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Autore: L_Fy    25/05/2009    11 recensioni
"Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant'è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò de l'altre cose ch'i' v' ho scorte." Dante Alighieri, La Divina Commedia
Genere: Commedia, Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16 : Il Processo

Capitolo 16 : Il Processo

Non per far, ma per non fare ho perduto
a veder l'alto Sol che tu disiri
e che fu tardi per me conosciuto.
Luogo è là giù non tristo di martìri,
ma di tenebre solo, ove i lamenti
non suonan come guai, ma son sospiri.

Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, Canto VII

 

Eva e Raf entrarono nella prima cella del corridoio quasi di soppiatto. La stanza era in penombra, fresca e asettica: Raf si girò a guardare Eva con malcelato sollievo mentre lei si appoggiava alla porta chiudendola, ancora incerta su come e cosa dire all’Arcangelo.

“Era ora che ti decidessi a parlarmi” la precedette Raf con un sorriso dolcissimo “La tua aura era così confusa e angosciata che mi chiedevo quando finalmente avresti chiesto il mio aiuto…”

Eva chiuse per un attimo gli occhi, inspirando a fondo: come al solito Raf aveva il potere con la sua sola presenza di lenirle l’animo in subbuglio. La sua costante attenzione, il suo perpetuo interesse per lei non mancavano mai di riempirla di gioia vergognosa, di insperata pace. “Se solo potessimo stare così per sempre” pensò Eva con rimpianto.

“Lo so” disse bruscamente abbassando lo sguardo “In effetti sono confusa. Tutto questo casino…”

“Possiamo chiamarla confusione?”

“Ma è un vero casino, Raf. Cornelia là fuori che scalpita, Giacinta che prega e non si sa se è di qua o di là… Ellena, che è venuta qui con intenzioni tutt’altro che chiare. Il Processo, il Comitato…”

“E Vlad.” aggiunse Raf con estrema calma.

Il cuore di Eva fece un balzo doloroso nel petto.

“E Vlad.” ammise sforzandosi di non abbassare lo sguardo.

Raf sospirò, gli occhi celesti più grandi e buoni che mai.

“Avanti, parla.”

“Non sono più sicura che Vlad abbia fatto uccidere Paolo e Sandra. Lui… credo che fosse sincero quando ha confessato di non c’entrare niente in quella storia, poco fa.”

“Può darsi” rispose Raf pensieroso “In effetti non ci sono prove né a carico né a favore. L’unico a parte Vlad che potrebbe sapere qualcosa è l’esecutore dell’omicidio, il Mulo, ma a quanto pare si trova nel Girone dei Dimenticati, eternamente irraggiungibile.”

“Per colpa mia” borbottò Eva amaramente “Se solo avessi saputo…”

“Non ti prendere la colpa di tutto: col senno di poi qualsiasi errore sarebbe rimediabile.”

Eva, coraggiosamente, lo guardò dritto in faccia.

“E se fossi ancora in tempo a rimediare un mio errore?”

Il sorriso buono di Raf si smorzò repentinamente.

“Una Condanna non si ritira.”

“Forse ci sono altri modi.”

“Stai pensando qualcosa di molto pericoloso” la avvisò serio “Te lo leggo negli occhi. Forse Vlad ti ha messo in testa qualche idea assurda…”

“Vlad non mi ha messo in testa proprio niente.” reagì Eva punta sul vivo. “A parte un bel po’ di sconcezze…”

Ma Raf era decisamente scettico. Gentile, ma scettico.

“Sin da quando eri piccola, l’alchimia tra te e Vlad è sempre stata molto potente. Forse perché la parte demoniaca che hai ereditato da tua madre è lussuriosa…”

“L’unica cosa che lega me e Vlad è il Triumviro.”

“Lasciami finire prima di arrabbiarti. Tu e Vlad siete molto uniti. Io sento il tuo cuore, Eva. Sento che odi Vlad con tutta te stessa. E sento che lo ami.”

“Sei una vera e propria stazione radar” ironizzò Eva amaramente “Peccato che quello che sento per te non lo capti mai.”

Normalmente, Raf a quel punto avrebbe detto “Eva, Eva…” scuotendo il capo e irradiandola col suo sorriso paziente. Ma non c’era nessun sorriso sul viso pallido di Raf e nemmeno pazienza. Il suo viso era tirato, dolcemente tormentato. La sofferenza se possibile lo rendeva ancora più angelicamente bello e nella debolezza della confusione che aveva in mente, Eva si sentì pericolosamente vicina al cedere all’onnipresente istinto di… di?

“Ho sempre pensato che il legame tra noi due fosse più forte di quello che c’è tra te e Vlad” articolò con lenta sofferenza Raf  “Ma non lo penso più dopo aver visto come vi guardavate, nella sua cella.”

Lo sforzo che fece Eva per sostenere il suo sguardo le prosciugò dal cuore tutte le inutili parole che si era frettolosamente preparata.

“Io non amo Vlad.” scandì con voce chiara.

