Stavolta
il capitolo è tutto
dedicato a Sansa.
E
ai segreti.
L |
enzuola bianche si gonfiano come vele
spiegate.
Sansa aspetta che siano loro a
posarsi dolcemente sul letto, in attesa che Arya le dia una mano.
Ma sua sorella rimane appoggiata allo
stipite della porta, imbronciata.
«Sei uguale a lui» ripete, come ha
fatto poco prima al piano di sotto, davanti a Sandor e Petyr.
«Perché?»
Sente qualcosa, come un leggero
tramestio nel petto, che sembra metterla in guardia.
«Non ti vedi?» sibila. «Sei diventata
fredda. Ti importa solo di te.»
Ma
cosa dici? Vorrebbe gridarlo, battere i piedi sul marmo e
cacciarla via dalla sua stanza come quando erano bambine.
Ma non lo sono più… e il dolore che
Sansa sente dentro la spinge a rimanere. Ferma, immobile. In silenzio.
Socchiude gli occhi e aspetta.
«Siamo qui per Jon» ribadisce Arya,
sputandoglielo addosso come se lo avesse dimenticato. «Non per quel tuo…»
«Tuo
cosa?»
«Potrebbe essere tuo padre, Sansa!»
Lei si volta, la guarda in faccia e
scuote la testa. «Stai sbagliando. Non c’è nulla tra noi.»
«Noi»
le fa il verso, chiudendo le mani a pugno. «Ma ti senti?»
Adesso, di nuovo, Sansa vorrebbe
prenderla per un braccio e spingerla fuori. Restare sola, in attesa che sua
madre entri dalla porta a rincuorarla.
Ma sua madre è morta… e Arya è ciò
che le resta di lei.
Arya,
Robb, Bran e Rickon.
«Adesso basta, Arya. Petyr ci sta
aiutando!»
«Sta aiutando te» la corregge, facendo un passo avanti. «Solo te.»
«E non è la stessa cosa?»
Vorrebbe solo smetterla. Smettere di
parlare, smettere di pensare. Smettere di dare spiegazioni. Di cercarle nella sua testa, senza riuscire
a trovarle davvero.
Perché sa che sono solo scuse…
«No, non lo è» insiste Arya,
portandosi una mano al fianco. «A lui non importa di Jon. Non gli importa di
me. Ma a te, Sansa… a te importa? Ti importa di noi, di cosa capiterà a Jon?»
Ora è lei a fare un passo avanti,
decisa. «Non dovresti nemmeno chiederlo. Sono qui per lui.»
«Allora dimostralo.»
Sansa sgrana gli occhi, ma resta al
gioco. «Dimmi come.»
«Mandali via. Entrambi. Non abbiamo
bisogno di loro.»
Lei scuote forte la testa, vede un
sorriso di scherno sul volto dell’altra e non sa cosa dire.
«Mandali via» ripete, a bassa voce,
come se qualcuno potesse sentirla. «Possiamo farcela da sole.»
«Non abbiamo nemmeno un mezzo per
tornare a casa. Ragiona!»
«Siamo già a casa!» grida Arya,
scalfendo l’aria con la mano aperta. Poi sembra calmarsi, china appena il capo
senza smettere di guardarla. «A Londra…» comincia, interrompendosi subito.
Sansa osserva le sue nocche diventare
bianche, si chiede cosa le stia nascondendo. Cosa le stiano nascondendo tutti.
Ma vuole davvero saperlo? E se fosse
qualcosa di cattivo, se fosse qualcosa che potrebbe metterla in pericolo,
vorrebbe saperlo comunque?
No,
si dice. Finché non solleva appena il mento e parla.
«Cos’è successo a Londra?»
Un lungo sguardo di Arya è
sufficiente.
Pericolo, paura, sangue. Altro sangue che scorre per quelle strade… e Sansa arriva a
chiedersi se ne avesse mai visto – percepito
– così tanto, prima di allora.
«Cos’è successo a Londra, Arya?»
Lo ripete a voce alta, come se fosse
necessario.
Niente è necessario. Non più. Non più
da quando Ned e Cat sono morti, da quando Bran è finito sotto le ruote di un
auto e Jon vittima di un pazzo. Solo tentare
e sperare di farcela.
