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Autore: MadAka    27/12/2016    1 recensioni
“Il sovrano aveva impiegato due anni per sentirsi all’altezza del compito che il padre gli aveva prematuramente lasciato. Tuttavia, alla fine, l’erede di T’Chaka si stava dimostrando un ottimo re, così come un perfetto Pantera Nera.”
[Post Civil War. Sono presenti riferimenti ad altri film Marvel, in particolare AoU. Alcune cose possono essere tratte anche dai fumetti]
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nuovo personaggio, Sam Wilson/Falcon, Steve Rogers, T'Challa/Black Panter
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Era difficile stabilire con esattezza dove si trovasse. La stanza bianca, pulita, odorava di sterile ed era perfettamente insonorizzata, al punto da rendere quasi possibile sentire lo scorrere del tempo. Conosceva quella sensazione, quel torpore totale che avvinghiava ogni parte del corpo, anche la più misera, quella profonda stanchezza che rendeva inefficienti i muscoli e deboli i riflessi. Nonostante il luogo in cui si trovava lo tranquillizzasse a sufficienza, quelle sensazioni – e ciò che avevano sempre portato subito dopo – non lo facevano stare calmo.

James Buchanan Barnes non la smetteva di guardarsi intorno. Alle spalle del lettino su cui era seduto non vi era traccia di alcuno degli strumenti che solitamente usavano su di lui prima di prepararlo a un nuovo lavaggio del cervello. Tuttavia la cosa lo rilassò solo per poco. Sapeva di essere in Wakanda – l’ultima oasi sicura in cui si era rifugiato separandosi da Steve ancora una volta – ma non sapeva per quanto tempo avesse dormito, così come non aveva idea di chi fosse stato a scongelarlo. Queste incognite gli impedivano di abbassare la guardia e, anche per via dello stato in cui si trovava, lo facevano sentire ancora più vulnerabile. Era solo da parecchi minuti ormai; l’odore di sterile gli era penetrato in profondità, la limpida luce che entrava dalle finestre, benché filtrata dalle veneziane, continuava a essere accecante per i suoi occhi rimasti chiusi a lungo e, per via del silenzio, sentiva il tempo scandito dal battito del cuore che gli martellava contro lo sterno.

Finalmente la porta del laboratorio si aprì. Bucky scattò istintivamente sulla difensiva, puntando come un predatore gli occhi sull’ingresso e tendendo i muscoli doloranti. Tre medici entrarono, i camici bianchi immacolati, seguiti da una giovane donna e, infine, da T'Challa in persona. Il Soldato rimase sorpreso di vedere il sovrano. Questi non pareva minimamente invecchiato dal loro ultimo incontro e ciò fece capire a Bucky che non doveva aver dormito a lungo.

I medici andarono a sistemarsi dietro ad altrettanti monitor, cominciando a battere qualcosa sulle tastiere, mentre T'Challa si fermò davanti al Soldato, le braccia dietro la schiena, la giovane donna immobile alle sue spalle.

«Ben risvegliato, James. Come ti senti?»

Per Bucky fu strano sentire qualcuno rivolgersi così a lui. Dopo ogni risveglio dal ghiaccio nessuno si era mai preoccupato di come si sentisse, ma solo di portarlo il più in fretta possibile fra le braccia di quei tremendi macchinari che avrebbero riprogrammato la sua mente. Senza rispondere rimase a osservare T'Challa, per poi spostare il suo sguardo sulla donna alle sue spalle. Fu un gesto spontaneo; la presenza di lei in quel posto gli sembrava sbagliata. Senza rendersene conto si ritrovò a chiedersi cosa ci facesse una donna dalla pelle bianca in quello Stato e quella stessa domanda gli parve talmente fuori luogo che non si spiegò neanche per quale motivo l’avesse formulata.