“Non mentire. Non puoi fare a meno di amare: sei un Angelo anche tu, dopotutto. E non arriverai da nessuna parte se

non obblighi te stessa alla verità.”

“Io non lo amo” ripeté cocciuta “E’ un Demone e nessuno meglio di me sa cosa voglia dire questo. Io non amo Vlad. Non posso amarlo e non devo amarlo” chiuse gli occhi, cercando di fare sue quelle sagge parole “Ma sento che devo dargli una possibilità per salvarsi.”

Ammetterlo fu così faticoso che subito dopo averlo detto si sentì spossata come se avesse corso per mille chilometri. Raf, invece, sembrò semplicemente più triste.

“Oh Eva, Eva…” mormorò affranto “Nessuno può salvare un Demone.”

“Non ho detto che voglio salvarlo. Ho detto che devo dargli una possibilità.”

“E questo cosa significa?”

“Che devi chiamare Sisar.”

Raf sembrò genuinamente preso in contropiede.

“Non posso farlo” rispose automaticamente “E’ contro il regolamento.”

“Lo so. Ma te lo chiedo lo stesso.”

“Dovrei infrangere il regolamento per Vlad? Non se ne parla nemmeno.”

Sembrava imbronciato: era un Arcangelo, era l’incarnazione stessa della bontà divina, eppure in quel momento Eva avrebbe scommesso tutto quello che aveva che Raf era geloso

“Non vuoi farlo in linea di massima o non vuoi farlo per Vlad?”

“Non vedo nessuna differenza.”

“C’è, invece. Se ti chiedessi di farlo per me?”

Lo guardava negli occhi, indifesa, sapendo che lo stava costringendo a fare qualcosa che andava contro la sua natura e odiandosi per quello.

“Eva…”

“Per favore.”

Gli andò vicino. Qualcosa passò negli occhi di Raf, una sorta di dolore che trasmise a Eva una sotterranea esaltazione.

“Perché lo vuoi salvare?” domandò la voce dolente di Raf “Non riesco a capire perché mi disturba così tanto il pensiero che sia disposta a rischiare tutto per Vlad. Non… non riesco a sopportarlo. Il pensiero mi fa stare male.”

Non era abituato a soffrire in quel modo, Eva glielo lesse sulla bellissima faccia smarrita. Come per sbaglio si trovò ad allungare le braccia, aspettando le sue. Dopo un infinitesimale attimo di tentennamento, Raf la abbracciò, delicato come se fosse fatta di porcellana. Eva chiuse di nuovo gli occhi e si lasciò cullare con insolito abbandono, la guancia posata sul tessuto fresco del suo maglione azzurro. Sapeva che non era né il momento né il luogo, ma non poteva fare a meno di sentire il proprio cuore sobbalzare e desiderare qualcosa di impossibile. Perché in quel momento sospeso forse non era più così impossibile.

“Raf, stringimi.” sentì sussurrare la propria voce.

Lui ubbidì e tremò.

“Tu mi ami, Raf?”

“Sai che voglio solo il tuo bene.”

“Per favore, non rifilarmi queste stronzate da Arcangelo. So tutto del bene superiore, della bontà divina e dell’assoluta asessualità dell’amore fra Angeli. Ma io non sono un Angelo e tu sai cosa voglio sapere.”

Il respiro di Raf divenne discontinuo, sofferente.

“Eva” mormorò con la bocca sui suoi capelli “Per favore non chiedermelo. Non qui, non adesso.”

“Non fare che l’amore che ho per te sia più forte di me”, dicevano quelle poche parole. Ma il suo tono di voce, quel leggero tremore tra una parola e l’altra, dicevano molto di più. Quelle braccia più delicate del solito parlavano di debolezza e a Eva balzò il cuore in gola dall’emozione improvvisa.

“Raf?”

“Perché?”

“Perché non è sicuro di resistere” esultò una vocetta remota.

“Perché ho paura.” ammise Raf con dolente innocenza.

Eva avrebbe voluto assecondarlo: staccarsi da lui e provare con le parole a convincerlo a non comportarsi da Arcangelo almeno in quell’occasione. Invece, si strinse a lui ancora più forte, premendo interamente il proprio corpo contro il suo.

“Devo chiedertelo.” mormorò la bocca di Eva, vicinissima al suo orecchio: aspirò esaltata il profumo intimo dei capelli di Raf dietro le orecchie e percepì con meraviglia il battito furioso del suo cuore contro il petto.

“Ti prego.”

Ma Eva non lo ascoltò perché in fondo era una vita intera che voleva che succedesse proprio quello: con un movimento impercettibile, sollevò la testa e il respiro paradisiaco di Raf le accarezzò le palpebre pesanti e arrossate. Lo guardò a lungo, senza dire niente: lasciò le porte della sua anima spalancate perché Raf vedesse e capisse… e cedesse.

“Eva, Eva…” bisbigliò l’Arcangelo con voce rotta, ma questa volta Eva sentì tangibile la sua resa.

