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Autore: Zappa    26/01/2017    4 recensioni
Tutti hanno la loro versione su come sia e come si comporti Vegeta.
Pochi hanno osato deriderlo e prenderlo in giro: ora è giunto il momento.
Vi proporrò una serie qualità di Vegeta e vi spiegherò il perché di quelle qualità.
Lettura sconsigliata alle persone serie e a tutti quelli che mi conoscono.
I personaggi presentati e le citazioni cui faccio riferimento non mi appartengono e non ne detengo alcun diritto.
# 1. Egocentrico
# 2. Sensibile
# 3. Innamorato
# 4. Ponderato
# 5. Tecnologico
# 6. Filosofo
# 7. Esasperante
# 8. Tata
# 9. Imperatore
# 10. Strano
# 11. Destinato
# 12. Casalingo - Fanfiction vincitrice del primo posto al contest “Piangere è difficile, ma ridere lo è ancora di più: il contest della risata” indetto da eleCorti sul forum di Efp
# 13. Festaiolo
# 14. Cupido
# 15. Coinquilino
# 16. Neopatentato
# 17. Genitore
Genere: Comico, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, Nonsense, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Se c’era una cosa che Bulma aveva imparato negli anni, era che Vegeta era anormale. Particolare, bizzarro, anticonformista, eccentrico. In una parola scientifica: strano.

E lo notava in tante cose, anche le più piccole. I calzini, per esempio.

Si sa, di solito la gente normale ha un cassetto apposito dove conserva i calzini. Grandi, lunghi, corti, da ginnastica, e per le signore, magari, ci stanno pure le calze e i fantasmini per i tacchi.

Vegeta non aveva un cassetto dei calzini normale. O meglio, non ci teneva calzini.

La prima volta che Bulma aprì il comodino, dalla parte del letto dove dormiva Vegeta, per poco non saltò sul soffitto dallo spavento. Vegeta conservava nel cassetto dei cimeli vari di battute di caccia.

Avete presente quando il gatto, dopo essere andato a caccia tra una mangiata di croccantini e l’altra, vi porta sull’uscio di casa la testa di un corvo o il corpo senza vita di un topino appena catturato, costringendovi a buttare in varechina il tappeto dove ha strapazzato il corpo della povera vittima, e a, praticamente, smontare l’ingresso di casa per estirpare le piume sparpagliate?

Ecco.

Nel cassetto, Bulma, infatti, aveva ritrovato, in questo ordine: due paia di denti di sconosciuta provenienza, la zampa di un orso, il cuore di un pollo, una ciocca di capelli di Goku, tre sassi, una ciabatta, la coda di un cavallo, il piede del fantino che guidava il cavallo, un orecchio di Junior, una rana essiccata, un paio delle sue mutandine – ok, questo andava anche bene – un polmone ancora funzionante e un pacchetto di fazzoletti.

Il tutto condito in una zuppa di sangue, ossa e parti umane non ben definite.

Bulma nel cercare di ripulire il cassetto maleodorante aveva optato, così, per dar fuoco direttamente al comò.

Un’altra cosa strana, poi, era che passava dall’essere un Abominevole Uomo delle Nevi ad un cucciolo di Golden Retriever in pochi minuti.

Per esempio, la sera, quando si addormentava subito dopo gli allenamenti.


Il predatore, dopo essere uscito dalla pozza d’acqua in cui ha riposato fino a quel momento, s’avvia, quatto quatto, verso la tana. Si guarda intorno circospetto, per avvertire per tempo un attacco improvviso di ruggiti da parte della consorte, e per poter scappare per tempo in bagno, ed usarlo per primo. Nella grande savana che è la camera da letto, il predatore s’immerge, infine, nelle lenzuola, rannicchiandosi nella sua parte di tana.


Bulma se lo ritrovava ogni sera così, accucciato nel suo angolino, come un piccolo batuffolo di neve fuori stagione, sparso nel lettone.

Era… dannazione, era così carino mentre dormiva tutto rannicchiato su un lato, a forma di ovetto, con il cuscino stritolato tra le braccia e i capelli arruffati dal sonno, con quel piccolo filino di bava che andava a lavare le lenzuola intonse, messe su il giorno prima – perché, tanto, mica lavava lui in quella casa – e il leggero russare che era simile al ronzio di un ape mischiato alle fusa di un micio.

