僕は孤独さ – No Signal
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Parte prima: il caso Embalmer
Masa Aiko,
a nove anni, era una bambina dalle lunghe trecce nere e un sorrisetto
impertinente a storcerle costantemente le labbra. Possedeva già da allora paio
di occhi irriverenti come quelli di un gatto, che iniziavano ad affacciarsi sul
mondo con una curiosità quasi molesta.
Per
questo non riusciva a scollare lo sguardo dall’uomo che stava parlando con la
signorina Yume, facendolo scivolare avidamente lungo
il cappotto argentato fino alla valigetta metallica che teneva stretta nel
pugno. Non sembrava di per sé particolarmente imponente o minaccioso, ma aveva
qualcosa, emanava una sorta di aurea, che lo rendeva quantomeno altero.
«Sembra
un poliziotto» era stato il commento apatico di Kuma Satoshi, più interessato a spiare sotto il coperchio del
suo bento
per verificare cosa sua madre gli avesse procurato per pranzo, piuttosto che
curarsi dell’estraneo.
«Sarà
venuto per la settimana della carriera» rilanciò pratica come sempre Umi Midori, che di quel progetto
s’era appassionata a tal punto da decidere sin da quell’età la professione che
avrebbe intrapreso, ovvero quella del medico. Aiko
non era interessata a sentire parlare altri adulti. Era una bambina ambiziosa,
audace, molto diversa dall’adulta che sarebbe diventata. Aveva deciso che
avrebbe fatto la ballerina e viaggiato per il mondo, allontanandosi quanto più
velocemente possibile da quella città. E dalla sua famiglia, che non era in
grado di darle il calore che una bambina di quell’età si aspettava.
La
maestra portò il silenzio riprendendo proprio lei e guadagnandosi quindi una linguaccia che
fece ridacchiare i compagni di classe. Non si scompose, la giovane donna,
guardandola torta «Masa, smettila o ti caccio fuori.»
le disse seria, ma la moretta non si fece di certo spaventare.
«Come
sempre!» esclamò strappando qualche altra risata e un’ennesima sgridata, mentre
l’uomo misterioso sorrideva divertito da quello scambio di battute fra
l’istruttrice al a piccola.
«Questo
signore è venuto a parlarvi di una cosa molto seria» spiegò ai suoi studenti,
ignorando Aiko e congiungendo le mani sul grembo
«Ascoltatelo con attenzione.»
Gli
cedette quindi la parola, scostandosi di lato. Lui appoggiò la preziosa
valigetta sulla cattedra, prima di affondare entrambe le mani nelle tasche del
trench di un vibrante argento. Li spiò tutti uno per uno attraverso le iridi
strette come quelle di un rettile, tentando poi un nuovo sorriso sicuro.
«Il
mio nome è Urie e sono un agente di classe speciale presso la commissione anti-ghoul di Tokyo.»
Ogni
giorno Masa prendeva da sola la strada che dalla
scuola portava fino alla palestra nella quale, poi, frequentava le sue lezioni
di danza classica. Ogni giorno, seppur non fossero quelli i patti che aveva con
i loro genitori, Aiko sosteneva sempre che suo
fratello Shin la accompagnava per quel breve tragitto.
Non
era vero, ovviamente. Alla sua età, Shin preferiva
passare del tempo con gli amici alla spasmodica ricerca di una ragazza che a
prendersi cura della sorellina. Non che Aiko se ne
lamentasse. Passava il suo tempo con il walkman accesso e le cuffie sulle
orecchie, cercando di ricaricare le pile al limite sfregandole contro alla
tuta. Quelle strade erano conosciute, i volti famigliari. Seppur di inverno
facesse notte prima, rendendo quindi i vicoli oscuri più spaventosi, lei
zampettava con passo sicuro fino alla meta, continuando a coprire il fratello
di nove anni più grande, cercando così di entrare nelle sue grazie. Allora non capiva che Shin
non era irresponsabile o menefreghista nei suoi confronti, ma era solo un
ragazzo. Cercava di attirare la sua attenzione e farsi vezzeggiare almeno da
lui, visto che vedeva loro padre a malapena a causa del suo lavoro salariato.
Quella
sera qualcosa era diverso. Aiko l’aveva percepito,
lasciando il cancello della scuola alla volta del viale che l’avrebbe condotta
alla palestra. Aveva avvertito un brivido freddo percorrerle la schiena per
tutta la lunghezza della colonna vertebrale e, anche se non se l’era spiegato,
aveva comunque voltato il capo indietro per buttare uno sguardo oltre la
spalla. Non aveva visto nessuno, ma si era comunque sentita seguita. Aveva affrettato il passo, cercando di
arrivare alla fine della strada, per sboccare su una via principale, ma non vi
era arrivata.
Una
mano l’aveva presa per la spalla, spingendola con forza e facendola capitolare
sull’asfalto freddo. Aveva battuto la fronte contro il gradino del marciapiede,
perdendo per un attimo la vista. Tutto si era fatto offuscato e instabile con
rapidità, impedendole di riconoscere inizialmente la figura che troneggiava su
di lei. Era stata sollevata con
sorprendente facilità da quella stessa mano che l’aveva spinta e che in quel
momento le stringeva la gola. Avverti delle unghie penetrare la sua carne,
mentre delle sottili stille di sangue caldo iniziavano a macchiarle la pelle
del collo e il colletto bianco della divisa scolastica. Poi, come la stessa
intensità di un pugno, un forte odore di profumo femminile le schiaffeggiò il
naso.
«Signorina
Yume?» chiamò in un singhiozzo disperato, cercando di
aggrapparsi con entrambe le mani a quel polso, al fine di sottrarsi alla
stretta soffocante. La vista le impedì di mettere bene a fuoco quel viso, ma un
paio di orribili occhi dalla sclera nera e l’iride sanguinea la stavano fissato
maligni.
