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Autore: Urban BlackWolf    23/01/2017    1 recensioni
“ Non ce la faccio...”
“ Ti prego salvala. Salva la mia Ruka....” Michiru trattenne a stento le lacrime puntando lo sguardo a terra mentre con le mani tremanti si stringeva la cornice al petto.
“ Ti prego.” E questa volta l'argine degli occhi crollò.
Il tempo in quell'appartamento di un centro città si era fermato. C'erano solo due giovani donne. Una con la fronte poggiata sul freddo acciaio di una porta, nelle orecchie i singulti composti di un pianto lacerante e un'altra, stretta all'immagine dell'ancora della sua vita, incapace di muoversi, di alzare la testa, di fare qualcosa che non fosse il piangere, aspettando solo il suono dello scatto di una serratura ed il chiudersi di una porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il geco rosso

 

 

Michiru girava lentamente il cucchiaio nel denso liquido scuro tenendo sempre sott'occhio il terrazzo. Non aveva assolutamente voglia di inquietarsi. Non con il dolore pulsante al costato che stava avvertendo da quando si era alzata dal divano. Non dopo aver saputo il costo ed il tempo che ci sarebbero voluti per rianimare la sua povera auto.

Perché quelle due continuassero ad ostinarsi a voler spalare quantità industriali di una neve che tanto sarebbe andata ad accumularsi nuovamente sul lastrico da li a poche ore, era irrazionalmente incomprensibile per lei. L'ennesimo innesco dell'ennesima sfida.

Era il terzo giorno filato che nevicava, a volte con più intensità, altre meno, ma sempre senza soluzione di continuità, come non accadeva da anni, ed in quel pomeriggio prima dell'imbrunire, Haruka aveva decretato che fosse giunta l'ora di dar noia alla sua amata, facendo si che l'ansia, leggermente calata da quando erano tornate a casa senza che i contatti con il mondo esterno avessero portato danni, ricominciasse a montare. Era stata troppo docile nei giorni nei quali aveva posato i suoi occhi scrutatori su Giovanna, che Michiru avrebbe dovuto sub dorare che prima o poi il suo puledro di fanteria avrebbe manifestato la necessità di muoversi.

Così dopo essersi diretta verso i vetri della porta finestra della sala da pranzo osservando in perfetta posa militaresca da riposo l'ormai troppo accumulo di neve sul lastrico, aveva deciso di vestirsi di tutto punto, armarsi della pala, darle un bacio sulla fronte, ed uscire in terrazzo come una bambina partita con il suo zainetto alla conquista del mondo. E Michiru non aveva neanche provato a fermarla, perchè sapeva che tanto sarebbe stato totalmente inutile. La testardaggine di Haruka era direttamente proporzionale alle energie che sentiva nel corpo. Più queste risultavano alte e più lei tendeva a spingersi oltre. Lo aveva sempre fatto ed avrebbe continuato a farlo, perchè quella era la sua natura e neanche la compagna avrebbe mai potuto farci nulla.

Alla Dottoressa Kaiou non era rimasto altro che puntare su due cose; le braccia complici di Giovanna ed una gola smodata che la bionda aveva da sempre per il cioccolato.

“Ti dispiace?! Usa pure i miei scarponcini imbottiti.” Aveva soffiato all’amica scattando il mento verso il terrazzo e questo era bastato perché anche l’altra si alzasse dal divano, si preparasse e si avventurasse sul terrazzo anche lei, a fornire il suo valido contributo.

Figuriamoci, Giovanna amava talmente tanto la neve che a Michiru non era servita che quella mezza frase ed uno sguardo. Ma quella che per Kaiou era stata una speranza per frenare la vertiginosa ascesa spacca nervi della sua compagna, paradossalmente le si era ritorta contro. Non aveva infatti ancora ben chiaro quanto anche l'amica fosse d'indole competitiva e quanto questo eccitasse quella di Haruka. Così ogni volta che in quei tre giorni passati gomito a gomito si erano ritrovate a fare qualcosa insieme, era inevitabilmente scattata la gara. Gara che si stava consumando anche in quel frangente, sul terrazzo, a suon di vangate scaraventate con vigore fuori dal parapetto.

