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Autore: Urban BlackWolf    27/01/2017    0 recensioni
“ Non ce la faccio...”
“ Ti prego salvala. Salva la mia Ruka....” Michiru trattenne a stento le lacrime puntando lo sguardo a terra mentre con le mani tremanti si stringeva la cornice al petto.
“ Ti prego.” E questa volta l'argine degli occhi crollò.
Il tempo in quell'appartamento di un centro città si era fermato. C'erano solo due giovani donne. Una con la fronte poggiata sul freddo acciaio di una porta, nelle orecchie i singulti composti di un pianto lacerante e un'altra, stretta all'immagine dell'ancora della sua vita, incapace di muoversi, di alzare la testa, di fare qualcosa che non fosse il piangere, aspettando solo il suono dello scatto di una serratura ed il chiudersi di una porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

La forza e i silenzi di Michiru

 

 

Guardandosi allo specchio del bagno, Haruka si snodò il cravattino scuro slacciandosi il primo bottone della camicia di seta bianca. Di rimando poteva osservarsi in tutta la sua gloriosa stanchezza, conscia però, di quanto lo smoking le donasse in maniera pazzesca, sollevata che quella serata in tiro avesse avuto fine e fosse sopravvissuta a quattro ore di supplizio, sia mangereccio che intellettuale. Tanto era durata quella farsa fatta di sorrisi forzati e silenzi imbarazzanti, mani strette a persone dallo sguardo acquoso e dall’arrivismo privo di scrupoli. Costruttori, imprenditori, professoroni dai nomi altisonanti, financo un paio di capitani d’indistria e qualche militare dalle spalline troppo dorate per essersele meritate su un campo di battaglia.

La cena di Natale in Vaticano non avrebbe potuto essere più pesante, noiosa ed impegnativa di così e le uniche due cose che le avevano alleviato quel giroscopio pompato di formalità inutili ed anacronistiche, erano state il binomio perfetto di spigliatezza intellettuale e bellezza espresse dalla sua dea e le continue prese in giro che aveva rivolto per gran parte della serata ad una, stranamente, taciturna Giovanna, che per sviare alla situazione aveva cercato di concentrarsi sugli affreschi a tema sacro presenti sulle pareti della sala. Ad un certo punto pero', arrivate alla seconda portata del secondo piatto, un brasato, le due sorelle avevano dovuto per forza di cose coalizzarsi per cercare di non prendere a testate la prima parete utile.

A parte loro tre, invitate dal Cardinal Berti in persona, gli altri commensali avevano pagato profumatamente per quella cena, sapendo che il ricavato sarebbe andato come tutti gli anni, a favore delle mense cittadine per i poveri. E quale migliore occasione per avere allo stesso tempo visibilità ed acquietarsi la coscienza con un'opera buona.

Giovanna si era sentita in imbarazzo per tutta la serata, non essendo abituata ne ai comportamenti, ne alle frasi di circostanza usate da una larga fetta dell'alta società, tantomeno al vestito da sera con annessi tacchi che per forza di cose era stata costretta ad indossare. Cosi optando per un buon silenzio non fu mai scritto, sorridendo beotamente se n’era stata attaccata alla spalla di Haruka come una piccola cozza su uno scoglio, mentre quest’ultima, non amando parlare con gente estranea, aveva fatto praticamente scena muta pur rimanendo nei canoni della cortesia e della buona educazione. Una strana coppia che aveva spesso fatto inarcare all’insù i lati delle labbra ammantate di rossetto della dottoressa Kaiou.

Grazie al cielo era stata proprio Michiru a prendere in mano le redini delle varie conversazioni, dettando i ritmi e portando gli interlocutori su terreni più famigliari per le due. Haruka aveva così potuto accennare del suo doppio ruolo di ingegnere progettista e pilota collaudatore alla Ducati e Giovanna del restauro diretto nel cortile della Pigna. Angelo Berti, che non faceva parte del loro tavolo, era passato per salutarle un paio di volte, sparendo verso la metà della serata per ricomparire accomiatandosi solo dopo la mezzanotte. Comportandosi gentilmente con tutte e tre, aveva pero' continuato a dare l'impressione, soprattutto ad Haruka, di avercela con Giovanna, riservando alla donna la solita informale freddezza.

“Sei sicura di non aver fatto qualche cazzata? Magari anche solo involontariamente?” Aveva sommessamente chiesto la bionda avvicinandosi con discrezione all’orecchio dell’altra quando erano ormai sedute attorno ad uno dei grandi tavoli rotondi della sala.

“Non credo proprio. Comunque con tutto il rispetto; ora è l'ultimo dei miei problemi. Con il freddo che fa, ho solo paura che uno dei miei capezzoli buchi la stoffa del vestito. Figurati se mi metto a pensare alle pippe mentali di un prelato!” Le aveva risposto a mezza bocca facendola sorridere nel vederla rabbrividire avendo una delle due spalle scoperte.

“Sarà per il mare di balle che gli hai dovuto imbastire per coprire Michiru. Lui non sopporta chi mente. Non lo ha mai fatto.” Aveva chiarito ricordando quanto l'uomo potesse diventare molto intollerante se, per un motivo o per un altro, si sentiva preso in giro.

