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Autore: Elendil    28/05/2009    4 recensioni
“ Non mi piace che le persone che uccido ritornino in vita”disse in un sussurro nel suo orecchio.
La sentì ridere piano.
“ Ma io non sono morta...Inuyasha”
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Plic…

Plic….Plic….Plic….plic...plic.

Un rumore costante, ripetitivo,monotono.

Sempre uguale, quasi meccanico nel suo indifferente ripetersi, eguale avvicendarsi, come se il solo desiderio di variare di pochi, insignificanti, particolari in modo da spezzare quella noiosa monodia in una ben più piacevole armonia, non lo sfiorasse minimamente.

Plic…plic…plic.

Eguale…perfettamente eguale…

Lo scorrere del tempo scandito dall’atono sobbalzare del silenzio.

Dal suo rapido singhiozzare.

Plic…plic…plic….cinque secondi.

Il pulsare di un cuore nel petto scavato dell’oscurità.

Kagome aprì gli occhi.

Due candide falci di luna in un luogo dove non avrebbe mai potuto brillare il sole.

Il buio ricambiò assente il suo sguardo vigile.

Dove si trovava?

Il freddo di un pavimento troppo gelido per la sua pelle la fece rabbrividire appena, tremando su di lei come una carezza rapida e pungente che la costrinse a muovere leggermente i muscoli delle gambe e delle braccia.

Il tintinnio di una catena ferì improvvisamente il suo fine udito come il sibilare di una lama a pochi millimetri dal viso.

Si bloccò, senza fiato, paralizzata da quel delicato tintinnare nell’oscurità, ironicamente simile, per chi avesse il senso dell’umorismo, al fremente trillare di un campanellino come quelli che si usava portare al polso come vezzoso ornamento.

Il secco deglutire di Kagome rabbrividì viceversa terrorizzato nel silenzio.

Dove si trovava?

Sentì il proprio respiro accelerare improvvisamente, il semplice trarre aria che diventava di secondo in secondo un frenetico ingozzarsi di istanti.

Perché era legata con delle catene? 

Il gelido presentimento del panico che, viscido risalire della coscienza, velocemente si faceva strada dentro di lei, la costrinse suo malgrado a mordersi con violenza il labbro inferiore, il tentativo di spergiurare la perdita di quel poco di calma che ancora le rimaneva che, in un attimo, svaniva in quel semplice gesto.

Eppure a sua memoria non si trovava in quel luogo…
Affatto…

Tentò, invano, di tirarsi a sedere, le gambe che, con cedevole manchevolezza, le suggerirono istantaneamente che non si trovava affatto nello status fisico sufficiente per tentare una simile mossa.

Sebbene…

Parevano essere addormentate o paralizzate.

Sebbene…

Deglutì a vuoto.

Sebbene, dannazione, nemmeno in quell’istante riuscisse a ricordare dove, esattamente, si fosse trovata prima di finire in quel luogo sconosciuto.

Si impose, a vuoto, di racimolare nuovamente un minimo di calma per ordinare ciò che ora, febbrile convulsione, le si stava addensando di istante in istante e con sempre più foga nella mente.

Calma.

Invincibile torpore delle membra, il suo corpo tremò debolmente, freneticamente mentre Kagome, Inchiodata con la faccia a terra, costretta a saggiare il molle fradiciume della pietra, ascoltava contrita il tempestare dei battiti del suo cuore.

Calma.

Non importava.

Era solo questione di attimi, di minuti.

Giusto il tempo che la circolazione riprendesse a seguire il suo corso.

Giusto quell’attimo per ricordarsi che, probabilmente, in quel momento quella carcassa indolenzita giacente al suolo fosse più propensa alla vita che alla morte.

Dannazione Kagome…calma.

Parve allora che, lentamente, il suo respiro si regolarizzasse, la frequenza di ogni spezzato ansito che prendeva a scivolarle con sempre meno ansiosità dalle labbra quando, improvvisamente, come terrorizzato spezzarsi di quella estenuante stasi, una falce di luce la colpì in pieno viso facendola sussultare come un sudicio topo atterrito.

Accecata, la giovane serrò istantaneamente le palpebre doloranti a schermare la debolezza del suo sguardo sconvolto.