“Questa volta ho commesso un grave errore di valutazione.” - Borbottò corrugando la fronte mentre guardava il cacao addensarsi nel bricco. - “Avrei dovuto servirmi solo della cioccolata ed avrei dovuto farlo molto prima.”

"Muoviti Giovanna! Sei lenta!" Sentì provenire da fuori.

"Ma non credo proprio!”

“Accidenti! Adesso basta! - Spegnendo la piastra, Michiru schizzò verso la porta finestra spalancandola di colpo. - “Allora!? La facciamo finita?!”

Arrossate, sudate fradicie e con il fiato corto le due si bloccarono guardandola come se avesse appena fermato la finale dei campionati di calcio bucandone il pallone. Nuvole di vapore acqueo uscivano dalle loro bocche, mentre mani e braccia iniziavano ad essere invase dall'acido lattico. Un leggero sorriso all'indirizzo della compagna e via, tolto dalla bionda lo standby dal videogioco.

"Che c’è?”

“Haruka, non sto scherzando! Il sole è calato, avete fatto ciò che dovevate. Ora rientrate immediatamente in casa.”

“Aspetta Michi, ci manca poco.” Una garanzia mal celata da un successivo forza schiappa, sono in vantaggio io, all'indirizzo della sorella che le fece saltare i nervi.

"Haruka Tenou!” Ringhiò mentre quatta quatta Giovanna ne approfittava riprendendo a spalare.

"“Ecco! Lo vedi?!” Sottolineò platealmente indicando la sorella grufolare alacremente.

Michiru chiuse gli occhi inalando profondamente l’aria secca della sera. Non era possibile. Entravano in risonanza amplificando la reciproca competitività neanche stessero giocandosi dei soldi. Ogni volta. per qualunque cosa. E quando capitava che Haruka surclassasse Giovanna, all'altra non rimaneva che glissare facendo finta che la cosa non le importasse nulla buttandola in caciara. Com'era accaduto durante la cena del giorno precedente, quando si era sentita sfottere per l'altezza e proprio non ci era voluta stare.

“Di solito sono le sorelle maggiori ad essere più alte. Tu... che scusa hai?” Aveva sentenziato Haruka alzandosi dalla tavola per andare a riempire la brocca dell'acqua.

E quella che agli occhi tranquilli di una Michiru serena nel godersi un'altra bellissima serata era sembrata solo una frase innocente, si era trasformata in uno spaccato cabarettistico degno di un palco.

Giovanna aveva seguito la bionda fino ai pensili frapponendosi tra lei e la penisola. Le mani sulla vita, lo sguardo a scrutarne tutta la persona. “Di un po', quanto è che saresti alta? Un metro e settantacinque circa?”

Colta alla sprovvista la minore aveva annuito.

“Bene. Io sono un metro e sessanta. Dunque, questo vuol dire che ci dividono quindici centimetri, giusto?”

“Direi.

“Ottimo. Vedi, io non volevo, ma siccome sei tu che hai provocato, mi vedo costretta ad informarti che sette virgola cinque di quei centimetri sarebbero i miei. Perciò, che fai Tenou? Concili... o me li dai un po' per volta?”

Haruka era rimasta talmente spiazzata da non sapere come controbattere lasciando così il punto all'altra.

E l'andazzo era quello da tre giorni. La copiosa nevicata che stava paralizzando la parte meridionale della Svizzera, aveva creato terreno fertile per una sorta di full immersion conoscitiva che stava spingendo Michiru a pensare seriamente di aprire un asilo nido.

“Giovanna, di grazia, almeno tu! Per favore! Andatevi a fare una doccia. - Ma l’amica non avrebbe abbandonato la partita se non fosse stata la bionda a farlo per prima e così rivolgendosi alla sua donna, cercò di addolcirsi anche se stava provando forte l’impulso di tirarle il cucchiaio abbandonato nel bricco, dritto dritto in mezzo agli occhi. - Dai Ruka. Fallo per me.”

