C |
asa
ha il sapore delle cose semplici.
Di quel cancello di ferro
arrugginito, che Sansa rimane a guardare prima che Arya si faccia avanti per
aprirlo.
«Andiamo» dice sua sorella.
Ma lei rimane immobile a fissare la
ruggine, gli alberi alti e verdi che circondano il muro d’entrata. In
lontananza, una macchia grigia sembra dirle che l’edificio c’è ancora, che non
è crollato, che nessuno è venuto a distruggerlo.
Sansa ha immaginato tante volte di
tornare lì. Di piangere guardando casa. Di pensare ai suoi genitori, alle
giornate trascorse con loro, ai momenti vissuti con i suoi fratelli.
Ma non sente niente ora.
Non ci sono lacrime sul suo viso, non
c’è malinconia nel suo cuore.
Solo un posto vuoto nel petto, simile
a un pozzo senza fondo che nessuno sembra in grado di riempire.
«Vieni o no?» chiede Arya, risalendo
in auto.
Sansa guarda ancora una volta quel
cancello. Poi si volta. «Vengo a piedi. Voi andate avanti.»
Lo sguardo di sua sorella è
raggelante. «Stai perdendo tempo.»
Lei non risponde, allunga una mano
per accarezzare la ruggine e abbassa le palpebre. Casa. Sono a casa.
«Ed è il tempo di Jon.»
Bastano quelle parole per farla
scostare e spingerla a riaprire gli occhi.
L’auto le passa accanto, nessuno la
sta guardando, ma Sansa sente i loro sguardi addosso.
Sto
perdendo tempo. E Jon non ne ha più.
Eppure, nonostante quella
consapevolezza, nonostante sappia che è l’unica cosa certa di quel viaggio,
Sansa oltrepassa il cancello con lentezza, come se il primo tocco su quella
terra – la terra chiamata casa – meritasse attenzione.
Sono
tornata.
«Sono tornata a casa!»
Fa una giravolta su se stessa, guardando
il cielo. Intorno a lei c’è solo silenzio.
Attraversa quella porzione di parco
che la separa dai suoi compagni di viaggio, e riesce a studiarli oltre il
profilo degli alberi.
Qui
è dove Bran si arrampicava.
Casa è fatta di pietra, un po’ come
il temperamento di suo padre. Di suo fratello. Persino di Jon.
Casa ha finestre lunghe al
pianterreno, e una serie scomposta e ovale ai due piani superiori. Casa ha una
porta nera, alta quanto quella di una chiesa, con scalini in marmo bianco su
cui ora Arya è seduta.
È la statua di un lupo a lato
dell’entrata, che guarda in alto a bocca spalancata. I suoi fratelli amavano
giocare lì, fingendo che fosse reale.
Sandor ha una lattina in mano,
sicuramente qualcosa che ha acquistato durante il viaggio. La beve con avidità,
e sembra impaziente.
Ma
cosa è venuto a fare?
Sono una strana squadra. Due sorelle
e due uomini agli antipodi. Niente li accumuna, niente li unisce. Niente
avrebbe dovuto convincerli ad accompagnarla a nord.
«Sansa.»
Petyr.
E infatti, voltandosi, se lo trova di
fianco. Vorrebbe restare da sola. Dopotutto è casa sua.
«Stai bene?»
Sansa ha sognato tante volte di
tornare in quella casa, con i suoi fratelli. Persino con Jon. Ma ora che Petyr
le è vicino, ora che la guarda con preoccupazione, capisce che va bene così.
«Sì» mormora, restando nascosta alla
vista degli altri due. «Credo di sì.»
Lui si avvicina, le sfiora il mento.
«Credi?»
Vorrebbe piangere. Lì, ora, davanti a
lui.
Non ha provato niente davanti a quel
cancello, se non il vuoto. Ha sentito un pozzo profondo e impossibile da
riempire. Ma non adesso, non adesso che Petyr la guarda e Sansa vorrebbe solo
morire.
Perché è tornata? Perché ha creduto
di non sentire niente?
Tutto ciò che pensava si sta avverando,
ora.
Malinconia, rabbia, tristezza,
dolore. Emozioni che la confondono e si mischiano dentro di lei, facendola
impazzire.
La testa scoppia, il respiro
accelera. I pensieri si fanno cattivi, brutali, e non c’è tempo per cambiarli.