Seguì il suo istinto: fece scivolare le mani dietro la nuca di Raf, si sollevò sulle punte dei piedi e lo baciò.

*             *             *

“Eva.”

Vlad, steso sul letto, alzò bruscamente la testa dal cuscino e si rizzò a sedere con tutti i nervi tesi e in allerta. Quel dannato corpo mortale era incredibilmente difficile da domare, meditò fuggevolmente mentre la strana sensazione che lo aveva invaso andava via via scemando.

“Eva.”

Chissà cos’era stato. Per un attimo gli era sembrato di avere addosso un milione di spilli. E ancora si sentiva tutto scombussolato, ammise scacciando subito dopo quel pensiero. Quello che non riuscì a scacciare era quel nome, piccolo e fastidioso come un tarlo aggrappato a qualsiasi pensiero gli vagasse per la mente.

“Eva.” 

*             *             *

La bocca di Raf era la cosa più morbida su cui Eva avesse mai posato le labbra. Morbida, umida, profumata. Innocente, fragile, delicata. Era come baciare un fiore, pensò rapita mentre con dolcezza forzava la debole resistenza di Raf per essere accolta  nella sua bocca. “E’ meraviglioso”, volò un frammento di pensiero in quel completo abbandono.

Con gli occhi socchiusi Eva registrava tutto con famelica brama: ogni fruscio, ogni minimo gesto sembrò disegnarsi nella memoria come avvolto da un pulviscolo di luce dorata, abbagliante. Ogni cosa era di una bellezza abbacinante: le palpebre chiuse di Raf, con le lunghe ciglia bionde frementi; la lucentezza lunare dei suoi capelli sotto le dita; la solida consistenza del suo corpo premuto addosso, leggero eppure presente come non lo era mai stato; e quel sapore, quel sapore divino fatto di attesa e amore e promesse…

Durò poco più di un attimo, ma Eva sapeva che le sarebbe bastato. O forse no, forse l’avrebbe cercato di nuovo. Quando però le labbra di Raf lasciarono la sua bocca per premersi con forza sulla sua fronte, capì che qualcosa era drasticamente cambiato tra loro, per sempre.

“Eva, Eva…” ripeté Raf con una voce che sembrava venire da un altro pianeta; sembrava fragile come un uccellino ed Eva lo abbracciò per trasmettergli tutta la sua forza. Si sentiva invincibile in quel momento. Anzi, si sentiva onnipotente, come se avesse raggiunto in un battito d’ali la cima più alta del mondo e sapesse che era tutto lì ai suoi piedi. L’amore le traboccava da ogni poro: amore per Raf, per il mondo… persino per se stessa. Persino per Vlad.

“Raf” lo chiamò piano, la voce intessuta di gioia pura “Io ti amo, Raf.”

E anche lui l’amava, esultò tra sé e sé. Non c’era bisogno che lo dicesse, lei lo sapeva.

Raf l’aveva baciata. Sì, tecnicamente era stata lei a baciare lui, ma lui aveva risposto al suo bacio. Con timidezza e spavento, ma aveva risposto al suo bacio, inequivocabilmente. Aveva ceduto.

Come lei aveva ceduto a Vlad (un milione di anni prima?) ed era diventata sua, ora Raf aveva ceduto a lei e, Eva in cuor suo lo sapeva con segreta esultanza, era diventato suo. Quali fossero gli effetti di tutto quello Eva non lo sapeva. Non sapeva se così fossero così tutti destinati all’Inferno o al Paradiso o al semplice oblio. Sapeva solo che una sensazione così completamente bella non poteva portarle niente di male e che meritava solo di essere degnamente vissuta.

“Eva, Eva…” ripeteva Raf e aveva paura, si sentiva, ma era anche felice, ed Eva sentiva anche quello.

Sarebbe rimasta lì abbracciata all’Arcangelo per sempre, ad assorbire ed emettere amore come un cuore pulsante, non fosse stato per il vocione cupo di Gino che rimbombò nel corridoio, attutito dalla porta chiusa.

“Eva? Raf? Dove cazzo vi siete cacciati?”

Raf si staccò per primo dall’abbraccio: la guardò negli occhi e sembrava confuso e quasi triste. Eva gli sorrise, radiosa come un vero e proprio Angelo.

“Va tutto bene.” gli disse con così tanta convinzione che il viso di Raf tornò sereno quasi come prima.

“Evaaaaa! C’è Perry Mason del sottosuolo qui che dice di partire col processooooo!! Dove zufolo sei?”

Eva si girò verso la porta, poi tornò a guardare Raf.

“Chiama Sisar” gli disse sottovoce e nemmeno per un momento le passò per la testa il pensiero che Raf potesse dire di no “Io guardo cosa si può fare di là.”

Poi, con un ultimo radioso sorriso, sparì velocemente dietro la porta.