Anisa osservò di rimando il Soldato d’Inverno come se sotto i suoi occhi ci fosse un gatto. Era così che gli parve quell’uomo, un felino. Continuava a fissare lei e T'Challa con uno sguardo misto di curiosità e diffidenza, esattamente come un gatto che non sa se fidarsi o meno degli umani davanti a sé. Quei pensieri, però, furono spazzati via appena realizzò che davanti aveva James Barnes finalmente sveglio. Non lo aveva mai incontrato, ma capitava che ogni tanto lei raggiungesse la camera criogenica in cui lui dormiva. Rimaneva a guardare per brevi momenti il viso dell’uomo addormentato, ritrovandosi a chiedersi cosa provasse una persona con un passato come il suo e di che colore fossero i suoi occhi. Ora lo sapeva. Quegli occhi grigio-azzurri, ricchi di intense sfumature blu, erano fissi in quelli nocciola di lei e si allontanarono solo quando Anisa distolse i suoi per prima.

«Quanto tempo è trascorso?» domandò infine il Soldato, rivolgendosi esclusivamente a T'Challa.

«Due anni, giorni più, giorno meno.»

Bucky parve soppesare quella risposta. Fece vagare il suo sguardo sul proprio corpo, soffermandosi sulla fasciatura nera che coprivano i resti del vecchio braccio bionico, amputato nel suo ultimo scontro. Ricordava quel conflitto, così come non avrebbe potuto dimenticare tutto quello che era avvenuto prima e dopo. Ricordava tutte le parole che Steve aveva speso per difenderlo, così come le azioni che aveva compiuto per riavere il Bucky che lui conosceva. Quel Bucky che non esisteva più, ma che Steve sembrava convinto di poter riavere. La guerra interna agli Avengers di due anni prima gli aveva fatto capire che, se anche non direttamente, il suo nome poteva ancora venire collegato al dolore. Come tutte le persone che aveva ucciso e che non aveva mai dimenticato, quegli avvenimenti erano ora indelebili nella sua mente. Il braccio amputato non era altro che il monito perenne di quel recente passato.

Aveva tantissime domande da fare a T'Challa, talmente tante che trovare quella da cui iniziare sembrava impossibile. Alla fine, fra la moltitudine di quesiti e dubbi che continuavano ad affollargli la mente, scelse la domanda più importante di tutte, quella la cui risposta avrebbe influito su tutto il resto.

«Avete trovato una cura?»

Lo chiese con la fronte aggrottata, come se la luce gli stesse facendo ancora più male e trovare le parole fosse difficile. Trattenne quasi il fiato in attesa della risposta, nonostante si ricordasse piuttosto bene degli accordi presi con T'Challa. Era troppo pericoloso. Se un nuovo Zemo fosse venuto a conoscere le parole in grado di risvegliare il bellicoso Soldato sopito dentro di lui, sarebbe tornato nuovamente a essere quell’arma che non riusciva a controllare. Non voleva più fare del male a degli innocenti, per questo aveva volutamente optato per l’ibernazione. Se T'Challa e i suoi uomini lo avevano fatto uscire dalla stanza criogenica, significava che la soluzione per il suo stato era stata individuata.

T'Challa sorrise. Era piuttosto soddisfatto del lavoro per trovare la cura svolto dai suoi ricercatori, la cui ultima versione risaliva al giorno precedente ed era l’apice mai ottenuto. Il farmaco funzionava; già da diversi mesi, grazie ai test, ne avevano la conferma. Ciò che l’ultima versione era riuscita a migliorare era la rapidità di azione e che non era un fattore da sottovalutare.

«Sì, abbiamo qualcosa. Si tratta di un farmaco, sperimentale ovviamente, ma i test lasciano ben sperare. Dobbiamo solo capire se anche con te può funzionare.»

Bucky fu sollevato da quelle parole; sentì addirittura di essere in procinto di sorridere se non fosse che era troppo stanco e scosso per assecondare il tremulo movimento delle proprie labbra. Avevano un cura, una soluzione, qualcosa che forse gli avrebbe permesso di riacquistare il pieno controllo delle proprie azioni.

Non notando alcun tipo di reazione da parte del suo interlocutore – se non una composta sorpresa –, T'Challa riprese a parlare: «Mi sento in dovere di avvertirti: il farmaco funziona, ma può darsi che nel tuo caso siano necessarie numerose sedute e molteplici somministrazioni. Inoltre, e di questo ne sono piuttosto sicuro, sarà doloroso.»