Non c’è modo di evitarli, non si può
premere l’interruttore e smettere di pensare.
Sansa si lascia guidare dalla sua
mente annebbiata contro il tronco di un albero. Si appoggia, si spinge, sente
la corteccia ruvida premere contro il maglioncino con cui ha sostituito la
camicia, e Petyr è da lei.
«Sansa!» dice ad alta voce, ma non
abbastanza forte perché gli altri possano sentirlo.
Sono soli, e ogni cosa assume per lei
contorni sfumati.
Quando si è accorta di stare male?
Quando ha capito che c’era sofferenza
in quel vuoto, in quel buco nero nel suo petto?
Le mani di Petyr le tastano la
fronte, le sfiorano le guance. Vuole accertarsi che stia bene, ma Sansa non sta bene, non può stare bene.
È a casa.
E non c’è più nessuno.
I suoi genitori sono morti, suo
fratello non camminerà più, Jon rischia la vita. E lei, Sansa, ha vissuto
piccole tragedie che avrebbe potuto evitare, se solo fosse stata più furba.
Se solo non avesse guardato nel modo
sbagliato un ragazzo che non poteva avere, convincendosi di esserne innamorata.
«Sansa, guardami.»
E lei obbedisce. Solleva gli occhi su
di lui e lo osserva.
«Respira, Sansa. Fai respiri lenti e
profondi. Prendi fiato.»
Petyr la sorregge, e Sansa lo
ascolta. Poi, senza sapere perché, senza rendersi conto del suo gesto, di dove
l’abbiano condotta i suoi pensieri, si allunga verso di lui, intrecciando le
dita dietro la sua nuca.
Baciami.
Potrebbe dirlo. Ora, lì, stringendosi a lui. Supplicandolo di darle un po’ di
conforto, di dirle che andrà tutto bene.
Ma tutto quello che fa è spingersi
avanti per cercare le sue labbra.
Stringe forte gli occhi, sente le
mani di lui afferrarla per i fianchi per allontanarla con dolcezza. Ma non
demorde.
È
solo un rifiuto.
Preme sulla sua bocca, e più lui
cerca di separarsi da lei, più Sansa lo esorta a restare. È rimasta sola. Non
c’è più nessuno ormai. Una casa vuota – la sua
casa vuota – che ha visto tanti sorrisi. A cui sono rimaste solo lacrime.
«Ti prego» sussurra, seguendo con
l’indice la linea della sua spalla.
«Sansa… no. Non ora. Non qui.»
Ma gli altri non possono vederli, non
possono sentirli. Ne è sicura. Così sicura da tirarlo verso di sé, rimanendo
incastrata contro l’albero.
«Solo un istante.»
Non sa se è quello che vuole, non sa
perché lo stia facendo. Non sa perché abbia scelto lui, perché non abbia
preferito cacciarlo e restare sola in quel parco.
Un bacio per smettere di pensare, per
fingere che tutto vada bene, che ci sia ancora amore a Grande Inverno, e non
solo fredde pietre e pianti.
«Solo una volta» sussurra sulla sua
bocca.
Petyr la stringe ancora per i
fianchi, ma non più per allontanarla. È come se avesse messo da parte l’attesa
per lei.
È
il suo sacrificio. Infrangerla per lei, solo per lei.
Lo sente risalire fino alla vita e
poi fermarsi, come se avesse osato troppo. Questa volta è lui a baciarla, un
piccolo fuoco che muta in incendio. Si avventa su di lei, una volta soltanto,
spegnendo la sua mente per un istante.
E quando si stacca, piano, Sansa riapre
lentamente gli occhi.
«Perché sei qui?»
Le mani di Petyr la avvolgono, come
se temesse in una sua fuga. Lei lo vede stropicciare le labbra, come se – ancora – volesse sentire il sapore di
lei sulla bocca.
Sa cosa sta per dire, la cosa più
banale e futile, eppure, nonostante tutto, Sansa ha bisogno di sentirlo. Ha bisogno di lui, di quel momento, di sentirsi
protetta. Di sentirsi amata.
«Non lo sai?»
Lei non risponde. Fa scivolare le
mani dalle sue spalle, fermandosi sul suo petto. E scuote la testa.
«Ho un sogno, Sansa. E tu sei al mio
fianco.»
«Quale sogno?»
