Era
difficile stabilire con esattezza dove si trovasse. La stanza bianca, pulita,
odorava di sterile ed era perfettamente insonorizzata, al punto da rendere
quasi possibile sentire lo scorrere del tempo. Conosceva quella sensazione,
quel torpore totale che avvinghiava ogni parte del corpo, anche la più misera, quella
profonda stanchezza che rendeva inefficienti i muscoli e deboli i riflessi.
Nonostante il luogo in cui si trovava lo tranquillizzasse a sufficienza, quelle
sensazioni – e ciò che avevano sempre portato subito dopo – non lo facevano
stare calmo.
James
Buchanan Barnes non la smetteva di guardarsi intorno. Alle spalle del lettino
su cui era seduto non vi era traccia di alcuno degli strumenti che solitamente
usavano su di lui prima di prepararlo a un nuovo lavaggio del cervello.
Tuttavia la cosa lo rilassò solo per poco. Sapeva di essere in Wakanda –
l’ultima oasi sicura in cui si era rifugiato separandosi da Steve ancora una
volta – ma non sapeva per quanto tempo avesse dormito, così come non aveva idea
di chi fosse stato a scongelarlo. Queste incognite gli impedivano di abbassare
la guardia e, anche per via dello stato in cui si trovava, lo facevano sentire
ancora più vulnerabile. Era solo da parecchi minuti ormai; l’odore di sterile
gli era penetrato in profondità, la limpida luce che entrava dalle finestre,
benché filtrata dalle veneziane, continuava a essere accecante per i suoi occhi
rimasti chiusi a lungo e, per via del silenzio, sentiva il tempo scandito dal
battito del cuore che gli martellava contro lo sterno.
Finalmente
la porta del laboratorio si aprì. Bucky scattò istintivamente sulla difensiva,
puntando come un predatore gli occhi sull’ingresso e tendendo i muscoli
doloranti. Tre medici entrarono, i camici bianchi immacolati, seguiti da una
giovane donna e, infine, da T'Challa in persona. Il Soldato rimase sorpreso di
vedere il sovrano. Questi non pareva minimamente invecchiato dal loro ultimo
incontro e ciò fece capire a Bucky che non doveva aver dormito a lungo.
I
medici andarono a sistemarsi dietro ad altrettanti monitor, cominciando a battere
qualcosa sulle tastiere, mentre T'Challa si fermò davanti al Soldato, le
braccia dietro la schiena, la giovane donna immobile alle sue spalle.
«Ben
risvegliato, James. Come ti senti?»
Per
Bucky fu strano sentire qualcuno rivolgersi così a lui. Dopo ogni risveglio dal
ghiaccio nessuno si era mai preoccupato di come si sentisse, ma solo di
portarlo il più in fretta possibile fra le braccia di quei tremendi macchinari
che avrebbero riprogrammato la sua mente. Senza rispondere rimase a osservare
T'Challa, per poi spostare il suo sguardo sulla donna alle sue spalle. Fu un
gesto spontaneo; la presenza di lei in quel posto gli sembrava sbagliata. Senza
rendersene conto si ritrovò a chiedersi cosa ci facesse una donna dalla pelle
bianca in quello Stato e quella stessa domanda gli parve talmente fuori luogo
che non si spiegò neanche per quale motivo l’avesse formulata.
Anisa
osservò di rimando il Soldato d’Inverno come se sotto i suoi occhi ci fosse un
gatto. Era così che gli parve quell’uomo, un felino. Continuava a fissare lei e
T'Challa con uno sguardo misto di curiosità e diffidenza, esattamente come un
gatto che non sa se fidarsi o meno degli umani davanti a sé. Quei pensieri,
però, furono spazzati via appena realizzò che davanti aveva James Barnes
finalmente sveglio. Non lo aveva mai incontrato, ma capitava che ogni tanto lei raggiungesse la camera
criogenica in cui lui dormiva. Rimaneva a guardare per brevi momenti il viso
dell’uomo addormentato, ritrovandosi a chiedersi cosa provasse una persona con
un passato come il suo e di che colore fossero i suoi occhi. Ora lo sapeva.
