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Autore: _Pulse_    26/05/2009    3 recensioni
Eva, una ragazza con genitori divorziati, insofferente verso il genere umano, ritrova sè stessa grazie a due piccoli gemelli, per i quali farà di tutto. Chi sono loro per farla addolcire in quel modo? Beh, lo scoprirete solo leggendo!
Genere: Commedia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: Sono di fretta, scusate, quindi posto l'ultimo capitolo (Sì, lo so, è corta, ma non sempre mi vengono lunghe!! Spero che comunque vi sia piaciuta, nonostante la sua breve durata) e ringrazio tutti!! In particolare Scarabocchio_ *TheBest!!* ,  niky94 e Devilgirl89!! Grazie mille <3!!! ^^

Un bacio, alla prossima! Ary

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3
Sacrificarsi per i sogni

 

 

Ora voleva solo dormire, non chiedeva tanto.

Era sdraiata sul suo letto, a pancia in giù, che dormiva, o almeno, ci provava. Aveva tutti i muscoli che gridavano pietà e la testa che scoppiava.

“Eva! Eva, svegliati!”

“No Bill, lasciala. Ieri sera è uscita, e tardi, chissà a far cosa. Mah… non la capisco quella ragazza.”

“Uscita?”

“Si, è uscita.”

Ve lo dico io perché sono uscita! Perché cerco di dare una mano in casa! Ecco perché! Lasciatemi stare… vi prego…

Bill raggiunse il fratello in cucina e lo guardò mentre scaldava il latte.

“Ieri… Eva e io abbiamo parlato un po’.”

“Ah sì? E che ti ha detto?”

“Un sacco di cose. Soprattutto di lei e del suo passato.”

“Mmh? Beh, sembra che si apra solo con te.” Tom spostò il fratello e andò a sedersi al tavolo.

“Non è mica colpa mia, scusa!”

“Nessuno ti sta dando la colpa.”

“Sembra che tu lo stia proprio facendo.”

“È solo una tua impressione.”

“Ho capito… Tu sei geloso!”

“Che cosa?” Tom tossì e guardò il fratello sgranando gli occhi. “Ma che cosa stai dicendo?!”

“È vero, è vero… ammettilo, su. Sei solo geloso che io riesco a parlarci e tu no? Ieri sera mi sono pure addormentato da lei, sai?”

“Piantala. Mi innervosisci se ti vanti così. Vedrai che riuscirò a strapparle un bacio, che lei lo voglia o no. Te lo assicuro. Se vuoi scommettiamo.”

“No, io non scommetto proprio nulla con te.”

“Vedi? Hai paura che vinca.”

“Non ho assolutamente paura! Solo che credo che lei non ti lascerà fare un bel niente.”

“Vedremo.”

“Vedremo.”

Eva, mentre i gemelli parlavano in cucina, si era rifugiata in bagno, visto che con il casino che facevano non riusciva a chiudere occhio.

Si immerse nell’acqua calda della vasca e rimase in ammollo, in silenzio, con gli occhi chiusi, cercando di rilassarsi.

“Ehi, Bill! Hai lasciato ancora la luce accesa in bagno, ne?”

Tom entrò in bagno, visto che la porta non era nemmeno chiusa a chiave e aveva visto la luce accesa. Vide Eva nella vasca.

“Non si bussa a casa tua, vero?”, chiese lei, ferma, per nulla imbarazzata. Tom la guardò e sorrise.

Ma che piacevole sorpresa, pensò il biondo.

“Sì, scusa, ma potresti anche chiuderti dentro.”

“Questa è casa mia, e poi chi te lo dice che io non sia claustrofobica? Tu impara a bussare.”

“Ok, la prossima volta lo farò.” Si avvicinò al lavandino e si sciacquò le mani.

“Allora… Dove sei andata ieri sera?”, le chiese, mentre si asciugava le mani.

“Non sono affari tuoi.”

“Uffa. Io ci provo, ma, oh, non ci riesco proprio con te. Mi stronchi subito.”

“Chiedi cose inopportune. Bill non lo fa mai, se è questo che ti interessa”, sogghignò.

Sul volto di Tom apparve un po’ di rossore, sintomo di rabbia, di gelosia.

“Cos’è, ti vergogni di quello che sei andata a fare? Se non me lo vuoi dire.”