Così carino che le si scioglieva l’anima, anche se, dopo, doveva rimetterla in frigo, perché sapeva benissimo che, la mattina, quando si sarebbe risvegliato, la bestia che dormiva in lui, avrebbe fatto nuovamente sfacelo della casa e dei suoi averi, come un gatto dispettoso che, sotto l’effetto di allucinogeni, scaraventa a terra le cose che stanno sulle mensole, perché convinto che gli abbiano sussurrato parole ingiuriose.


Un’altra, ennesima, cosa strana era il fatto che, ultimamente, Vegeta, animato da chissà quale spirito innovativo, aveva voluto aggiustare lui stesso la falciatrice, perché lei era stata troppo occupata con progetti più importanti tra le mani.

La falciatrice, irrimediabilmente distrutta dalle mani incapaci del marito, che passavano spietate come ruote di un camion su una fila di bicchieri di cristallo, era stata sostituita da una capra.

Voleva dimostrare di essere un bravo padre e un bravo marito e quale alternativa più economica e didattica, per il piccolo Trunks, di una capra come tagliaerba?

Certo, Vegeta avrebbe preferito chiamare Kakaroth e costringerlo a mangiare tutta l’erba del prato e tirargli dietro le ciabatte qualora avesse sbagliato la misura dei fili d’erba, ma lei si era fermamente opposta a questa opzione ed era capitolata davanti all’idea del marito di comprare una capra di nome Gordon.

La capra si rivelò una piaga d’Egitto, soprattutto per il suo salotto e i suoi mocassini. La stronza, alla fine, le dovette circa trecento euro per le scarpe, anche se Vegeta sostenne, fino alla fine, che era tutta una questione di insegnare alla capra i confini della casa e che era un’idea meravigliosa che tutti avrebbero adottato di lì a venti anni.

L’animale finì mangiato a Capodanno, e tanti auguri.

Ma, soprattutto, Vegeta diventava strano quando aveva da rapportarsi con i suoi figli. Li adorava, certo che li adorava, ma a modo suo.

I suoi due pargoli, o discendenza, come li appellava spesso e volentieri, erano fratelli.

Si sa, i fratelli non vanno spesso d’accordo. Ogni fratellanza non va d’accordo a modo proprio.

Vegeta li amava e li rispettava, e amava, spesso e volentieri, far paragoni tra di loro e farli disperare, – stuzzicando l’invidia di Trunks per Bra o la voglia della piccola di casa di prendere a pedate il fratello maggiore perché aveva osato passare più tempo con il padre invece che lasciarlo solo per lei – mettendolo loro la pulce nell’orecchio su chi dei due fosse il più apprezzato, soprattutto quando facevano cose per lui, come prendergli il giornale o lasciarlo in pace a leggerlo, comodamente seduto sulla poltrona.

Erano anche apprezzati massaggi ai piedi, colazioni abbondanti di prima mattina e filippiche contro il nemico numero uno, Kakaroth, ma qui si andava sul difficile.

Bulma, da parte sua, non era così cattiva come il marito che sfruttava i figli per i suoi comodi e li imbarazzava con battute sporche, ma adorava i suoi due figli senza farli disperare e trovava divertente il rapporto tipico fraterno di amore e odio che intercorreva tra loro.

E lei, di fratelli, ne conosceva tanti.


Gohan e Goten, ad esempio, erano fratelli.

Il piccolo Goten, dolce e affettuoso quanto un cucchiaio di miele sui capelli, adorava il fratellone più grande, Gohan. Goten era ingenuo, semplice e, a parere di Vegeta, completamente inutile.

Più volte aveva sentito il marito redarguire il figlio sulla loro vicinanza estrema e intimargli di stare attento ai pericoli, soprattutto ai pericoli come Goten, ma tutto inutile. L’unica cosa positiva dalla loro amicizia, era che Trunks aveva mantenuto il suo quoziente intellettivo alto, a differenza di Goten che aveva il quoziente intellettivo seppellito sotto un sasso.