Quegli occhi grigio-azzurri, ricchi di intense sfumature blu, erano fissi in
quelli nocciola di lei e si allontanarono solo quando Anisa distolse i suoi per
prima.
«Quanto
tempo è trascorso?» domandò infine il Soldato, rivolgendosi esclusivamente a
T'Challa.
«Due
anni, giorni più, giorno meno.»
Bucky
parve soppesare quella risposta. Fece vagare il suo sguardo sul proprio corpo,
soffermandosi sulla fasciatura nera che coprivano i resti del vecchio braccio
bionico, amputato nel suo ultimo scontro. Ricordava quel conflitto, così come
non avrebbe potuto dimenticare tutto quello che era avvenuto prima e dopo.
Ricordava tutte le parole che Steve aveva speso per difenderlo, così come le
azioni che aveva compiuto per riavere il Bucky che lui conosceva. Quel Bucky
che non esisteva più, ma che Steve sembrava convinto di poter riavere. La
guerra interna agli Avengers di due anni prima gli aveva fatto capire che, se
anche non direttamente, il suo nome poteva ancora venire collegato al dolore.
Come tutte le persone che aveva ucciso e che non aveva mai dimenticato, quegli
avvenimenti erano ora indelebili nella sua mente. Il braccio amputato non era
altro che il monito perenne di quel recente passato.
Aveva
tantissime domande da fare a T'Challa, talmente tante che trovare quella da cui
iniziare sembrava impossibile. Alla fine, fra la moltitudine di quesiti e dubbi
che continuavano ad affollargli la mente, scelse la domanda più importante di
tutte, quella la cui risposta avrebbe influito su tutto il resto.
«Avete
trovato una cura?»
Lo
chiese con la fronte aggrottata, come se la luce gli stesse facendo ancora più
male e trovare le parole fosse difficile. Trattenne quasi il fiato in attesa
della risposta, nonostante si ricordasse piuttosto bene degli accordi presi con
T'Challa. Era troppo pericoloso. Se un nuovo Zemo
fosse venuto a conoscere le parole in grado di risvegliare il bellicoso Soldato
sopito dentro di lui, sarebbe tornato nuovamente a essere quell’arma che non
riusciva a controllare. Non voleva più fare del male a degli innocenti, per
questo aveva volutamente optato per l’ibernazione. Se T'Challa e i suoi uomini
lo avevano fatto uscire dalla stanza criogenica, significava che la soluzione
per il suo stato era stata individuata.
T'Challa
sorrise. Era piuttosto soddisfatto del lavoro per trovare la cura svolto dai
suoi ricercatori, la cui ultima versione risaliva al giorno precedente ed era
l’apice mai ottenuto. Il farmaco funzionava; già da diversi mesi, grazie ai
test, ne avevano la conferma. Ciò che
l’ultima versione era riuscita a migliorare era la rapidità di azione e che non
era un fattore da sottovalutare.
«Sì,
abbiamo qualcosa. Si tratta di un farmaco, sperimentale ovviamente, ma i test
lasciano ben sperare. Dobbiamo solo capire se anche con te può funzionare.»
Bucky
fu sollevato da quelle parole; sentì addirittura di essere in procinto di
sorridere se non fosse che era troppo stanco e scosso per assecondare il
tremulo movimento delle proprie labbra. Avevano un cura, una soluzione,
qualcosa che forse gli avrebbe permesso di riacquistare il pieno controllo
delle proprie azioni.
Non
notando alcun tipo di reazione da parte del suo interlocutore – se non una
composta sorpresa –, T'Challa riprese a parlare: «Mi sento in dovere di
avvertirti: il farmaco funziona, ma può darsi che nel tuo caso siano necessarie
numerose sedute e molteplici somministrazioni. Inoltre, e di questo ne sono
piuttosto sicuro, sarà doloroso.»
Il
Soldato abbassò lo sguardo. Cosa c’era di più doloroso del suo passato, delle
innumerevoli infiltrazioni fatte nella sua mente, dei continui ricordi che
affioravano lancinanti e opprimenti? Se quell’ultima sofferenza appena nominata
da T'Challa gli avesse permesso di non dover più temere se stesso, avrebbe
fatto qualsiasi cosa.