Capito che stava esagerando e notato quanto Michiru si stesse toccando il tutore che ancora le teneva ferma la spalla sinistra, finalmente si convinse a darle retta. “Ok.”

“Io però la doccia con Haru non la faccio.” Rise Giovanna prendendo un’ultima vangata di neve.

“Neanche fosse l'unico box della casa...” Concordò la bionda togliendosi lentamente lo zuccotto nero per asciugarsi la fronte.

Una folata gelida sferzò la pazienza di Kaiou. Avrebbe tanto voluto chiuderle all'addiaccio, ma grattò l'ultima azione di classe dal barile del suo vivere civile chiedendo serissima. “Allora vuol dire che la cioccolata che ho appena finito di preparare non ti interessa, Ruka.”

La compagna ci pensò guardando prima Giovanna, poi la pala ed infine il bricco fumante sul fornello che appariva languido ed invitante alle spalle della compagna. Mollò tutto e nel giro di tre secondi rientrando come un bambino alla base.

“Beh, ti fai corrompere con così poco, Tenou? Mi aspettavo di più da una top model come te. Che delusione vincere per abbandono.” Urlò Giovanna gongolando per l'ennesimo trionfo.

“Abbiamo anche la panna montata...” Le arrivò da Michiru tornata ai piano dei fornelli.

“A...., se è così!” Ed anche il secondo bambino riportato all'ordine.

“Ma che tristezza, Aulis...” Haruka già china sui fornelli con un biscotto tra le dita.

“Giovanna togliti gli stivali prima di entrare, non fare come quella zotica di tua... Ruka! Aspetta, non fare l'ingorda, ne ho fatta per tutte...”

Ed un'altra giornata di full immersion conoscitivo calava sulla casa Tenou-Kaiou, dove la vita stava trascorrendo anche così.

Quarantotto ore dopo Giovanna si girava per l'ultima volta verso le finestre del terzo piano del primo stabile del comprensorio a cortina che dava sulla valle di Bellinzona, salutando con la mano Michiru ed Haruka, prima di salire sul taxi che l'avrebbe portata alla stazione.

“Avrei potuto accompagnarla io.” Haruka aveva cercato d’imporsi, ma questa volta Michiru era stata irreprensibile.

“Amore, ti ho già chiesto la cortesia di non esagerare. Fuori fa freddo.” Ed avvertendo il disappunto dell'altra nel sonoro sbuffo che le uscì dalle labbra, cercò quegli stessi terminali addolcendone l'irritazione con un lunghissimo bacio.

 

 

Haruka strinse la mano della compagna guardandosi intorno. La magnificenza artistico architettonica unite alla storia millenaria riecheggianti Concili, crociate, scismi ed intrighi propri di quegli ambienti, era un qualcosa di unico, che spalancava gli occhi di meraviglia lasciando però anche una leggera soggezione. Avevano appena salito la rampa di una delle scale di servizio dal corrimano di porfido rosso che portava al secondo piano, ritrovandosi in un corridoio dalla voltatura a botte riccamente affrescata con motivi a grottesca e dai numerosi arazzi settecenteschi che ne impreziosivano le pareti. A terra, intarsi musivi dei più disparati marmi, componevano figure geometriche romboidali che portavano al loro interno citazioni bibliche in latino e stemmi araldici del patriziato romano. Camminavano scortate dall'ormai conosciuto segretario del Cardinal Berti, lasciando che il sole che filtrava dai vetri dei grandi finestroni del corrente, accarezzasse loro la pelle del viso scaldandolo nel tepore del tardo pomeriggio.

Michiru aveva ripreso a lavorare in pianta stabile da un paio di settimane e visto ormai il clima natalizio, Haruka l'aveva raggiunta a Roma dopo aver passato la visita di fine anno dal dottor Kurzh. Estremamente soddisfatto, l'uomo le aveva dato il permesso di viaggiare, ma per comodità, lei aveva preferito la sua auto ad altri mezzi di trasporto. Ora, dopo essere entrata nella Città del Vaticano con un pass da visitatrice ed aver conosciuto da vicino “l'amante” della sua compagna, ovvero il famoso Perugino, si stava dirigendo assieme all’altra da colui che con un'incredibile disponibilità, altruismo ed empatia, aveva contribuito a rendere possibile la sua guarigione.