Il Soldato abbassò lo sguardo. Cosa c’era di più doloroso del suo passato, delle innumerevoli infiltrazioni fatte nella sua mente, dei continui ricordi che affioravano lancinanti e opprimenti? Se quell’ultima sofferenza appena nominata da T'Challa gli avesse permesso di non dover più temere se stesso, avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Acconsentì con un unico, deciso, cenno del capo. «D’accordo. Posso farlo.»

T'Challa parve ammirato da quelle poche parole. Solo due anni prima aveva rischiato di uccidere l’uomo per un crimine che non aveva commesso. Ora la prospettiva di redimersi dai propri errori aiutando quella stessa persona lo faceva sentire in pace. Era la prima sensazione realmente positiva che provava da giorni. Indietreggiò di un passo, fermandosi accanto alla giovane donna e posando una mano sulla sua spalla.

«Lei è Anisa» disse rivolto a Bucky, una nota più dolce nella voce. «Ha accettato di seguire tutto il tuo percorso di riabilitazione, se lo vogliamo chiamare così.»

Per la seconda volta Anisa e James si guardarono e per la seconda volta le domande che affiorarono nelle reciproche menti furono le stesse. Lui si chiese se la donna non fosse fuori luogo in Wakanda – come se stesso, del resto – e lei si domandò quali emozioni potesse provare un uomo con un tale passato.

«Quando possiamo cominciare?»

Il Soldato tornò a rivolgersi a T'Challa. Fremeva dal desiderio di fare qualcosa, di poter tornare a decidere delle proprie azioni.

Il sovrano inarcò appena le sopracciglia, sorpreso. «Penso che prima sia meglio che tu ti sistemi un po’. Non so, fare una doccia, mangiare un boccone» aggiunse, notando l’espressione di Bucky.

«Non serve. Ho passato di peggio» fu la risposta.

Tuttavia T'Challa non gli prestò particolare attenzione. Fece un rapido gesto con la mano, come a scacciare una mosca. «Insisto. Se proprio vuoi iniziare subito possiamo fare fra un paio di ore. Nell’immediato non te lo permetterei.»

Bucky non replicò. Si limitò ad annuire al sovrano, consapevole che la sua si potesse ugualmente considerare una vittoria. Rimase a guardarlo mentre si rivolgeva ad Anisa: «Tu saresti disposta?»

Lei rispose affermativamente con un gesto del capo e senza dire altro. T'Challa allargò le braccia, visibilmente soddisfatto. «Ottimo. Allora comincerai la tua terapia – permettimi di chiamarla in questo modo – fra due ore. Adesso, se sei d’accordo, ti farò mostrare i tuoi alloggi.»

A quelle parole la donna scattò, avvicinandosi al telefono posto accanto alla porta, digitando quattro cifre e pronunciando poche parole. Durante l’attesa T'Challa ne approfittò per dare alcune delucidazioni a Bucky per la sua prossima permanenza a palazzo. Il Soldato aveva libero accesso a quasi tutte le stanze e sarebbe stato trattato come un ospite gradito. A palazzo tutti sapevano del suo risveglio e nessuno avrebbe posto domande.

Dopo diversi minuti qualcuno bussò alla porta del laboratorio ed entrò dopo aver ricevuto il permesso a farlo. Madisa comparve nella stanza, i lunghi capelli sempre raccolti in ordinate treccine. Salutò i presenti con un inchino e si sistemò accanto al sovrano.

«Mandisa» la presentò lui al Soldato, indicando la donna. Dopodiché si rivolse direttamente a lei: «Vorrei che accompagnassi James Barnes nei suoi alloggi e che gli mostrassi come raggiungere l’altro laboratorio per dopo. Fagli avere anche degli abiti puliti, per favore.»

Lei lanciò un’occhiata diffidente a Bucky, infine rispose: «Certamente.»