Acconsentì
con un unico, deciso, cenno del capo. «D’accordo. Posso farlo.»
T'Challa
parve ammirato da quelle poche parole. Solo due anni prima aveva rischiato di
uccidere l’uomo per un crimine che non aveva commesso. Ora la prospettiva di
redimersi dai propri errori aiutando quella stessa persona lo faceva sentire in
pace. Era la prima sensazione realmente positiva che provava da giorni.
Indietreggiò di un passo, fermandosi accanto alla giovane donna e posando una
mano sulla sua spalla.
«Lei
è Anisa» disse rivolto a Bucky, una nota più dolce nella voce. «Ha accettato di
seguire tutto il tuo percorso di riabilitazione, se lo vogliamo chiamare così.»
Per
la seconda volta Anisa e James si guardarono e per la seconda volta le domande
che affiorarono nelle reciproche menti furono le stesse. Lui si chiese se la
donna non fosse fuori luogo in Wakanda – come se stesso, del resto – e lei si
domandò quali emozioni potesse provare un uomo con un tale passato.
«Quando
possiamo cominciare?»
Il
Soldato tornò a rivolgersi a T'Challa. Fremeva dal desiderio di fare qualcosa,
di poter tornare a decidere delle proprie azioni.
Il
sovrano inarcò appena le sopracciglia, sorpreso. «Penso che prima sia meglio
che tu ti sistemi un po’. Non so, fare una doccia, mangiare un boccone»
aggiunse, notando l’espressione di Bucky.
«Non
serve. Ho passato di peggio» fu la risposta.
Tuttavia
T'Challa non gli prestò particolare attenzione. Fece un rapido gesto con la
mano, come a scacciare una mosca. «Insisto. Se proprio vuoi iniziare subito
possiamo fare fra un paio di ore. Nell’immediato non te lo permetterei.»
Bucky
non replicò. Si limitò ad annuire al sovrano, consapevole che la sua si potesse
ugualmente considerare una vittoria. Rimase a guardarlo mentre si rivolgeva ad
Anisa: «Tu saresti disposta?»
Lei
rispose affermativamente con un gesto del capo e senza dire altro. T'Challa
allargò le braccia, visibilmente soddisfatto. «Ottimo. Allora comincerai la tua
terapia – permettimi di chiamarla in questo modo – fra due ore. Adesso, se sei
d’accordo, ti farò mostrare i tuoi alloggi.»
A
quelle parole la donna scattò, avvicinandosi al telefono posto accanto alla
porta, digitando quattro cifre e pronunciando poche parole. Durante l’attesa
T'Challa ne approfittò per dare alcune delucidazioni a Bucky per la sua
prossima permanenza a palazzo. Il Soldato aveva libero accesso a quasi tutte le
stanze e sarebbe stato trattato come un ospite gradito. A palazzo tutti
sapevano del suo risveglio e nessuno avrebbe posto domande.
Dopo
diversi minuti qualcuno bussò alla porta del laboratorio ed entrò dopo aver
ricevuto il permesso a farlo. Madisa comparve nella
stanza, i lunghi capelli sempre raccolti in ordinate treccine. Salutò i
presenti con un inchino e si sistemò accanto al sovrano.
«Mandisa» la presentò lui al Soldato, indicando la donna.
Dopodiché si rivolse direttamente a lei: «Vorrei che accompagnassi James Barnes
nei suoi alloggi e che gli mostrassi come raggiungere l’altro laboratorio per
dopo. Fagli avere anche degli abiti puliti, per favore.»
Lei
lanciò un’occhiata diffidente a Bucky, infine rispose: «Certamente.»
«James,
se non ti dispiace seguire Mandisa… Noi ci vediamo
più tardi.»