«Non
mi nutrirei mai con una mia studentessa, attirerei l’attenzione su di me»
sibilò quella voce un tempo materna, ma ora pregna di odio represso e rabbia
«Ma non ti sopporto più. Ho sempre odiato le bambine impertinenti come te. Non
è carino cercare di attirare l’attenzione in quel modo fastidioso!»
Quella
fu la prima volta che Aiko si ritrovò di fronte a un ghoul.
Rischiava
anche di essere l’ultima.
La
presa si intensificò e la bambina venne sollevata di qualche altro centimetro.
L’altra mano andò a coprirle la bocca, impedendole di respirare bene. Aiko pensò che la volesse soffocare, ma così non era. Una
fitta lancinante le arrivò dal braccio, poco più in alto del gomito. Quella
mano servì ad impedirle di gridare nel momento in cui una buona porzione di
carne le venne strappata con un morso.
Il
dolore fu tale da intorpidirla. Mentre il sangue correva lungo l’arto fino alla
mano, gocciolando dalle dita sul terreno freddo, socchiuse gli occhi, sfinita.
La stretta soffocante aumentò nuovamente di potenza, rischiando di far cessare
l’afflusso di ossigeno al cervello. Sarebbe morta di lì a pochi minuti così, in
silenzio, in un fetido vicolo poco illuminato. Non sarebbe diventata nessuno,
non sarebbe mai riuscita a guadagnarsi l’amore del fratello o il calore degli
applausi su un palco.
Sarebbe
morta in quel momento, se non fosse stato per quell’uomo.
Era
stato così silenzioso da non essere udito dal mostro e l’aveva trafitto con quella
che pareva una spada. La punta sbucò dal centro del petto della maestra, che
immediatamente lasciò cadere Aiko a terra.
«Iwa, allontanala!»
La
voce autoritaria dell’uomo spezzò il silenzio funereo della notte, mentre un
lampo accecante illuminava il buio. Prima ancora che potesse registrarlo, Aiko si era ritrovata fra le braccia di un uomo alto,
piazzato, che l’aveva tirata indietro fino a un muro. Un paio di ali di un
accecante giallo spuntavano dalle spalle della signorina Yume
– il ghoul- che riuscì giusto a sferrare un
patetico tentativo di attacco prima di venire decapitata con un movimento
fluido di quel silenzioso salvatore.
Mikito Urie.
Il
gattino di peluche che l’agente le aveva portato durante la sua convalescenza
in ospedale la guardava attraverso i vitrei occhi finti, mentre lo stringeva
fra le mani.
Il
classe speciale Urie si era presentato sulla porta della sua stanza al limitare
dell’orario di visita, ma nessuno aveva avuto il cuore di farglielo presente
quando l’avevano visto stringere fra le mani quel dono. Le aveva appoggiato la
mano sul capo, con un sorriso leggero sul viso stanco, prima di rivolgersi alla
madre di Aiko.
«Anche
io ho un bambino un po’ più piccolo» aveva rivelato, tornando a ficcare le mani
nelle tasche del trench, mentre la signora Masa si
perdeva di nuovo in una serie di ringraziamenti sentiti. Aveva punito a dovere
il primogenito per l’aver lasciato sola la sorellina, poi aveva richiesto
esplicitamente il nome dell’investigatore che aveva salvato la figlia, ma
quello aveva preferito presentarsi personalmente a portare un saluto.
«A
questa età fanno come vogliono» disse con tono leggero la signora, come per
evitare di incolpare Aiko dell’essersi trovata in
quella situazione. Lo faceva solo di fronte all’agente e la piccola lo sapeva
bene. Non se la sarebbe cavata a buon mercato perché nell’ottica dei suoi
genitori, lei non era mai una vittima. Quanto meno, né lei né il marito
sapevano che la mattina precedente all’incidente, lo stesso investigatore che ora
presenziava nella stanza si era presentato alla scuola della figlia per comunicare agli studenti e al
corpo docenti che un ghoul si aggirava nelle
vicinanze e fare qualche domanda. Di bambini ne erano spariti parecchi e il suo
intuito l’aveva portato a indagare sulle maestre, anche se non su quella in
particolare.
«Mio
figlio, per esempio, ha già deciso che da grande farà anche lui
l’investigatore. Al giorno d’oggi, i bambini sono decisi.» proseguì Mikito, con tono leggero, tenendo così la conversazione
informale.
Il
signor Masa aveva ruggito una risata, appoggiandosi
con il polso alla mano, mentre lo spiava quasi annoiato e con un cipiglio
superiore dalla poltroncina su cui si era accomodato da ore «Lei è fortunato ad
avere un figlio così ambizioso, Urie-san. Mia figlia
è ancora in quell’età in cui vuole fare la ballerina.»
Aiko aveva abbassato lo sguardo
ormai da parecchio sul peluche, stringendolo forte fra le braccia. Si era persa
nei suoi pensieri, su quel braccio che avrebbe portato per sempre un’orrenda
cicatrice a deturparlo e sul collo, che ancora pulsava mentre le ferite delle
unghie del ghoul avevano già iniziato lentamente a
guarire. Solo la mano dell’investigatore, di nuovo appoggiata sulla sua testa,
la portò ad lo sguardo cerchiato da occhiaie spesse sul quel volto ugualmente
emaciato. Lui le porse un cartoncino bianco, un biglietto da visita, con lo
sguardo consapevole sull’espressione rassicurante «Se avrai di nuovo bisogno di
me, puoi chiamarmi.»