«James, se non ti dispiace seguire Mandisa… Noi ci vediamo più tardi.»

Il Soldato si alzò dal lettino, faticando un po’. Anisa si tenne pronta nel caso l’uomo avesse avuto bisogno di aiuto, ma non fu necessario. Per quanto potesse sembrare impossibile si reggeva perfettamente sulle proprie gambe. Il suo corpo aveva ricevuto simili trattamenti – e molto spesso ben più spietati – parecchie volte ormai. Anche grazie agli esperimenti che avevano condotto su di lui e agli allenamenti che lo avevano plasmato e fortificato, per indebolirlo notevolmente serviva molto più di un risveglio dai ghiacci; da quello, come aveva appena dimostrato, sapeva rimettersi con estrema rapidità. Senza proferire altra parola Bucky seguì una riluttante Mandisa oltre la soglia, lasciando che la porta si richiudesse alle loro spalle.

«Cosa ne pensi?» esordì T'Challa subito dopo, rivolto all’assistente. C’era una nota di gioia nella sua voce, di pura soddisfazione. Anisa sapeva che era contento dell’esito di quell’incontro, ma per lei non valeva lo stesso. Continuava a nutrire dei dubbi; non su James Barnes, ma su tutta la situazione in generale. Quando T'Challa le aveva detto di avere un piano si era aspettata qualcosa di ben diverso, non che scongelasse Barnes nella speranza che, una volta rimosso ciò che lo rendeva il Soldato d’Inverno, lui accettasse di aiutarli a fronteggiare Klaw.

Scoccò una rapida occhiata in direzione dei tre medici ancora presenti, concentrati intorno a un unico schermo.

«Con tutto il dovuto rispetto, altezza» iniziò Anisa. Non fu in grado di tenere a freno il suo scetticismo, ma si ricordò bene di dare del voi a T'Challa come faceva sempre quando erano in pubblico. «Non penso che risvegliare il sergente Barnes sia stata la scelta migliore.»

Il sovrano la guardò sorpreso. «Ne abbiamo già discusso, Anisa.»

«Sì, ne sono consapevole. Tuttavia continuo a crederlo.»

T'Challa si voltò verso i medici; questi non davano l’impressione di essere interessati al dialogo fra i due, ma non gli importò. Con un cenno fece loro capire che voleva essere lasciato solo con la donna e i tre uscirono dalla stanza. Il silenzio calò intorno agli unici rimasti. T'Challa respirò a fondo e guardò Anisa negli occhi.

«Perché non dovrebbe essere la scelta giusta?» domandò, senza sentire realmente il bisogno di ricevere una risposta. «Pensi che possa diventare pericoloso?»

«Niente di tutto questo» replicò lei pronta. «Semplicemente considerando quello che sta accadendo avremmo dovuto dare altre priorità.»

«Quali altre priorità?»

«Lo sai a cosa mi sto riferendo.»

T'Challa prese a camminare avanti e indietro per la stanza, indispettito dal comportamento della donna.

«Barnes può aiutarci. Abbiamo trovato un cura, che senso aveva tenerlo ibernato ancora a lungo? Tanto valeva ucciderlo se non avevamo intenzione di risvegliarlo» le ricordò poi.

«E se lui non volesse aiutarci? Se le cose che gli hanno inculcato non se ne andassero solo con quel farmaco sperimentale?»

Ogni sua domanda era come uno sparo. T'Challa le aveva prese in considerazione tutte mentre si stava dirigendo verso la camera criogenica la sera prima, quando aveva dato l’incarico di scongelare il Soldato. Tuttavia non era riuscito a elaborare un piano migliore di quello. Se voleva tenere fuori le Nazioni Unite ma cercare qualcuno – qualcuno con capacità al di sopra di quelle umane – disposto ad aiutarlo in caso di una risposta negativa da parte di Captain America, non aveva trovato altra soluzione se non rivolgersi a Barnes. A ogni modo prima era necessario restituire le piene capacità decisionali all’uomo e ciò richiedeva tempo. Il sovrano sapeva che quello che preoccupava tanto Anisa era proprio lo scorrere del tempo.

