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Autore: Monique Namie    11/01/2017    2 recensioni
Ambientazione steampunk.
Da una parte, un sensitivo guidato da una premonizione giunge in una città sconosciuta: un posto meraviglioso in cui architetture del passato e del futuro si mescolano. Dall’altra, una principessa, soggiogata da un re e una regina alquanto manipolatori, è sulla soglia di una crisi di pazzia. Le loro strade sono destinate a incrociarsi e i due, in apparenza così diversi, scopriranno di essere in qualche modo legati.
- NOTA: È presente una scena lime che è uno dei motivi principali per cui ho scelto il rating giallo.
{Questo racconto ha partecipato al contest "È una storia sai..." indetto da Najara sul forum di EFP}
[Storia da revisionare]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Princess Sci-fi Story'
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3.

 

3.

 

Per Fenna de Kasde Probas quello era un giorno triste. Era iniziato male dalla mattina, quando aveva constatato di aver creato l’ennesima pozione fallimentare e si era accidentalmente ferita un piede con una scheggia di vetro. Ora il graffio iniziava a farle di nuovo male a causa della calzatura troppo stretta che indossava. Inoltre, la ghiaia del cortile del Sacro Memoralium non le era per nulla d’aiuto.

Dopo colazione i consiglieri le avevano rammentato del funerale, anche non ce n’era bisogno, d’altronde come poteva dimenticarlo. Quel giorno avrebbe dovuto dire addio per sempre a suo fratello, prossimo erede secondo la linea di successione della famiglia reale.

Più riesaminava le circostanze in cui era avvenuta la sua morte, più il fatto le sembrava surreale. Stava rientrando da una visita politica all’estero; era a circa cento chilometri da Seresix quando, durante l’ultima sosta, un pazzo gli aveva sparato uccidendolo.

I pensieri di Fenna rimbalzarono da cosa all’altra, da un ricordo all’altro senza un nesso logico. Ad un certo punto pensò a di avere ancora diciott’anni, mentre in realtà ne aveva venti, compiuti proprio il mese scorso. Non si rendeva conto di essere sulla soglia di una crisi, tanto più che dall’esterno dava l’idea di essere sempre la stessa; erano solo certi suoi pensieri a essere anomali.

Con una mano si aggiustò una spallina dell’abito che era scesa un po’ troppo. A corte esisteva un consigliere per ogni cosa. Ce n’era uno che consigliava persino che cosa indossare per uscire dal castello. A lei, per la triste occasione, era stato suggerito un abito in tessuto riflettente argentato. Era un modello scollato con le spalline cadenti, più stretto in vita e con una gonna molto ampia e lunga fino a terra. Lo aveva trovato un modello molto bello, ma troppo provocatorio per essere indossato a quell’evento. «Sembra che io stia andando a un ballo», aveva detto. E il consigliere aveva ribadito: «La stoffa retivish è indicata per i lutti. Andrà benissimo, non vi preoccupate principessa. E poi si abbina perfettamente ai vostri capelli d’argento».

 
Fino al momento prima di rivedere il fratello, Fenna non aveva ancora preso coscienza della realtà dei fatti. Nella sua mente lui era ancora vivo. Quando si era trovata di fronte a quella figura immobile, in una bara ornata internamente di un tessuto color crema, per lo shock aveva stentato a riconoscerne i lineamenti famigliari. Il suo volto pallido, le labbra esangui, le mani bianche intrecciate sul petto: nel complesso sembrava un manichino coperto da un trucco di scena ideato per uno scherzo macabro. La ferita del proiettile che lo aveva colpito al cuore era nascosta dall’abito regale. Fenna arrivò alla conclusione che quella fosse una riproduzione abbastanza fedele di suo fratello, ma non perfetta. Sì, sicuramente quello era un fantoccio travestito e il vero erede al trono era a godersi la vita da qualche altra parte. Aveva lasciato a lei tutti gli oneri di corte solo perché, preso da un moto di ribellione, aveva deciso che ne aveva abbastanza degli impegni reali e avrebbe cercato la pace e l’anonimato in qualche paradiso remoto. Quasi le venne da ridere immaginandosi la scena, ma riuscì a trattenersi evitando una pessima figura.

Un attimo dopo, concentrandosi sul fatto che comunque non lo avrebbe più rivisto, si commosse. Mentre la bara veniva deposta nella cripta del santuario e sigillata, osservò la regina piangere disperatamente sorretta da suo padre, il re, anch’egli alquanto scosso. Mentre i sovrani erano sconfortati perché lo credevano veramente morto, Fenna si ritrovò a singhiozzare perché sapeva che le sarebbe stato impossibile raggiungerlo, ovunque fosse il posto in cui aveva deciso di stabilirsi. Pensò che tutti recitassero molto bene la loro parte e improvvisamente si sentì fuori luogo. Si asciugò subito gli occhi e rivolse lo sguardo altrove; la folla, al di fuori del Sacro Memoralium, era immensa e raccolta in un rispettoso silenzio. Ma la calma era destinata a finire presto.

 
Al termine della cerimonia di addio, prima di uscire dal cancello, un soldato in armatura affiancò la principessa obbedendo a un cenno del re.

«Non capisco», disse Fenna, «che cosa potrà mai succedermi?»

Il soldato non rispose. Era sicuramente uno di quei nuovi rharmé[2], robot-soldati da difesa privi di un vocabolario mentale e di un sistema vocale per rispondere. Fu Thesel, uno dei consiglieri più fidati della giovane, a chiarire il dubbio. «Vostro fratello era molto amato dal popolo. La notizia che abbia subìto un attentato, proprio mentre veniva a rendere omaggio al vostro fidanzamento ufficiale, potrebbe provocare reazioni impreviste.»

Già, il fidanzamento ufficiale: una tappa obbligatoria che l’avrebbe condotta al matrimonio il mese prossimo.

Fenna non disse nulla, ma dentro di sé pensò che il destino le stesse giocando un'enorme beffa. Nemmeno lo voleva un fidanzato: al compimento del suo diciottesimo anno aveva firmato qualche carta e, inconsapevolmente, aveva anche accettato come futuro marito un tale, figlio di importati imprenditori che intrattenevano affari con colonie extrasolari. I suoi genitori l’avevano ingannata evitando di specificare tutte le clausole e questo la faceva stare ancora peggio.

 

 

Nota:

2- Rharmé è una parola inventata da me per indicare dei robot-soldati. Il neologismo è nato dalla fusione di “R” (che nei racconti di Isaac Asimov sta per “robot”) e “armata” francesizzato.





"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie

   
 
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