Di aiutare suo fratello – sì, è mio fratello! – di farlo stare
meglio.
«Non vuoi saperlo davvero.»
Perché?
Vorrebbe chiedere, ma l’immagine del sangue – del rosso – torna prepotente nella sua mente, tanto da mostrarle ancora
Jon a terra, in un lago purpureo.
Che c’entri proprio lui? Che c’entri
Janos? No, come avrebbero potuto trovarlo? Sono spariti per qualche ora, da
quando Sansa ha chiesto a Petyr di trovare Arya e di proteggerla.
«Sì, invece.»
Sua sorella fa cenno di no, e prende
a fissare le lenzuola bianche stese sul materasso.
Sono così diverse – così abbaglianti – rispetto alla sua immagine di sangue.
Come se fossero irreali.
«Lo abbiamo ucciso.»
Non c’è’ bisogno di fare nomi per
sapere a chi Arya si stia riferendo.
Sansa si porta una mano alla bocca e
aspetta. Non sa perché, ma si sente responsabile.
«Anche Petyr?»
Era convinta di averla solo pensata,
quella domanda. Era convinta di non trovare il coraggio di rivolgerla proprio a
lei. Perché immagina la risposta… e sa che non le piacerà.
Gliel’ho
chiesto io. Sono stata io.
Arya annuisce appena. «Anche lui.»
Vorrebbe chiederle i dettagli,
vorrebbe sapere com’è andata, chi si è mosso per primo, chi ha sparato-colpito-ucciso.
Chi gli ha dato il colpo di grazia…
Ma poi pensa alle parole di sua
sorella: “Sei uguale a lui.”
E non vuole essere come Petyr, non
vuole abituarsi alla vista del sangue, non vuole diventare un pezzo di ghiaccio
a ogni brutta notizia.
Sansa vuole piangere; vuole essere
forte, è vero, ma vuole anche piangere. È così che fanno le ragazze, è così che
è giusto comportarsi. È così che deve essere.
«Volevo usare il coltello» dice Arya,
come se fosse una cosa naturale. «Come lui ha fatto con Jon. Ma Petyr me l’ha
impedito.»
«E poi?»
«Sandor l’ha sollevato di peso e l’ha
buttato di sotto.»
«È…» Smetti di fare domande, si ammonisce. «È morto subito?»
Arya annuisce con vigore. «È stato
Petyr» aggiunge poi, mentre Sansa si volta per sistemare le lenzuola.
«A fare cosa?»
Una pausa, e lei sente gli occhi di
sua sorella sulla schiena. Sembrano sondarle l’anima, proprio come quelli di
Petyr, come se attendessero una sua reazione.
«A portarmi da lui. Sapeva dov’era
Janos, lo conosceva. E quando gli ho chiesto perché, mi ha risposto che è utile avere conoscenze in una città come
Londra.»
Lo
conosceva. Due parole che Sansa sente ripetersi nella sua
mente, rimbalzando da una parte all’altra del cranio. Le fanno venire il mal di
testa, tanto che china il capo e stringe forte gli occhi.
Come faceva a sapere il suo
nascondiglio?
“Ma
io voglio che lo trovi.”
“Cosa
farai di lui?”
Una domanda. Petyr lo aveva chiesto
davanti all’ospedale, mentre parlavano di Arya e della sua ricerca di Janos.
Mentre erano vicini, tanto che Sansa
riesce ancora a sentire quel calore…
«Mi ha portato al suo appartamento»
continua Arya, scostandosi una ciocca scura dal volto. «E lui l’ha riconosciuto
subito.»
Si
conoscevano.
Forse si conoscevano bene. Fin
troppo. O forse no?
Sansa prova l’impulso di abbandonare
la stanza e scendere al piano di sotto; di mettere Petyr alle strette e farsi
raccontare tutto.
Ma
lo direbbe, a me?
«Sai cosa significa?»
No, Sansa non lo sa. E non è sicura
di volerlo sapere.
«Che Petyr sapeva tutto fin
dall’inizio. Che quando ha saputo di Jon, invece che andare alla polizia, ha
parlato con te.»
Sansa si volta lentamente, sollevando
le palpebre. «Se non lo avesse fatto» comincia, soffiando appena quelle parole.
«Ora Janos sarebbe vivo.»