«Avresti un’idea migliore?» chiese poi.

La risposta fu pronta: «Sai cos’avrei voluto fare. Ma tu hai preferito cercare Rogers!»

La donna era adirata, ma ciò che, in quel momento, incrinava la sua voce era l’angoscia. Il sovrano la guardò. Non riusciva ad arrabbiarsi con lei. Sapeva ciò che provava, così come sapeva quanto fremeva dal desiderio di fare qualcosa. Si avvicinò ad Anisa, per poi parlare con il suo tono più risoluto e calmo: «So che sei preoccupata che passi troppo tempo, che Klaw possa fare del male a qualcuno o che diventi più forte e organizzato. Tuttavia, Anisa, non sappiamo neanche dove sia nascosto.

«Mentre svolgiamo le ricerche per trovarlo c’è il tempo di aiutare Barnes. Può darsi che la sua situazione si sistemi prima di aver trovato Klaw e che lui sia disposto ad aiutarci ad affrontarlo. Oppure Edet può riuscire a trovare Captain America prima. Può accadere di tutto, lo sai.

«Tuttavia ti prometto che se trovassimo Klaw a breve e nessuno fosse disposto ad aiutarci, allora la Pantera combatterà quella battaglia anche a costo della propria vita.»

La donna lo guardò negli occhi scuri, calmandosi improvvisamente. Tutte le incognite in cui si erano imbattuti non la lasciavano in pace, eppure, così come aveva fatto per tutta la sua vita in Wakanda, decise di fidarsi di T'Challa ancora una volta. Annuì lentamente con la testa in un gesto fluido. Il sovrano prese la sua mano destra e la portò alle labbra, lasciandovi sopra un leggero bacio.

«Grazie» le disse e sul viso di Anisa si disegnò un lieve sorriso.

 

*

 

Varcata la soglia del laboratorio si rese conto che era molto più piccolo dell’altro. La stanza era circolare, interamente avvolta da ampie vetrate dietro le quali vide svariate persone, alcune addirittura armate. Non ne fu sorpreso, né infastidito; tutti avevano tentato di tenere a freno con quei mezzi l’ira del Soldato d’Inverno. Quando arrivò accanto al lettino al centro del piccolo laboratorio, gli abiti puliti e profumati di fresco, si accorse di non essere solo lì dentro. In quello che, fino a quel momento, era stato il suo punto cieco, notò la giovane donna dalla pelle bianca che aveva incontrato solo poche ore prima. Ricordava già il suo nome. Anisa aveva legato i lunghi capelli castani in una morbida crocchia sopra la testa, in una mano stringeva una cartellina, mentre nell’altra tenevano un anonimo contenitore bianco.

«Ben ritrovato» salutò lei, indicando poi il lettino presente al centro della stanza, unico oggetto d’arredo insieme a un tavolo apparecchiato con una caraffa colma d’acqua, due bicchieri e qualche piccolo piatto in acciaio. Bucky capì di essere stato invitato a sedersi e prese posto sul lettino. Compiere quelle azioni usando un braccio soltanto gli risultava impegnativo. Come prese posto, Anisa si avvicinò, posando entrambe le cose che reggeva sul tavolo.

«Pronto per incominciare, James?»

Lui la guardò. Per Anisa non fu semplice non sentirsi scrutata fin nel profondo dagli occhi chiari dell’uomo. Non le riuscì di leggere alcuna sfumatura emotiva in quello sguardo, se non una determinata attenzione. Nuovamente le parve di avere davanti un gatto, diffidente, in attesa e, improvvisamente, il desiderio di aiutarlo si intensificò in lei.

«Preferirei essere chiamato Bucky.»

Queste parole presero alla sprovvista la donna che quasi si era dimenticata di ciò che aveva appena detto. Riacquistando il controllo di sé, sorrise. «D’accordo, Bucky. Se sei pronto direi di cominciare.»