Il Cardinal Berti aveva continuato a chiedere di lei e con l'avvicinarsi dell'annuale cena di Natale, aveva manifestato a Michiru la voglia di scambiare quattro chiacchiere con la donna che era definita dalla stessa dottoressa, la sua compagna. Haruka non aveva celato una leggera apprensione per un comportamento che sembrava rasentare quanto meno la stranezza, ma aveva comunque accettato, primo per ringraziarlo di persona e secondo, perchè se avesse avuto qualcosa da ridirle sull'amore tra lei e Michiru sarebbe stata in grado di rispondergli a dovere. Così pronta ad un alterco che non sapeva neanche se e come avrebbe dovuto affrontare, stava camminando al fianco dell'altra ascoltando il ritmo dei loro passi riecheggiare per quei luoghi carichi di mistero.

Appena Michiru riconobbe la porta dello studio del cardinale strinse con maggior forza la mano di Haruka, le sorrise e la lasciò per poggiarla sull'altra davanti al grembo. La bionda le fece l'occhiolino lasciando le braccia lungo i fianchi. Un leggero bussare del prelato ed il Cardinal Berti in persona venne ad aprire. Con Michiru era sempre stato così. Si scomodava di persona ed ogni volta, per darle il giusto benvenuto.

“Dottoressa Kaiou, ben venuta. Prego accomodatevi. “Disse lasciando il segretario ad altri compiti.

“Eminenza... è un piacere.” Michiru entrò nello studio seguita dall'altra, baciando poi l'anello con un leggero inchino.

“Le ho già detto che quando siamo fra noi non c'è alcun bisogno di tali formalismi. - Rise sommessamente notando l'assenza del tutore. - Vedo con piacere che la scapola sta migliorando. E le costole?”

“Vanno molto meglio Eminenza, grazie.”

L'uomo spostò allora la sua attenzione su Haruka e le sorrise. “Lei dev'essere la famosa Haruka Tenou, immagino.”

“Beh Eminenza, sulla fama avrei dei dubbi, ma si, sono proprio io.” E mentre stava per chinare la testa per portarla alla destra dell’uomo, lui le prese inaspettatamente le spalle e con vigore le diede un paio di energiche scosse.

“Santissimo cielo, quanto sei cresciuta!”

“Scusi?” Haruka lo guardò interdetta per poi cercare con gli occhi Michiru che per la verità sembrava ancora più stupita di lei.

Il prelato scoppiò a ridere questa volta in maniera più grassa e profonda lasciandola per fare un passo in dietro. Mani alla fascia cardinalizia, la osservò per qualche secondo continuando a sorridere soddisfatto. “Lo sapevo che saresti diventata alta. Il calcio non poteva essere il tuo sport. Avresti dovuto continuare con l'atletica.”

“Haruka?” Michiru non stava afferrando.

“Veramente io. Non...”

“Proprio non mi riconosci, vero? E si, come darti torto, sono passati più di vent'anni e ho due taglie in più e molti capelli in meno. Ma tu Haruka, tu sei sempre la stessa. Certo, ora sei una donna, ma lo sguardo..., NO, non è cambiato affatto da allora.”

Le due donne tornarono a guardarsi per poi vederlo andare verso la scrivania, aprire un cassetto, ed estrarne una foto.

“Questa ti aiuterà a ricordare.” E gliela porse.

Lei la guardò riconoscendo immediatamente il campo da calcio dell'oratorio della sua cittadina d'origine, il piccolo gruppo di mocciosi vestiti con la maglietta della loro squadra e nel mezzo, una lei bambina, di circa dieci anni. Un caschetto dorato, occhi grandi come il suo sorriso e dietro di lei, un giovane sacerdote dai capelli neri e dalla pelle abbronzata.

“Non posso crederci. Padre Angelo!”