E
io non avrei paura.
«Vivo e in galera.»
«Pronto a uscire in pochi giorni…»
Arya muove i piedi in modo nervoso,
sposta il peso da una gamba all’altra e incrocia le braccia al petto.
«Quindi approvi?»
«Che cosa?»
Sua sorella la guarda dritto negli
occhi prima di rispondere. «Che lo abbiamo ucciso.»
Una pausa. Sansa vorrebbe rispondere
di sì, vorrebbe confessare al mondo – e a se stessa – di essere felice di
quella vendetta. Di aver ripagato il sangue di Jon.
Ma poi scuote la testa.
«Perché no?»
Non sa cosa rispondere. La verità è
che il cuore palpita un sì troppo irruente per poterlo ammettere.
Ma si sono presi troppe libertà.
Lei
stessa si è presa troppe libertà. Sbagliando.
«Andiamo di sotto» sussurra, tornando
a fare il letto. «Finiamo le camere e torniamo di sotto.»
«Da Petyr.»
Anche
da lui.
Quando è ora di andare a dormire,
dopo aver mangiato, Sansa lo guarda per un lungo istante.
Petyr.
Vorrebbe non dover aspettare,
prenderlo in disparte e chiederglielo.
Vorrebbe solo sapere perché. Perché le abbia nascosto Janos,
perché non ha lasciato decidere lei.
Perché non gliel’ha detto.
«Buonanotte» mormora, mentre li guida
in cima alle scale e mostra loro le stanze.
Non ha voglia di guardarli, di
parlare con loro, di pensare a dove
siano.
Nella sua casa, nella casa dei suoi genitori.
Non ha voluto farli dormire nelle
camere dei suoi fratelli… Non vuole che domani – o chissà quando – arrivino
Robb, Bran e Rickon – e Jon, non
dimenticarti di Jon – e siano costretti a coricarsi dove ora sono loro.
Sansa entra nella sua stanza, si
chiude la porta alle spalle e si abbandona contro il legno.
Vorrebbe piangere, implorare aiuto –
per Jon, per Bran, per tutti loro – vorrebbe vedere sua madre, suo padre e
lasciare che siano loro a risolvere tutto.
Ma non può…
C’è solo lei a Grande Inverno. Lei e
Arya.
Arya
ha ucciso un uomo, pensa Sansa. Perché Petyr gliel’ha permesso?
Altri pensieri si librano nella sua
mente, mentre si corica a letto.
Un’ora, due ore, non riesce a
dormire. Allora si alza e, girando piano il pomello della porta, esce in
corridoio.
È tardi, è buio. C’è silenzio.
La camera di Petyr è poco distante
dalla sua. La raggiunge in fretta e bussa alla sua stanza.
«Scusami» sussurra, entrando. Spera
che Arya non si svegli – che il Mastino non si svegli – che nessuno la senta.
«Avevo bisogno di parlarti.»
«Vieni con me» dice Petyr, come il
giorno in cui si sono incontrati.
Le sfiora la mano – quella che Sansa
ha stretto all’altra – e la guida alla finestra.
«Guarda.»
E Sansa obbedisce, come ha sempre
fatto.
Vede la nebbia spargersi nel parco,
coprire appena le luci dei fari. Sembra che un manto bianco – di neve, di casa – si stenda davanti a lei.
«Sembra neve» dice Petyr, attirandola
a sé.
Sente la sua mano sul ventre e non
dice niente. Come potrebbe? Quella visione l’ha riportata indietro nel tempo, a
quando vivevano tutti in quella casa.
«È vero» conferma, in un sussurro.
«Sembra neve.»
E quando Petyr cerca i suoi occhi –
trovandoli a poca distanza dai suoi – Sansa china il mento, scostandosi appena.
«Conoscevi Janos.»
La magia si è rotta. Basta vedere lo
sguardo sperso di lui per capirlo.
L’incanto della neve è tornato
nebbia, la vicinanza di Petyr solo un’altra mancanza.
Perché Sansa è sola, ormai.
«Lo conoscevo.»
Ha
capito, pensa. Ha
capito che so.
«Perché non me l’hai detto?»
Petyr si scosta da lei e allarga le
braccia. «Non me l’hai chiesto.»
