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Autore: Padmini    23/01/2017    3 recensioni
Uno sguardo, un legame silenzioso tra due anime.
Sherlock, studente brillante ma solitario.
Gregory, studente più grande, generoso e desideroso di riparare a tutti i torti.
Un gatto e un cane che si incontrano nel cortile di una scuola.
Cosa accadrà tra di loro? Possono due anime così diverse trovare un luogo in cui incontrarsi?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci arrivati. Questo è il capitolo finale. È stato divertente e commovente scrivere questa storia, è stata una specie di sfida. Ho voluto procedere con calma, per gradi, fino a raggiungere questo finale.

Ho cambiato l'incontro tra Gregory e Sherlock dopo lo iato, ma spero che vi piaccia ugualmente.

Vi ringrazio per avermi seguita fin qui. Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e anche chi mi ha seguita in silenzio.

Alla prossima!!

Mini

 

 

 

 

 

Gatto randagio

 

 

 

 

Di qualunque cosa le nostre anime siano fatte, la mia e la tua sono fatte della stessa cosa

Emily Brontë

 

 


 

 

Erano trascorsi due anni.

Due fottuti anni.

Due anni, in cui aveva provato ad andare avanti, a vivere senza soffrire o sentirsi in colpa per ciò che era successo. Due anni di merda. I suoi sottoposti avvertivano il suo disagio e ognuno, a modo suo, cercava di consolarlo, anche se per il motivo sbagliato. Tutti credevano che stesse male per il divorzio e così, in un modo o nell'altro, lo spingevano ad andare oltre, a superare quel trauma. Avevano ragione a dire che soffriva per amore, questo sarebbe stato evidente a chiunque, ma non sapevano di essere molto distanti dalla verità. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che l'Ispettore Gregory Lestrade potesse star male per Sherlock Holmes.

Da quanto si era suicidato, Gregory aveva convissuto tra sentimenti contrastanti. Da una parte c'erano i sensi di colpa, che lo attanagliavano soprattutto durante la notte, impedendogli di dormire, ripetendogli sussurrando all'orecchio che avrebbe potuto fare di più, avrebbe potuto aiutarlo, salvarlo da … cosa? Avrebbe davvero potuto fare di più o quel finale tragico era voluto da Sherlock e in quel caso non avrebbe potuto far altro che assistere impotente alla sua autodistruzione?

Dall'altra parte c'era l'amore, sempre più forte, che provava per quell'uomo straordinario che aveva perso la vita troppo presto.

Aveva letto i suoi taccuini, li aveva divorati, sperando di allentare quella morsa che gli stringeva il cuore ogni volta in cui pensava a lui. Erano pieni di appunti, più o meno approfonditi su … be', tutto. Il primo, quello che non aveva mai avuto il coraggio di leggere, era stato scritto da un adolescente ancora poco pratico dei meccanismi che fanno muovere gli esseri umani e, pensò Greg con un po' di tenerezza, ingenuo e innocente. I successivi dimostravano, pagina dopo pagina, una lenta ma costante maturazione. C'era un buco nelle date, probabilmente il periodo che aveva trascorso a disintossicarsi dalla droga, senza avere la possibilità o la volontà di confidare alla carta i suoi pensieri più intimi.

Un bussare impertinente lo risvegliò, riportandolo alla realtà.

“Avanti!” gridò seccato, come era sempre più spesso.

“Permesso? Posso entrare, Ispettore? Greg? Volevo invitarti a bere un caffè.”

Philipp Anderson era di certo la persona che più lo capiva e, proprio per questo, quasi ogni giorno lo invitava a uscire dal suo ufficio per prendere un po' d'aria fresca, ma soprattutto per esporgli le sue ultime teorie, dal momento che era uno dei pochi disposto ad ascoltarlo. Al contrario di Sally Donovan, ancora profondamente certa delle teorie che aveva sviluppato su Sherlock, si era convinto che fosse stato tutta una montatura, che in realtà il consulente detective fosse stato incastrato. Per questo motivo si era sentito in dovere di rimediare, in qualche modo. Continuava a dire a chiunque non lo avesse già sentito che Jim Moriarty esisteva davvero e che aveva escogitato un piano per screditare Sherlock Holmes. Asseriva inoltre che Sherlock era riuscito ad aggirare tale piano fingendo la propria morte e che ora si stava nascondendo da qualche parte, continuando seppur nel suo anonimato a risolvere i crimini più disparati. Tutta quella dedizione, che era sfociata nel suo massimo con il suo licenziamento da Scotland Yard e la creazione di un fan club, i cui folli membri non facevano altro che elaborare teorie sempre più pazze sul conto del detective, avrebbe potuto intenerire Gregory, ma in realtà lo faceva impazzire di rabbia.