Il
Soldato si alzò dal lettino, faticando un po’. Anisa si tenne pronta nel caso
l’uomo avesse avuto bisogno di aiuto, ma non fu necessario. Per quanto potesse
sembrare impossibile si reggeva perfettamente sulle proprie gambe. Il suo corpo
aveva ricevuto simili trattamenti – e molto spesso ben più spietati – parecchie
volte ormai. Anche grazie agli esperimenti che avevano condotto su di lui e
agli allenamenti che lo avevano plasmato e fortificato, per indebolirlo
notevolmente serviva molto più di un risveglio dai ghiacci; da quello, come
aveva appena dimostrato, sapeva rimettersi con estrema rapidità. Senza
proferire altra parola Bucky seguì una riluttante Mandisa
oltre la soglia, lasciando che la porta si richiudesse alle loro spalle.
«Cosa
ne pensi?» esordì T'Challa subito dopo, rivolto all’assistente. C’era una nota
di gioia nella sua voce, di pura soddisfazione. Anisa sapeva che era contento
dell’esito di quell’incontro, ma per lei non valeva lo stesso. Continuava a
nutrire dei dubbi; non su James Barnes, ma su tutta la situazione in generale.
Quando T'Challa le aveva detto di avere un piano si era aspettata qualcosa di ben
diverso, non che scongelasse Barnes nella speranza che, una volta rimosso ciò
che lo rendeva il Soldato d’Inverno, lui accettasse di aiutarli a fronteggiare
Klaw.
Scoccò
una rapida occhiata in direzione dei tre medici ancora presenti, concentrati
intorno a un unico schermo.
«Con
tutto il dovuto rispetto, altezza» iniziò Anisa. Non fu in grado di tenere a
freno il suo scetticismo, ma si ricordò bene di dare del voi a T'Challa come
faceva sempre quando erano in pubblico. «Non penso che risvegliare il sergente
Barnes sia stata la scelta migliore.»
Il
sovrano la guardò sorpreso. «Ne abbiamo già discusso, Anisa.»
«Sì,
ne sono consapevole. Tuttavia continuo a crederlo.»
T'Challa
si voltò verso i medici; questi non davano l’impressione di essere interessati
al dialogo fra i due, ma non gli importò. Con un cenno fece loro capire che
voleva essere lasciato solo con la donna e i tre uscirono dalla stanza. Il
silenzio calò intorno agli unici rimasti. T'Challa respirò a fondo e guardò
Anisa negli occhi.
«Perché
non dovrebbe essere la scelta giusta?» domandò, senza sentire realmente il bisogno
di ricevere una risposta. «Pensi che possa diventare pericoloso?»
«Niente
di tutto questo» replicò lei pronta. «Semplicemente considerando quello che sta
accadendo avremmo dovuto dare altre priorità.»
«Quali
altre priorità?»
«Lo
sai a cosa mi sto riferendo.»
T'Challa
prese a camminare avanti e indietro per la stanza, indispettito dal
comportamento della donna.
«Barnes
può aiutarci. Abbiamo trovato un cura, che senso aveva tenerlo ibernato ancora
a lungo? Tanto valeva ucciderlo se non avevamo intenzione di risvegliarlo» le
ricordò poi.
«E
se lui non volesse aiutarci? Se le cose che gli hanno inculcato non se ne
andassero solo con quel farmaco sperimentale?»
Ogni
sua domanda era come uno sparo. T'Challa le aveva prese in considerazione tutte
mentre si stava dirigendo verso la camera criogenica la sera prima, quando
aveva dato l’incarico di scongelare il Soldato. Tuttavia non era riuscito a
elaborare un piano migliore di quello. Se voleva tenere fuori le Nazioni Unite
ma cercare qualcuno – qualcuno con capacità al di sopra di quelle umane –
disposto ad aiutarlo in caso di una risposta negativa da parte di Captain
America, non aveva trovato altra soluzione se non rivolgersi a Barnes. A ogni
modo prima era necessario restituire le piene capacità decisionali all’uomo e
ciò richiedeva tempo. Il sovrano sapeva che quello che preoccupava tanto Anisa
era proprio lo scorrere del tempo.
«Avresti
un’idea migliore?» chiese poi.
La
risposta fu pronta: «Sai cos’avrei voluto fare. Ma tu hai preferito cercare
Rogers!»