Non attese una risposta, sapeva che lui era pronto, così come aveva già capito che non sarebbe stato un paziente molto loquace. Dal contenitore che aveva posato poco prima fece scivolare fuori una capsula bianca, che cadde nel piattino in acciaio con un rumore sordo. Mostrò il tutto al Soldato.

«Questo è il farmaco di cui ti ha parlato T'Challa. È sperimentale, come avrai già capito, ma funziona.»

Bucky continuò a osservare la donna, sperando che approfondisse in fretta l’argomento. Anisa, infatti, continuò subito: «Il farmaco lavora a stretto contatto con i ricordi. È in grado di inibire gli impulsi elettrici relativi a un dato pensiero fino ad annullarli. È piuttosto difficile da spiegare» aggiunse, notando l’espressione dell’uomo, «ma funziona. Per farti capire, i test svolti avevano il compito di far dimenticare ricordi recenti, come ciò che le persone che stavano testando il farmaco avevano mangiato a colazione.»

Schioccò le dita. «Risultato? Non ricordavano nemmeno di aver fatto colazione.»

Il Soldato si sentì rinfrancato da una simile notizia, ma solo per pochi attimi. Ciò che doveva dimenticare lui era avvenuto molto tempo prima, non si poteva certo paragonare al fatto di non ricordare in cosa consistesse la propria colazione.

Come se avesse udito i suoi pensieri, Anisa precisò: «Nel tuo caso non sarà così semplice, per questo T'Challa ha detto che potrebbero servire molteplici somministrazioni. Non siamo neanche certi che su di te funzioni.»

«Non resta che provarlo» replicò l’uomo, una leggera alzata di spalle a precedere le parole.

Anisa sorrise. Aveva sempre avuto un debole per le persone che sapevano ciò che volevano e non poté negare che James Barnes fosse uno di quelli.

«Sono d’accordo. Ma prima devo spiegarti come funziona e tutto il resto.»

Sbuffò leggermente, sistemandosi un’inesistente piega dell’abito scuro. «T'Challa te lo ha detto, sarà doloroso.»

Il Soldato si irrigidì appena e serrò la mascella.

«Tuttavia non lo sarà dal punto di vista fisico, bensì da quello emotivo. Come ti ho anticipato il farmaco lavora a stretto contatto con i ricordi, ciò significa che per dimenticare sarai costretto a ricordare.»

Bucky capì subito che cosa intendeva la donna, così come T'Challa quando gli aveva anticipato la cosa ore prima. Il sovrano aveva definito la cura dolorosa e non a torto, ora lo aveva capito. Tuttavia, per quanto a lui avesse potuto fare male, per i presenti quel percorso sarebbe potuto essere pericoloso se il Soldato d’Inverno si fosse in qualche modo risvegliato. Improvvisamente si spiegò la presenza delle persone armate appostate oltre i vetri e non ne rimase sorpreso. Ciò che gli parve strano a quel punto era come mai, a seguirlo, T'Challa aveva preferito mettere una donna all’apparenza fragile come Anisa.

«Che cosa devo fare?» chiese infine, decidendo di andare avanti.

Lei, che certamente si aspettava quella domanda, disse: «Il farmaco inibisce e cancella i ricordi nei cinque minuti subito successivi alla sua assunzione. Ciò vuol dire che una volta presa una di queste belle capsule» mise sotto il naso di Bucky il piattino con la pastiglia in questione, «il farmaco comincia ad agire e ti fa scordare tutto ciò che ti torna alla mente in quei cinque minuti.»

L’uomo era stupito, ammirato e confuso al tempo stesso. Anisa non ci badò.

«Ora, correggimi se sbaglio, il pericoloso Soldato d’Inverno celato in te si risveglia se sente una precisa sequenza di parole russe, giusto?»

«Sì, è così.»

«Allora non dobbiamo fare altro che rendere tali parole prive di significato, usando questo» concluse, indicando nuovamente la capsula. Bucky vi posò sopra lo sguardo, corrugando lievemente la fronte.

«E come pensate di fare?» chiese, divenendo più scettico. Aveva assistito a parecchie cose strane dopo il suo penultimo risveglio, ma quello che Anisa gli stava raccontando gli sembrava assolutamente insensato.