“Credi che io sia una puttana? E anche se fosse? La cosa non ti riguarda comunque.”

“Davvero sei una troia?”

“No.”

“Ah, menomale. Non so perché, ma la cosa mi rincuora.”

“Buon per te. Adesso, se mi fai la cortesia di uscire, io potrei cambiarmi e prepararvi il pranzo, ok?”

“Ok, ma solo perché ci devi preparare il pranzo.”

Quanto non ti sopporto, a volte.

Eva uscì dal bagno con addosso un asciugamano e andò in camera sua. Si vestì e andò in cucina.

“Che cosa volete da mangiare?”, chiese, dopo essersi bevuta una tazza di caffè tutta d’un fiato.

“Pasta!”, urlarono assieme i gemelli.

“Ok.”

Mentre prendeva la pentola, entrarono in cucina i gemelli, che si misero seduti al tavolo, di fronte al piano cottura, cioè a lei.

“Che volete? Perché mi guardate in quel modo?”

“Tom mi ha detto che ieri sei uscita, dove sei andata?”, chiese Bill, a sorpresa di lei.

Ma bene… Tom complotta contro di me e per farlo utilizza anche il mio gemello preferito… Astuto.

“Ho già risposto al tuo adorabile fratellino che non sono affari vostri.”

“Ma perché, scusa? Guarda che ti puoi fidare di noi.”

“Bill, ti odio. Odio te come odio quell’impiastro di fratello che ti ritrovi. Perché è impossibile che a distanza di tredici anni voi riusciate ancora a intenerirmi in questo modo. Basta, cazzo, basta.”

“Prima cosa: Tom non è affatto un impiastro di fratello. Lo adoro, gli voglio un bene dell’anima, perciò se odi lui stai sicura di odiare anche me, perché noi stiamo insieme. Ok? E per seconda: non è colpa nostra se ti inteneriamo. Noi non siamo mai cambiati, siamo rimasti noi stessi. Sei tu quella che è cambiata.”

“Non è vero che vi odio. Vi adoro, ecco la verità.”

Calò silenzio nella stanza. Bill e Tom si guardarono, mentre Eva guardava l’acqua nella pentola. Bill l’aveva stupita, l’aveva stupita ancora, un’altra volta.

Quel ragazzino non finirà mia di stupirmi, ha davvero un cuore d’oro e sono sicura che pure il fratello è così.

“Anch’io ti voglio bene. Solo che… sembri così fredda con me… Che ti ho fatto?”, la sorprese Tom.

Ecco, io lo sapevo. Due gocce d’acqua.

“Non hai fatto nulla consapevolmente. Bill ha ragione: sono cambiata io, ma grazie a voi due, piccole pesti, sto tornando la Eva di tredici anni fa. E Bill ha capito.”

“Sì, ho capito.”

“Ieri sera, sono andata a lavorare.”

“A lavorare?”, chiesero contemporaneamente i gemelli.

“Si, a lavorare.”

“Che lavoro fai? Poi a quell’ora?”, chiese Tom.

“Faccio la cameriera, al Gröninger Bad, e ho il turno serale.”

“Ma perché lavori?”

“Perché… Bill, perché i soldi sono pochi. Io mi pago la scuola di scherma e il resto lo uso per aiutare mamma.”

Perchè il mondo ingiusto da tanto a chi da poco e poco a chi da tanto. È la legge della natura umana. Ingiusta.

“Ah… Ma lei lo sa?”

“Ovvio che lo sa. Sarebbe strano se io mi pagassi la scuola da sola senza lavorare. Però…”  

“Però?”

“Non sa che lavoro faccio e né quando. Credete che me lo lascerebbe fare?”

“Ehm… no.”

“Ecco. Lei crede che da grande farò l’avvocato, perciò…”

‘Mmh, credo fortemente di no.”  

“Dai, è pronto.”

“Tu non mangi?”, le chiesero, visto che si era seduta sul piano della cucina.

“L’idea di mangiare appena sveglia un piatto di pasta non mi fa impazzire.”

“Ok.”

I gemelli iniziarono a mangiare in silenzio.

“Ma… da quant’è che suonate, di preciso?”, chiese.

“Beh… quanto sarà…”, chiese Bill al gemello.