“Se fosse per questo... Sai allora dove può andarsene, vero?!”

Una volta saputo della compagna cosa Giovanna aveva dovuto inventarsi per starle accanto, Tenou aveva iniziato a capire. Quello che per lei era e sarebbe rimasto sempre padre Angelo, aveva un carattere socratico ed intransigente, lento all’ira, ma alle volte anche al perdono. Con il suo comportamento, Giovanna si era scavata la fossa da sola.

“Porta pazienza. - E per stemperarne l'insofferenza, aveva strizzato un occhio aggiungendo un semplice e convintissimo - Comunque... lascia che ti dica che sei bellissima questa sera.” Trattenendosi poi dal riderle in faccia all'incandescenza apparsale sulle guance.

Giovanna aveva così chinato la testa lasciando che il lungo orecchino che portava agganciato alla cartilagine dell'orecchio sinistro le solleticasse la spalla nuda. In effetti sapeva di star bene con il suo semplice vestito da sera nero dal taglio a peplo mono spalla, ma sentirselo dire aveva tutto un altro sapore. Era il primo complimento di senso compiuto che la sorella minore le faceva.

Haruka guardò verso la porta aperta del bagno osservando Michiru in piedi ferma nella sala da pranzo armeggiare con la borsetta. Era bella da mozzare il fiato nel suo abito blu notte aderente. Le forme perfette. Sinuose. Accattivanti. Si era acconciata i capelli in modo da lasciare scoperto il collo valorizzato dal collier d’oro bianco che era solita portare in occasioni come quella. Aveva pensato a quel collo per tutta la sera, cercando di non guardarlo troppo e troppo allungo, per non cadere nella tentazione di accarezzarne la pelle e baciarne gli spazi. Che sofferenza era stata. Tantalo a confronto era sembrato alla bionda uno scolaretto nell'attesa della merenda nel primo giorno di scuola.

Estraendo dalla canottiera la catenina argentata dagli anelli d'ancoraggio di fattura marinaresca dove portava la fede di fidanzamento, la guardò penzolare ricordando quando mesi addietro aveva dovuto sfilarsela dal dito perchè ormai con l'anulare smagrito rischiava di perdersela. Slacciando la chiusura lasciò che le cadesse nel palmo della mano sinistra. Era ora di farla tornare al posto al quale apparteneva.

Michiru entrò nel bagno sorridendo. “Cosa stai facendo?” Le chiese non notando la fede stretta nel suo pugno.

Non avendo risposte iniziò a sfilarle il cravattino di seta piegandolo con cura e poggiandolo sul bordo del lavandino. “Lo smoking ti sta benissimo. Ho dovuto fare uno sforzo immane per non saltarti al collo.” Disse ridendo prendendole il polso destro ed iniziando a slacciarle i gemelli.

L'altra alzò gli occhi al cielo respirando pesantemente sapendo di aver avuto lo stesso istinto per tutta la serata.

“Te lo immagini? Che scena sarebbe stata e che scandalo davanti a mezza curia.” Fantasticò puntando sul viso di Haruka il cobalto degli occhi.

La bionda sogghignò avvertendo le dita accarezzarle lentamente la pelle. “Non credere... In quel nido di serpi avremmo innescato in molti ogni sorta di perversione.”

“Lo penso anch’io.” Ammise ripetendo l'operazione anche sul polso sinistro iniziando poi a toccarle lieve l'avambraccio con i polpastrelli. Lentamente.

”Mi piace da matti quando mi spogli così.”

”Lo so...”

“Cosa sta cercando di ottenere dottoressa Kaiou?”

“Pensavo fosse chiaro... Stò cercando di sedurla, ingegnere.” Passò quindi alle asole dei bottoni slacciandole una ad una.

“A... Mi era sembrato, ma volevo esserne sicura.” La bionda sentì la camicia scivolarle lungo le braccia.

“Ma prima che ci si spinga oltre, vorrei che mi aiutasse con questa.” Aprì il pugno rivolgendo il palmo verso l'alto. Michiru guardò la fede sorridendo e prendendola gliela infilò delicatamente all'anulare sinistro baciandole la mano.

Calzava perfettamente. Le dita di Haruka, come tutto il resto del corpo, avevano ripreso la forza e l'energia di una volta.

“Ora si.” Disse sfiorando il viso della sua dea.

“Adesso mi aiuterebbe lei, mio bel cavaliere? Non riesco proprio a slacciarmi il vestito.” Si girò mostrandole la schiena.

“Accidenti dottoressa. Vediamo un po' come porre rimedio a questo spiacevolissimo inconveniente.” E la bionda lasciò che la chiusura della lampo scendesse implacabile verso il basso.

 

 

Michiru si mosse di scatto cercando di sciogliersi dalla stretta di Haruka. Svegliandosi di colpo, l'altra allentò la presa alla vita e dopo l'ennesimo lieve gemito catturato nel silenzio della notte spostò definitivamente la mano alzandola a mezza altezza nel buio. Voltò allora il busto verso il comodino accendendo con la stessa la luce e tirandosi sull’avambraccio, scansò una ciocca di capelli da quel volto leggermente contrito.

“Michi, svegliati.” Disse scuotendola dolcemente.