La bambina
lo accettò, annuendo ammirata, mentre questi salutava con educazione. Si
allontanò dalla stanza, sempre portando
con sé quella buffa valigetta di cui ora Aiko
conosceva il contenuto. Tenne quel bigliettino sempre con sé, prima in un
astuccio bianco e poi nel portafoglio, ma non chiamò mai quel numero. Non ebbe
occasione di farlo quando terminò le scuole e il pensiero di iscriversi
all’accademia le attraversò la mente con la stessa intensità di uno sparo nella
notte.
Non poté
farlo, perché un paio di mesi dopo quell’incontro che le cambiò le vita,
quell’investigatore morì. Il suo viso le apparve una sera sullo schermo del
televisore e lei, per risposta, versò la pentola che stava portando verso la
tavola apparecchiata, subendo le ire della madre che invece, di quell’uomo che
aveva definito un portento, non aveva conservato alcun ricordo.
Capitolo quattro.
La
collaborazione con Aiko Masa,
nata sotto una cattiva stella e degenerata un quello che poteva essere definito
solo come un litigio fra ragazzine aveva toccato l’apice del disagio, per Urie,
nel momento in cui si era visto costretto a minacciarla. Per qualche strana
motivazione, la donna non sembrava volerlo portare con sé al colloquio con
l’esperto in tecniche di conservazione dei cadaveri, un tale Jen Haung che al giovane
investigatore non diceva proprio niente.
«Perché vuoi venire ad ogni costo? Posso
trascriverti qualche appunto dopo.»
«Vuoi portati Ito
o posso seguirla io la mia indagine? Preferisci discuterne con Sasaki?»
E dire che Urie lo stava facendo proprio
su ordine del suo superiore, al quale era arrivata voce del loro screzio e
aveva pregato il seconda classe di comportarsi più gentilmente con la sua
collega, accompagnandola in automobile invece di costringerla a chiedere a
terzi. Come se poi lei non potesse munirsi di un mezzo di trasporto come aveva
fatto lui. Il pensiero di lavorare in coppia non lo aveva mai entusiasmato,
quindi in un certo senso stava solo rigando dritto facendo ciò che Sasaki chiedeva per riavere il suo posto da caposquadra. Se
doveva andare a parlare con vecchi e bavosi professori universitari allora pazienza,
l’avrebbe fatto.
Aveva in mente di piegarsi anche di più,
se necessario. Matsuri ne era una prova tangibile. Dall’alto della sua arte manipolativa, Urie si
chiedeva quanto avrebbe ancora sopportato.
Masa da parte sua
si era comportata in modo strano tutta la mattina, ma quando era arrivati di
fronte al lungo viale che li avrebbe condotti dentro la struttura principale dell’università
Imperiale del Giappone, aveva iniziato a manifestare qualche strana psicosi che
Urie non si era spiegato.
Sembrava che dovesse andare in contro a un
qualche demone, pronto a divorare la sua anima da un momento all’altro. Peccato
che l’uomo che si erano ritrovati di fronte, seduto dietro una bella scrivania d’altri
tempi laccata e molto ordinata, non sembrasse altro che un comune professore
universitario, per l’appunto.
Aveva le spalle larghe e sembrava alto per
essere cinese, ma non aveva niente di speciale. Solo i capelli molto chiari per
l’età che dimostrava, ovvero una trentina di anni. Gli occhi sottili
attraversarono Masa da parte a parte quando entrambi
presero posto di fronte a lui, inchiodandola contro lo schienale della sedia.
Kuki fece un breve
inchino all’uomo mentre si presentava, non guardandolo davvero, troppo intento
a controllare che la sua partner non stesse avendo un attacco di panico.
L’aveva molestata, per caso?!
Rimasero in religioso silenzio mentre il
professore leggeva attentamente il referto del coroner, aggrottando le
sopracciglia e stringendo appena gli occhi dietro le lenti degli occhiali da
vista. Poi, con uno sbuffo, lasciò cadere il foglio sul ripiano di legno.
«Avrei
potuto darvi queste informazioni io stesso, senza attendere i risultati delle
analisi» commentò seccato, come se quella perdita di tempo fosse tutta colpa
loro. Poi, asettico, unì le mani sotto al mento, sporgendosi leggermente
indietro. Urie non si perse il modo in cui Masa,
quasi per istinto, si schiacciò contro lo schienale della poltrona «Per lo più
si tratta di formalina. Ovviamente, come potrete immaginare voi egregi investigatori, i derivati della
forma aldeide sono reperibili in diversi negozi, fra cui quelli che
riforniscono i cacciatori. Il metodo di imbalsamazione utilizzato dal vostro
killer, in effetti, è molto simile a quello che viene impiegato nella
conservazione della selvaggina: i corpi vengono svuotati degli organi, gli
occhi sostituiti da sfere di vetro temprato colorate. Il busto viene riempito
di segatura dopo aver immerso il corpo nei liquidi battericidi e aver lasciato
essiccare il derma, mentre gli orifizi vengono sigillati con il silicone per
impedire la fuoriuscita di liquidi. La formaldeide viene iniettata nel sistema
circolatorio e in parte di quello linfatico mediante l’utilizzo di un
particolare macchinario, ma è un’attrezzatura molto sorpassata quindi dubito che
possiate risalire a un compratore recente investigando.»
Urie
si sentì un fallito di fronte a quello sguardo profondo e seccato. L’uomo aveva
appena detto che tutto ciò che avevano trovato non aveva valore e che potevano
anche darsi all’ippica, in pratica «Magari possiamo indagare su qualche altro
dettaglio. Per esempio, il metodo utilizzato per prevenire il rigor mortis.»