Gohan, invece, era timido, impacciato e tonto. Più volte, infatti, Videl le aveva raccontato che, a parte il fatto che il Son a mala pena riusciva a masticare una parola, quando si avvicinava troppo alla sua faccia, ogni volta che era con lui si creavano situazioni imbarazzanti. Rideva nelle situazioni in cui non si sarebbe dovuto ridere, diceva barzellette quando non si sarebbero dovute dire barzellette, e augurava “anche a lei” al cameriere, quando quest’ultimo augurava “buon pranzo”.

Ma i due fratelli erano legati, molto legati, ma mai quanto C17 e C18, due gocce d’acqua proprio.


C17 e C18 erano fratelli.

Probabilmente i fratelli più uniti che avesse mai visto, con le stesse movenze da serial killer psicopatico, lo stesso taglio di capelli, gli stessi occhi e lo stesso modo di fare tremendamente inquietante. Due fratelli d’accordo su tutto, dall’uccidere Goku alla scelta dell’insalata da mangiare a pranzo, tranne, forse, per la scelta della salsa da abbinarci, argomento per il quale li aveva sentiti più volte battibeccare. L’uno sosteneva la supremazia del ketchup e l’altra l’importanza fondamentale della maionese come elemento di coesione tra il pomodoro e l’insalata.

Due gemelli, in fin dei conti, adorabili, che, probabilmente, da piccoli volevano dormire vicini vicini e condividevano la stessa culla, così adorabili che avevano reso la vita di suo figlio e di Bulma del futuro, un autentico inferno. La litigata sulla questione del ketchup o della maionese in quell’epoca doveva essere finita malissimo.


Goku e Radish erano fratelli, almeno, da quello che aveva sentito.

Oddio, gran bel fratellone quello che piomba a casa tua, te la sfascia, ti ruba il figlio piccolo solo per conquistare il mondo, a momenti ammazza il tuo migliore amico, fa ammazzare te e ti domanda il perché tu lo odi così tanto e se ci possa essere qualcosa che possa fare per migliorare il vostro rapporto.

Chissà, probabilmente se il pianeta Vegeta fosse rimasto in piedi e Goku fosse rimasto sul suo pianeta natale, sarebbero andati d’accordo. Magari menandosi ogni giorno, ma sarebbero andati d’accordo.

In fin dei conti li capiva: anche lei aveva una sorella maggiore ed era dura alle volte andarci d’accordo, anche se Tights* era dall’altra parte del mondo e non la vedeva da tempo ma questo era un altro discorso. Probabilmente non sapeva neanche che aveva un marito e un figlio. E lei stessa non aveva detto niente a nessuno.

Il senso? Boh.


Freezer e Cooler, poi, erano fratelli e Bulma, a parte immaginarseli come due membri di un circolo mafioso, non riusciva ad inquadrarli come figli dello stesso padre.

Da quello che le aveva raccontato Vegeta quando lavorava come netturbino spaziale per Freezer, quest’ultimo aveva qualche centinaio d’anni in meno del fratello, ma per volontà del padre Re Cooler, che altro non poteva essere che un Padrino spaziale, il figlio minore tirava avanti la baracca. Che il fratello maggiore fosse scemo o fosse poco accorto, secondo il padre, per ereditare l’impero paterno?

Mah, fatto sta che, probabilmente, i due si odiavano a vicenda, e l’uno prendeva in giro l’altro quando l’altro non se ne accorgeva, e viceversa.


Beerus e Champa, i due meravigliosi dei della Distruzione del settimo e sesto universo, erano fratelli. Due fratelli tremendamente dispettosi e attaccabrighe.

Ridacchiando tra sé, Bulma s’immaginava, spesso, che i due micetti fossero stati scelti dai gemelli Whis e Vados in un gattile spaziale, ai confini dell’universo. Ancora bimbi, i loro futuri maestri, li scelsero dalla cesta, in cui Mamma Gatta sonnecchiava – Vuoi quello che con la codina arruffata, tesoro? E tu vuoi quello che assomiglia ad un bignè? e se li portarono a casa come regalo di Natale.

Oltre al fatto che essendo dei, facevano il bello e il cattivo tempo, loro due erano dei gatti, ed essendo gatti, erano tremendamente permalosi e avevano l’anima da serial killer.

Quel pianeta non mi piace, meglio distruggerlo.

Mi hanno rubato la pallina, meglio distruggerli.

Sono finite le mie crocchette, meglio distruggerli.