Non era la prima volta che in quei quattro anni Michiru aveva degli incubi, ma erano mesi che non si presentavano più a falciarle il riposo notturno e speravano entrambe che si fossero estinti. Ed invece si erano sbagliate e di grosso. L'ennesimo gemito ed Haruka intervenne con maggior decisione riuscendo a svegliarla.

“Amore... Ci sei...?” Chiese notando con dolore che all'aprirsi delle palpebre, una leggera lacrima stava scivolando lungo la piega del naso.

Costatando che il respiro affannoso non accennava a rallentare, le baciò la fronte raccogliendo la lacrima con il pollice. - Sssss.... E' solo un incubo. Non permettergli di farti altro male. - Suggerì intuendo il soggetto di quel malessere; il padre.

L'altra non parlò, continuando solamente a respirare cercando di calmarne gli spasmi e di conseguenza il cuore. Non poteva essere! Era realmente convinta che questa volta fosse riuscita a superare la cosa. Era mai possibile che anche a distanza di lustri, continuasse a ripercorrere inconsciamente quel periodo della vita che aveva visto emergere il bipolarismo paterno a danno della serenità della sua famiglia? Intere ore di psicoanalisi gettate dalla finestra! Rimanendo sempre immobile sul fianco, allungò la mano per accarezzare la testa di Haruka semi distesa dietro di lei e chiudendo nuovamente gli occhi tornò a dormire. La bionda la vegliò fino a quando non cadde addormentata accanto a lei.

 

 

Non credevo che accadesse di nuovo.” Gli disse guardandolo palleggiare agilmente a piedi nudi sulla riva del lago.

Purtroppo sono ferite profonde, Haru. Tu per prima dovresti saperlo. Lei somatizza nei sogni. Tu lo fai accelerando in groppa ad una moto cercando di fuggire dal ricordo delle menzogne di tuo padre. Ognuna si difende come può.” Con un rapido movimento della gamba Mattias bloccò il pallone sotto la pianta del piede sinistro.

Erano sempre li, nei pressi di quel lago a lei sconosciuto, immersi in una natura rigogliosa e rilassante. Haruka guardò il ragazzino, poi i sassolini variopinti che affioravano dall'acqua e poi il cielo limpido dalla luce stranamente innaturale.

Ma si può sapere dove siamo?” Chiese non avendo la risposta giusta.

Se quando ti parlavo avessi prestato attenzione, ora lo sapresti.”

Un gesto di stizza e lei fece dietro front pronta ad andarsene. Sul dove, era un'altra storia.

Mattias, non ho tempo da perdere con il sentirmi in colpa per tutte le volte che ho pensato agli affari miei invece che ai tuoi. Ora vorrei solo sapere come aiutare la mia Michiru.”

Restale accanto. Questo basterà.” Disse vedendola voltarsi.

Tutto qui?! Restarle accanto? Cosa credi abbia cercato di fare in questi anni?!”

Per qualche istante il ragazzino sembrò risentirsi, poi tornando a sorriderle ribadì il concetto. - Su questo fronte, Michiru è molto più forte di te. Le basta la tua presenza. - Ma lei aveva già preso la via del declivio per tornare sulla strada sterrata.

Ci passavo le vacanze estive qui. Questo è il lago Tornow.” Le disse ad alta voce richiamandola.

Haruka allora si fermò voltandosi. “Come?” Ma lui non c'era più.

Al suo posto, leggermente più distante, accanto all'inizio degli alberi, stava un uomo dagli occhi scuri e dai capelli del medesimo colore, anche se leggermente spolverati da un inizio di grigio, dalla corporatura non imponente, ossatura piccola, vestito con un completo dozzinale. La guardava con uno sguardo carico di vergogna mista a rimpianto. In quel mondo diventato improvvisamente livido e freddo, Haruka corrugò la fronte cercando di identificarlo. Provò un brivido lungo la schiena avvertendo una leggera corrente gelida formicolarle tutt'attorno.

Lo riconobbe. Non poteva non farlo. “Anche tu qui!” Disse quasi con disgusto, perchè quello spazio era riservato solamente a lei ed al suo piccolo amico e lui non era degno d’intromettersi, ne di guardarla in quel modo.

 

 

Michiru spense il gas poggiando entrambe le mani sul ripiano metallico davanti a lei. Ci si spinse contro con forza abbassando la testa per scuoterla lentamente mentre l’odore del caffè appena uscito dalla macchinetta le invadeva le narici. Non riusciva a crederci, ma quell'incubo era tornato a torturarla. Da quando Haruka si era ammalata non lo aveva più fatto ed era convinta di essersene liberata. Invece era ancora li, in lei, pronto vigliaccamente a lacerarle il sonno, così come il soggetto di quelle immagini confuse le aveva lacerato la carne quando era ragazza. Sbattè con forza i palmi continuando a scuotere la testa. Non erano mai state vere e proprie visioni oniriche, ma piuttosto flash incongruenti e sensazioni di un passato che l'aveva vista inerme davanti ad una malattia faticosa da gestire perché non ancora coadiuvata con farmaci di ultima generazione. E quello che le faceva più male non era il ricordo delle ferite inflitte, no, quelle erano guarite in fretta, anche se le avevano lasciato piccoli segni biancastri nella parte inferiore della schiena ed una carriera da violinista spezzata sul nascere. Il dolore che sentiva scheggiante nell’anima proveniva dal fatto che amasse suo padre, allora come ora, ed il sapere che per lui la sua unica figlia era sempre stata il sole e la luna.