Sentì il rumore di una serratura che veniva aperta e subito dopo il caratteristico clac degli ingranaggi.

Rabbrividì, incontrollabile debolezza dell’animo.

Stava entrando qualcuno?

Alle sue orecchie, imperturbabile negazione ed insieme, scongiurato assenso, giunse il rigido cigolio delle giunture di una porta che veniva brutalmente spalancata.

Si ritrasse appena, le braccia che risalivano tremanti al viso come alla ricerca di una qualche forma di protezione che, suo malgrado, sembrò destare esclusivamente un risolino divertito da parte di chi, troppo distante per essere visto, pareva aver desistito dall’entrare in quella cella entro la quale, viceversa, qualcun altro ora pareva soggiornare senza alcun manifesto problema.

 

 “Ti sei svegliava a quanto vedo”

 

Quella futile affermazione, dettata esclusivamente dalla necessità di palesare chi fra i due presenti avesse il diritto di parlare e chi, viceversa, dovesse esclusivamente attendere, scivolò gelida sulla pelle della ragazza.

Fredda, distaccata ed inequivocabilmente, inconfondibilmente maschile.

Per un attimo Kagome ebbe quasi il tempo di chiedersi, stupida presunzione, se questa avesse anche potuto suonarle familiare prima che, con un fruscio ovattato, la seconda figura si spostasse trascinando con sé, stridente cigolio, la porta arrugginita che, poco dopo, si richiuse con un tonfo sordo.

 

“ Spegni la luce”.

 

Il dolore cessò di colpo, sostituito subito da un indescrivibile quanto imprevisto sollievo.

La giovane non potè trattenersi dal sospirare lievemente, un lungo e pesante descriversi del sollievo che, quale formicolio all’altezza delle tempie, irradiò la propria essenza fino alla base della schiena concedendole, poco dopo, di aprire gli occhi.

Di nuovo, onnipresente, avvertito ed insieme oscuro di comprensione alcuna, il buio la avvolse.

Immobile.

Assoluto.

“ Vedi di abituarti alla luce perché questa è l’unica volta che ti concedo un simile trattamento di riguardo” continuò, incurante di ogni sua possibile reazione, la voce dell’individuo, ora fattasi tagliente e vagamente canzonatoria.

Grazie tante, uomo dall’infinita clemenza…

Senza, tuttavia, replicare alcunché, Kagome mosse lentamente le braccia lungo i fianchi fino a portarle ai lati del viso e facendo una lieve pressione, tentò di sollevarsi.

Una fitta di puro e lancinante dolore alla spalla destra la fece istantaneamente gridare con quanto fiato aveva in gola, lacerando il silente aggregarsi del buio all’interno della cella come acuto e stridente sgretolarsi delle mura stesse.

Incapace di fare altro, ansimò a vuoto.

Era ferita?

Si mosse ancora, con più cauta e rinnovata lentezza, i ricordi che, improvvisamente, riaffioravano con violenza inaudita nella sua mente.

Ed ecco che, di nuovo, poco dopo, un singulto di dolore, questa volta ben differente dall’essere segregato alla sola sfera fisica, strappò l’orgogliosa resistenza delle sue labbra.

Ecco come era finita li.

Ecco come mai quella spalla le doleva in quel modo…

Mio Dio…

 

Boccheggiò, tentando invano di arginare quella nuova ondata di panico che minacciava questa volta di travolgerla senza  pietà alcuna, gli occhi che andavano ingenuamente a serrarsi nell’inutile tentativo di fermare l’inarrestabile avanzare della realtà attraverso di essi.

Invano.

Stupidamente, scioccamente, assurdamente, invano.

Invano attaccare nel bel mezzo della battaglia per approfittare della possibile, per quanto remota, distrazione di entrambi i principi impegnati sul campo.

Invano presupporre che addestramento e disciplina avrebbero potuto ovviare laddove la potenza e agilità demoniaca non sembrano avere eguali.

Irrimediabilmente, inconfutabilmente, irriducibilmente, invano.

Si morse un labbro, il corpo che ora tremava dello spasimante imperversare del rimorso per poi, fiera resistenza, determinata forza, tirarsi con un gemito sommesso a sedere.

Venne colta da un capogiro, le lacrime annidate negli occhi fieri che minacciavano da un momento all’altro di valicare quella strenua barriera posta fra sentimento umano e dovere guerriero.