«Sarebbe
inutile, visto quanto semplice è questa procedura» ora, il professore, gli
parve annoiato. Come se li avesse
sopravvalutati. «Basta recidere i tendini, tagliare le palpebre e utilizzare
dei cavi di metallo per mantenere rigidi gli arti. Cosa che, fra parentesi, è
scritta nel rapporto. Me l’ha portato senza leggerlo, investigatore Urie?»
Il
ragazzo ingoiò quella provocazione, prima di voltarsi di nuovo a guardare Masa. Se cercava del sostegno da lei, però, avrebbe dovuto
rinunciare in partenza. La partner fissava con insistenza un punto imprecisato
del pavimento, vicino al piede della scrivania. Si schiarì la voce per attirare
la sua attenzione e quando lei rimandò il suo sguardo, Urie sentì che stava per
scoppiare «Pensi di concentrarti e dare una mano nelle indagini?»
Prima
ancora che lei potesse anche solo avanzare una risposta, il professor Huang
riprese la parola «Potete fare poco. Al massimo informarvi se ci sono dei
luoghi nell’undicesima circoscrizione che vendono grossi stock di formalina.»
«Hai
parlato di dettagli così specifici del caso? Kuki
inveì contro Masa, che se possibile sbancò ancora di
più.
Si
mise seduta diritta, allargando il trench sul petto in cerca di aria «Dovevo.
Se no come avrebbe fatto il professor Huang ad aiutarci?»
«Non
che ci stia aiutando molto, in ogni caso.» Come
le è saltato in mente di parlare dell’undicesima senza consultarmi? pensò amareggiato «Aizawa
ha detto pressappoco le stesse cose.»
«Non è
colpa né mia né del professore se i risultati delle analisi sono
inconcludenti!»
Nessuno
dei due si curò più dell’esperto, che non aveva assolutamente voglia di starli
a sentire. Prese a sfogliare con disinteresse i risultati delle autopsie, prima
di passare alle foto. Guardò i primi due fascicoli, prima di venire folgorato
da un’intuizione.
Prese
quindi tutte le cartelle, non considerato dagli agenti, e iniziò a disporre di
tutte le fotografie lì contenenti. Quando riuscì a concretizzare quel sentore,
li fermò tirando un pugno sulla scrivania. Questa vibrò sotto al colpo e mentre
Urie si voltava a guardarlo scocciato, Masa rimaneva
pietrificata sul posto. Il professore la guardò negli occhi spalancati dalla
paura, prima di prendere un respiro profondo, afferrandosi la radice del naso
fra pollice e indice per massaggiarla.
«Se
dovete comportarvi come due bambini, potete anche uscire.» fece loro presente,
per poi iniziare «Visto però che spero di non rivedervi mai più, penso di aver
risolto il vostro caso.» velocemente, prese a disporre le fotografie sotto al
loro naso. Erano per lo più dettagli, dei volti e dei corpi, ma quando entrambi
compresero il punto, i loro occhi si spalancarono per lo stupore «Ognuna delle
vostre vittime ha un segno distintivo unico, che sia esso un difetto o una
malformazione.» puntò in dito sulla prima foto, che rappresentava la prima
vittima e poi via a via tutti gli altri sino all’ultima «Un naso molto grande
con una deviazione importante e visibile del setto, la presenza di molti nei
sulla regione facciale, un’eterocromia parziale molto evidente, i risultati di
una idrocefalia congenita, la sindrome di Marfan, una
grande cicatrice che deturpa il viso da uno zigomo all’altro e agenasina –
ovvero nascere con quattro dita invece che cinque- della mano destra.»
Sia Aiko che Kuki si sporsero in
avanti analizzando tutte le fotografie, dagli occhi azzurri e marroni del russo
fino alla mano malformata di Reiko Mashima. Il solo che avevano notato, eccetto ovviamente il
cranio irregolare del piccolo Watabe, era stato il
volto sfigurato di Hernandez.
«Cerca
di rendere eterno un singolo istante di imperfezione» sussurrò pensierosa la
giovane donna, sovrappensiero.
Il signor
Huang tornò a sedersi composto con un mezzo sbuffo mal contenuto «Questo sta a
voi scoprirlo. Non c’era però un chirurgo plastico fra gli indiziati? Una
persona del genere ha sicuramente l’occhio giusto per notare un simile
dettaglio. Anche un cieco lo noterebbe, in effetti, ma a quanto pare non gli
agenti del ccg. Mi chiedo come facciate a fermare i ghoul…»
«Il
dottor Shinya» lo fermò Urie, desideroso di levarsi dalle scatole, prima di
iniziare a raccattare le fotografie, che avrebbe poi riordinato una volta a
casa. Quella sì che era una buona pista, magari un po’ campata in aria, ma era
la cosa più concreta a cui potevano ambire al momento. «Dobbiamo interrogarlo
di nuovo. La ringrazio per la collaborazione dottor Huang, buona giornata.» passò tutta la documentazione alla collega
che la ficcò in una tracolla mentre si alzava, avviandosi per prima verso
l’uscita dopo un breve inchino al professore. Urie notò che stava lasciando la
valigetta con la quinque lì, così prese Inazami e si inchinò a sua volta, seguendola.
La
loro permanenza, però, non sembrava terminata.
«Fermati
un minuto e chiudi la porta, Aiko-kun.»
Il
tono con cui il dottor Huang lo disse non era carezzevole, tutt’altro. Quello
era un ordine bello e buono, che inchiodò la giovane sull’uscio. Non rispose,
passò semplicemente la tracolla a Urie, che invece doveva uscire, chiudendo poi
la porta di fronte a lui e tagliando così il loro contatto visivo.