Nei momenti di lucidità era l'uomo straordinario di sempre; corretto, amorevole, capace, degno di fiducia, di amore e rispetto. Tutto l'opposto di quando la violenza prendeva il sopravvento e nel suo delirio paranoie fatto d’immagini e suoni completamente snodati dalla realtà, si scatenava contro qualunque cosa, fosse anche il suo stesso corpo o quello di un membro della sua famiglia. Lei e la madre avevano vissuto così per anni, in bilico, ogni giorno senza sapere cosa sarebbe accaduto nei cinque minuti successivi, uno stillicidio nervoso fagocitante, fino all'ineluttabilità di un suicidio.

Oh pappà..., quanto mi manchi. Si sentì stringere dalle braccia di Haruka abbandonandosi nel suo petto.

“Non ti ho sentita entrare.”

“Sei qui con me?”

Kaiou sorrise tristemente sfiorandole la guancia con il dorso della mano. “Dove dovrei essere?”

“Ti sento distante quando ti succede.” La bionda continuò a tenerla stretta appoggiandole il mento nell'incavo del collo.

“Non lo faccio apposta.”

“Lo so. Non era una critica.”

“Scusa, questa notte non volevo svegliarti, ne scostarmi dal tuo abbraccio.”

“Non scusarti. Lo hai sognato nuovamente?”

Michiru si lasciò scappare un sospiro arpionandole gli avambracci. “Credevo fosse finita. Mi sbagliavo.”

“Ci sbagliavamo entranbe, Michi. Cosa pensi di fare ora? Vuoi riprendere con le sedute di psicoterapia?”

Si sciolse bruscamente dall'abbraccio iniziando a versare il caffè. “Non mi sembra siano servite a molto. Non ho più intenzione di parlare di questa storia con un estraneo, ne tanto meno prendere qualche porcheria per rilassare i nervi. Se la mia mente vuole riprendere a massacrarmi l’esistenza, beh... questa volta glielo lascerò fare senza oppormi.”

“Ma Michiru, non è un discorso da persona mat...”

“No Haruka, basta. Ho chiuso. Non intendo più continuare a dare importanza alla cosa. Cos'è che mi hai detto questa notte? E' solo un incubo. Non permettergli di farti altro male. E' un eccellente consiglio sai?! Voglio metterlo in pratica.” Disse gelida nelle parole, come nei movimenti che stava compiendo mentre prendeva la zuccheriera.

Su questo fronte Michiru è molto più forte di te, le parole di Mattias a riecheggiarle nella testa. “Ma non sarà peggio? Io vorrei che ne parlassi con qualcuno.

“Lo sto facendo!”

“Michiru... Io non sono uno psicoterapeuta e per quanto ti ami, l’unica cosa che posso fare è starti vicina.”

“È tutto quello del quale ho bisogno.”

“Non credo e scappare da questa situazione non servirà a guarire.”

“E se lo facessi? Se per una volta... - Si voltò mostrandole l’indice per ribadire il concetto. - ..., una sola volta scappassi anch’io? Cosa pensi potrebbe succedere, sentiamo?

“Non lo so Michiru.”

“Te lo dico io; NULLA! Negli anni ho imparato a gestire la cosa e se proprio non si riesce ad estirparla dal mio subconscio, allora vorrà dire che ci convivrò. Stai tranquilla e non fare quella faccia. Non arriverò al suicidio solo per qualche notte insonne. È un'opzione che non ho mai contemplato in vita mia. Mai! Neanche nei momenti peggiori. La depressione cronica non è propria del mio carattere, lo sai bene.”

L'altra rabbrividì stringendo le labbra. Quando Michiru si dimostrava tanto determinata, era inutile insistere. Aveva deciso e lei sarebbe stata dalla sua parte comunque. Come sempre, anche se questa volta non condivideva quella che se pur per stanchezza, si stava dimostrando una fuga.

“Come credi, Michiru. Ma io sono qui, lo sai.”

“Certo che lo so amor mio e ti ringrazio. Piuttosto tu. Cos'hai sognato che ti agitavi tanto?” Le chiese sviando nel porgerle una tazzina già zuccherata.

“Mmmm...” Tergiversò sorseggiando il caffè.

“Allora?” Incalzò allargando un sorriso.

“Vedi Michi... Credo.. che non sognero' piu' il mio piccolo amico. Come credo che... Credo che Sebastiano sia morto.”

 

 

Il telefonino di Giovanna iniziò a suonare verso le 7-30. Si decise ad uscire dalle lenzuola per rispondere, intorno alle 8. Haruka le inveì contro fino alle 8-10, per poi farsi aprire la porta e piombarle in casa alle 8-15.