Whis e Vados erano fratelli e, due fratelli a dir poco identici. Uguali, fatti con lo stampino, insomma, la stessa fotocopia. Una coppia di quei gemelli siamesi, almeno per il modo di fare, che tutti vorrebbero essere: chissà quante volte l’uno o l’altra avrà mandato il fratello o la sorella a fare un esame al proprio posto. In fin dei conti i professori non si sarebbero accorti molto della differenza e, visti i modi garbati e signorili che ostentavano, l’avrebbero di sicuro fatta franca.

Probabilmente usavano il trucchetto della somiglianza anche per ingannare i loro protetti: quando uno non aveva voglia di prestare servizio al dio della Distruzione che gli era attribuito, ingaggiava l’altro per qualche ora al suo posto e se ne andava al mare o al mercato.

Con il loro stile egocentrico e specioso, i capelli di Whis, in particolare, sembravano usciti da un video dei Bee Gees. Probabilmente Bulma avrebbe potuto passarci i pomeriggi con i due gemelli a discutere di moda e di acconciature fashion, visto che Whis, in particolare, apprezzava molto la sua compagnia. O forse semplicemente apprezzava i suoi soldi. Opportunista di merda.**


Vegeta e Tarble erano fratelli, anche se non aveva molte informazioni su di loro perché il marito, ogni volta che gli chiedeva spiegazioni a riguardo, faceva la faccia di bronzo e lei non poteva fare altro che mandarlo a cagare da qualche parte.

Ma, dall’ultima volta che si erano incontrati in occasione della festa di inaugurazione della nuova villazza di Mister Satan, – mai bella quanto la sua, ovviamente – aveva avuto più rapporti con il fratellino minore di Vegeta, grazie alla chat di Twitter.

Così aveva scoperto che il marito da piccolo era una piaga, una piaga per il re e per tutta la corte: come quella volta che, ad esempio, aveva bruciato il pizzetto del padre per vedere se era vero, costringendo Re Vegeta a spedirlo per un mese su un satellite lontano, per punizione.

Da piccolo, quindi, Vegeta, era uno di quei bambini adorabili che avresti voluto affogare nel water all’ennesimo “e perché?” che ti ripeteva.

Era irriverente, attaccabrighe e incredibilmente fantasioso nelle sua marachelle: una volta, per esempio, aveva sparso per tutta la reggia il detersivo della lavatrice sostenendo che “aveva un buon profumo”, mandando così all’ospedale la tata che, poi, non aveva fatto più ritorno – piano, secondo il re, astutamente congegnato per liberarsi della babysitter.

Un’altra si era messo a masticare le pastiglie della lavastoviglie perché sembravano caramelle – problema a cui il re aveva ovviato prendendolo a pacche sulla schiena finché il piccolo non aveva vomitato la Comunione.

Un’altra ancora, aveva ricoperto la reggia di chewing gum, costringendo il re a indire due giorni di “pulizie nazionali” perché la servitù del palazzo aveva dato le dimissioni per “maltrattamenti in sede di lavoro”. Un bambino, quindi, adorabile solo quando era fermo, immobile legato alla sedia. Magari imbavagliato, e sedato.



Infine, i suoi adorati gioielli Trunks e Bra erano fratelli.

Due fratelli che si picchiavano, si odiavano, si prendevano a randellate quanto basta per uscire da una baruffa pieni di lividi e di ossa incrinate.

Suo marito aveva un rapporto diverso tra loro due e, inutile dirlo, nel tempo si era ammorbidito, come il pane duro, quando lo metti in acqua per farci le polpette.

Se Trunks doveva essere l’uomo di casa, il maschio alfa, dopo suo padre, ovviamente, Bra era la piccola margheritina da custodire e da lasciar sbocciare sotto i rami del grande papà quercia.

La piccola, quindi, era un biscottino al burro a cui suo marito non sapeva dire di no.

Emblematica era stata, quella volta, quando, entrambi i suoi figli, prima l’uno e poi, anni dopo, l’altra, alla tenera età di tre anni, si erano sbucciati un ginocchio giocando in giardino.

Se lei, all’epoca, giovane madre trentenne, aveva avuto un raptus improvviso da mamma Chioccia, Vegeta era stato inamovibile con il figlio, bloccando ogni suo tentativo di soccorrere il poveretto che era finito pure con la faccia nella sabbia.