Vorrebbe riservargli uno di quei
sorrisi di scherno tipici di Arya, ma si limita a scuotere la testa.
«Come posso fidarmi di te?»
«È stata tua sorella a dirtelo?»
sussurra, studiandola.
«Non avrebbe dovuto?»
No,
lui non voleva che lo sapessi. Non così.
«Te l’avrei detto io, al momento
giusto.»
Sansa lancia un’occhiata alla porta,
come se fosse pronta a fuggire via da lì.
Da lui, dalle sue bugie.
«Non c’è un momento giusto. Avete
ucciso un uomo.»
«Quell’uomo ha accoltellato il tuo
fratellastro…»
È
mio fratello, vorrebbe dire. Gridarlo a mondo, tanto
forte da non farlo dimenticare più a nessuno.
«Credevo lo volessi» continua Petyr,
inclinando la testa di lato.
Ero
convinta di volerlo.
«Ti sei sbagliato.»
«Davvero?»
Di nuovo uno di quei sorrisi
enigmatici, quelli che riescono a metterle i brividi. Cosa sarebbe in grado di
fare, se solo volesse?
Fin dove si spingerebbe un uomo come
Petyr?
Ha
ucciso un uomo.
Anche
Arya,
risponde una vocina nella sua testa.
«Torna a dormire» mormora Sansa,
prima di avviarsi verso la porta.
Sente il telefono squillare e volta
il capo verso il comodino – è tardi, è
notte – si chiede chi possa essere a quell’ora.
Non le importa.
«Aspetta.»
Lo sente implorare, un istante prima
di aprire. Le basta guardarlo per vederlo improvvisamente invecchiato – la magia è conclusa, l’incanto è finito
– come se temesse per lei.
O
per sé?
«Dovresti rispondere» dice Sansa,
uscendo in corridoio.
Socchiude gli occhi nel buio della
casa, nel silenzio sovrano, tanto da chiedersi perché, quando è cambiata, come
ha fatto a non rendersene conto?
Arya ha ragione su di lei? Davvero è
uguale a lui?
Non ha il tempo di pensarci. Una
figura scura e imponente è davanti alla porta della sua stanza, tanto da farle
fare un salto.
«Sandor!» dice, tenendo il tono di
voce più basso possibile.
Non può vederlo, eppure sente i suoi
occhi addosso. Occhi che sanno di colpa.
«Cosa ci facevi da lui?»
Quel lui sputato con tanto disprezzo le ricorda Arya. In fondo sono
simili, lui e sua sorella.
«Dovevo parlargli.» Come dovrei fare con te.
Una risata che ha il sapore di un
ringhio, e Sansa sa che il Mastino non le crede.
Non può vederlo, ma le basta… le
basta sentire la sua presenza, i suoi occhi addosso, la sua figura imponente.
«Non qui» mormora, aprendo la porta
della sua stanza e spingendolo a entrare.
Se ne pente subito, tanto da
chiedersi se non sia il caso di uscire e chiuderlo lì dentro.
Avrebbero
potuto sentirci, pensa, come se fosse una giustificazione
sufficiente.
«So quello che avete fatto» riprende,
accendendo una luce e guardandolo finalmente in volto.
È orrendo, come sempre. Eppure anche
confortante.
Ha
salvato Arya, ha ucciso Janos.
Sandor non ha bisogno di parlare per
risponderle. Basta la sua espressione cupa.
«So quello che tu hai fatto» insiste Sansa, sperando di farlo parlare.
Lui fa un passo verso di lei, tanto
da farla indietreggiare.
«E tu allora? Che aspetti il buio per
sgattaiolare nella stanza di un uomo con il doppio dei tuoi anni?»
Sente le sue accuse scivolarle
addosso, come se non fosse vero niente.
Come se Petyr non le suscitasse
nulla.
«Cosa vorresti dire? Volevo
parlargli» risponde, imbronciata, stringendosi le braccia al petto.
«Voglio dire» Sandor fa un altro
passo avanti, minaccioso. «Che dovresti smetterla con le tue bugie…»
«Io non mento. Sono andata da lui per
chiedergli di Janos.»
«Nel cuore della notte, mentre tutti
dormono?» Ora il tono del Mastino è rude, tanto che Sansa ha paura. «Come una
puttana?»