Fra resistenza e abbandono che, assolutamente, ella non poteva permettersi di mostrare all’individuo che ora soggiornava con lei in quella cella.

 

“ Vedo che ti sei ripresa…” soggiunse infatti quello subito dopo, come accorgendosi della ritrovata “calma” ora a forza calata su di lei.

La ferita procuratagli dagli artigli affilati di Inuyasha pulsava vividamente sulla sua spalla destra.

“ Si…” rispose con pacata diffidenza lei, il fiato che si accorciava di un poco nella volontà di arginare il dolore “Mi avete curato voi?”si azzardò poco dopo a continuare.

“ Si ”

Silenzio.

Il costante gocciolio dell’acqua colmò quei secondi di tragica immobilità, sospesi nella volontà di aggiungere altro e, insieme, nel timore di farlo.

”Perché?”

Irriducibile, la curiosità prese nuovamente il posto di quel ritenuto ammutolire.

“ Ti interessa veramente saperlo?”

Infame raggiro.

“Si ” una pausa, il tono che si tendeva di improvviso nervosismo  “ Mi interessa”

Un lieve ghigno sibilò cauto nel buio, rabbrividendo sulla gelida pelle di Kagome.  

“ Perché? ”

Ed improvvisamente, la rivelazione, il palesarsi di quella comprensione oltre la quale ognuno sa di non poter mai più contare sulla dolce e confortevole ignoranza propria di chi è ancora in grado di sentirsi al sicuro, di non temere per il semplice fatto di avere “capito” di essere “cosciente” di quanto, talvolta, la vita possa essere gretta, meschina e perfino crudele con coloro i quali, anche solo per un attimo, hanno osato bearsi dell’infernale culla dell’inconsapevolezza.

“ Chi sei?”

Da qualche parte nell’ombra risuonò allora una beffarda risata, una di quelle risate a denti stretti che si fermano nella gola risuonando così gelide e prive di calore.

“Finalmente…”gelido palesarsi di una voce ora sgretolatasi di gentilezza alcuna, di un garbo qualunque “Mi chiedevo quanto avresti tardato a farmi questa domanda, umana”

Tragica, la succube ovvietà di quella affermazione si riversò implacabile sull’ora immobile staticità di Kagome, sospesa a metà fra la difficile espressione di un respiro e di un singulto.

Ciò che risultò, tuttavia, fu solo e semplicemente un tremulo sospiro che, manchevole debolezza, parve spezzarsi subito dopo nell’implacabile imperversare dell’oscurità, mortale sottrarsi della realtà.

Un leggero fruscio di stoffa giunse alle orecchie della ragazza e un secondo dopo qualcosa le sfiorò il viso.

Si ritrasse con uno scatto così improvviso che il dolore le fece letteralmente esplodere una miriade di scintille davanti agli occhi prima che quel contatto, trasformatosi istantaneamente in una feroce e implacabile presa al volto, non la sbattesse con furia animale contro la parete alle sue spalle.

La lacerante fitta alla spalla che ne seguì le strappò un altro gemito stridulo che, suo malgrado, la mano che era poco prima calata su di lei le impedì di esprimere serrandole violentemente le labbra.

“Zitta” fu il gelido avvertimento.

Uno squittio terrorizzato, banale compromesso fra dolore e panico, venne inghiottito recalcitrante dalla giovane.

“Zitta…” ripetè ancora questi, questa volta quasi in un sussurro ora tanto vicino a lei da consentirle quasi di cogliere fra una sillaba e l’altra il denso calore di un respiro vagamente accelerato.

In un muto assenso, in un flebile per quanto immobile annuire, Kagome non potè far altro che abbandonare lievemente la testa all’indietro rilassando il capo e il corpo a quel senso di mortale debolezza che, insito nelle sue vene come fiele implacabile, minacciava ora di farle perdere i sensi.

Probabilmente aveva perso molto sangue, valutò avvertendo la propria respirazione, ora ridotta ad un roco e stopposo ansimare, tremarle congestionata nei polmoni per poi filtrare debole fra quelle dita ancora strette su di lei.   