La
donna era adirata, ma ciò che, in quel momento, incrinava la sua voce era
l’angoscia. Il sovrano la guardò. Non riusciva ad arrabbiarsi con lei. Sapeva
ciò che provava, così come sapeva quanto fremeva dal desiderio di fare
qualcosa. Si avvicinò ad Anisa, per poi parlare con il suo tono più risoluto e
calmo: «So che sei preoccupata che passi troppo tempo, che Klaw possa fare del
male a qualcuno o che diventi più forte e organizzato. Tuttavia, Anisa, non
sappiamo neanche dove sia nascosto.
«Mentre
svolgiamo le ricerche per trovarlo c’è il tempo di aiutare Barnes. Può darsi
che la sua situazione si sistemi prima di aver trovato Klaw e che lui sia
disposto ad aiutarci ad affrontarlo. Oppure Edet può
riuscire a trovare Captain America prima. Può accadere di tutto, lo sai.
«Tuttavia
ti prometto che se trovassimo Klaw a breve e nessuno fosse disposto ad
aiutarci, allora la Pantera combatterà quella battaglia anche a costo della
propria vita.»
La
donna lo guardò negli occhi scuri, calmandosi improvvisamente. Tutte le
incognite in cui si erano imbattuti non la lasciavano in pace, eppure, così
come aveva fatto per tutta la sua vita in Wakanda, decise di fidarsi di
T'Challa ancora una volta. Annuì lentamente con la testa in un gesto fluido. Il
sovrano prese la sua mano destra e la portò alle labbra, lasciandovi sopra un
leggero bacio.
«Grazie»
le disse e sul viso di Anisa si disegnò un lieve sorriso.
*
Varcata
la soglia del laboratorio si rese conto che era molto più piccolo dell’altro.
La stanza era circolare, interamente avvolta da ampie vetrate dietro le quali
vide svariate persone, alcune addirittura armate. Non ne fu sorpreso, né
infastidito; tutti avevano tentato di tenere a freno con quei mezzi l’ira del
Soldato d’Inverno. Quando arrivò accanto al lettino al centro del piccolo
laboratorio, gli abiti puliti e profumati di fresco, si accorse di non essere
solo lì dentro. In quello che, fino a quel momento, era stato il suo punto
cieco, notò la giovane donna dalla pelle bianca che aveva incontrato solo poche
ore prima. Ricordava già il suo nome. Anisa aveva legato i lunghi capelli
castani in una morbida crocchia sopra la testa,
in una mano stringeva una cartellina, mentre nell’altra tenevano un
anonimo contenitore bianco.
«Ben
ritrovato» salutò lei, indicando poi il lettino presente al centro della
stanza, unico oggetto d’arredo insieme a un tavolo apparecchiato con una
caraffa colma d’acqua, due bicchieri e qualche piccolo piatto in acciaio. Bucky
capì di essere stato invitato a sedersi e prese posto sul lettino. Compiere
quelle azioni usando un braccio soltanto gli risultava impegnativo. Come prese
posto, Anisa si avvicinò, posando entrambe le cose che reggeva sul tavolo.
«Pronto
per incominciare, James?»
Lui
la guardò. Per Anisa non fu semplice non sentirsi scrutata fin nel profondo
dagli occhi chiari dell’uomo. Non le riuscì di leggere alcuna sfumatura emotiva
in quello sguardo, se non una determinata attenzione. Nuovamente le parve di
avere davanti un gatto, diffidente, in attesa e, improvvisamente, il desiderio
di aiutarlo si intensificò in lei.
«Preferirei
essere chiamato Bucky.»
Queste
parole presero alla sprovvista la donna che quasi si era dimenticata di ciò che
aveva appena detto. Riacquistando il controllo di sé, sorrise. «D’accordo,
Bucky. Se sei pronto direi di cominciare.»
Non
attese una risposta, sapeva che lui era pronto, così come aveva già capito che
non sarebbe stato un paziente molto loquace. Dal contenitore che aveva posato
poco prima fece scivolare fuori una capsula bianca, che cadde nel piattino in
acciaio con un rumore sordo. Mostrò il tutto al Soldato.