“Ma che cazzo ce l'hai a fare il cellulare, Giovanna?!” Ringhiò entrando nell'appartamento come un'ossessa. L'altra richiuse la porta roteando gli occhi. Da quando quelle due donne erano entrate nella sua vita non c'era più stato un attimo di pace. Prima di allora durante la notte, il cellulare non aveva neanche l'abitudine di tenerlo acceso. Ora, ogni volta che squillava aveva il sacro terrore che fosse successo qualcosa.

“Comunque... buongiorno anche a te.” E richiuse. Un grugnito di risposta è tutto ciò che ottenne.

“Ce l'hai un caffè da offrirmi che devo parlarti?”

“Si... certo. Appena fatto. Potrei andare a fare una capatina in bagno prima?” Un'occhiataccia e rinunciò a qualsiasi tipo di bisogno fisiologico. Anche questa era Haruka; la sua bellissima e fichissima sorellina spacca culi che a volte avrebbe tanto voluto pestare dentro un mortaio. Come in quel frangente.

“Ok, visto che al gabinetto non mi è concesso andare, spara subito quello che hai da dirmi. Che cos'è che avrei fatto questa volta, sentiamo.” Inquisì vinta mentre le faceva strada all’interno della cucina.

“Nulla.” Si sedette senza complimenti al tavolo osservandola tirar via dai fuochi la piccola Bialetti da due che, come single, era solita usare tutta per se.

“Ottimo, perchè da come mi hai divorata al telefono ero convinta di aver fatto qualche incommensurabile casino. Come mi fa piacere vedere che ti senti a tuo agio in casa mia, anche se non mi è ancora chiaro come tu ne conosca l'indirizzo.”

Haruka alzò la testa fissandole la schiena. Colta sul vivo si schiarì la voce e grattandosi la testa le chiese scusa per averla tirata giù dal letto di domenica. “Il tuo indirizzo lo so perchè a vent'anni sono venuta a Roma e ti ho fatto la posta sotto casa. Ecco tutto.”

Voltandosi lentamente l’altra sgranò gli occhi. “Cos'è che avresti fatto a vent'anni?”

“Come... Michiru non te l'ha detto?” Chiese alzando le sopracciglia e nel sentirla negare si scusò anche per quello.

“Mi ha accennato qualcosa su un tuo viaggio a Roma, ma non e' scesa nei particolari. Beh, dopo tutto è una cosa carina. - Tornò ad armeggiare con il caffè. - Un tantino da stalker, ma... carina.”

Dopo quella confessione scese il silenzio e per la prima volta Giovanna lasciò che pervadesse tutto lo spazio. Non fece nulla per impedirlo, attendendo. Poi una volta preparato tutto, si voltò nuovamente costatando con inedita consapevolezza quanto Haruka fosse molto agitata. Non riusciva a tenere una gamba ferma, un movimento tarantolato del polpaccio che si rifletteva per gran parte dell’arto.

“Generalmente è Michiru a farmi esplodere le granate in faccia e quando lo fa è composta e posata. Tutto questo movimento mi sta mettendo ansia. Sta un po' ferma e dimmi che succede.”

Allora la più giovane si bloccò fissandola negli occhi, poi disse tutto d’un fiato. “Credo che nostro padre abbia stirato le zampe.”

Giovanna contraccambiò quello sguardo sentendo il cervello velocizzare i suoi processi cognitivi. Già il fatto di sentire nostro ancora le faceva vacillare il cuore, perchè non si era del tutto abituata ad avere una sorella, poi la parola padre, un mondo di sentimenti contrastanti, infine stirare le zampe, ovvero morte, dove una serie di domande le si aprivano a raggiera sulla punta della lingua.

“Tenou... tu non lanci granate, tu usi un vero e proprio mitra d'assalto.” Ammise serissima stupendosi di come in una frase ci fossero racchiuse tante cose.

La bionda aprì le braccia ed alzando le spalle iniziò col cercare di spiegarle com'era arrivata a quella fantascientifica deduzione ed una volta finito, la guardò sedersi dopo aver poggiato sul tavolo un vassoio contenente tazzine, cucchiai e zucchero. “Lo sapresti da un... sogno?”

“Non è proprio un sogno. In realtà... In realtà non so neanche io cosa sia, ma ti posso assicurare che quello che mi viene detto è attendibile.”

“E ti sarebbe stato detto che Sebastiano è morto?” Chiese iniziando a bere la sua dose di caffeina quotidiana.

“In verità... no. E' solo che l'ho visto là, dove vedo...” Come poteva spiegarle? Con Michiru era stato tutto più semplice. Lei sapeva di Mattias e degli strani sogni che ogni tanto faceva su di lui.

“Va bene Haru. Lasciamo stare la fonte e concentriamoci sul contenuto. Che dovremmo fare ora?”

“Se fosse vero, voglio andare dov'è sepolto. E vorrei che tu venissi con me.”

“Non se ne parla! - Alzandosi di scatto andò verso il lavandino mettendosi a lavare un paio di piatti dimenticati la sera precedente. - Ti dico quello che già dissi a Michiru la prima volta che mi parlò di te; per quanto mi riguarda quell’individuo può stare a marcire anche dentro a un fosso. Non provo pena per lui e ti confesso che da quando ho saputo cosa ti ha fatto credere su di me per tutti questi anni, stò facendo un enorme sforzo cristiano per non maledirlo ogni volta che ti ho davanti agli occhi.”