Sentì i vestiti che indossava inzupparsi d’acqua gelida, percorrerle il petto, scivolarle fra i seni, scorrerle sulla pancia per poi, insostenibile invadenza, insinuarsi fra le sue cosce come una lasciva carezza, morbosa di un’oscenità dettata dalla semplice consapevolezza che ora, nell’oscurità, Kagome sapeva che uno sguardo poteva seguire quel lento ed inesorabile tragitto su di lei.

Rabbrividì, la vergogna che la obbligava a portarsi imbarazzata le braccia al petto in un vano tentativo di sottrarsi ad un tale osservare che, tuttavia, l’uomo non le risparmiò afferrandola viceversa per entrambi i polsi che lasciò lì, a mezz’aria, futile barriera fra i loro corpi ora strettamente vicini.

Il lieve tintinnio delle catene che ancora trattenevano in quel luogo Kagome risuonò soave nel silenzio, facendo come da eco al nuovo, sibillino, ghigno sardonico di quell’individuo.   

“ Quando ottengo un trofeo mi piace guardarlo, ragazzina” fu la sommaria spiegazione mentre questi, lentamente, come sfidandola a reagire, le liberava i polsi per poi cominciare a risalirle con la punta delle dita, seducente indolenza, il tremante profilo del braccio sinistro.

La giovane si gelò.

“ Mi piace ammirarlo, rimirarlo e compiacermi di averlo finalmente ottenuto dopo tanto tempo passato nella contemplazione della brama di poterlo finalmente possedere ”

Le dita appena tiepide e decisamente umane percorsero il profilo del suo avambraccio, sfiorarono appena la gentile prominenza delle clavicole per poi saggiare con studiata lentezza la debole dolenza del collo teso, solo vagamente scosso dal ritmico pulsare delle vene sotto la pelle alabastro.

“ E più l’impresa è stata ardua, più la meta è sembrata irraggiungibile, più questo acquista valore ai miei occhi”

Scese ancora, fatale fiacchezza a circondare le spalle sottili.

“Più diventa necessario l’accertarmi che mi appartenga ora, di diritto”

Improvvisamente Kagome urlò di dolore.

Qualcosa di affilato le si era conficcato nella carne.

Unghie.

La figura nell’oscurità rise malignamente, divertita.

Spezzato, il respiro le si condensò in una densa bolla nella gola, il collo che si tendeva convulsamente all’indietro nell’inafferrabile gesto di ignorare quel inatteso dolore mostrando indifesa la pelle nuda, illividita dal gelido trasalire di nervi e legamenti.

 “ Sei tu…maledetto” fu la stridente replica della ragazza la cui voce, nodoso aggrovigliarsi di parole, rovinò dura nel nero catrame di quella cella.

Lui.

Si sentì quasi spezzare il fiato, il capo che, insostenibile tortura, andava ora a piegarsi in avanti, rigido, come sporco appassire di un petalo troppo bello per resistere all’incedere dell’ardente infiammarsi della morte.

Come la povera bestia che, soffocata dalle fauci della belva serrate attorno alla trachea, abbandoni allora ogni resistenza lasciando che la testa ricada, dolente, verso il basso, umile pendolo morente.

Lui.

Lui ed esclusivamente Lui, sua vittima, sua preda, suo trofeo mancato e tanto agognato da divenire dapprima turbamento,  poi mania, dunque ossessione ed infine maledetto tormento.

Lui, il frutto di una caccia forse troppo a lungo meditata.

Forse troppo ghiottamente e ingenuamente pregustata così da dimenticare che prima di prendere la mira e, sapientemente, scoccare la freccia, si doveva portare con sé l’arco a tracolla, i dardi nella faretra e il cuore nella bisaccia, chiuso laddove non potesse mai prendere aria e respirare, forse per un secondo, il profumo della bestia braccata.

Lui.

Inuyasha.

Preda sfiancata ora divenuto atroce carnefice.


Ed eccomi ritornataXD Inutile chiedere scusa per l'assenza (Durata ben due anni cavoloT___T) ma fra mancanza di ispirazione e altri impegni mi sono ritrovata a non volere e potere più continuare questo racconto...

Si tratta, come avrete già capito, solo di una piccola parte...giusto per ritrovarmi dopo tanto tempo, ma prometto che presto continuerò a postare come si deve^^'

Un bacio a tutti.

 

  
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