Sherlock era morto.

Non sarebbe tornato.

Non si stava nascondendo da qualche parte, aspettando di tornare e dimostrare che tutti si sbagliavano e che lui era vivo. Se fosse stato così non gli avrebbe scritto quella lettera, si sarebbe messo in contatto con lui in qualche modo o almeno con John il quale, almeno da quanto aveva potuto constatare, era turbato e scosso quanto lui.

Perso in quei pensieri, lo aveva seguito e senza rendersene conto era arrivato al chiosco dove prendeva sempre il caffè, sentendo a malapena i discorsi vaneggianti del suo ex collega.

“Greg? Greg? Mi senti?”

L'ispettore si voltò verso l'amico, riemergendo dai suoi pensieri. Era di fronte a lui e gli porgeva una tazza di caffè da asporto.

“S-sì … certo … cosa dicevi?”

“Ti stavo parlando di quel caso di omicidio risolto in Francia qualche giorno fa. Non ci sono dubbi sul fatto che sia stato Sherlock! È lui! È vivo, come ti avevo detto!”

Gregory sbuffò. Non ne poteva più, davvero, ancora un po' e sarebbe scoppiato. Prese il suo caffè con un malcelato gesto di stizza, ignorando la sua ultima affermazione per non cadere nella tentazione di prenderlo a pugni.

“Lo so che la pensi come me! Avanti, non negarlo! Lui è ...”

A quel punto Gregory non ce la fece più. Due anni di dolore represso esplosero in un colpo solo.

“Lui è morto, Philipp. Morto. È morto e non potrà tornare!” non gridò, ma la sua voce era ferma, rabbiosa “Vorrei tanto dovermi arrabbiare con lui perché ci fa fare la figura degli idioti, vorrei poterlo ringraziare perché ci aiuta … ma … non posso … non posso ...” mormorò infine, ricacciando con un enorme sforzo le lacrime che già gli facevano pizzicare gli occhi.

“Ma … Greg ...”

Gregory non gli rispose. Non aveva nemmeno più voglia di caffè. Si voltò, lanciò il contenitore ancora pieno nel cestino e si avviò a passo di marcia verso Scotland Yard.

Sapeva che era sbagliato prendersela con lui, che in fin dei conti non poteva sapere quanto lui soffrisse anche solo pensando a Sherlock. Non poteva sapere quanto lo aveva amato, quanto lo amava ancora. Si impose di non pensare più a lui e, per dimenticare, si immerse ancor di più nel lavoro.

 

 

 

 

 

Londra. La sua casa. Aveva girato il mondo, ma nessun luogo avrebbe mai potuto eguagliarla. In Italia era riuscito a vedere opere d'arte senza pari, visitare il Tibet era stato stimolante, l'America del Sud lo aveva incantato e la Francia era stata da sempre la sua seconda patria ma, per quanto ciò che aveva visto nel suo lungo esilio potesse essere bello, interessante o unico, la mancanza dell'atmosfera che aveva trovato solo a Londra si era fatta sentire. Più di una volta si era riproposto di tornare, di mandare al diavolo tutto e riconquistare la sua libertà, poi però pensava a quanto aveva perso per quello, a quanto aveva dovuto rinunciare … e allora lasciava perdere, per non distruggere tutto ciò per cui aveva lavorato e rendere vano il suo sacrificio.

Era stato difficile, aveva sofferto in quegli anni, psicologicamente e fisicamente, ma finalmente era tornato. Londra sarebbe stata ancora il suo regno.

C'erano molte cose che doveva fare, questioni in sospeso da sistemare, al di là del caso presentatogli dal fratello il quale, pensò, poteva essere una scusa per farlo tornare, anche se Mycroft non lo avrebbe mai ammesso.