Nel dirlo cercò di stare calma. Di razionalizzare. Era la prima volta che affrontavano quel discorso e come aveva ipotizzato più volte, quella conversazione non sarebbe stata ne piacevole, ne indolore.

Ed infatti Haruka iniziò subito entrando in scivolata con il piede a martello. “Aulis, ascoltami. Quello che mi ha fatto credere è una cosa che riguarda solo me. È chiaro?!”

Chiudendo di colpo l’acqua Giovanna le si fece sotto. “E no cazzo! Ti stoppo subito, cara! Fino a prova contraria riguarda anche me, anzi, visto che da stronza ci sarei passata io, l’essere parte lesa spetta anche alla sottoscritta.”

“È questo che ti interessa?! Avere l’ennesimo punto?!”

Respirando pesantemente la maggiore abbassò i toni. “Ma no... - Tornando a sedersi si decise ad affrontare la cosa ed asciugandosi le mani sui pantaloni della tuta, strinse la sua tazzina tra i palmi sentendosi scorata. - Tu non ci pensi mai?”

“È un’ovvietà.”

“Può darsi, ma non venirmi a dire che da quando ti ha detto di me, non ti sei mai fatta delle domande.”

Gli occhi della bionda si fecero improvvisamente duri. “Intendi oltre a chiedermi del perché mia sorella maggiore mi odiasse pur non avendole fatto nulla?”

Sbattendo la piccola ceramica sul piano del tavolo Giovanna si stizzì. “E che cavolo, Tenou!”

“Lo vuoi un rapporto onesto oppure no?! Dovrei indorarti una pillola che tu per prima stai dicendo essere amara?”

“Ora sei tu ad essere ovvia.”

“E allora andiamo avanti. Cosa credi che nel vedere due sorelle camminare fianco a fianco lungo una strada o ridere sedute al tavolino di un bar, non mi sia mai chiesta come sarebbe stato crescere insieme?” Haruka sospirò. Non era più sola a gestire quella cosa e la maggiore aveva tutto il diritto di fare domande e di sapere come si fosse sentita lei in tutti quegli anni.

“Non avremo mai la riprova su nulla. Anni, ricordi, esperienze, Nulla. Vuoi la verità? Mi sono sentita sola. Mi sono sentita ferita, da lui e da te, che a suo dire eri arrivata ad odiarmi. Mi sono colpevolizzata per un’infinità di tempo. Da quando so di avere una sorella mi sei sempre mancata, ogni giorno e visto che non potevo farci nulla, per autodifesa sono arrivata ad anestetizzarmi pur di non soffrirci più e se non fosse stato per un caso e la testardaggine della mia donna, per portare avanti la mia scelta mi sarei fottuta la vita. - La guardò, gli occhi chiari di Giovanna una pozza dolente che non avrebbe mai voluto vedere. - Ora però le cose sono cambiate... Ora posso dire con matematica certezza che se mi avessi portato rancore non mi avresti dato un pezzo di te. Abbiamo perso tanto, ma NON abbiamo perso tutto.”

“Trentacinque anni..., sono troppi Haruka.” E le venne un groppo in gola nel sottolinearlo.

“Credimi, so contare anch’io...

“E questa cosa non ti fa incazzare?!”

“Da morire, ma non gliela voglio dare anche questa soddisfazione. Non dobbiamo più recriminare su quello che non è stato. Ci avveleneremmo il sangue facendo solo il gioco di un uomo fuori di testa. Cerchiamo invece di pensare che le donne di oggi, siano anche il frutto della menzogna colossale di un padre verso le sue figlie.”

L'altra ci pensò su. Tutta quella logicità, anomala per un carattere poco riflessivo come quello della sorella, evidenziava quanto quel disagio l’avesse maturata. Riconobbe in quelle parole anche molto di Michiru. “Ora parli proprio come la tua donna.”

“Già, ma tienitelo per te o mi darà il tormento. - Sporgendosi in avanti le strinse un braccio. - Ho bisogno di trovarlo, Giovanna.”

“Vivo o morto non voglio vederlo mai più . Già lo faccio ogni volta che mi guardo in uno specchio.”

Preoccupata per la compagna ed ormai logorata da una storia che si era dilungata per troppi anni, alla bionda non rimase che sparare l’ultima mitragliata, quella che l’avrebbe portata ad esporsi e che sarebbe entrata più in profondità di tutte. “Se ti dicessi... Se ti confessassi che in questo frangente non posso rivolgermi a Michiru e che non mi sento di fare questa cosa da sola?”

“Dici sul serio?”

“Si Aulis, dico sul serio.”

Gli occhi smeraldo puntati contro. “Stai giocando sporco!”

“Lo so. Allora... ci stai?” Chiese arretrando fino allo schienale della sedia sorridendole nuovamente guascona come solo lei sapeva fare.

“Ho altra scelta?!” E la bionda scosse la testa.

“Che te lo chiedo a fare poi. Hai idea di come iniziare questa ricerca? Un luogo, un indirizzo, un nome.”