 

 

Angelo Berti aveva fatto carriera da quando, non senza dolore, aveva dovuto trasferirsi in un'altra diocesi lasciando così senza la guida preziosa che era stato per cinque anni, Haruka e tutti i ragazzini della zona. Aveva visto quel piccolo diavolo biondo crescere tra le strade ed i campetti di una periferia industriale e mentalmente chiusa, decidendo quasi nell’immediato che avrebbe provato a raddrizzarne il carattere schivo e taciturno di quella bambina. Cresciuta senza un padre, all'ombra di una madre amorevole, ma per forza di cose dedita al lavoro, Haruka tendeva per carattere all'isolamento, arrivando a volte ad auto ghettizzarsi, ed essendo già la figlia di un emigrante, con genitori non sposati e per molti versi non corrispondente ai canoni delle bambine della sua età, con il crescere avrebbe anche potuto prendere strade dagli indirizzi pericolosi.

Ed il giovane sacerdote lo aveva intuito subito, sin dal loro primo incontro, avvenuto durante una delle tante zuffe che Haruka era solita portare con qualche altro ragazzino. Pietra dello scandalo; un gatto maltrattato. Angelo era intervenuto a salvare bambina e felide ancora con la valigia in mano, medicando le ferite di entrambi una volta capita la strada per la nuova parrocchia. E da quel giorno era scattata una fiducia che via via era andata consolidandosi negli anni, arrivando addirittura a farle servire messa.

“Ma io sono una femmina..., non posso fare il chierichetto.” Aveva borbottato scocciatissima una domenica d'estate strappandosi l'ennesima crosta dal ginocchio sbucciato.

“Si dice donna, non femmina. Haruka cerca d'imparare la differenza. Non sei uno dei tanti gatti randagi che porti a quella povera santa di tua madre e poi ricorda, che tra uomo e donna non c'è poi tutta questa gran differenza. Nella vita potrai fare tutto ciò che vuoi, ed arrivare dove vuoi, basterà solo che impari a tenere a freno la lingua e quei micidiali pugnetti che tieni.”

“E allora perchè le donne non possono fare le sacerdotesse?” L'ennesima domanda scottante di quel cervello avido di conoscenza.

“E' una questione teologica che non capiresti visto che da giorni non ho il piacere di vederti al catechismo. E poi smettila di giocare con quelle croste o andrà a finire che da grande avrai tutte le gambe segnate. Piuttosto, vediamo come ti sta questa tunica. Forza! Non capisco come tu faccia a crescere tanto in fretta.”

“Ma avrò caldo con sotto i vestiti!”

“Ti lamenti sempre e poi sei quella che tra tutti conosce i passaggi della funzione a memoria. Forza piccola Tenou!”

 

 

Michiru non riuscì a trattenersi dal ridere nel pugno della mano. Il chierichetto!

“Non posso credere che tu abbia servito messa Ruka.” Disse riguardando nuovamente la foto che la ritraeva bambina. Quanto poteva essere dolce da piccola.

“Ebbene si. Costretta come lo sono stata a seguire il catechismo, a fare sport di gruppo, ad andare a portare la spesa agli anziani della parrocchia, a dipingere l'interno della sacrestia...”

“Quella fu una punizione.” Interruppe con un gesto l’uomo ormai seduto tranquillamente davanti alle due donne altrettanto a loro agio.

“Già... Per cosa poi?”

“Liberasti tutti e venti i conigli che il macellaio aveva nelle gabbie del retro bottega.”

“Vero. Le botte che quella volta presi da mia madre. Con il mestolo... Quello di legno...”

Michiru non avrebbe mai creduto che la compagna fosse stata tanto scavezzacollo da bambina. Completamente diversa da lei, sempre posata, ordinata e soprattutto, obbediente.

“Non mi avevi mai parlato della tua infanzia.”

“Non facevo nulla di particolarmente diverso dalla maggior parte dei bambini e poi in verità, molte cose credo proprio di essermele dimenticate.”

“E' per questo che allora ti chiesi di tenere un diario, ma naturalmente tu non mi ascoltasti.”

"Naturalmente...” Sorrise di rimando all'uomo.