C'erano John, la signora Hudson, Molly … e Greg. Un po' alla volta avrebbe affrontato tutti, avrebbe spiegato, fatta eccezione per Molly che già era consapevole del suo segreto. Non era la prima volta che provava paura, ma quella sembrava una sfida più difficile del solito. Avrebbe incontrato rabbia, dolore, risentimento … ma non avrebbe rinunciato a loro per nulla al mondo. Aveva già imparato a sue spese cosa poteva portare reprimere i sentimenti in favore di una paura paralizzante, non avrebbe commesso ancora lo stesso errore. Se John o la signora Hudson o addirittura Gregory lo avessero respinto, dicendogli di odiarlo per tutta la sofferenza che avevano patito dopo la sua morte, se ne sarebbe fatto una ragione, ma almeno non sarebbe rimasto con l'eterno dubbio di un rifiuto. Un rifiuto … lo aveva temuto per tutta la vita, per questo aveva preferito nascondersi nella solitudine. La solitudine non ti permette di soffrire, ti protegge, come una stanza insonorizzata che ti isola dai rumori esterni, ma ti impedisce allo stesso tempo di sentire la musica. Sofferenza, un rischio evitato, ma il prezzo era troppo elevato, aveva imparato a capirlo. Non poteva più fare a meno di quei sentimenti che gli pulsavano dentro e lo facevano vibrare. La paura di fallire c'era ancora, ma non era più quel senso di stordimento che portava all'inattività, all'ignavia. La paura si era trasformata nel fuoco che lo avrebbe portato ad agire, a non rinunciare a ciò che desiderava e a conquistarlo.

Dalla lanterna della Cattedrale di Saint Paul, guardava la città.

La sua città.

Sherlock Holmes era tornato.

 

 

 

 

La sera era calata presto o semplicemente lui non si era accorto che le ore erano trascorse mentre lavorava. Erano già le otto quando Sally andò da lui.

“Greg? Sei ancora qui? Credevo che te ne fossi già andato.”

Greory sollevò lo sguardo dall'ultimo rapporto che stava esaminando e si massaggiò gli occhi stanchi.

“Stavo per andare … mi manca poco ...”

“Lascia perdere, hai lavorato anche troppo oggi … e non solo oggi. Sono settimane che non ti prendi un solo giorno di respiro e lavori per due ...”

“C'è molto da fare.” sbottò lui, seccato.

“Sì, ma ...” provò a insistere lei, ma lo sguardo del suo superiore la fermò “Come vuoi.” mormorò infine, rassegnata.

“Ci vediamo domani, Sally.” borbottò Greg, raccogliendo le sue cose. Quando ebbe finito, si alzò e uscì dal suo ufficio e poi dall'edificio senza guardare in faccia nessuno.

 

A casa venne accolto dal solito, dannatissimo silenzio. Non aveva avuto altre relazioni da quando aveva divorziato, troppo occupato a dimenticare un matrimonio fallito e un amore che mai e poi mai avrebbe trovato il suo lieto fine.

Come al solito si fece una lunga doccia, lasciando che l'acqua portasse via ogni pensiero, negativo o positivo che fosse, anche se ultimamente di questi ne aveva ben pochi.

Come al solito si preparò una semplice cena, niente di complicato, giusto un po' di carne con delle patate, tanto per non morire di fame e sì, una ciambella per dessert.

Come al solito si prese la sua dose di televisione spazzatura, altro buon metodo per spegnere il cervello e non pensare.

Come al solito andò a dormire. Finestra e porta chiuse, per impedire a qualsiasi cosa di disturbare il suo sonno.

Silenzio.

Luce spenta.

Il tiepido calore del suo letto.

Duro lavoro, doccia calda, cibo, televisione. Si sentiva stordito, ubriaco, piacevolmente distante dalla realtà. Chiuse gli occhi e si lasciò abbracciare dall'oblio del sonno. Un'altra giornata era andata. Quanto avrebbe potuto resistere così?

 

Toc.

Toc.

Toc.

Toc.

Un rumore sordo, di legno che sbatte, accompagnato da un fruscio simile a quello della stoffa. Stava sognando? Aprì lentamente gli occhi per permettere al sogno di svanire del tutto dalla sua mente, ma il rumore non cessò e solo allora si accorse che a svegliarlo non era stato solo quel suono, ma una leggera brezza che, filtrando dalla finestra aperta, faceva muovere le tende. Si alzò di scatto per andare a chiudere la finestra. Probabilmente Sally aveva ragione, aveva lavorato così tanto da non essersi reso conto di averla lasciata aperta. Avrebbe dovuto davvero prendersi una vacanza … ma da cosa? Dalla vita? Dal dolore? Avrebbe potuto prendersi una pausa dal lavoro, ma il dolore sarebbe rimasto lì, immutato o forse addirittura più forte.

Lo spifferò cessò, il silenzio tornò nella stanza, ma qualcosa era cambiato. Percepì una presenza, un'ombra alle sue spalle. Si maledì per non avere a portata di mano la pistola, ma d'altra parte come avrebbe potuto prevedere di doversi difendere in casa sua?