Ora è Sansa a staccarsi da lui,
adesso che la magia è rotta. Sente le sue dita accarezzarle la guancia e
soffermarsi sul suo viso.
«Lo vedrai» sussurra, seguendo lo
zigomo con il pollice. «Ti insegnerò io.»
«A fare cosa?»
Per un brevissimo istante, Sansa ha
ricordato la sua richiesta. La vita di un
uomo sulla coscienza. Ma Petyr non le ha detto niente, non può averlo fatto
davvero.
Eppure, ancora, Sansa ricorda lo
sguardo di lui carico di desiderio, nel momento in cui ha capito ciò che lei voleva.
Arya non sarebbe rimasta in silenzio,
lo avrebbe gridato al mondo se Janos Slynt fosse morto. Glielo avrebbe detto, e
lo avrebbe detto anche a Robb. E a Jon.
Petyr sorride, le sfiora la bocca con
le dita e non dice niente.
«Vieni» sussurra poi, prendendola per
mano. «Torniamo dagli altri.»
Grande Inverno.
Un posto dove avrebbe preferito non
andare. Il desiderio segreto dei Bolton, il luogo che ha tenuto Petyr lontano
da Cat.
Eppure, pensa ora, è proprio questa
casa a unirlo a Sansa. Ad averla presa e posata tra le sue braccia.
«Vuoi restare lì?» chiede Arya,
mentre sua sorella apre il portone.
Lui le raggiunge in cima alla
scalinata, lanciando un’occhiata al Mastino. Sta guardando Sansa.
Quando entrano, l’atrio ha l’aspetto
di quelle tenute di buona famiglia, abbandonato dal tempo. Ci sono due scale
che salgono ai piani superiori, incrociandosi davanti alle loro teste.
E, ovunque, Petyr riconosce
l’impronta di Catelyn.
In alcuni soprammobili, nel
lampadario in vetro soffiato, nei quadri che raffigurano animali…
Allunga una mano per toccarne uno,
dove un usignolo sorvola le acque di un fiume dove nuotano i pesci.
«Lo ha portato nostra madre» dice
Arya, mentre Sansa china la testa. «A me non è mai piaciuto.»
Petyr annuisce. «Gliel’ho regalato
io.»
«Davvero?» chiedono in coro le due
sorelle Stark.
Lui fa cenno di sì e si infila la
mano in tasca, stringendola a pugno. L’ultima
volta che ci siamo visti.
Sansa fa un passo avanti,
appoggiandosi alla ringhiera delle scale. «È quasi sera. Dovremmo cominciare a
cercare.»
«Adesso?» chiede Sandor.
«Prima li troviamo, prima possiamo
tornare indietro.»
«Per questa notte potremmo restare
qui» dice Petyr, guardandosi intorno.
«Jon non ha tempo da perdere» ribatte
Arya, incrociando le braccia al petto.
Guidare di notte non è un problema
per Petyr. Ma avrebbe preferito perdersi un momento tra quelle mura, restare a
pensare. A ricordare.
«Allora vi aiuteremo a cercare.»
Sansa scuote la testa. «Restate qui.
Non sapreste da dove iniziare e non abbiamo tempo per spiegarvelo.»
Arya annuisce con vigore, un attimo
prima di sparire su per le scale dietro alla sorella.
Il Mastino prende a girare per le
stanze al pianterreno, guardandosi in giro, toccando oggetti impolverati abbandonati
sui mobili.
Petyr non fa altrettanto… posa gli
occhi su una bella sedia rivestita e si siede, in attesa.
Ha avuto una giornata intensa… e
vorrebbe solo chiudere gli occhi e riposarsi. Controlla l’orologio, di
continuo, fissando la lancetta dei secondi come se fosse in trance.
«Ci stanno mettendo troppo» ringhia
Sandor, aprendo le ante di un armadietto. Continua a rovistare, finché non
trova ciò che stava cercando: alcolici. «Un bicchiere?»
Petyr accenna un sorriso e scuote la
testa, sollevando una mano. «Passo.»
«Peggio per te.»
A Petyr piace avere la mente lucida;
soprattutto se in programma c’è una strada, la notte e… Sansa, seduta sul sedile posteriore dell’auto.
Cosa succederà quando torneranno
indietro? Dovranno dividersi? Lei non accetterà di tornare in città… lo ha già
detto. Lo ha già deciso.