*             *             *

Il refettorio era stato trasformato in una perfetta aula di tribunale. Per par condicio, era stato negato l’accesso anche agli Angeli minori così che nella stanza c’erano solo Giacinta e i due ospiti umani, Lorella e Gino; la prima più spaesata e infelice che mai, il secondo, che si era procurato un cestino portavivande, era allegro come se fosse al Luna Park. Il tavolo fratino era stato spostato al centro della stanza e tutte le finestre erano state aperte per consentire ai Demoni e agli Angeli all’esterno di seguire il processo, nonostante il divieto di entrare: il cappello fiorito di Cornelia svettava al centro della finestra più grande, particolarmente giallo e osceno. Due sedie traballanti erano state poste ai lati del tavolo: una per la querelante, Eva, e una per il condannato, Vlad.

“Ti ho già detto che il Comitato di Sorveglianza non sarà fisicamente presente” stava dicendo Giacinta con voce lamentosa a Gino “E’ inutile che fai portare qui altre sedie.”

“E chi cazzo se ne frega dei sorveglianti?” rispose Gino con noncuranza “Le sedie sono per me, Lorella e per i pop corn: mi sa che ce ne vorranno a barili prima che lo spettacolo sia finito!”

“Il Comitato non sarà qui?” domandò Eva avvicinandosi con nonchalance e cercando di non sembrare troppo felice. La cosa le risultò particolarmente ardua, visto che doveva obbligare le labbra a non arcuarsi in un sorriso scemo.

“Certo che no” rispose Giacinta, distratta “Sarà qui in spirito. Hai idea di quanti Processi si stanno svolgendo in tutto il Piano in questo momento? Solo alla fine del processo ne verrà richiesto il Giudizio.”

“Fico!” esultò Gino con gli occhi brillanti “Sembrerà di assistere a una nuova puntata di Law and Order. Sono indeciso tra le brustoline e le Cipster. Tu cosa consigli, Lorella?”

La ragazza girò su di lui uno sguardo doverosamente allucinato.

“Cipster” disse alla fine di una lunga meditazione “Se fai abbastanza rumore ruminando quella roba magari mi sveglio e scopro che è tutto un incubo post abbuffata di peperoni.”

“Tranquilla, piccola” le sorrise Eva con una breve carezza alla spalla “Non ci saranno sputafuoco infernali a disturbare lo spettacolo.”

Lorella ammutolì e si immobilizzò come una statua di sale: Gino, che stava bevendo da una lattina di birra comparsa come per magia dal suo cestino portavivande, per poco non si affogò strozzandosi con un sorso.

“Che c’è?” chiese Eva allarmata.

“Hai sorriso?” chiese Lorella guardandola come se le fosse spuntato un corno intarsiato in mezzo alla fronte “No, dico… hai sorriso davvero? O era una paresi spastica?”

“Era di sicuro una paresi” tossicchiò Gino con gli occhi rossi “Perché se non era una paresi potrebbe sembrare quasi che fosse incomprensibilmente e assurdamente felice!”

Suo malgrado, Eva sentì le labbra che si stiravano in un sorriso e dovette lottare per mantenere un broncio neutrale.

“Guarda che io sono sempre felice.” commentò, ma lo sguardo di Gino si era fatto d’improvviso duro e serio e le scrutò dentro come se fosse fatta di vetro.

“Dimmi che non l’hai fatto.” borbottò a metà tra l’aggressivo e il supplice, ed Eva si decise a perdere un po’ di buonumore.

“Non ho fatto niente.” si difese immediatamente distogliendo lo sguardo, ma Gino la afferrò per un braccio impedendole di scappare via mentre Lorella pigolava affranta: “Fatto cosa?”

“Guai a te” grugnì Gino strattonandole il braccio, per la prima volta in vita sua seriamente preoccupato “Guai a te se gli fai del male.”

Eva non si azzardò a chiedere “a chi?” perché Gino le avrebbe risposto e lei non voleva che la verità fosse tradotta a parole: sarebbero state troppo grandi persino per lei, ammise controvoglia.

“Che te ne importa.” rispose invece imbronciata con un lungo sguardo di sfida.

“Mi importa di te” rispose Gino a muso duro “Il pennuto non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto; è decorativo, utile e divertente come una statua equestre in granito. Ma so capire bene il valore di quello che rappresenta e se fai tanto di sporcarlo, giuro che ti prendo a ceffoni, quanto è vero che mi chiamo Gino.”

Eva riuscì a liberare il braccio dalla presa di Gino: l’euforia che l’aveva sorretta fino a quel momento stava lentamente scemando, abbattuta da tutti quei biechi se e ma che la soffocavano da tutta una vita, e la sensazione era quella di chi ritorna lentamente a terra dopo un eccitante volo in deltaplano.

“Ti ho già detto che non ho fatto niente di male” ripeté con voce secca girandogli le spalle “Ho solo fatto in modo che arrivi Sisar, come tu mi hai suggerito. Però grazie come sempre per la fiducia.”

“Ognuno ha quella che si merita.” bofonchiò Gino imperturbabile.