La donna sollevò un sopracciglio, inclinando leggermente la testa di lato. «In che senso?»

«Come potete sperare di farmi dimenticare quelle parole senza che io torni a essere il Soldato d’Inverno?»

Contro ogni previsione dell’uomo, lei sorrise. Posò il piccolo piatto in acciaio sul tavolo e guardò negli occhi Bucky.

«Semplicemente scollegando quelle parole fra loro.»

Il silenzio del Soldato le diede modo di proseguire nella sua esposizione: «Quello che succede nella tua testa ogni volta che senti quelle parole è una sorta di reazione involontaria della tua psiche. Non puoi dominarla, è talmente radicata in te che ti è impossibile. È lo stesso principio che porta il nostro cervello a ritrarre la mano quando ci scottiamo. Così come se ci scottiamo ritiriamo involontariamente la mano, tu, se senti quelle parole, torni a essere il Soldato d’Inverno. Non è uno dei miei esempi più riusciti, spero di essere stata chiara.»

Lo era stata eccome. Nessuno meglio di lui sapeva cosa si provava a tentare di resistere inutilmente a qualcosa in grado di far perdere il controllo. Era una sensazione opprimente, che toglieva il fiato e rendeva tutto buio, pesante e freddo. Il fatto di non potercisi sottrarre era anche peggiore di come lo faceva sentire.

Tornò a guardare Anisa e scoprì che lei aveva ancora qualcosa da aggiungere.

«Ciò che dobbiamo fare è far si che quelle parole ti diventino sconosciute, totalmente prive di senso e di riferimento. Per fare questo lavoreremo su una sola parola alla volta e solo quando ci saremo accertati che essa abbia perso ogni significato per te passeremo alla successiva.»

Ancora una volta Bucky non proferì parola. Tuttavia Anisa non aveva altro da dire ed era curiosa di sapere cosa aveva intenzione di fare l’uomo. Non solo il farmaco era sperimentale, ma anche la terapia che T'Challa e i medici avevano ideato lo era. Inoltre le possibilità che funzionasse veramente erano poche, mentre il rischio di risvegliare il Soldato d’Inverno era decisamente maggiore.

Infastidita dal silenzio dell’uomo, Anisa decise di fargli notare di avere bisogno di un riscontro. «Quindi? Vuoi andare avanti?»

Per quanto chiaro, lo sguardo con cui lui la guardò era rovente, completamente intriso di determinazione.

«Siete voi a correre i rischi maggiori se la cosa non dovesse funzionare.»

Intuendo ciò di cui l’uomo parlava Anisa incrociò le braccia, un leggero sorriso divertito aleggiava sul suo volto.

«Per quanto forte possa essere, il Soldato d’Inverno senza il suo braccio di metallo è pericoloso la metà.»

L’impulso a sorridere di Bucky venne bloccato dalla consapevolezza che la donna aveva ragione.

«Comunque sia» si affrettò a riprendere lei, notando l’espressione del Soldato, «Se sei intenzionato ad andare avanti possiamo iniziare.»

Tornò ad afferrare il piattino in acciaio, portandolo davanti a Bucky. Lui osservò il suo contenuto, poi guardò la donna, tranquilla e sicura.

«Cominciamo» disse e afferrò la capsula che lei gli stava porgendo.

 

 

 

 

 

_______________________________

Ed ecco qui la mia nota a fine pagina.

James Barnes, il caro Bucky, è arrivato – o, meglio, è stato scongelato. Ero intenzionata fin dall'inizio a fargli prendere parte alla storia anche perché, diciamolo, la scena dopo i titoli di coda di CW fa ben sperare nella sua presenza al fianco della Pantera.

Per quanto riguarda la "cura" di Bucky avevo pensato a diverse ipotesi, ma alla fine ha prevalso quella del farmaco sperimentale, principalmente per il fatto che le altre avevano meno senso di questa.

Concludo ringraziando tutti quelli che stanno portando avanti la mia storia, grazie davvero!

MadAka

 

  
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