“Mmh… Da quando avevamo sette anni”, disse Tom, dopo aver buttato giù il boccone.

“Ah. Beh, da tanto. Sapete, dove lavoro io ci sono dei gruppi che suonano. Perché non…”

“Ci faresti sul serio far suonare lì?”, chiese eccitato Bill, con un sorriso lungo chilometri.

“Beh… si potrebbe fare…”

“Wow! Tom hai sentito?!”

“E certo che ho sentito.”

“E non sei contento?!”

“Sì, ma non ti agitare così! Sembri un matto!”

“Uffa, Tom! E sciogliti un po’! Andiamo a suonare in uno dei pub più frequentati di qui!”

 

***

 

Passarono un po’ di giorni e a casa era tutto tranquillo, come al solito. A volte c’erano dei battibecchi tra Eva e Tom, ma poi si sistemava tutto. C’era affinità tra i due. E più Bill ci faceva caso, più se ne rendeva conto. Ma fino a quel momento, Tom non le aveva ancora strappato il sospirato bacio.

Quel pomeriggio sarebbero dovuti andare al Gröninger Bad, per vedere se li prendevano, con Eva. Lei era come il passaporto del gruppo. Senza lei, niente esibizioni.

“Allora Bill?”

“Sì! È perfetto!” Bill uscì dal bagno e fece un giro su sé stesso, sorridendo. “Come sto?”

“Bene!”

Era già pronto, tutto vestito bene, in nero, e truccato alla perfezione. Aveva usato l’ombretto che gli aveva dato Eva, ed era proprio meglio del suo.

“Grazie ancora, eh…”

“Per cosa?”, chiese lei.

“Per l’ombretto!”

“Ma va’, lascia stare. Piuttosto… Tom?”

“Ah boh, non so dove si è cacciato quello.”

“E va bene… vado a cercarlo io.”

“Ok. Intanto mi sistemo ancora un po’.”

“Mah, per me sei perfetto, ma fai come vuoi.”

Eva andò a cercare Tom. Aveva guardato in salotto, ma non c’era, in bagno neppure, perché c’era Bill. Andò in camera sua e lo vide, ancora, che guardava in mezzo ai libri di quella maledetta libreria, ma questa volta con qualcosa in più: aveva una specie di libro in mano, nero, con un cuore e altri adesivi su di esso. Il diario di Eva.

Lei era una tipa tosta, che faceva tanto la dura, perciò poteva sembrare strano che avesse un diario. Invece, eccolo lì. Nemmeno Tom si aspettava di trovare una cosa del genere.

Eva corse da lui e cercò di prendergli il diario dalle mani, ma lui fece un salto e si allontanò da lei.

“Ridammelo subito!”, sbraitò lei.

“No”, rispose lui.

“Ho detto di ridarmelo.”

“No, non te lo do.”

Eva gli fu di nuovo addosso, Tom indietreggiò, tenendo stretto il diario con una mano. Caddero sul letto, assieme, l’uno sopra l’altro, Eva sopra Tom. Lei soffocò una risata, ritrovatasi a cavalcioni su di lui in una posa non proprio consona ad una pseudo babysitter.

“Senti, moccioso che non sei altro, ridammi quel cazzo di diario”, disse arrabbiata. Anche Tom la guardò arrabbiato.

“Prima levati di dosso!”

“Non mi levo affatto se tu non mi ridai…”

L’espressione di Tom mutò rapidamente mentre lei si sentiva trascinare giù, verso di lui. Eva sapeva di non poterlo fare, era assolutamente da evitare, primo perché lei aveva sedici anni e lui tredici, e secondo passavano la maggior parte del tempo ad odiarsi, ma era così irresistibile in quei frangenti… che non poté opporsi e infatti si trovò a baciarlo.

Che cazzo stai facendo, stupida testa di cavolo che non sei altro?, le disse la sua coscienza, con quel briciolo di intelligenza che ancora possedeva. Ma la scacciò via in un attimo, nonostante lei pensasse che la cosa fosse sbagliatissima.

Si trovò pure sotto di lui, nascosti dall’ombra delle tende intorno al letto, le loro lingue che lottavano come in una discussione molto animata, una delle loro.

Tom le infilò le mani nella maglietta, in fondo alla schiena, lei che continuava a voler dominare, per non perdere il controllo della situazione. Lei, ora che c’era dentro fino al collo, lo considerava solo un gioco.