Lo schiaffo lo colpisce in pieno; in
una frazione di secondo la paura di Sansa svanisce e ricompare, più forte di
prima – cosa le farà ora? – e il volto di Sandor viene deformato dalla rabbia.
Vorrebbe parlare – chiedere scusa, ma per cosa poi? – cancellare il suo
gesto.
Tornare indietro e non invitarlo
nella sua stanza, lasciarlo fuori, in corridoio, senza nessuna spiegazione.
Ma le mani di Sandor sono veloci – troppo veloci – e Sansa non riesce a
scappare.
La stringono per le spalle, la
scaraventano sul letto, e quando lei si ritrova il suo viso a un soffio dal suo
– per uno schiaffo, per uno stupido schiaffo – resta solo la paura.
Senza la forza di reagire.
«Guardami» ordina, afferrandole il
mento. Sansa stringe forte gli occhi, vorrebbe essere da un’altra parte – non
aver mai tirato quello schiaffo, non averlo invitato in camera sua, non avergli
chiesto di seguirla al nord. «Guardami!»
E Sansa obbedisce. Lo guarda.
«Potrei farlo» ringhia Sandor, come
se non riuscisse a trattenere la rabbia. «Potrei fare ciò che voglio. Ma non lo
farò.»
Si rialza lentamente, allontanandosi
da lei, lasciandola inerme su quel letto bianco.
«Forse Ditocorto lo farebbe, al posto
mio. Forse tutte quelle paroline che ti insegna – tutte quelle bugie con cui ti tiene in gabbia – ti
faranno aprire le gambe per lui» Ringhia, sputa rabbia contro di lei, ma tutto
quello che percepisce Sansa è dolore.
«Tanto meglio. Ricordati questo, uccelletto: io ho potuto prenderti e non l’ho
fatto. Ma lui…»
«Nemmeno lui» trova il coraggio di
rispondere Sansa, restando coricata.
«Questo è quello che lui vuole farti
credere.»
Di nuovo, negli occhi del Mastino,
lei riconosce sofferenza e rabbia, una miscela esplosiva che potrebbe fargli
cambiare idea. Spingerlo ad agire.
Così resta in silenzio.
«Vieni» mormora, mentre la sua voce
sembra raschiare contro le pareti del suo cuore. «Andiamo via. Stanotte.»
Sansa muove la testa, impercettibilmente.
Un gesto quasi invisibile che riesce a spezzare un uomo.
Sandor.
«Potrei aiutarti. Potrei proteggerti
da Joffrey. Lui ti sta cercando.»
«Non lo hai fatto prima» sussurra
Sansa, sollevandosi appena. «Perché dovresti farlo adesso?»
Ancora – sempre – è come se lei gli avesse piantato un coltello dritto al
cuore.
«Resta con lui allora» ringhia,
ancora – sempre – raggiungendo la porta. «Non è quello che credi. Ditocorto
parla con Cersei. Si sono sentiti oggi al telefono.»
Se l’avesse insultata le avrebbe
fatto meno male.
Perché Petyr dovrebbe sentire lei?
«Non ti credo.»
Non è vero. In realtà gli crede
benissimo.
E la cosa fa male.
Un verso di disprezzo, e la porta si
apre – ultima speranza, ultimo amico che se ne va. «Farai meglio a credermi,
uccellino. Lui non si fermerà come ho fatto io.»
Sansa si solleva dal letto, dritta,
in piedi, e stringe il pugno. «Sei crudele.»
«Dimmi, perché pensi che sia venuto
qui? Perché pensi che ti stia proteggendo?» Sandor torna indietro, la scuote
per un polso. «Vuole qualcosa da te. Pensaci, la prossima volta che sarai con
lui.»
E quando il Mastino se ne va, Sansa
sente il gelo scendere nella stanza.
Osserva le lenzuola bianche – fredde,
sanno di ghiaccio – e sbarra forte gli occhi.
Ora
sono sola. Lo sono davvero.
Note
dell’autrice:
Primo capitolo dell’anno nuovo!
Quindi, sentiti ringraziamenti vanno a Sb89
(lo sai!), a Stellina1990, a Relie_Diadamat, ghim92 e a BurnTheCandle,
che mi fanno sempre conoscere il loro parere.
Vi aspetto nei commenti!
Celtica