“Chi sei?” domandò, sentendosi un idiota perché era evidente che nessuno avrebbe potuto entrare, per quale motivo poi? “Fatti avanti! Sono … sono armato!” gridò infine, mentendo spudoratamente. Si avvicinò all'interruttore, ma l'intruso accese per primo la lampada che teneva sul comodino accanto al letto.

Nella fioca luce arancione, apparve Sherlock.

Il cuore di Gregory si fermò per un istante.

Era lui? Era davvero lui? Non stava sognando, giusto? Sherlock era lì, di fronte a lui, gli sorrideva. Era entrato nella sua stanza, quel dannato gatto randagio.

“Non è un sogno, Gregory … sei sveglio.”

La sua voce. La sua bellissima voce, così profonda, calda, accogliente come un piumone, come un abbraccio, una carezza. Non c'erano dubbi. Era vero.

“Tu … bastardo!”

Non seppe dire altro, i suoi occhi, lucidi di pianto, parlavano per lui. Con un paio di passi eliminò la distanza che li divideva e lo raggiunse. Sherlock, in piedi ancora in penombra, sorrideva. Anche se si aspettava un pugno, uno schiaffo o qualche altra offesa, si sentiva felice perché non aveva avuto paura delle sue emozioni, le aveva affrontate a viso aperto. Sia quel che sia, pensò, non mi interessa altro che essere onesto, con me stesso e con lui.

Non chiuse gli occhi, ricambiò lo sguardo di Gregory, intenso e infuocato di rabbia e qualcosa che non riuscì a decifrare.

In quell'istante Gregory fu certo che quello non era un sogno. L'odore della pelle di Sherlock gli invase le narici e da quella distanza poteva sentire il suo respiro e il battito del suo cuore, deciso, forte. Era vivo. Era vero.

“ … bastardo ...” ripeté Gerg, per poi scoppiare a ridere, contagiando anche lui in quello sfogo.

Greg ripensò alla lettera che due anni prima Sherlock aveva scritto per lui, a ciò che gli aveva confidato. Poteva essere ancora così? Se lo aveva amato per tutti quegli anni, forse quei due ultimi di assenza non avevano cambiato nulla … sarebbe bastato un passo, uno ciascuno, per raggiungersi e, finalmente, trovarsi.

Sherlock sorrise, rilassandosi e così fece anche Gregory.

La tensione era sparita, i dubbi svaniti, come fantasmi di paure ormai morte.

Senza dire nulla, senza programmarlo, entrambi si avvicinarono, muovendo un passo in avanti.

Un passo con la mente.

Un passo con il cuore.

Un passo e furono vicini, in tutti i sensi.

Un abbraccio, intimo e delicato.

Un bacio, a lungo atteso e desiderato, che unì i loro corpi e le loro anime.

Passò un attimo, un'ora, un giorno, un anno, un secolo … e infine si allontanarono, ma il loro legame perdurò nei loro sguardi.

“Ti amo ...” sussurrò Sherlock, rosso in viso per l'emozione e l'eccitazione.

“Ti amo ...” mormorò a sua volta Gregory, ancor più rosso e sul punto di scoppiare a ridere per sfogare la gioia. Rise. Gregory, rise, dopo due anni, rise di gioia.

“Dovrò chiamare Donovan ...” disse, asciugandosi le lacrime “Domani non andrò al lavoro ...”

“Ne sei certo?” chiese Sherlock, incredulo.
“Ne sono più che certo. Ho di meglio da fare.”

Senza dire altro, Gregory aiutò Sherlock a liberarsi del cappotto e della sciarpa, lasciandolo così con il suo completo poi, mentre lui si toglieva anche la giacca e iniziava a sbottonarsi la camicia, andò a recuperare un pigiama, ma quando tornò da lui per farglielo indossare, capì dal suo sguardo che non ne avrebbe avuto bisogno, non immediatamente almeno … e che anche il suo sarebbe stato di troppo. Sorrise, beandosi di quella vista, di quel sorriso, di quegli occhi, dello sguardo di Sherlock, il suo Sherlock.

 

Più tardi, entrambi esausti, si addormentarono sotto il piumone. I rispettivi pigiami erano abbandonati, inutilizzati, sparpagliati sul pavimento. La luce della luna filtrava gentilmente dalle tende. Il silenzio era scandito dal battito dei loro cuori che, finalmente, battevano all'unisono.

 

 

 

 

 

 

Come promesso, ecco il vostro lieto fine, questa storia è conclusa. Non escludo che in futuro possa scrivere ancora su di loro, seguendo questo filo narrativo, ma per ora mi fermo qui. Vi ringrazio ancora per essere arrivati fino alla fine.

Un abbraccio

Mini

   
 
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