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Autore: Ruta    27/01/2017    3 recensioni
[Rosie dice qualcosa, Molly è schiantata dal senso di colpa e Sherlock la aiuta a superarlo.]
Sherlock sfrega un dito sulla sua guancia umida, nella penombra della stanza il suo viso è una maschera di rifrazioni e sentimenti contrastanti: affetto, compassione, infelicità, inquietudine, mestizia. “Siamo quello che siamo, Molly Hooper.”
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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it is

Ho bisogno di parlarti. Puoi raggiungermi? Sono a casa. MH

Molly guarda lo schermo spento del cellulare nella sua mano. La notte è piena di spifferi, il baby monitor poggiato sul banco da lavoro della cucina è silenzioso, segno che Rosie dorme tranquilla nella camera per gli ospiti che lei ha riadattato a nursery. Tutto tace all’interno dell’appartamento pulito e ordinato. Quell’assenza di caos visibile, quell’atmosfera di pace rarefatta stride tanto più intensamente con il fermento dei propri pensieri, il tumulto delle emozioni che la stanno divorando dall’interno. Sente gli occhi bruciare e una sensazione di occlusione alla gola. Vorrebbe scappare e allo stesso tempo non vorrebbe essere in nessun altro posto. Ha già provato una sensazione simile in passato. Una volta, molti anni fa, quando ha ucciso un uomo per salvargli la vita.
Un ronzio - la vibrazione che accompagna l’arrivo di un sms – le fa riaprire gli occhi di scatto. Molly non fa in tempo a digitare il codice di accesso che il telefono vibra di nuovo tra le sue mani – una, due, tre volte. Sulla schermata compaiono le anteprime di una sfilza di messaggi inviati in rapida successione dallo stesso numero, dalla stessa persona.

State bene? SH

Sto arrivando. SH

Molly scoppia in una piccola risata incredula, mentre legge rapidamente gli altri che seguono, il tono dei messaggi via via più agitato. Può immaginarselo, a Baker Street. Scendere di volata le rampe di scale, appendere la vestaglia di turno all’appendiabiti e infilarsi il Belstaff come un cavaliere che indossi la sua armatura prima di scendere in battaglia. Può immaginarlo mentre chiama un taxi, anzi no, comincia a incamminarsi e intanto vaglia le opzioni con quella sua mente iperbolica: decide che no, è troppo tardi per prendere la metropolitana e che, tutto sommato, è preferibile raggiungere a piedi il suo appartamento. Quindici minuti, in fondo, non sono così tanti da –
Qualcuno sta bussando alla porta. Molly aggrotta le sopracciglia, confusa. Non sono passati che un paio di minuti. E’ impossibile, logisticamente, che Sherlock sia già lì. A meno che –

Oh. Oh, cielo.
A meno che.   

 

 

 

 

 

 

It is what it is.

 

 

 

 

 

 

 