«Niente» dice Arya, scendendo le
scale. «Abbiamo guardato dappertutto, ma di sopra non c’è niente. Ora proviamo
qui.»
Sansa è dietro di lei, cupa in volto.
Petyr le osserva entrare in un’altra
stanza, e aspetta.
Aspetta che trovino, che tornino da
lui, che gli dicano di ripartire.
Ma non succede.
Quando le guarda, non servono parole
per capire che hanno fallito. Che non hanno trovato ciò che stavano cercando. E
Sandor è già al quarto bicchiere…
«Deve
esserci qualcosa. Non è possibile.»
«Non c’è, Sansa» ribatte Arya,
incrociando le braccia al petto. «Conviene pensare a un’altra soluzione.»
«E quale? Non sappiamo niente di Jon,
o di nostra zia… Non sappiamo nemmeno se è davvero sua madre!»
Petyr abbassa gli occhi sul
pavimento. Non sa ancora come, ma forse, forse,
quella situazione potrebbe volgersi a suo vantaggio. Se solo sapesse come
risolverla… Sansa lo guarderebbe diversamente. Magari sarebbe disposta a
tornare in città con lui.
«Hai parlato dello zio Benjen»
mormora Arya, raggiungendo la porta. «Conviene raggiungerlo.»
«E come, Arya? Non ho idea di dove
sia ora. Magari Jon si è sbagliato, magari è morto…»
«Jon non si è sbagliato. Se ha detto di averlo visto, è così, lo ha
visto davvero. Dobbiamo solo trovarlo.»
Sansa china la testa, come se si
fosse arresa.
Non sa perché, ma Petyr si sente
dispiaciuto per lei.
«Perché non restiamo qui?» propone,
cercando i suoi occhi. «Almeno per stanotte. Domani cercheremo il modo di
trovare vostro zio.»
Arya lo guarda incredula. «Jon è in
un letto d’ospedale.»
Lui inclina appena la testa di lato.
«Lo so, ma non vedo come mettersi a viaggiare di notte, senza una meta, possa
essergli d’aiuto.»
«Sarà certo meglio che restare qui a
non fare niente!»
Sansa allunga una mano e sfiora il
braccio di sua sorella, come per calmarla. «Ha ragione» sussurra.
Lo sguardo di Arya è di puro
disprezzo.
«Non servirebbe a niente uscire a
quest’ora. È già buio.»
E voltando la testa verso la
finestra, anche Petyr si rende conto di quanto sia tardi. Il sole è ormai
svanito, e il parco della villa si sta colorando di rosso.
«Sei uguale a lui» sibila Arya, prima
di sparire su per le scale.
Sansa sgrana gli occhi, lo guarda un
istante, poi segue la sorella al piano superiore. Non restano lassù per molto,
e dopo un po’, quando ritornano, sembrano entrambe sovrappensiero. Petyr
capisce subito dove siano rivolte le loro menti.
«Resteremo qui» mormora Sansa, lisciandosi
il maglioncino. Poi, prima di continuare, guarda proprio lui. «Solo per
stanotte.»
Sandor posa il bicchierino con forza
sul tavolo – dev’essere il settimo – e fa un grugnito. Petyr china appena la
testa per dire di sì.
«Jon è stato qui per un po’, controlliamo
cos’ha lasciato da mangiare. Di sopra abbiamo tirato fuori lenzuola pulite per
tutti e abbiamo rifatto i letti.»
Arya solleva la testa al soffitto, e
Petyr capisce: solo Sansa si è data da fare, magari mentre stavano discutendo
di qualcosa.
Ma
cosa? Si chiede lui.
«Perché dovrebbe aver lasciato
qualcosa se poi è partito?»
Sansa scrolla le spalle. «Non sapeva
cosa sarebbe successo, forse era convinto di tornare qui con tutti noi.»
La cena è abbastanza povera,
interrotta a tratti da Sandor che apre nuove bottiglie di birra, ma nessuno
sembra avere molta fame.
Mangiano in silenzio, e quando è ora
di salire, Sansa gli lancia una lunga occhiata, come se sapesse.
Cosa si sono dette? Cos’è successo
con Arya?
Ha parlato? Le ha confessato ciò che
hanno fatto a Janos?
E Sansa come l’ha presa?