<< Hai una botta? >> lo apostrofò, serio.

<< Perché piangi, moccioso, è solo un graffio. Sii uomo! Sii un Saiyan! Io alla tua età, come minimo, se mi usciva il ginocchio me lo sistemavo da solo! Quando tu ancora imparavi a fartela addosso io già conquistavo pianeti! >>

Trunks, invece, piangeva, inconsolabile.

<< Avrei dovuto mandarti per i boschi a cacciare, invece di lasciarti qui a zampettare per il salotto, a giocherellare con i tuoi stupidi giocattoli e a dormire sempre! >>

Inutile spiegare al principe che il figlio fannullone in considerazione aveva solo tre anni, che era anche SUO figlio e che se avesse osato anche solo portarlo fuori dalla Capsule Corporation senza la sua autorizzazione, avrebbe spedito lui, nei boschi, a dormire con gli orsi e i lupi.

Ma se Vegeta, in passato, era insofferente quanto avere un taglietto nel naso, adesso, o, quantomeno da quando era nata la secondogenita, era diventato un altro. Strano lo era sempre, e mai, si disse Bulma, lo avrebbe capito del tutto, come la teoria sui buchi neri, ma per lo meno adesso era umano.

Umano in maniera strana, s’intende.

La volta in cui Bra era caduta in giardino e si era lievemente sbucciata il ginocchio, Vegeta era diventato improvvisamente premuroso come una nonna.

L’aveva subito raccolta tra le braccia, spazzolata per bene, e, mentre lei piangeva grosse lacrime da coccodrillo, dopo essersi tolto i guanti per non raschiarle la delicata pelle delle guanciotte – cosa che non faceva mai con lei, a momenti se li teneva pure quando andava a letto – le aveva carezzato benevolo le gote, sussurrandole paroline così dolci che pensò gli sarebbe venuto il diabete, una volta calmata la figlia.

Espletando la magia che conoscono tutti i genitori più esperti, dapprima soffiò delicatamente sulla ferita, poi, le diede un leggero bacino, permettendo alla piccola di accoccolarsi di più al suo petto. La bimba si era così rabbonita, finendo le ultime lacrime sulla sua spalla, ed era stata portata in casa in braccio con la promessa di vedere un bel cartone animato in compagnia del papà.

Lei, invece, era rimasta a fissare il marito scomparire dentro casa a bocca aperta. Quando si era ripresa, si era accorta di essere rimasta ancora in giardino e di reggere, con la mano destra, la sigaretta a mezz’aria: decise di buttare subito la sigaretta e tutto il pacchetto, pensando di non aver fumato del semplice tabacco ma qualcos’altro...


La cosa assurda era che il suo cazzone di marito non voleva ammettere di amare alla follia la famiglia. Insomma, quale era il problema a dire che li amava?

Passava la giornata a giocare con sua figlia alla casa delle bambole, vestito come una fatina, con tanto di coroncina e di ali abbinate, e aveva difficoltà a sputare un “ti amo”?

Bulma alzò gli occhi al cielo, sospirando.

Suo marito era strano, sì, ma, in fin dei conti, andava bene così.

In fondo, chi se ne frega: perché lambiccarsi la testa ulteriormente?



THE END



* Sì, Bulma ha una sorella e sì, sono sconvolta quanto voi e, no, non ne ho idea del perché non lo sapesse nessuno finora.

**Come hanno espresso bene SSJD e Felinala, nei loro OTTAVI VIZI CAPITALI. Dateci un’occhiata, non guasta mai. Se volete. Ma io dico che dovreste.



Angolo dell’autrice


Gne gne gne.

Devo pensare ad un commento serio da inserire.

Uhm.


Non c’è, fa lo stesso.


Allora, come state?

Spero bene.

Io sto bene.


Mamma mia, che belle note d’autore.



Comunque, spero il capitolo vi sia piaciuto, io mi sono divertita molto a dar voce ai pensieri di Bulma, della MIA Bulma. Povera donna.

Mi farebbe piacere sapere che ne pensate in una recensione – così mi dite pure se ci sono problemi, oltre ai miei, apparentemente, mentali.

Grazie a tutti quelli che leggono, che mi sopportano, che alzano gli occhi al cielo, che mi seguono.

Alla prossima!

   
 
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