Il cardinale era contento di quello che aveva davanti. Due donne straordinarie, che si amavano, si rispettavano e si aiutavano a crescere. Anche se trasferito, per diversi anni aveva continuato a tenersi in contatto con Haruka, diventando per una bionda che cresceva in un'adolescenza sofferta, un amico più che un padre spirituale, un confidente, che si era sentito però impotente nel saperla confusa per via della sua sessualità, comprendendo come in quel piccolo spicchiò di mondo avrebbe fatto fatica nel venire accettata o semplicemente lasciata in pace. Adesso nel vedersela davanti, sentiva come quell'ormai giovane donna avesse trovato un suo equilibrio.

“Allora eri una piccola teppista...” Costatò Michiru allungando la foto all'uomo che gli rispose inarcando le sopracciglia.

“No, teppista non direi. All'inizio, quando ci siamo conosciuti, era più una ribelle, o una randagia, come amava farsi chiamare. Poi, con il passare degli anni, aveva preso ad assomigliare più ad un poliziotto di quartiere in miniatura. Sempre pronta a far rispettare le regole dell'oratorio.”

“Bè, adesso non esageriamo.” Cercò di difendersi Haruka sempre più in imbarazzo.

“Ma come, non ricordi le tante risse che tu e la tua banda di nani avevate con Franz Weber ed i ragazzini delle case a schiera della valle?”

Lei glissò un mezzo sorriso ricordando Mattias. Accorgendosene Michiru cercò di cambiare discorso. Aveva infatti saputo dalla compagna degli strani sogni deliranti fatti dorante la chemioterapia con il bambino come protagonista. Tornò a ringraziare l'uomo per la disponibilità che aveva dimostrato, ormai sapendo che era stato spinto non soltanto dalla generosità, ma anche dalla conoscenza che aveva con Haruka e la sua famiglia.

“Lo avrei fatto comunque Michiru. Non mi è costata nulla la telefonata al convento dei Cappuccini o darle un permesso per malattia, ma ammetto che il sapere che era Haruka ad avere bisogno di un trapianto, mi ha dato maggior slancio. A proposito, ora come vanno le cose?”

“Meglio. Molto meglio. L'ultimo controllo è andato bene.” Rispose la bionda non aggiungendo altro. Si era intristita nel ripercorrere alcuni tratti della sua infanzia e nel ripensare a Mattias.

“E sai anche del...” Ma il cardinale si morse la lingua non sapendo come porre la domanda.

Michiru intervenne nel toglierlo dall'ambasce, confermando che si, l'altra sapeva l'identità del donatore e che lo aveva persino incontrato.

“Ho capito e l'Architetto Aulis? Come sta?” Il tono fino a quel momento corposo come un buon vino d’annata, si fece d’un tratto acido come succo d’uva troppo giovane.

Architetto Aulis. Ad Haruka suonò strano. Se il Cardinal Berti era tanto affettuoso con lei e rispettoso nei riguardi di Michiru, continuando a darle del lei, ma riservandole un tono confidenziale, perchè tanta freddezza nei confronti di Giovanna?

“Bene Eminenza.” Rispose Michiru piatta.

“Mi fa piacere. So che ci sarà anche lei alla cena di Natale. Avrò il piacere di salutarla in quella occasione. Ora però debbo lasciarvi. Ho un incontro con un paio di ospiti stranieri tra dieci minuti. Mi ha fatto piacere ricordare il passato. - Ammise porgendo la mano ad Haruka e poi a Michiru. - Ci vedremo la prossima settimana.”

“Ci saremo.” Disse Haruka lasciando che l'uomo aprisse loro la porta e facendo passare prima Michiru, gli sorrise un'ultima volta ricevendo una pacca sulla spalla.

 

 

Era stata di pessimo umore per tutto il resto del pomeriggio e giunto il post cena lo era ancora. Seduta sul divano con un'aria corrucciata sul volto, gli occhi fissi al pavimento e le dita della mano destra a torturare un unghia della sinistra, Haruka non riusciva proprio a togliersi dalla testa tutti i ricordi che la conversazione avuta con il Cardinal Berti era riuscita a tirar fuori dalle pieghe irrigidite della sua memoria. Tutto l'opposto di quello che era accaduto a Michiru, che sembrava invece essere rimasta pervasa da una beatitudine incomprensibile.