Eva non rispose: nel relativo silenzio fra loro, il rumore di un martello che percuoteva il legno risuonò come il rombo di un tuono.

“Se siamo tutti pronti, possiamo iniziare il Processo.” declamò la voce allegra e musicale di Ellena.

*             *             *

Gino, Eva e Lorella di girarono bruscamente verso il tavolo fratino al centro della stanza con identiche espressioni di scandalizzata sorpresa. Ellena se ne stava dritta dietro il tavolo, pimpante e sogghignante come una scimmietta dispettosa. Cercò lo sguardo di Eva e, trovatolo, si passò la lingua sulle labbra con l’aria golosa e soddisfatta di un gatto che si è appena ingollato una ciotola di panna. La sua lingua era nera e forcuta, notò Eva con un brivido freddo dietro la schiena.

“Il Processo?” balbettò Lorella al suo fianco “Di già?”

“Tesoro” sospirò Ellena “Noi Ultraterreni non sprechiamo il nostro tempo su questo insulso Piano. Benché, essendo immortali, di tempo ne avremmo da vendere, non è vero?”

Rise, imitata subito da Cornelia e dal suo codazzo di tirapiedi; Giacinta se ne stava buona buona da un lato, silenziosa e rarefatta come se nemmeno fosse lì.

“Io e Giacinta abbiamo concordato chi delle due dovrà fare da portavoce ufficiale del processo” informò Ellena “Di solito questo ruolo è ricoperto dal rappresentante dell’accusa, ma la mia voce è più squillante di quella di Giacinta, quindi la mia esimia collega ha ceduto a me il suo ruolo. Quindi, procederemo allietati dalla mia voce! Signorina Sanguemisto, prego, si accomodi accanto a sorella Giacinta.”

Eva ubbidì, camminando nell’ostile silenzio generale a testa alta e seguita dall’indistinto mormorio di incoraggiamento di Lorella. I Demoni fuori dalle finestre bisbigliavano oscenità più o meno udibili al suo passaggio mentre Cornelia la fissava con gli occhi resi enormi dai suoi vezzosi occhialini, l’espressione a metà tra contenuta ferocia e vittoriosa aspettativa. Ma fu nel guardare Ellena che il sangue le si gelò nelle vene: dietro la sottile, fragile maschera della ragazzina efebica, Eva vide una fugace apparizione della vera essenza del Demone e le tremò tutto, dal cuore al bassoventre. Era così malvagiamente famelica che l’istinto fu per un attimo quello di correre via più lontano possibile, gridando fino a scorticarsi al gola. Poi, Ellena risistemò la sua maschera umana e il sorriso tornò allegro e pimpante mentre Eva si sedeva con lenta precauzione al fianco di Giacinta. Sudava freddo.

“Tutto bene, sorella?” le chiese Giacinta apprensiva.

“Io e te non siamo né sorelle né cugine di ottavo grado” sibilò Eva in risposta senza guardarla “Tienilo bene a mente.”

Giacinta sospirò e le girò metaforicamente le spalle. Ma Eva era già distratta perché in quel momento fecero entrare Vlad e tutto il resto perse importanza.

Tutti i presenti si girarono verso di lui prima ancora che Ellena, con la sua voce squillante, strillasse: “Entri l’imputato!”

Vlad era avvolto da una specie di aura traslucida che Eva identificò come una specie di “scudo antifuga” ultraterreno. Ma lo stesso la sua lussuriosa essenza demoniaca era densa e palpabile e avvolse tutti con insidiosa facilità; persino qualche Angelo si trovò a sospirare suo malgrado. I Demoni, invece, cominciarono a uggiolare come un branco di cani nel sentire l’usta della preda.

“Patetico.” borbottò Giacinta agitandosi appena sulla sedia e ficcando immediatamente il naso nel libro dei Salmi. Vlad non se ne accorse: la sua attenzione era concentrata su Eva. I suoi obliqui occhi color topazio scintillavano freddamente mettendola a disagio come sotto un’improvvisa doccia scozzese di emozioni. Vlad era malvagiamente bello con quei capelli infuocati e scomposti, la camicia negligentemente aperta, lo sguardo penetrante… Eva guardò da un’altra parte, odiandosi per quell’ammissione di debolezza.

“Silenzio!” intimò Ellena e nell’improvviso silenzio generale, la voce di Vlad risuonò calda e ricca come velluto di seta.

“Ciao, scimmietta.”

Chiaramente era rivolto a Eva che continuò a forza a non guardarlo.

“Ciao, Vlad.”

“Siediti.” sentenziò Ellena.

Vlad accolse l’ordine come fosse un’offerta e distese le sue lunghe gambe stiracchiandosi voluttuosamente sulla sedia. Ci fu un’altra selva di ansiti zittita bruscamente da Ellena che, labbra pressate ed espressione feroce, non sembrava affatto felice di venire messa in ombra da un suo sottoposto.