Sherlock staziona nel suo soggiorno, occhieggiando con aria inscrutabile la visuale aperta sulla cucina. Inscrutabile per chiunque altro. Non per lei, che sa, che ricorda. (Una brutta giornata. Una telefonata che l’ha soltanto peggiorata. Una confessione strappata con dolore.)
Perfetto, pensa e poggia con appena più forza del necessario le tazze di tè sul tavolino.
Gli occhi di Sherlock sono catalizzati dal rumore, dalla sua presenza e riacquistano uno spessore che le deduzioni – i ricordi – di solito hanno il potere di affievolire.
“Non dovevi accorrere così,” gli dice.
Sherlock non sembra capire. E’ quasi divertente notare il capovolgimento dei ruoli: un tempo lui era in grado di mettere a nudo ogni suo desiderio, pensiero, azione. Lei ha imparato a fare altrettanto, solo che la sua attenzione si sofferma sui sentimenti – le minuscole avvisaglie dietro le espressioni morbide che lui si concede.
“Il tuo caso,” lei spiega con pazienza. “Quello che stavi seguendo. Avrei potuto aspettare. Non era necessario che ti precipitassi qui.”
La confusione di lui, ora, è palpabile; si trasforma in sconcerto. Si concede un attimo per fissarla con una sorta di disorientato stupore e con quell’aria il cui significato implicito è un’accusa alla sua intelligenza, prima di scrollare la testa. ‘Non essere assurda, Molly’, sembra dire. “Non era niente di importante,” lui risponde e senza guardarla direttamente negli occhi, tra un sorso e l’altro di tè, borbotta ‘la Venerabile Compagnia dei Macellai’ e ‘neppure un nove pieno’ e ‘se ne stanno occupando John e Lestrade, il che non è un’assicurazione, ma…’.
Le sue deduzioni erano errate e soffiando via il vapore dal bordo della sua tazza, Molly evince dall’aspetto di lui quello che Sherlock osserverebbe, ma non vedrebbe. Non ci vuole un occhio clinico per notare il sollievo palpabile sul suo viso allungato. Lei lo aveva già intuito dal sospiro impercettibile che gli ha lasciato le labbra quando gli ha aperto la porta, dalla maniera febbrile in cui il suo sguardo ha passato in rassegna l’ambiente. Lo ha visto e gli ha concesso un attimo per riprendere il controllo. Gli ha offerto del tè. E ora sono in piedi, di fronte al suo camino, mentre evitano con cura di rivolgersi la parola o di scambiarsi un’occhiata più approfondita.
[Le piacerebbe dirgli che non deve sentirsi a disagio o in imbarazzo. Vorrebbe rassicurarlo sul fatto che il loro rapporto non sia stato compromesso né danneggiato. Sì, qualcosa si è incrinato, ma non in maniera irreparabile. Vorrebbe dirgli che non occorrono scuse, si conoscono da dieci anni – Dio! Un terzo della sua vita – e hanno superato da tempo quella fase. Vorrebbe spiegargli che non deve sentirsi in colpa, ha fatto quello che doveva, le ha salvato la vita.

Ma non è quello il motivo per cui l’ha chiamato nel cuore della notte.]
“Dobbiamo parlare,” lei dice, stringendo le labbra. “Il motivo per cui ti ho chiesto di venire riguarda Rosie.”