“Eri spettacolare da piccola. Un angelo.” Esordì una volta finita di caricare la lavapiatti ed averla raggiunta nella sala da pranzo.

“Lo sono ancora...” Le rispose accogliendo le mani ancora umide dell'altra fra i capelli.

Michiru si era resa conto che qualcosa non andava e conoscendola ormai troppo bene, aveva deciso di lasciarla sbollire fino a quando non fosse stata la stessa Ruka a riavvicinarsi.

“Io non lo ero altrettanto.” Le disse con un soffiò vicinissimo ad un orecchio.

“Non è vero. Ho visto le tue foto da bambina ed eri bellissima.”

“Non intendevo dire questo.”

Tamburellando il palmo della mano sinistra sulla stoffa della seduta la invito' a sedersi sul divano e Michiru capì che la resa era stata dichiarata. Dopo ore di silenzi Hatuka era pronta al dialogo.

“Non ho mai avuto il gusto della libertà così sfacciatamente stampato sul sorriso. Lo sai, ero piuttosto controllata da mia madre o dalle tate che mi appiccicava addosso.”

“Non eri una randagia come me.” Confermò ridendoci su.

“Non mi piace. Mi sa di abbandono.” Le alzò il braccio per appoggiarsi al suo petto.

“Ma è quello che ero; abbandonata a me stessa. D'inverno tanto tanto. Tra neve, temperature basse, giornate corte e la scuola, erano veramente poche le ore che riuscivo a passare all'aperto, ma con l'estate... Tornata dal lavoro mia madre mi vedeva scomparire per pomeriggi interi e quando tornavo, due volte su tre avevo combinato qualcosa.”

Ecco, era questo che Michiru voleva intendere. Nel bene o nel male Haruka aveva avuto modo di fare esperienza, sin da piccola, mentre lei no e quando una volta cresciuta si era trovata davanti i problemi della vita vera, come la fine prematura della sua carriera di violinista, la malattia nervosa di suo padre ed il menefreghismo di sua madre, questi l'avevano investita come un treno. Lo scoprire di non essere attratta dai ragazzi, era stata l'incrinatura finale che aveva portato la sua campana di vetro a frantumarsi in mille pezzi.

“Forse se avessi fatto a botte anche io un paio di volte, avrei visto che dopo il primo atterramento non ero fatta di porcellana ed avrei affrontato i problemi dell'età adulta in maniera più diretta.”

Haruka la strinse con forza. “Oddio..., non ti ci vedo proprio a tirar pugni per la strada.”

“In verità... neanche io. - E ne cercò le labbra contraccambiando poi la stretta. - E’ per Mattias che ti sei intristita?” La sentì irrigidirsi per una frazione di secondo.

“Mmmmm.... - Mugugnò iniziando ad accarezzarle pensierosa il viso. - No, non solo. Nel parlare del passato mi sono ricordata anche del senso di inadeguatezza che quella città riusciva a provocarmi. Ho dovuto faticare parecchio per strapparmi via di dosso quell'orrenda sensazione di soffocamento che provavo ogni qual volta ero costretta a stare in mezzo alla gente. Per questo preferivo starmene per conto mio. Per questo non ho mai avuto molti amici ed è per questo che appena ho potuto, sono letteralmente scappata via e credo sia per questo che Angelo Berti, fino a quando ha potuto, ha cercato di farmi da guida.”

Si liberò dalla stretta per portare il busto in avanti ed appoggiare gli avambracci ai quadricipiti. “E poi...”

“E poi?” Chiese Michiru socchiudendo gli occhi.

“E poi non mi piace il tono freddo e totalmente impersonale che Berti usa riferendosi a Giovanna.”

“Forse è per colpa mia.” Ammise mentre la compagna scrollava le spalle per nulla convinta.

 

 

 

   
 
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