un rumore assordante, nelle sue orecchie, che gli ricorda un poco quello del mare agitato, delle onde che vanno a morire gettandosi contro gli scogli; il rumore copre la musica e lui è costretto a fingere di sentirla ancora, che tutto va bene, perché di certo questa non è altro che un’altra delle sue stramberie. Conta i passi sottovoce e tiene d’occhio i movimenti delle altre per tenere il tempo, come un principiante. Col cuore in gola, anticipa il momento in cui sbaglierà di nuovo.

Quando finalmente si schianta con il viso contro il parquet, il suo corpo si rilassa a scapito del dolore e, prima che l’umiliazione oscuri ogni cosa, tutto ciò che Yuuri prova è un perverso senso di liberazione.



Alla fine del mese, Minako gli chiede di trattenersi dopo le prove. La confusione iniziale si dissipa quando Yuuri viene condotto dinnanzi alla vecchia bilancia in metallo che di solito prende polvere nella stanza adibita a spogliatoio. È uno di quei modelli che si vedono di solito nell’ufficio di un dottore, o in qualche piccola farmacia di paese che non ha motivo o fondi per passare ad un modello elettronico.

La voce di Minako è insolitamente piatta quando ordina, “Sali.”

Yuuri fissa la bilancia come non si è mai permesso di fare: è un oggetto la cui vista gli riporta alla mente troppe cose spiacevoli, che non sa come cambiare--se le può cambiare. E oggi è peggio, oggi sarà un disastro, perché ha già intuito i sospetti di Minako, come non avrebbe potuto accorgersi di nulla dopotutto, di certo anche le altre studentesse devono aver notato--

“Yuuri.”

Yuuri deglutisce e sale sul piatto, un piede alla volta. Che almeno questa tortura finisca in fretta.

Minako gli prende l’altezza, compie il rito misterioso che Yuuri non ha mai decifrato, anche dopo averlo visto compiere al medico di famiglia innumerevoli volte (la tendenza al sovrappeso è uno dei retaggi che il nome Katsuki si porta dietro, insieme alla locanda, la miopia e, pare, una tolleranza per l’alcol ai minimi storici). Il braccio metallico oscilla lievemente con un clangore sordo, prima un lato, poi un altro, poi si ferma e l’indicatore punta un numero che non è quello che dovrebbe essere.

“Cosa è successo?” Minako ha le mani tra i capelli.

“Ecco,” Yuri dovrebbe dirle la verità, che quando sua madre chiede, bis, lui solleva subito la ciotola e, se può, se ce n’è ancora, va anche per una terza porzione; che quando al pomeriggio apre la credenza in cerca di qualcosa da sgranocchiare con il tè, finisce sempre per prenderne il doppio della quantità che era solito mangiare prima; che a volte questo si ripete quando è notte e lui non riesce a dormire, oppure si risveglia di colpo da un incubo in cui, il giorno dello spettacolo, tutti scoppiano a ridere non appena compare sul palco; che, a seguito di tali notti, si sveglia con la testa che gli scoppia perché si è ingozzato di così tanto zucchero che il suo corpo non è riuscito ad assimilarlo, e allora passa la giornata a scuola sforzandosi di non crollare sul banco, troppo stanco ed intontito per seguire qualsiasi cosa stiano dicendo gli insegnanti.

“Ecco,” Yuuri dovrebbe dirle la verità, ma la verità è che il pensiero dell’esibizione gli grava sul cuore come una condanna, una maledizione in attesa di avverarsi ogni ora del giorno, ogni giorno, e gli unici momenti in cui riesce a dimenticare quel peso sono quelli in cui mangia ed il sapore gradito e familiare del cibo lo fa sentire al sicuro.

Minako mormora, “Hiroko lo sa?”