“Forse si. Dai, vestiti. Michiru vorrebbe averti a casa per pranzo.“

“Ok, vado a farmi una doccia. Faccio subito. - Disse alzandosi. - E... Haru, se mai dovessimo trovare qualcosa, niente momenti catartici, intesi?!”

“"Non sono tipo da baci e abbracci, ormai dovresti averlo capito. In questa storia sei tu l'appiccicosa mia cara Giovanna..."

 

 

“Il lago di Tarnot. Sei sicura di aver capito bene, Ruka?” Michiru si arrotolo' una ciocca di capelli sull’indice non trovando alcun risultato.

“Boh, così credevo. Non mi ricordo cosa ho mangiato ieri a cena, figuriamoci questo! Potrebbe anche essere il nome di un personaggio del Signore degli anelli per quel che ne so.” Disse delusa.

È un problema tuo, pensò Giovanna insofferente.

Erano venti minuti che stavano tutte e tre davanti al portatile sperando di ricavare qualche informazione utile, ma quella che Haruka aveva dipinto come essere una formidabile intuizione, sommando indizi come il lago che vedeva sempre nei suoi sogni con Mattias, il bambino e la comparsa improvvisa di Sebastiano, si stava rivelando un colossale buco nell'acqua.

“Basta, ci rinuncio. E' un'idiozia.” Si alzò dal divano vogliosa di una birra.

Aveva sentito quel nome una mezza volta perdendolo nel risveglio. Era un miracolo che riuscisse a ricordarsi tre o quattro lettere.

“Ti arrendi già?” Pungolò Michiru non staccando gli occhi dal monitor che teneva sulle gambe.

Seduta sul bracciolo del divano, Giovanna guardò la connessione sul suo cellulare continuando a notare quanto l'amica fosse cupa. Michiru aveva una strana luce dolorosa negli occhi.

Tutto bene?” Le aveva chiesto durante il pranzo notandone le occhiaie e lei aveva annuito non convincendola affatto.

“Sentite, andiamo a monte. Vediamo i laghi della Germania che hanno un nome simile a Tarnot.” Propose Haruka versandosi e portando il bicchiere di chiara alle labbra.

La compagna la fulminò e lei fece finta di nulla alzando leggermente le spalle. Passi che stava meglio, che Kurzh le aveva dato il nulla osta per tornare a vivere, cautamente, una vita piena, ma ingurgitare birra solo per sete a Michiru proprio non stava bene.

“Lo sto già facendo e quello che ho trovato è un piccolo lago nella Ruppiner Schweiz, nello stato di Brandeburgo, dal nome Tornow.” Disse Giovanna e la sorella schioccò le dita.

“Si, quello! Michi cerca delle immagini per favore, così vediamo se lo riconosco.”

“Certo che con i nomi, Ruka mia...” Sfottè scuotendo la testa.

Ed in effetti quel piccolo laghetto situato nel nord est della Germania corrispondeva a quel poco che la bionda ricordava di aver visto nei suoi sogni. Il pontile, i sassolini colorati del bagnasciuga, le darsene. Iniziarono così ad identificare i vari cimiteri del luogo e da li, i siti internet che riportavano le liste delle sepolture. In Italia questa ricerca sarebbe risultata infruttuosa, perchè di recente era stata emanata una legge sulla privacy che impediva di cercare on line questi dettagli. Ma nel paese teutonico...

“Santo cielo... eccolo!” Esclamò Michiru dopo aver tentato in uno dei tre della zona.

Mostrando lo schermo alle altre due indicò con l'indice un nome ed una data.

“Porca miseria... C'è davvero.” Disse Giovanna leggendo il nome di Sebastiano Aulis scritto in grassetto.

 

 

Giovanna aveva accolto la notizia quasi senza battere ciglio, perchè in fin dei conti si era sempre considerata e sentita un'orfana. Quella che invece sembrava aver accusato il colpo era stata Haruka, la quale per sua stessa ammissione, aveva trovato in quei pochi anni di riunione con Sebastiano, il padre che le era mancato da bambina. Si, era stato un bastardo su vari fronti e si, lei per prima aveva voluto allontanarsene condannandolo, ma volente o meno lo aveva amato, arrivando addirittura a ponderare sul fatto che la menzogna che le aveva detto su Giovanna potesse essere il frutto della paura di trovarsi giudicato.

Naturalmente la maggiore le aveva dato della deficiente chiudendo la questione. “Haru, tu scusalo se vuoi, ma per me resta solo un disgraziato svalvolato che ha fatto soffrire mia sorella. Ti accompagnerò sulla sua tomba, perchè a differenza sua IO tendo ad onorare gli impegni presi con le persone alle quali voglio bene, ma non pretendere che gli porti anche un fiore adornato del mio rispetto, perchè proprio non riesco.” E se n'era ritornata a casa dopo aver salutato Michiru, non rendendosi minimamente conto di essersi tanto esposta.

Arrivata la sera Haruka, che di tutto quell’accorato comportamento aveva voluto afferrare ben poco, gettò lo spazzolino nel bicchiere dando una manata al bordo del lavandino. “Ma perché non mi capisce!?” Chiese stizzita all'indirizzo di una Michiru comodamente seduta sul bordo della vasca intenta a spalmarsi un po' di olio sulle gambe.