Tutto
era successo in silenzio e il volto granitico di Masa
lo aveva lasciato molto confuso e pensieroso. Quasi preoccupato. Lei aveva
paura. Glielo aveva letto nelle iridi gialle, nella mano che gli aveva porto la
borsa tremando e nel modo in cui aveva quasi inconsciamente morso il suo labbro
inferiore affondandovi i denti troppo forte.
Si
accostò alla porta, cercando di sentire qualcosa, ma oltre di essa non provenne
nessun suono. Trattenne il respiro nel tentativo di captare una parola o un
gesto, ma niente.
Il
silenzio insistette.
Quando
l’uscio si aprì di nuovo non si ritrovò di fronte Masa,
ma il professore. Piantò gli occhi gelidi in quelli di Urie, che non mostrò
pentimento dall’essersi fatto scoprire ad origliare. Fece giusto un passo
indietro, sfidandolo apertamente a dire qualcosa. Questi però si mise di
profilo, facendo passare l’investigatrice che seppur pallida come un cencio,
sembrava stare bene.
Lei
sfilò accanto all’uomo alto, accostandosi a Urie per riprendere la sua
valigetta. Guardò Huang come in cerca di approvazione e lui fece un veloce
cenno del capo, guardando poi di nuovo l’altro agente.
«Buon
viaggio di ritorno, Urie.»
Quando
la porta si richiuse nuovamente, Masa era già in
fondo al corridoio.
Fece
di tutto per non far sì che il collega si accorgesse di niente durante il
viaggio in auto, ma lui aveva notato con che discrezione andava a tenersi il
polso destro. Si domandò quanto grande fosse il livido che le aveva fatto
venire Huang afferrandola con cattiveria, ma non le chiese niente. Non le disse
che lo aveva capito.
Tanto
sarebbe sparito da solo grazie al prodigioso modo di guarire dei Quinx.
Era
convinto che quelli non fossero affari suoi.
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Masa aveva sentito parlare della
caffetteria nella quale i Quinx solevano radunarsi,
ma non era mai entrata al :re prima
di quella mattina.
Urie
l’aveva portata lì una volta concluso il colloquio con Huang, convinto che
farle fare di nuovo colazione avrebbe salvato entrambi dall’impiccio di vederla
svenire. Aveva parcheggiato poco lontano dal locale e poi avevano camminato
fianco a fianco fino ad esso, in silenzio. Aiko non
ci stava nemmeno provando ad avviare una conversazione, ma alla fine quella era
la prassi. Nessuno dei due era particolarmente amichevole di prima mattina,
quindi si limitarono a sfilare lungo il marciapiede godendo della temperatura
mite nonostante fosse fine gennaio. Il sole illuminava la città di Tokyo e
baciava i loro visi, rendendo sopportabile il clima invernale.
Una
volta entrati nel bar si ritrovano di fronte la figura imponente del signor
Yomo, che stava servendo un paio di cappuccini a una coppietta. Urie lo salutò
con un cenno, mentre Masa con un pallido sorriso,
mentre entrambi prendevano posto ad un tavolino vicino alla modesta vetrata. La
mano della mora corse al menù, mentre i suoi occhi si puntavano sulla
vetrinetta dei dolci e adocchiavano una torta al cioccolato dall’aspetto
delizioso.
«Che
posto carino.»
«Sasaki lo adora.»
Ripiombare
di nuovo nel silenzio fu semplice. Masa non sembrava
dell’umore e Urie un po’ si sentì in colpa per non averle chiesto come stesse
dopo quella manciata di minuti da sola con Huang. Aveva smesso di tenersi il
polso, certo, ma il viso rimaneva emaciato e stanco. Aveva sottovalutato il
fatto che fosse una donna? Forse lo aveva fatto, ma Aiko
Masa aveva a disposizione un kagune,
uno anche abbastanza portentoso a sentire Aizawa, che
poteva utilizzare per levarsi da ogni impiccio. Per questo e per un’altra serie
di motivi meno intelligenti non le aveva chiesto nulla. Era
un’investigatrice, era armata. Poteva
liberarsi da quella grana senza che Urie si mettesse fra lei e la sua vita
privata, quindi insistette nel non parlare della loro esperienza.
«Dovremmo
chiedere il trasferimento nell’undicesima per indagare più a fondo su Shinya.»
brontolò con tono basso il giovane, attirando l’attenzione della compagna che
stava spiando il cellulare. Masa lo fece ricadere
nella tasca quando l’altro proseguì «Non so nemmeno a che squadra è stata
assegnata.»
«Okada e Miura» rispose
prontamente Aiko, passandosi una mano dietro al
collo, lasciato scoperto dal taglio corto «Lo so perché la squadra Hirako ha lavorato molto lì, per colpa del Caso Aogiri.»
Urie
assottigliò gli occhi «La tua vecchia squadra aveva in carico di indagare sull’Aogiri.»
«Lo
fanno ancora, come tutte le squadre della S3 di Arima.»
Quell’informazione
doveva essergli in qualche modo sfuggita. Loro, a quanto ne sapeva, non
lavoravano al caso Aogiri, nonostante la squadra Mado a cui facevano capo fosse anch’essa sotto le direttive
del classe speciale Arima.
«Allora
forse dovremmo chiedere anche al tuo vecchio capo se ha qualche informazione .»
Dopo
il coinvolgimento di Ito, l’idea di avere anche Take
a gironzolare per lo chateau
lo disturbava un po’, ma qualsiasi informazione poteva diventare
improvvisamente molto preziosa. Si era sentito un inetto di fronte al professor
Huang, come se avesse sempre vissuto con un enorme paraocchi. Non si sarebbe
fatto cogliere impreparato mai più, ma non solo. Si era sentito in difetto, come
se la sua sete di gratificazione fosse più forte della voglia di portare un po’
di pace alla famiglia delle vittime.