“Allora Vlad” esordì con telegrafica durezza “Sei stato accusato dalla qui presente Eva, Sanguemisto, Recuperante autorizzata dal Comitato di Sorveglianza, di averle scatenato contro un’orda infernale.”

Eva continuava a non riuscire a guardare Vlad; lui si limitava a battere il piede a tempo di musica con sublime indifferenza. La voce di Ellena risuonò vibrante di metallica indignazione.

“Cos’hai da dire in proposito?”

“Niente” sospirò Vlad con noia evidente “Ho capito quello che ha fatto la qui presente Eva, Sanguemisto, Recuperante autorizzata dal Comitato di Sorveglianza. E’ ovvio che non mi va di darle una medaglia per il suo operato, quindi aspetto la sua deposizione.”

“Non hai nient’altro da dire?”

“No. Oh, aspetta, sì: volevo dire che il cappello di Cornelia è veramente delizioso e che la faccia e il culo di Giacinta sono identici.”

Giacinta e Cornelia diventarono bianche e rosse contemporaneamente, anche se per motivi diametralmente diversi: Gino invece tossicchiò nel pugno una risatina soffocata e tornò subito leziosamente serio con lo sguardo fisso sull’imputato. Ellena sembrava ogni secondo più infuriata e verdastra.

“Forse non hai capito la gravità della cosa, Vlad” ringhiò con voce bassa minacciosa “Ma la tua aria da baronessa oltraggiata non durerà molto. Forse dovremmo farti fare le domande direttamente dall’accusatrice: sembri molto più propenso a rispondere a lei che all’autorità competente.”

Eva arrossì immediatamente sobbalzando ed Ellena fece un sorriso maligno, passandosi quella oscena lingua nerastra sulle labbra. Lo sguardo di Vlad si girò lentamente verso Eva, impietoso come un faro abbagliante.

“Sono tutt’orecchi.” mormorò a voce bassa e quieta.

Eva avrebbe voluto essere lontano mille miglia da lì; le sembrava di essere seduta su una sedia di spilli, aveva i piedi ghiacciati, le guance roventi e un diffuso senso di malessere che le faceva dolere le ossa. “Dove sei, Raf?” pensò angosciata: voleva che Sisar arrivasse presto a distogliere l’attenzione da lei (a toglierle finalmente di dosso quelle due agate ardenti degli occhi di Vlad, per la precisione). E soprattutto voleva l’abbraccio rassicurante di Raf, il tiepido nido sicuro delle sue braccia. Ma non le stava arrivando la minima vibrazione della sua presenza, quindi al momento doveva pazientare e prendere tempo.

“E’ vero che hai scatenato un’orda infernale contro di me?” chiese quindi con voce ferma: la risposta era così ovvia che persino Vlad inarcò tediato le sopracciglia.

“Pensavo che questo fosse già chiaro” pigolò la vocetta saccente di Giacinta, fiorendo quasi dal nulla “O non si sarebbe potuta aprire la Condanna.”

“Non volevate chiarire per bene le cose?” si difese Eva corrucciata “Evidenziare l’ovvio in questi casi è doveroso. Mettiamo che il processo salti perché abbiamo dato per scontato di avere una dichiarazione ufficiale che invece non avevamo…”

“Ok” sbuffò Ellena insofferente “Vlad puoi graziosamente concederci l’onore della tua risposta?”

Vlad congiunse le punte delle belle dita patrizie senza scollare un secondo gli occhi da Eva.

“Sì” rispose infine con voce piatta “Ho scatenato un’orda infernale contro di te.”

Sentirglielo dire con quella voce incolore e con quei suoi dannatissimi occhi che le bucavano la pelle fu ovviamente un ottimo motivo per infuriarsi.

“E perché di grazia lo avresti fatto? Avevi giusto giusto finito un puzzle e non sapevi come ammazzare il tempo?”

Qualcosa increspò le labbra piene e rosate di Vlad: Eva si perse un attimo in contemplazione prima di rendersi conto che era un sorriso sardonico.

“Volevo attirare la tua attenzione” disse con aria confidenziale “In verità detesto i puzzle.”

“Volevi attirare la mia attenzione? E come, ammazzandomi? Sapevi che avevo un’altra orda alle calcagna: ricordi che sono venuta a implorare il tuo aiuto?”

“Tranquilla, ho vivissima l’immagine di te inginocchiata ai miei piedi.” mormorò Vlad con voce bassissima, eppure lo sentirono tutti, dal primo Demone all’ultimo Angelo.

La faccia di Eva prese l’esatta temperatura di fusione del piombo.

“Se ricordi bene sai anche che potevo morire” rispose ingoiando il centinaio di improperi che le era salito spontaneo alle labbra “Quindi è ovvio che il tuo intento era quello di uccidermi. Anche perché ho il vago sospetto che persino la prima orda l’abbia scatenata tu.”

Vlad fece un gesto vago con la mano, come a scacciare una mosca fastidiosa.