«Questo
è il farmaco di cui ti ha parlato T'Challa. È sperimentale, come avrai già
capito, ma funziona.»
Bucky
continuò a osservare la donna, sperando che approfondisse in fretta
l’argomento. Anisa, infatti, continuò subito: «Il farmaco lavora a stretto
contatto con i ricordi. È in grado di inibire gli impulsi elettrici relativi a
un dato pensiero fino ad annullarli. È piuttosto difficile da spiegare»
aggiunse, notando l’espressione dell’uomo, «ma funziona. Per farti capire, i
test svolti avevano il compito di far dimenticare ricordi recenti, come ciò che
le persone che stavano testando il farmaco avevano mangiato a colazione.»
Schioccò
le dita. «Risultato? Non ricordavano nemmeno di aver fatto colazione.»
Il
Soldato si sentì rinfrancato da una simile notizia, ma solo per pochi attimi.
Ciò che doveva dimenticare lui era avvenuto molto tempo prima, non si poteva
certo paragonare al fatto di non ricordare in cosa consistesse la propria
colazione.
Come
se avesse udito i suoi pensieri, Anisa precisò: «Nel tuo caso non sarà così
semplice, per questo T'Challa ha detto che potrebbero servire molteplici
somministrazioni. Non siamo neanche certi che su di te funzioni.»
«Non
resta che provarlo» replicò l’uomo, una leggera alzata di spalle a precedere le
parole.
Anisa
sorrise. Aveva sempre avuto un debole per le persone che sapevano ciò che volevano
e non poté negare che James Barnes fosse uno di quelli.
«Sono
d’accordo. Ma prima devo spiegarti come funziona e tutto il resto.»
Sbuffò
leggermente, sistemandosi un’inesistente piega dell’abito scuro. «T'Challa te
lo ha detto, sarà doloroso.»
Il
Soldato si irrigidì appena e serrò la mascella.
«Tuttavia
non lo sarà dal punto di vista fisico, bensì da quello emotivo. Come ti ho
anticipato il farmaco lavora a stretto contatto con i ricordi, ciò significa
che per dimenticare sarai costretto a ricordare.»
Bucky
capì subito che cosa intendeva la donna, così come T'Challa quando gli aveva
anticipato la cosa ore prima. Il sovrano aveva definito la cura dolorosa e non a torto, ora lo aveva
capito. Tuttavia, per quanto a lui
avesse potuto fare male, per i presenti quel percorso sarebbe potuto essere
pericoloso se il Soldato d’Inverno si fosse in qualche modo risvegliato.
Improvvisamente si spiegò la presenza delle persone armate appostate oltre i
vetri e non ne rimase sorpreso. Ciò che gli parve strano a quel punto era come
mai, a seguirlo, T'Challa aveva preferito mettere una donna all’apparenza
fragile come Anisa.
«Che
cosa devo fare?» chiese infine, decidendo di andare avanti.
Lei,
che certamente si aspettava quella domanda, disse: «Il farmaco inibisce e
cancella i ricordi nei cinque minuti subito successivi alla sua assunzione. Ciò
vuol dire che una volta presa una di queste belle capsule» mise sotto il naso
di Bucky il piattino con la pastiglia in questione, «il farmaco comincia ad
agire e ti fa scordare tutto ciò che ti torna alla mente in quei cinque minuti.»
L’uomo
era stupito, ammirato e confuso al tempo stesso. Anisa non ci badò.
«Ora,
correggimi se sbaglio, il pericoloso Soldato d’Inverno celato in te si
risveglia se sente una precisa sequenza di parole russe, giusto?»
«Sì,
è così.»
«Allora
non dobbiamo fare altro che rendere tali parole prive di significato, usando
questo» concluse, indicando nuovamente la capsula. Bucky vi posò sopra lo
sguardo, corrugando lievemente la fronte.
«E
come pensate di fare?» chiese, divenendo più scettico. Aveva assistito a
parecchie cose strane dopo il suo penultimo risveglio, ma quello che Anisa gli
stava raccontando gli sembrava assolutamente insensato.