Era
vero, era così, non poteva negarlo a se stesso.
Non
era una brava persona a quei tempi, Kuki Urie, ma
aveva comunque una coscienza e chiudere un caso in modo dignitoso sarebbe stato
importante. Parlare con Hirako aveva quindi la precedenza.
Masa però non gli rispose e quando
alzò gli occhi su di lei per capire cosa non andasse di nuovo, la collega non lo stava nemmeno calcolando. Fissava con
intensità spaventosa la cameriera del :re, come se in quel viso dolce semi nascosto dai
capelli azzurri vedesse qualcosa che solo lei poteva captare.
La
cameriera, del resto, non palesò nervosismo. Se mai, curiosità. «Smettila di
comportarti come una psicopatica con tutti» la riprese scocciato, prima di
sospirare «Scusala, Kirishima. Non so cosa le prende
oggi.»
«Kirishima.» Masa ripeté il nome
della ragazza, pesandolo sulla lingua, prima di sorridere sinceramente. Il
primo sorriso decente della giornata «Ti chiedo di perdonarmi!»
«Non
importa» fu la risposta posata di Touka, che prese il
blocchetto dalla tasca, pronta per le ordinazioni «Un nuovo membro della
squadra?» chiese, per educazione.
Aiko annuì «Fresca di nemmeno una
settimana, in effetti. Mi porteresti un caffè americano e una fetta di quella
torta al cioccolato? Sembra deliziosa.»
«Per
me un caffè nero.»
Touka sorrise ad entrambi «Arrivo
subito, investigatori.»
Urie
attese lo stretto necessario per vederla allontanarsi, prima di sporgersi di
nuovo verso la sua partner «Hirako.»
«Ho
capito, Cookie. Dopo lo chiamo e gli chiedo di vederci. Felice?» si lanciarono
una lunga occhiata, poi Urie si allungò scocciato verso il tavolo accanto per
rubare un giornale e iniziare a leggerlo. Masa, da
parte sua, prese ad aggeggiare
con il cellulare. «Lungi da me il volerti mettere a disagio» gli disse poi di
punto in bianco, attirando l’attenzione dell’altro, che abbassò il quotidiano
per guardarla «ma c’è una donna in fondo al bar che sta continuando a
fissarti.»
Touka appoggiò le loro ordinazioni sul
tavolo e mentre la ragazza si dedicava del tutto al suo dolce, Kuki si voltò per niente discreto. Poi sbuffò e tornò a
girarsi.
«Un
po’ grande per essere una tua ex. Bella camicia a sbuffi…»
«Lascia
perdere. È una giornalista, una abbastanza pedante. Ignorala.»
Prendendo
un sorso della sua bevanda, Urie cercò di non pensarci su troppo. La
prospettiva di iniziare una lunga conversazione con Shukumei
non era allettante per niente. Doveva già fare da balia a Masa.
Non
ebbe comunque nemmeno la grazia di poter terminare il suo caffè. Moleste, un
paio di dita corsero da una spalla all’altra del giovane agente, mentre Shukumei sfilava accanto al suo tavolo per avviarsi
all’uscita. L’occhiata che gli lanciò era eloquente. Sapeva che era una
battaglia persa in partenza e giusto per evitarsi la grana di ritrovarsela
dietro mentre faceva jogging, si alzò.
«Torno
subito.» disse alla collega che sorrise divertita e smaliziata, non prendendo
nemmeno il trench.
Seguì
la donna fuori, dove lei lo stava aspettando «Ciao Urie.»
«Cosa
vuoi, Mei?»
Un
sorrisetto piegò le labbra della donna, che si sporse appena verso di lui «So
che stai lavorando al caso Embalmer.»
Lo sapevo. Trattenendo a mala pena
un’imprecazione fra i denti, Kuki assottigliò gli
occhi in una muta minaccia «Abbiamo un patto» le ricordò «Niente domande sui
casi ancora aperti.»
«Questo
però è aperto da quindici anni» gli fece notare lei «Tu ne avevi tre, al tempo
della prima vittima, no? Rischia di non venire mai chiuso. Almeno dimmi
qualcosa di piccolo che posso sbattere in un trafiletto.»
Lui
parve pensarci attentamente, poi tornò a guardare attraverso la vetrata del bar
«Diciamo solamente che stiamo rivedendo qualche vecchia pista già battuta.
Fattelo bastare per ora.»
«Un
po’ misero. Sei a un appuntamento, comunque? Molto carina la ragazza.»
Urie
le lanciò un’occhiataccia, pronto a rispondere nel peggior modo possibile, ma
ciò che accadde nel locale lo distrasse un po’. Kirishima
si era avvicinata a portare via il piattino ormai vuoto e ben ripulito dalla
torta, ma aveva versato un bicchiere d’acqua che era sua intenzione offrire a Masa. Il motivo non pareva chiaro, ma Aiko
doveva averle detto qualcosa di strano per farla distrarre così tanto. Non
solo. Sul viso di Touka si era congelato il sorriso,
sostituito da un’espressione da prima di panico e poi, lentamente, sempre più a
disagio mentre l’investigatrice donna si scusava, muovendo le mani di fronte al
volto per farle intendere che non era sua intenzione creare quella situazione.
«Non è
un appuntamento, quella è la mia partner e ora devo andare a impedirle di farci
estromettere da questo bar per sempre.»
Mei lo guardò con una strana espressione.
Fissò Masa attraverso gli occhi nocciola, prima
scostare i capelli castani dal viso, portando una ciocca dietro al’orecchio.
Sembrava quasi che stesse pensando a qualcosa che proprio non le piaceva. «La
tua partner, eh? Non era in squadra con Kuramoto?»
«La
conosci anche tu, ora?!»