“Che motivo avrei avuto di scatenarti contro la prima orda?” domandò salottiero “La seconda era una mossa tattica: ho scatenato una banale categoria C, roba che avresti potuto cavartela benissimo anche da sola, non fosse stato che Biancaneve era momentaneamente assente per una visita ai suoi nani. Non sei mai stata in pericolo di vita, la mia era solo una provocazione. Tant’è che ho ritirato l’orda, subito dopo la tua chiamata.”

L’ultima affermazione, detta con il solito tono tra il malizioso e lo strafottente, si incise a fuoco nel cervello di Eva.

“Come?” sibilò artigliando i consunti braccioli della sua sedia di legno “Hai fatto ritirare l’orda?”

“Certamente” rispose Vlad pacifico “Avevo già ottenuto il mio scopo, non mi serviva più.”

“E ci sono le prove di quanto dici?” si intromise Ellena, la faccetta da elfo che sembrava un teschio verdastro infilzato su un bastone di legno: Eva non l’aveva mai vista così malvagiamente interessata.

“Ho paura di no” sospirò Vlad fintamente affranto “La richiesta di ritirare l’orda l’ho passata a Sisar e mi sa che a questo punto non verrà mai più recuperata. Sai, avevo passato a Sisar anche la richiesta di invio dell’orda, ma quella è finita chissà come nelle mani di Amelia… ho paura che il ritiro scritto e ufficiale, quello che magari potrebbe scagionarmi, sia andato perduto. Vero, Ellena?”

Ellena arricciò le labbra in un sogghigno ed Eva non poté fare a meno di nausearsi davanti all’irregolare fila di dentini marroni e frastagliati che spuntavano dalla bocca del Demone come sassi appuntiti dalla scogliera.

“Che peccato che Sisar non sia potuto venire, vero?” tubò dolcemente Ellena sgranando addosso a Vlad due enormi occhioni color ghiaccio “Lo dicevo anche prima quando sono arrivata. Una vera sfortuna.”

Sul viso di Vlad si dipinse un sorriso dolce.

“Ti ho mai detto, mia cara, quanto ti trovi indiscutibilmente e irrimediabilmente troia?” chiese teneramente.

Nessuno vide Ellena spostarsi: un attimo prima il Demone era dietro il tavolo fratino, una attimo dopo era davanti a Vlad e la sua manina con le unghie pallide a mezzaluna gli artigliava selvaggiamente la guancia facendola scattare all’indietro. Eva sobbalzò e si morse il labbro inferiore fino a farselo sanguinare.

“Cos’hai detto, porco?” strillò Ellena con voce acuta e bassa insieme: era come se fossero due voci sovrapposte, terribili. I suoi occhi erano diventati enormi e stranamente malfermi, come se tremolassero sul visetto appuntito e fossero sul punto di cadere giù da un momento all’altro. Vlad girò la testa verso di lei senza scomporsi, nonostante dallo zigomo ferito fluisse sangue.

“Accidenti quanto sei permalosa Ellie cara. Non sono di sicuro il primo a darti della troia… O è solo la coda di paglia?”

Non finì la frase che Ellena lo colpì ancora sull’altra guancia, gridando di frustrato furore con quella sua agghiacciante voce doppia.

“Tu… bastardo, io ti ammazzo!!”

La terza volta che Ellena colpì il viso di Vlad Eva scattò in piedi, i pugni così contratti che le unghie le si erano conficcate nel palmo.

“Basta!” ruggì con un inequivocabile tono di comando “Lascialo stare!”

Ellena si girò di scatto a guardarla come stupita di trovarla lì; ansimava e fremeva, uno scheletro ricoperto di pelle marcescente con osceni occhi lattiginosi e una selva frastagliata di denti violacei che spuntavano dalla bocca. Lorella gridò dall’orrore e per poco Eva non fece altrettanto: Angeli e Demoni tacevano in religioso silenzio mentre Ellena recuperava rapidamente il controllo: il suo viso tornò grazioso anche se serio e il suo respiro si placò. Eva continuava a guardarla fissamente col mento alzato: era molto meglio fissare Ellena e rischiare di essere ridotta in polvere da un suo ruggito piuttosto che guardare il sogghigno vittorioso di Vlad.

“Ok” gorgogliò la voce ancora tremante di Ellena “Risparmierò il bel faccino di Vlad, se lo vuoi guardare un’ultima volta. Lascerò che sia Morfeo nel girone dei Dimenticati a occuparsi di lui.”

Eva sbatté le ciglia mentre Vlad smetteva di sogghignare.

“Non abbiamo ancora deciso la condanna” pigolò Giacinta fastidiosa come una zanzara notturna “Quella andrebbe concordata fra l’accusa e…”

“Vlad ha ammesso davanti a tutti di aver scatenato un’orda infernale contro la sua pupilla, no?” tagliò corto Ellena tornando a passi scattosi dietro il tavolo fratino “Non c’è molto da concordare, mi sembra.”

Giacinta aprì la bocca, la richiuse e annuì mestamente.