«Buonanotte» dice, guidandoli al
piano superiore, prima di indicar loro le stanze.
Sandor si ferma a metà corridoio, e
non ci vuole molto per capire a cosa stia pensando. È ubriaco, e ha gli occhi
puntati su Sansa. Se solo fossero soli, Petyr ne è certo, non esiterebbe a
prendere ciò che vuole.
Stringe la mano a pugno, trattenendo
la rabbia. La gelosia.
«Buonanotte» risponde, aspettando di
vedere il Mastino entrare in camera, prima di fare lo stesso.
E quando Sansa sparisce dietro una
porta, Sandor emette un lungo sospiro.
Non
è tua, pensa Petyr. Non
puoi averla.
Anche lui raggiunge la sua stanza –
gli sembra quasi di sentire l’odore di Sansa, ma sa che è solo una mera
illusione – e si infila sotto le coperte.
Non riesce a dormire. Non può, non
lì, non senza sapere cosa si siano dette, non senza conoscere il proprietario
di quel letto.
Chi ha dormito in quella camera?
Forse Sansa? Forse il suo caro Robb? Jon?
Petyr si alza in piedi, le calze
strusciano sul pavimento; alle pareti, i muri sono spogli. Non ci sono
fotografie, né niente che possa dargli un indizio. Solo una treccia di vimini,
con al centro una candela, e nient’altro.
Poi capisce.
Nessuno è stato in quella stanza. Né
Sansa, né i suoi fratelli.
Ha scelto di dargli la stanza degli
ospiti, come se fosse uno qualunque, o come se non si fidasse di lui… Non più.
Petyr siede davanti alla finestra, a
godere la vista del parco. È notte, e ci sono solo due luci fuori – i due
faretti che illuminano l’entrata – il cielo è nero, ma per lui è come se
nevicasse.
Una sottile nebbia attraversa gli
alberi, arriva fino alla porta sottostante. È uno scintillio. Come neve.
Come se lui avesse la vista
annebbiata e, fuori, il parco fosse ricoperto da un manto bianco.
Un’illusione.
Eppure, in quel momento, Petyr vuole
crederci.
Vuole credere di aver baciato Sansa
in mezzo alla neve, di aver deciso lui di farlo, di non essersi lasciato
supplicare. Vuole credere di essere tornato ragazzo a Grande Inverno, di aver
trascorso lì la sua giovinezza, i tempi passati.
Vuole credere che ci sia ancora una
speranza.
Per lui, per loro, per Sansa. Per
rinascere. Per stare insieme. Per tornare giovane, e avere tutto ciò che non ha
avuto.
Finché qualcuno bussa alla porta – è tardi, è notte – e Petyr si alza per
aprire.
Il sogno si è infranto? La neve si è
sciolta?
E quando gira la manopola e tira
verso di sé, è Sansa che si ritrova davanti. Sgrana gli occhi e la guarda,
scostandosi appena per lasciarla passare.
«Scusami» sussurra lei, entrando in
punta di piedi. Non vuole essere sentita,
non vuole che si sappia. Unisce le mani e abbassa il capo. «Avevo bisogno
di parlarti.»
La neve non si è sciolta, è ancora
fuori, in volo davanti alla sua finestra, come un pulviscolo di stelle. Petyr
le sfiora il dorso con le dita e le fa un cenno.
«Vieni con me.»
La guida alla finestra, rimandando
quella loro conversazione, quella che potrebbe rovinare quel momento.
«Guarda.»
L’indice incontra il vetro
trasparente, si perde nei meandri della nebbia – della neve – e, senza rendersene conto, attira Sansa a sé,
stringendola per la vita.
«Sembra neve.»
Non glielo sta chiedendo, glielo sta dicendo. E la vede abbandonarsi a quella
visione – perdersi e poi ritrovarsi –
come in un sogno.
Sansa è insieme a lui, in mezzo alla
neve, in mezzo al nulla. Ci sono solo loro due, nient’altro.
E anche lei sembra accorgersene.
Socchiude gli occhi, schiude le labbra, e posa una mano su quella di Petyr –
quella che ora è sul suo ventre.
«È vero» sussurra. «Sembra neve.»
Note
dell’autrice:
E fino all’anno prossimo non ci vedremo più! Tanti auguri a tutti! E spero di sentirvi!
Celtica