La
donna sollevò un sopracciglio, inclinando leggermente la testa di lato. «In che
senso?»
«Come
potete sperare di farmi dimenticare quelle parole senza che io torni a essere
il Soldato d’Inverno?»
Contro
ogni previsione dell’uomo, lei sorrise. Posò il piccolo piatto in acciaio sul
tavolo e guardò negli occhi Bucky.
«Semplicemente
scollegando quelle parole fra loro.»
Il
silenzio del Soldato le diede modo di proseguire nella sua esposizione: «Quello
che succede nella tua testa ogni volta che senti quelle parole è una sorta di
reazione involontaria della tua psiche. Non puoi dominarla, è talmente radicata
in te che ti è impossibile. È lo stesso principio che porta il nostro cervello
a ritrarre la mano quando ci scottiamo. Così come se ci scottiamo ritiriamo
involontariamente la mano, tu, se senti quelle parole, torni a essere il
Soldato d’Inverno. Non è uno dei miei esempi più riusciti, spero di essere
stata chiara.»
Lo
era stata eccome. Nessuno meglio di lui sapeva cosa si provava a tentare di
resistere inutilmente a qualcosa in grado di far perdere il controllo. Era una
sensazione opprimente, che toglieva il fiato e rendeva tutto buio, pesante e
freddo. Il fatto di non potercisi sottrarre era anche peggiore di come lo
faceva sentire.
Tornò
a guardare Anisa e scoprì che lei aveva ancora qualcosa da aggiungere.
«Ciò
che dobbiamo fare è far si che quelle
parole ti diventino sconosciute, totalmente prive di senso e di riferimento.
Per fare questo lavoreremo su una sola parola alla volta e solo quando ci
saremo accertati che essa abbia perso ogni significato per te passeremo alla successiva.»
Ancora
una volta Bucky non proferì parola. Tuttavia Anisa non aveva altro da dire ed
era curiosa di sapere cosa aveva intenzione di fare l’uomo. Non solo il farmaco
era sperimentale, ma anche la terapia che T'Challa e i medici avevano ideato lo
era. Inoltre le possibilità che funzionasse veramente erano poche, mentre il
rischio di risvegliare il Soldato d’Inverno era decisamente maggiore.
Infastidita
dal silenzio dell’uomo, Anisa decise di fargli notare di avere bisogno di un
riscontro. «Quindi? Vuoi andare avanti?»
Per
quanto chiaro, lo sguardo con cui lui la guardò era rovente, completamente
intriso di determinazione.
«Siete
voi a correre i rischi maggiori se la cosa non dovesse funzionare.»
Intuendo
ciò di cui l’uomo parlava Anisa incrociò le braccia, un leggero sorriso
divertito aleggiava sul suo volto.
«Per
quanto forte possa essere, il Soldato d’Inverno senza il suo braccio di metallo
è pericoloso la metà.»
L’impulso
a sorridere di Bucky venne bloccato dalla consapevolezza che la donna aveva ragione.
«Comunque
sia» si affrettò a riprendere lei, notando l’espressione del Soldato, «Se sei
intenzionato ad andare avanti possiamo iniziare.»
Tornò
ad afferrare il piattino in acciaio, portandolo davanti a Bucky. Lui osservò il
suo contenuto, poi guardò la donna, tranquilla e sicura.
«Cominciamo»
disse e afferrò la capsula che lei gli stava porgendo.
_______________________________
Ed
ecco qui la mia nota a fine pagina.
James
Barnes, il caro Bucky, è arrivato – o, meglio, è stato scongelato. Ero
intenzionata fin dall'inizio a fargli prendere parte alla storia anche perché,
diciamolo, la scena dopo i titoli di coda di CW fa ben sperare nella sua
presenza al fianco della Pantera.
Per
quanto riguarda la "cura" di Bucky avevo pensato a diverse ipotesi,
ma alla fine ha prevalso quella del farmaco sperimentale, principalmente per il
fatto che le altre avevano meno senso di questa.
Concludo
ringraziando tutti quelli che stanno portando avanti la mia storia, grazie
davvero!
MadAka