“Bene” esultò Ellena sorridendo di nuovo solare e graziosa come una ragazzina “Sia tolto lo scudo all’imputato. Siamo pronti per il Giudizio!”

Eva girò di scatto lo sguardo allarmato su Vlad che aveva perso la sua aura traslucida e lo trovò a fissarla pazientemente, senza curarsi del sangue che gli macchiava lo zigomo.

“Non fare quella faccia, scimmietta” le disse in tono piatto “Cosa ti aspettavi che facessero? Che mi dessero due sculacciate e poi a letto senza cena?”

“Io…”

Tacque di nuovo: era ancora in piedi e aveva l’aria smarrita di chi ha un sacco di cose da dire ma si trova all’improvviso senza lingua. “Raf! Dove sei, Raf!” pensò angosciata.

“Giacinta, puoi gentilmente appropinquarti al tavolo? Dobbiamo chiamare il Giudizio.” sospirò Ellena, di nuovo tutta sorrisi e gentilezze.

Giacinta si alzò dalla sedia, veleggiò davanti a Eva che la lasciò sfilare via come un ectoplasma e si affiancò ad Ellena dietro il tavolo, occhi bassi e aria mesta. Ellena alzò le mani chiudendo gli occhi e di colpo l’aria si fece pesante e satura di uno strano sentore metallico.

“Parla Ellena, portavoce del processo! Ascoltate!”

La luce sembrò smorzarsi e divenire più densa, quasi mobile: Angeli e Demoni erano muti e immobili come statue.

“Eva…?” piagnucolò Lorella aggrappandosi al braccio di Gino.

“Per il potere conferitoci dal Comitato di Sorveglianza…”

“NO!” pensò freneticamente Eva mentre una specie di leggera brezza primaverile le muoveva i riccioli scomposti sulla fronte “No, non si può!”

“Eva?” disse anche Gino con una seria espressione di rimprovero sul faccione rotondo.

“… in base a ciò che è scritto nelle Leggi immortali che governano il passaggio in questo Piano…”

Vlad era pallido, ma tranquillo: l’improbabile vento vorticante che si faceva sempre più consistente muoveva anche i suoi capelli, agitandoli intorno al viso in una nuvola di fuoco ed evidenziando i suoi occhi gialli e splendenti, stranamente privi di malizia.

“… alla presenza dell’accusatore, Eva il Sanguemisto, e dell’accusato, Vlad Demone Capitale della Lussuria…”

Il vento era un vortice fortissimo, in quel momento: alcuni Angeli protestarono debolmente mentre i vestiti sbatacchiavano loro addosso. “Raf… Sisar! Dove diavolo siete?” pensò Eva affannosamente.

“… col supporto del collegio angelico nella persona dell’Angelo governatore del Nodo in istanza a Modena e, in sostituzione del medesimo ruolo nel collegio demoniaco, di Ellena, figlia di Lucifero…”

Il vortice di vento inghiottì il soffitto: tutti rimasero col naso in su, abbacinati a guardare il caleidoscopico vortice a pochi metri dalle loro teste. Tutti fuorché Vlad.

“No.” gorgogliò con voce roca Eva.

“… avendo concordato le due parti la giusta pena per il crimine commesso…”

Vlad si alzò in piedi fluidamente come se venisse trascinato da mani gentili: fissava ancora Eva e il suo viso affilato non aveva mai perso la sua naturale arroganza.

“Beh, scimmietta… non mi dici nemmeno ciao?” domandò e le sorrise col sorriso più complice e sensuale che le avesse mai rivolto. Le ginocchia di Eva diventarono di pura gelatina.

“Ci prova anche in punto di morte… quello stronzo!” pensò furiosa facendo un passo minaccioso verso il tavolo.

“No!” disse con voce più decisa.

“Una Condanna non si ritira.” mormorò Giacinta in tono severo, tornando subito a concentrarsi sul vortice sopra di loro.

“… chiediamo al Giudice Eletto il ritiro immediato delle spoglie mortali dell’accusato da questo Piano…”

“RAAAAF!” strillò invano la mente di Eva mentre quasi senza volere la ragazza estraeva dalla tasca la sua Five-seveN.

“Ho detto basta!” gridò “Smettila Ellena!”

Il Demone finalmente smise di fingere di ignorarla per puntarle addosso uno sguardo di pura furia omicida.

“Non è un po’ tardino per farti prendere dall’ormone, gioia?” gracidò con voce irosa mentre il vortice di vento quasi faceva volare via il suo corpicino magro e delicato.

Eva non si prese nemmeno la briga di insultarla: per tutta risposta pressò le labbra mormorando qualcosa di indefinibile fra i denti, alzò la Five-seveN e gliela puntò contro con decisione.

 

 

 

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE:

Non posso rispondere, con mio sommo rammarico, se non per un saluto veloce e una dichiarazione di imperituro amore verso tutti voi, miei adorati!!! Non me ne vogliate, non è colpa mia…

Alla prossima

  
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