Non soffriva di solitudine, anzi, come abbiamo detto, a volte cercava l’isolamento totale, ma preferiva sfruttare le occasioni. E per lei quello non era altro che un gioco, che non sarebbe andato oltre il limite.

Ancora stando sopra di lui, giocando passionalmente con la sua lingua, Eva approfittò della situazione per fregare di mano il diario a Tom. Si era divertita, ora basta.

Lo prese e si staccò da Tom bruscamente, scendendo dal letto. Nascose il diario, mentre Tom era ancora dietro le tende del letto a baldacchino e non poteva vedere, e poi lo chiamò.

“Forza moccioso, dobbiamo andare, Bill ci aspetta.”  

 

***

  

Gröninger Bad.

“E così è qui che lavori… è una figata!”, disse Bill entrando.

Sì, peccato che sfruttino un casino e la paga è misera…

Bill si girò verso il fratello, si accorse che guardava Eva con un sorrisetto compiaciuto, mentre lei si guardava in giro cercando qualcuno che sapesse dove fosse il capo.

Ma che ha?, si chiese Bill.

“Allora, io vado a cercare il capo, voi state qui, buoni buoni, ok?”

“Ok”, rispose Bill, annuendo.

Tom si girò la custodia della chitarra tra le mani, tenendola appoggiata ai piedi. Quando Eva fu abbastanza lontana, Bill si piazzò davanti al gemello e lo guardò in faccia.

“Che ti prende?”, gli chiese.

“Nulla.”

“Non è vero. Che è quel sorrisetto?”

“Nulla.”

“Piantala di dire nulla! Non è vero!”

“Ok. Diciamo solo che ho vinto la scommessa.”

“Quale scommessa?”

“Quella che sarei riuscito a baciare Eva.”

“Che? L’hai baciata?”

“Ebbene sì, caro. E non direi che è stato un semplice bacio. Mi ha lasciato fare molto volentieri! Al contrario di quello che pensavi tu.”

“Non ci credo…”

“Credici! È davvero brava a baciare…”

“Ma non ci sarà nulla, vero?”

“Ma scherzi?! Io non andrei mai in giro con una alta più di me! Anche se farebbe un bell’effetto… No, ne vale del mio orgoglio. Volevo solo provarla.”

“E sì, perché le ragazze si provano come i jeans… Se non ti piacciono non li compri, ne?”

“Esatto!”

“Sei proprio un cretino.”

“Può darsi, ma intanto mi sono divertito. Uffa… ma quanto ci mette?”

I due si guardarono e andarono a cercarla. La videro in una stanza, che parlava con un uomo, grazie ad uno scorcio riuscivano ad intravedere da dietro alla porta.

“Ascolti, sono bravi. Ve lo posso assicurare…”

“E se non dovesse andare come dici tu?”

“No, impossibile. Qui è molto frequentato da giovani, e trovarsi in un luogo con della musica nuova, forte, d’impatto, è bello. Ci sarà sicuramente il pieno ogni volta che suoneranno loro. La supplico…”

Tom e Bill si guardarono allibiti.

Lo sta supplicando per farci suonare? Non l’avrei mai detto…

“Ok, va bene. Ma ad una condizione.”

“Quale?”

“Devi lavorare tutte le sere, ovviamente ti alzerò un po’ la paga, ma non più di tanto, visto che faccio suonare i tuoi gemellini.”

“Come? Tutte le sere?”

“Sì.”

“Ma io… io non posso! Come farò con la scuola, la scherma… Stare sveglia tutta la notte per poi fare tutto il resto… non reggo!”

“Allora puoi anche scordartelo. Riportati a casa i gemellini e ciaociao.” L’uomo fece un ghigno e la salutò chiudendo e aprendo la mano.

Eva era rimasta di sasso, i gemelli altrettanto fuori dalla porta, che però volevano entrare e fiondarsi addosso al verme. Si trattennero a vicenda, controllando i loro impulsi maneschi. Poi, il modo in cui li chiamava, gemellini, gli dava ancora più fastidio.

“E va bene.”

Che cosa?, si chiesero Bill e Tom, sgranando gli occhi.

Eva aveva accettato.