Yuuri crede che la mamma lo sappia: è lei che fa le porzioni, ed un paio di volte l’ha colto che si rimpinzava di biscotti secchi in camera sua. La prima volta ha sgranato gli occhi; ha chiesto con sincerità se il pranzo non fosse stato abbastanza. La seconda ha sorriso, si è raccomandata di non esagerare, anche se, certo, Yuuri era un ometto nel pieno della sua crescita, e papà le aveva detto di non preoccuparsi proprio per questo. Sul momento, quelle reazioni avevano forse affievolito il fuoco della vergogna che gli incendiava il viso, tuttavia, dopo qualche minuto, quel sollievo si era tramutato nella sensazione di vuoto che non di rado fa da coda alle interazioni di Yuuri con la sua famiglia. È una cosa strana e misteriosa, questa; una cosa che lo fa sentire un ingrato nei confronti di quei genitori che rispettano le sue decisioni, la sua interiorità, il suo essere un individuo anche se è solo un bambino, solo Yuuri. Non li vorrebbe diversi, non li vorrebbe insistenti ed impiccioni come la sua coprotagonista o i suoi compagni di classe. Yuuri ama la sua famiglia e non vuole che lo odino. Non vuole essere odiato dalla maestra Minako e non vuole che il pubblico rida di lui. Allora perché sbaglia sempre tutto? Perché si rende le cose più difficili? Quand’è che è diventato così? O forse ci è nato, debole e sciocco, e questa sarà la sua vita fino alla fine. Dov’è l’uscita di questo labirinto.

“Maestra,” dice, perché non sa da quale altro punto cominciare, e solo allora si accorge che sta piangendo, perché la parola viene fuori lamentosa, deformata dai singhiozzi che ne approfittano per scappargli dalle labbra.

Minako lo stringe a sé mentre i singhiozzi si fanno più forti. Non gli chiede più nulla; certe cose, nella sua vita, le ha viste fin troppo spesso.



Il mese successivo Yuuri, a dieci anni e mezzo, segue la sua prima dieta, e scopre che i meccanismi della matematica sanno operare prodigi persino sul corpo umano: impara che, sì, certe cose si possono cambiare, e poi, se qualche giorno si sente proprio giù, può buttare il pranzo al sacco e saltare lo spuntino a casa, e usare i soldi della paghetta per comperare una pagnottina dolce al cioccolato.

Basta fare i conti con attenzione.



Come prestabilito, lo spettacolo si svolge un afoso giorno di giugno.

Una delle piccole scuole locali ha generosamente messo a disposizione il proprio cortile, a patto, però, che all’allestimento del palco pensasse Minako. Così, genitori e parenti dei suoi allievi hanno trascorso gli ultimi dieci giorni prima della fatidica data ad improvvisarsi falegnami, scenografi, sarti.

Yuuri studia ammirato il frutto dei loro sforzi. Una voce gli ricorda che la sua esibizione deve essere all’altezza di tutto questo. Dell’amore e delle aspettative di quasi tutta Hasetsu.

Yuuri cerca di ingoiare. Non ci riesce.

Porta una mano alla gola per allentare il colletto: ha dimenticato che la camicia ha uno scollo ampio. Che sbadato.

Fa caldo, sta sudando. Dev’essere colpa della canicola, questo strano senso di oppressione.

Gli batte forte il cuore. Ah, è l’emozione che precede la prima. La maestra ne ha parlato tanto. Aveva creduto, però, che sarebbe stato qualcosa di più dolceamaro.

Fa caldo, sì, anche le ragazze si lamentano. Hanno paura si sciolga quel velo di trucco che, in via straordinaria, gli è stato permesso di indossare oggi.

Fa caldo, eppure Yuuri ha le mani fredde. Gli pare che le dita siano intorpidite: non riesce a piegarle proprio bene.

Minako li raggiunge di corsa. È raggiante. “Forza, tutti in posizione dietro il sipario: si parte!”

Le ragazze replicano con un sì corale, piene di entusiasmo; piene di una vitalità così potente da sconfiggere persino la tensione che le accompagna in questi momenti. Yuuri le segue come una marionetta; nelle orecchie, il rumore fragoroso delle onde.

Il sipario si alza.

Yuuri cade a terra.
   
 
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