 
*

 
Lui è curvato sopra la culla e la osserva riposare. Rosie dorme, ignara del turbamento che alberga nel cuore della sua madrina e, in buona parte, in quello del suo padrino.
Quando ha annunciato la novità a Sherlock, lui non ha reagito come lei si era aspettata. Non c’era rabbia nei suoi occhi, ma una tristezza così penetrante che le ha spezzato il cuore. 
“Non è colpa tua,” le ha detto con gentilezza e anche se a livello conscio Molly riconosce la natura veritiera della sua rassicurazione, a livello inconscio non può evitare di provare ciò che le gonfia il petto e le stringe lo stomaco.
Non è colpa sua, ripete a sé stessa. Non è colpa sua. Eppure è così ingiusto, così crudele che Rosie l’abbia chiamata ‘mamma’. E ciò che è ancora più disonesto è che lei, in realtà –
Sherlock sfiora con il pollice la fronte di Rosie, le scosta con delicatezza un ricciolo e le lacrime che Molly ha trattenuto fino a quel momento le inondano gli occhi e si riversano sulle guance.
Quando lui si volta con un’espressione di insostenibile tormento – il lutto di Mary che si riaffaccia come un oggetto riesumato dal fondo del mare, la privazione che ne consegue come una sindrome dell’arto fantasma -, lei si sposta al suo fianco. Cerca la sua mano e quando la trova, lui la stringe di rimando. La sua stretta è calda e incoraggiante.   
“Le cose stanno così,” lo sente mormorare ad un certo punto e quando solleva la testa, scopre che lui la sta fissando.
“Sua madre è morta. Lei non dovrebbe –" si morde il labbro inferiore. "Non è giusto.”
“Non è giusto, ma non puoi cambiare la realtà dei fatti. Nessuno può. Non è come funziona il mondo. Non sei sua madre, Molly, ma lo sei diventata. Rosamund ti ha scelto, Mary ti ha scelto.”
Molly asciuga rabbiosamente le lacrime con il dorso della mano. “Ero felice,” dice con aria di provocazione, quasi sfidandolo a guardarla con disgusto e repulsione. “Prima di ricordarmi di Mary, per un attimo, quando mi ha chiamato ‘mamma’, sono stata felice.” Questo fa di lei una pessima persona? Non necessariamente, ma comunque rimane penoso e spiacevole.  
Sherlock sfrega un dito sulla sua guancia umida, nella penombra della stanza il suo viso è una maschera di rifrazioni e sentimenti contrastanti: affetto, compassione, infelicità, inquietudine, mestizia. “Siamo quello che siamo, Molly Hooper.”
“E cosa siamo, esattamente?”
Lui si china per sfiorarle la tempia con le labbra, in un bacio che lenisce il dolore e lo guarisce, al contempo. La sua mano si sposta dietro la nuca, la sorregge. “Umani.”
Schiantata dal peso liberatorio delle sue parole, Molly poggia la fronte contro la sua spalla. “Non è spaventoso?” domanda.
Lui le accarezza i capelli, il suo tono è distante e ricco, contemplativo. “Non come temevo.”
Senza che nessuno dei due aggiunga altro, rimangono vicini, abbastanza da scaldarsi a vicenda e sfiorarsi, da dare l’impressione che, insieme, forse, forse quel peso possa diventare quasi sopportabile, inverosimilmente più facile da portare.

 

 


N/A:

Una sciocchezza scritta di getto, mentre scrivevo tutt’altro, come al solito (anticipazioni: una What if in cui Molly non dice ‘Ti amo’, ma ‘Non posso’, la linea viene interrotta e il povero Sherlock pensa che lei sia morta fino alla risoluzione del caso, ovvero l’arrivo di Lestrade). Abbastanza triste, come piace a me, ma non in quel modo insopportabile che toglie il respiro o almeno lo spero!

Ragazze, ne approfitto per ringraziarvi. Siete dei portenti, argute e divertenti, ogni vostro commento mi regala un po’ di luce nei momenti di stanchezza e mi sprona a scrivere, anche se è un periodo in cui il lavoro mi sta uccidendo (una battuta alla Molly. Il lavoro è un mortorio xD). Ritaglio il tempo per scrivere nei brevi momenti che ho a mia disposizione: mentre prendo il treno la mattina presto, nel tragitto fino alla stazione, aspettando l’arrivo del pullman, facendo la spesa, a letto quando il sonno tarda ad arrivare e registro intere conversazioni inventate, imitando le voci sul mio cellulare (lo so, sono pazza) e mia sorella puntualmente mi getta cuscini e cose meno morbide addosso perché faccio baccano.

Perciò, per tornare al punto focale, nel caso in cui le mie digressioni lo avessero reso confusionario e poco chiaro, lo riscrivo: GRAZIE. Grazie per l’attenzione che mi dedicate, per le vostre parole di supporto, perché mi fate sentire speciale e mi riservate il grande onore della vostra fiducia, dei vostri apprezzamenti. Non vi conosco personalmente, con alcune ormai sono anni che ci ‘leggiamo’ reciprocamente, di recensione in recensione, e sono arrivata almeno un po’ ad avere un’idea delle persone amabili e simpatiche che sono, non vi conosco nella vita reale, ma di una cosa sono certa: se tutte amiamo Molly Hooper, se abbiamo anche un briciolo del gran cuore di questo personaggio meraviglioso, allora qualcosa ci accomuna e se sentiamo di assomigliarle, allora il mondo è fortunato ad avervi. Un abbraccio fortissimo :)     

  

  
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