“Cosa dovrebbe capire?! Il fatto che tu lo stia difendendo o che ti sia commossa nel sapere della sua morte?” Domandò di rimando ricordando la mascella serrata e gli occhi leggermente lucidi intravisti sul viso della sua donna mentre leggeva il nome del padre sullo schermo.

“Non lo sto difendendo! E ormai come hai detto, è morto." Scattò come un aspide pronto allo scontro.

Certo che lo stava difendendo, ma non l'avrebbe mai giudicata per questo, anzi, anche se aberrato era un comportamento umanissimo. Haruka era un animo nobile e buono che tendeva suo malgrado ad affezionarsi alle persone. Quei pochi anni nei quali aveva visto sporadicamente il padre le avevano comunque dato tanto, ed anche se delusa, non era riuscita a cancellare del tutto quei ricordi dal suo cuore. Così alzandosi Michiru invece d'intimorirsi per quei due smeraldi infuocati, l'abbracciò teneramente serrandole le dita della mano destra al collo. Consapevole che anche quella storia le stava legando, Haruka contraccambiò la stretta sentendosi stremata.

“Non c'è nessuno che possa capirti meglio di me Ruka. Quando mio padre decise di farla finita mi sentii delusa e tradita come te. Mi manca ogni giorno e anche se sono due uomini completamente diversi, credo che l'amore ci legherà sempre al loro ricordo.”

“Accidenti, non credevo che sapere della sua morte mi avrebbe stravolta tanto.” Soffiò.

“Vuoi piangere?”

Michiru la sentì baciarle la pelle del mento per poi tornare a guardarla con una luce totalmente diversa. “Assolutamente no.” E si grattò la testa sorridendo beffarda.

Uscite dal bagno per infilarsi sotto le lenzuola, Haruka continuò a manifestare il suo disappunto verso l’acredine della sorella. “Trovo che sia comunque troppo definitiva con lui. È vero, lei non ha avuto un padre, ma a me è andata anche peggio.”

“Non è una gara.”

“Lo so. Ma certe volte Giovanna fa di tutto per mandarmi ai matti.

L'altra sorrise sistemando meglio le lenzuola. “È più facile di quel che pensi.”

“In che senso...”

“Nel senso che reagisce così per rabbia ed io la capisco benissimo. Giovanna ha ragione; il tempo che avete perso è un’infinità. Anch’io trovo che tutto questo sia illogico e crudele.”

“Ma la vita va avanti, Michi, l’ho detto a lei e lo ripeto a te. Rimuginarci sopra non serve a restituirci gli anni persi.”

“Lo credi davvero?”

“Devo! - Guardando il soffitto alzò un poco le spalle ammettendo che l’idea di non poter considerare Giovanna una sorella, l’aveva accompagnata per anni. - Io ho avuto tempo per abituarmi all’idea di non essere l’unica figlia di Sebastiano, invece per lei è tutto nuovo. Tutto più difficile. Quasi violento.”

“Prova a darle il tempo di elaborare la cosa. Recupererete vedrai.”

“Questa volta credo tu la veda in maniera troppo romantica.” Disse lasciandosi cadere pesantemente sul cuscino. Avvertì il braccio dell'altra cingerle la vita ed il suo viso sulla spalla.

“Penso che il vostro legame sia già più forte del tempo perso e che nonostante non siate cresciute insieme, vi capiate già molto bene.”

Michiru non vide il suo viso, ma avvertì chiaramente i muscoli del tronco irrigidirsi ed il respiro fermarsi per una frazione di secondo. “Non sono stupida, Michiru. Lo so che avete entrambe ragione. Ho realmente perdonato Sebastiano per avermi mentito e ho perdonato me stessa per assermi colpevolizzata per anni. Ma a differenza vostra, non posso soffermarmi troppo a pensare che tutto questo ci abbia rubato una vita insieme. Mi è insopportabile, lo capisci?”

“Lo sapevo già e ti ripeto amore mio; il vostro legame è già più forte del tempo che Sebastiano vi ha rubato.” E chiedendole di spegnere la luce chiuse gli occhi sperando di riuscire a riposare un pò.”

“Mmmm.... Mi sa che mi sono fatta fregare da un'altra donna.”

“Credo proprio di si amore. Buonanotte.”

 

 

 

 

Note dell'autrice: salve a tutti. Credevo che questo sarebbe stato il capitolo finale di questa prima storia, ma è andato un po' per conto suo. Come al solito.

Devo fare le mie più sincere scuse a Michiru, perchè anche se vorrei averla coccolata di più, si ritrova ad avere sul cuore un fardello davvero molto pesante proprio verso la fine, dove ho dovuto per forza di cose concentrare l'attenzione più su Haruka. Mi farò perdonare dedicandole qualcosa di speciale, magari una storia, la sua storia. Almeno come la vedo io.

Ps Tutti i luoghi dove ho ambientato questo racconto esistono davvero ed anche se alcuni non li ho mai visti di persona... credo siano veramente posti bellissimi.

Ps 2 Mi sono concessa una licenza: un buon silenzio non fu mai scritto. Lo usavano i miei nonni quando volezzano dire "taci e fai piu' bella figura".

A proposito... oggi è il 27 gennaio: Auguri Haru!

 

   
 
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