Mei ridacchiò «No, ma l’ho vista
con lui qualche volta.»
Urie
ci rinunciò. Masa portava solo delle grane,
comportandosi da pazza. Non gli ci voleva molto a credere che fosse riuscita ad
attirare anche l’attenzione della giornalista. Alzò la mano e salutò Mei, che ricambiò con un cenno del capo e una pacca veloce
sulla spalla e rientrò.
«Smettila
di fare danni» riproverò subito Masa, prendendo
nuovamente posto di fronte a lei.
Lei,
per risposta, ridacchiò. Quanto meno, aveva ripreso colore.
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Dopo
aver passato un intero pomeriggio a compilare scartoffie per la richiesta di
trasferimento nell’undicesima circoscrizione, Kuki si
sentì sollevato nell’aprire la porta di ingresso dello chateau. Appoggiò con cura la
valigetta nel suo scomparto, notando che quello sotto di proprietà di Masa era pieno. La sua partner doveva essere tornata dal
colloquio con Hirako Take prima di lui, cosa che gli
fece presagire che forse aveva poco o niente in mano.
Poco
male, ci avrebbero lavorato.
Appese
il suo trench e si avviò in salotto, tenendo fra le mani il portatile che aveva
sfilato dallo zainetto nero che aveva portato con sé in ufficio dopo pranzo.
Visto che con Huang, il giorno precedente, avevano avuto qualche sviluppo
positivo e che per inoltrare certe richieste c’era bisogno di tempo, aveva
dormito anche lui un paio di ore in più, per poi sfiancarsi di allenamenti in
palestra.
La
casa deserta lo aveva aiutato molto a rilassarsi.
Purtroppo
non era più così.
La
situazione era mutata radicalmente, visto che al tavolo della cucina sedevano Mutsu, Shirazu e Saiko, mentre a spignattare come suo solito c’era Sasaki.
«Oh,
sei tornato!» fu l’osservazione che Urie definì arguta nella sua mente. Rispose ad Haise
con un cenno, andando ad appoggiarsi col portatile poco lontano da loro, ma pur
sempre a un paio di posti vuoti di distanza.
«Masa è tornata presto?» chiese per amore di conversazione e
per avere le notizie che lo interessavano. Non aprì il laptop, perché la
risposta di Shirazu non gli piacque affatto.
«Non è
proprio uscita.» gli fece sapere questi, appoggiandosi fiacco al polso col
mento, deluso dal fatto che Haise avesse scelto Saiko per gli assaggi. «Dovevo accompagnarla io in moto, ma
ha detto che Take le ha faxato tutto quanto e non ce n’era bisogno.»
Kuki sbuffo. Tipico di Masa, non alzare il culo dal divano
«Ne parleremo a cena.» liquidò la conversazione velocemente Kuki,
cercando di aprire il portatile. Di nuovo, un’informazione sgradita lo fece
bloccare.
«Masa non cena a casa» gli fece sapere Sasaki
col tono di una mamma in pena.
Saiko ridacchiò «Esce con Kuramoto.»
La
reazione di Urie fu strana. Inizialmente si limitò a guardare negli occhi Saiko come se cercasse una motivazione per continuare a
respirare, per poi alzarsi di scatto, facendo strisciare la sedia sul
pavimento. «Inaccettabile» fu il suo solo commento, mentre tutti sospiravano.
«Urie,
lasciala stare» gli disse Shirazu, scuotendo il capo.
«Abbiamo
un caso aperto e questa va a
divertirsi?»
Sasaki gli puntò contro il mestolo,
cercando di intimidirlo dall’alto dei suoi dieci centimetri secchi in meno.
Come se poi l’altezza fosse un problema e non lo fosse il grembiulino a
fiorellini «Dovresti uscire anche tu! Il vostro caso non è freddo, è congelato. Prendervi una serata ti
farebbe solo bene.»
Non
gli diede retta. Arrivò fino alle scale, pronto a contrattaccare che era
proprio per quello che avrebbero dovuto fare le ore piccole sui verbali forniti
da Hirako, quando il ticchettare delle scarpe alte di
Masa che scendeva le scale lo distrasse.
Seppur
non si fosse mai detto un gran donnaiolo, anche Urie dovette per forza
ammettere che la ragazza aveva delle gambe davvero belle. Chilometriche, magre
e messe in risalto dalla gonna corta dell’abito sbrilluccicante che indossava.
Come se non bastasse la scarsa metratura del tessuto, anche gli stivali alla
coscia facevano la loro parte.
Lei lo
guardò sorpresa, sistemandosi la borsetta nella mano.
Si era
anche truccata per bene. Non sembrava nemmeno lei.
«Puoi
spostarti, Cookie? Mi intralci.»
Bastò
quella provocazione per riportarlo sulla terra, più irritato di prima «Cosa
stai facendo?! Abbiamo un caso aperto.»
Esasperata,
la donna sospirò «Urie. È venerdì sera.»
Quella
che sembrava una scusa perfetta per tutti, non lo era per il ragazzo.
Schioccò un’occhiata di fuoco alla
collega, che però non sembrava disposta a negoziare. Saiko,
che li aveva raggiunti insieme a Shirazu per godersi
la scenetta, ridacchiò «Noi li raggiungiamo dopo cena.» disse facendo anche un
cenno al caposquadra «Perché non ti unisci?»
«Non
credo vorrà farlo…»
La
frase di Masa rimase a penzolare nell’aria senza una
chiara spiegazione. Il campanello trillò e fu Yonebashi
e buttarsi all’uscio per aprire «Kuramoto!» sbraitò
praticamente il nome del biondo, buttandosi ad abbracciarlo mentre una terza
figura, non prevista, entrava nella casa con un sorriso.
«Ciao,
Urie.»