“Perfetto, allora possono suonare sin da domani. Arrivederci.” L’uomo si sedette sulla sua sedia girevole e si girò verso il muro, dietro alla scrivania.

Eva uscì incazzata, ma contenta di aver aiutato quelle due pesti. Si ritrovò davanti Bill e Tom, a braccia incrociate.

“Che volete? Ora suonate qui, contenti? Ora andiamo a casa.”

 

***

 

Quanti sacrifici aveva fatto per quei ragazzini e i loro amici, ma un giorno si rese conto che tutto quello che aveva fatto era servito a qualcosa.

Ora, Bill, Tom, Gustav e Georg, più semplicemente i Tokio Hotel, erano sul loro tourbus.

Famosi in tutta Europa e non solo, i gemelli, appena diciottenni, e Gustav e Georg, poco più grandi di loro, avevano un futuro meraviglioso di fronte a loro, che sarebbe durato per l’eternità.

So was wie wir geht nie vorbei (Qualcosa come noi non se ne andrà mai), cantava Bill in una delle sue splendide canzoni, con la sua splendida voce, accompagnato dalla splendida chitarra di Tom, dallo splendido basso di Georg e dalla splendida batteria di Gustav.

Grazie a Eva, grazie ai suoi sforzi, ai turni che ogni sera non volevano più finire, ma permettendo al gruppo di poter suonare in quel pub. Una sera, un produttore discografico era entrato per caso lì dentro e li aveva visti suonare. Da lì, iniziò l’avventura dei Tokio Hotel. La fama e i premi che non finivano mai.

Bill sorrise al finestrino, pensando a quel periodo, a Eva, a tutto quello che avevano passato insieme da quando era tornata in Germania.

“Oddio, Eva!”, disse, guardando il gemello di fronte a sé.

“Merda! Me ne ero completamente dimenticato!”, gridò Tom, affrettandosi a prendere il telecomando e ad accendere la tv.

“Eccola! Menomale… non è ancora finita…”, sospirò Bill.

“Sì, ma è in svantaggio! Dai Eva!”, urlò Tom, come se potesse parlarle dal televisore.

Mai mollare. Bisogna credere nei propri sogni. L’epica frase che Eva ripeteva ai gemelli. E proprio quella frase l’aveva portata così in alto. Olimpiadi. Scherma. Due parole. A buon intenditore poche parole.

Manca davvero poco alla fine… e Eva, alla sua prima partecipazione alle Olimpiadi, per l’oro, è in svantaggio. Ma non tutto è perduto, forza Eva. Porta a casa questo oro per la Germania…

“Cazzo Eva… Se non lo vinci ti pesto!”, disse ancora Tom, rivolto al televisore.

Eva parò il colpo e stoccata. Vantaggio per lei, tempo scaduto.

Ed Eva vince l’oro Olimpico al suo esordio nell’individuale femminile di scherma!

L’esulto nel tourbus, l’esulto di Eva sulla pedana. Si tolse il casco dalla testa e si inginocchiò a terra, mettendosi le mani sulla faccia, chinandosi, appoggiandosi a terra. Il suo allenatore che la raggiunse di corsa e la abbracciò. La aiutò a tirarsi su, la strinse.

“Sì! Ce l’ha fatta!”, esultò ancora Tom, alzandosi in piedi.

Furono momenti di gioia infinita. Eva si sistemò un po’ e si asciugò le lacrime sulle guance, passandosi un braccio sul viso.

Eva, Eva sei contenta?”, le chiese un giornalista televisivo.

Sì, sì che sono contenta!

Deve essere un’emozione fortissima per te… Insomma, prima Olimpiade, già l’oro. E poi, hai appena 21 anni.

Sì, sì, infatti… Mi devo ancora rendere conto di quello che ho fatto… Scusate…” Eva scoppiò ancora a piangere dalla felicità, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. “La felicità è troppa. Ti alleni per anni, poi vinci, è una grande soddisfazione.

A chi la dedichi questa vittoria? C’è qualcuno in particolare?

A… a tutti quelli che hanno creduto in me fino in fondo, ovviamente. A mia madre, soprattutto. E… a due gemelli rompiscatole, che non so se ora mi stanno guardando. Spero di sì, perché se no li picchio”, una risata da parte di Eva. “Ce l’ho fatta anche grazie a loro. Grazie ragazzi.  

   
 
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