«…Kuroiwa…»
Takeomi.
Perfetto.
«Sai,
volevo parlarti di una cosa, posso?»
Sempre meglio.
Kuki si spostò verso la zona dei
divani, tenendo stretto al petto il computer e combattendo contro l’impulso di
spaccarglielo sopra a quella faccia dalle sopracciglia eccessivamente
cespugliose.
Cosa
voleva da lui?
Takeomi però non si era minimamente
accorto del fastidio. Era troppo intento a sorridere e salutare Mutsuki e Haise, rimasti nella
zona cucina come a cercare di scappare timidamente a quegli intrusi così
festosi, per rendersene conto.
«Scusa
se ti disturbo» iniziò con quella sua nauseante buona educazione. Nauseante per
Urie; il resto del mondo pareva amarlo «Volevo parlarti un attimo di Masa» continuò con fare cospiratorio, assottigliando la
voce e chinandosi verso di lui, riuscendo ad infastidirlo ancora di più «So che
siete partner e vorrei chiederti un favore…»
«Takeomi!» fu proprio Aiko a
chiamarlo, mentre si sistemava la giacca di pelle sulle spalle, usando già Ito come porta borsa mentre questo parlava animatamente con
Shirazu e Saiko di Dio solo
sa cosa «Dobbiamo andare! Lo sai che Suzuya alle
undici va a letto e vogliamo salutarlo!»
«Come
non detto» il perfetto Kuroiwa sorrise rassegnato,
prima di voltarsi di nuovo verso il suo interlocutore «Sarà per la prossima
volta, ok? Passa dall’ufficio della squadra Hirako
appena puoi.»
«Certamente»
Perché dai per scontato che sarò io
quello libero e non tu? Guarda che io lavoro «Contaci.» Idiota scimmione «Buona serata.»
«Ti
chiederei di raggiungerci dopo» gli fece sapere Masa,
appoggiandogli una mano contro la fronte e spingendolo lievemente per il solo
gusto di infastidirlo «Ma rovineresti l’atmosfera con quest’espressione da
becchino. Ci vediamo domani mattina.»
Per
risposta, Kuki assottigliò gli occhi «Io parto per
l’undicesima alle nove meno un quarto, che tu ci sia o meno.»
Lei
gli fece l’occhiolino.
«Potrei
mai mancare?»
Haise non riuscì a comprendere cosa
successe per prima, se la porta a richiudersi dietro i tre in festa o Urie a
infilarsi su per le scale, sparendo nei meandri oscuri della sua stanza. Si
sporse per le scale per adocchiarlo e chiedergli se aveva o no intenzione di
cenare, ma decise di non sprecare la voce, tornando al tavolo dove il resto dei
Quinx si era tornato a sedere in blocco.
«Almeno
sembrano andare d’accordo» commentò con un piccolo sorriso Mutsuki,
che di lì non si era schiodato minimamente.
Saiko alzò le spalle, tornando al
suo lavoro di assaggiatrice «Più sale» commentò dopo aver masticato con gusto
il riso, tornando poi a dedicarsi alla questione «Se Masa
non lo ammazza. Urie è passivo aggressivo, difficilmente farà qualcosa di più.
Voglio dire, non si viene nemmeno a lamentare dalla mamma.»
«Ucciderlo?» Shirazu alzò un
sopracciglio, prima di batterle una mano piano sul capo, esattamente in mezzo
ai due codini «Saiko-chan non ne capisci molto di
affari amorosi, vero? Uriko e Masa
hanno attorno una tensione sessuale tale da rendere l’aria dello chateau irrespirabile. Finiranno a letto in breve, ve lo
dico io.»
Mentre
Mutsuki lo guardava parecchio dubbioso, indeciso se
renderlo o meno partecipe del fatto che probabilmente Masa
era attratta dalle donne – cosa che aveva percepito dalla loro conversazione
qualche giorno prima – ci si mise anche Sasaki.
«Secondo
me potrebbero innamorarsi!» la sua vena romantica si palesò. Sventolò il
cucchiaio di legno sotto al naso del suo caposquadra, «Io non vedo attrazione
sessuale, ma solo potenziale per una bellissima storia d’amore.»
«E da
dove viene tutta questa esperienza, Sasan?»
Mentre
Haise avvampava, Mutsu ci
provò «Ragazzi-»
«Scommettiamoci
su metà stipendio!» a troncare ogni discussione, ci pensò Yonebashi.
Unendo le mani sotto al mento come il cattivo di un fumetto, per giunta «Io
dico che lei lo prenderà a mazzate, Shirazu che
diventeranno amici con benefici e Sasaki che
scoccherà la scintilla amorosa. Chi vince, si becca metà degli stipendi di chi
perde. Tu partecipi, Mucchan?»
Tooru la guardò, prima di ridere. I
tre, perplessi, lo fissarono «Scusate» si difese quindi, certo delle sue
convinzioni: Masa era attratta dalle donne e forse
era addirittura fidanzata. Non voleva però rovinare il gioco o scommettere con
quella consapevolezza. Senza contare poi che era stata una confidenza, quella
di Aiko, e che non la voleva spiattellare.
«Io
passo. Divertitevi.»
Shirazu allungò la mano sulla quale si
appoggiarono quelle di Haise e di Saiko.
«Scommessa accettata!»
Continua.
✄---------N.d.A--------
Chiedo profondamente
scusa per il ritardo nell’aggiornamento. Per farmi perdonare, ho fatto un
capitolo più lingo.
Non mi bando in ciance e
ringrazio Maia per aver betato, così come Virgy per il commento.
Grazie anche a chi solo
mi legge e mi ha inserita nei preferiti o nelle seguite.
Passate un bel weekend!
C.L.