僕は孤独さ – No Signal
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Parte prima: il caso Embalmer
Quando
i suoi genitori le dissero chiaramente che non c’erano soldi per farle
frequentare l’accademia di danza, Aiko dovette
scendere a patti con la consapevolezza che non eccelleva in nulla, se non in
quell’arte. Non le piaceva studiare per impostazione, anche se non faceva
fatica a leggere libri su libri per diletto, di conseguenza l’università era da
escludersi. Senza tener conto del fatto che la sua media scolastica non era mai
stata così alta, quindi non sarebbe stata ammessa in quei pochi corsi che
avrebbero potuto attirare la sua attenzione.
L’idea
iniziale quella di andare a lavorare per sua madre e suo padre nel negozio di
famiglia. I Masa gestivano da diverse generazioni una
bottega di antiquariato, i cui affari non erano mai andati troppo male, ma
nemmeno così bene da potersi adagiare sugli allori. Il fatto di non venire
pagata non le pesava, visto quanto scarni fossero i suoi turni.
Poteva
continuare a studiare danza nella sua vecchia palestra e farsi pagare le
lezioni di recitazione, magari nella vana speranza che una compagnia
dilettantistica l’avrebbe presa con sé seppur con quelle scarse referenze.
Quella
vita le andò bene per poco più di tre mesi, prima di capire che voleva una
svolta.
Aveva
ancora quel biglietto da visita nel portafogli e si ritrovò a pensare che se
non poteva realizzare un sogno, quanto meno, avrebbe potuto estinguere un
debito.
Durante
l’addestramento presso l’accademia formativa del ccg,
Masa fu costretta a diventare brava in tutte le
discipline per conseguire le borse di studio che le servivano per andare
avanti. Ovviamente a suo padre non stava molto bene l’avere una figlia
investigatrice, ma non di certo per preoccupazione. Se anche lei si distaccava
da loro, non ci sarebbe stato nessuno a mandare avanti il negozio di famiglia.
Aiko decise di non prendersi carico
degli scarti di suo fratello e di andare avanti per la sua strada. Riuscì a
piazzarsi sesta nella graduatoria finale del suo anno, ma il giorno della
cerimonia del diploma, il signor Masa non fece altro
che vantarsi di quel figlio laureato in ingegneria che di lì a qualche mese si
sarebbe trasferito a Ginevra per iniziare un importante progetto
architettonico.
Suo
fratello non partì mai per la Svizzera, mentre Aiko
divenne il secondo di Kaori Makoto, investigatrice di
prima classe della squadra Itadashi, sotto le
direttive del classe speciale Mougan Tanakamaru.
Il
primo stipendio andò a coprire i costi del suo primo appartamento, un monolocale
davvero microscopico, ma suo, poco lontano dalla sede della seconda
circoscrizione, nella quale lavorava come supporto logistico per i laboratori
scientifici.
Non fu
un lavoro di lunga durata. Chiamati a supportare i classe speciale Shinohara e Marude, l’intera
squadra Itadashi venne completamente annientata dal
grado ss Tatara durante lo scontro per l’eliminazione del Gufo, nella ventesima
circoscrizione.
Aiko fu la sola superstite. Riuscì
a uccidere un ghoul di grado s, portando in salvo la
pelle, ma a caro prezzo. Quando venne trovata, rannicchiata contro un muro con
a circondarla i membri della sua squadra fatti a pezzi, nessuno si sarebbe mai
aspettato di rivederla al bureau. Invece, cinque settimane di congedo dopo
quella che poi venne rinominata la battaglia
dell’Anteiku, Masa
venne inserita in una delle squadre più prestigiose dell’intera divisione di
Tokyo e passata dal terzo al secondo livello.
Nessuno
però poteva dire di riconoscerla, perché qualsiasi cosa fosse successo quella
notte, Aiko era cambiata permanentemente, vittima del
trauma.
La
sala delle riunioni della squadra Hirako era grande.
Quattro tavoli di media dimensione erano disposti a quadrato con otto sedie a
costeggiarli. Masa, che era arrivata per prima, si
era ritrovata nella difficile posizione di decidere dove sedersi, temendo di
occupare il posto di qualcun altro. Per giusta misura, non prese posto al
tavolo. Si appoggiò alle vetrate, con la fronte contro la superficie fredda e
il cappuccio alzato sul capo. Rimase ferma così, con gli occhi sbarrati da un
pensiero che le annichiliva la mente, fino a che un uomo dai capelli brizzolati
e il sorriso gentile la riscosse.
«Mi
chiamo Daisuke Orihara e da
oggi saremo partner. Benvenuta nella squadra Hirako, Masa.»
Sembrava
un tipo gentile, alla mano. Diverso dalla maggior parte degli altri membri, che
li raggiunsero poco dopo. Per tutta la riunione, Aiko
si sentì fuori posto.
Il
caposquadra sembrava un uomo tutto d’un pezzo. Non sorrideva, né sembrava
alterato. Semplicemente leggeva i casi aperti e dava disposizioni con fare
sbrigativo, come se ci fossero cose molto più importanti da fare che star lì a
parlare del nulla. Non fece nemmeno una menzione all’ingresso di Masa nella squadra, ma si rivolse a lei con naturalezza,
come se si fosse sempre trovata seduta di fronte a lui. Lo stesso fecero anche Nezu e Umeno, ma Machibita le sorrise incoraggiante dalla sedia alla sua destra,
mentre Hirako le domandava i dettagli del suo lavoro
su qualche caso della squadra Itadashi.
Ad Aiko, quell’uomo metteva una soggezione unica. Tutti lo
chiamavano Take, scherzavano sul fatto che le signorine non si mettono a
disagio, ma lui rimaneva impassibile, rilassato, come se non comprendesse lo
scherzo o semplicemente non volesse prendervi parte.
Masa ancora non lo sapeva, ma di lì
a poco sarebbe diventata una sorta di principessina per ogni membro della squadra, eccetto Hirako.
Il motivo poteva essere perché era la sola donna a farvi parte, o forse perché
così minuta, magra in modo quasi innaturale e con gli occhi perennemente
stanchi e tristi doveva fare tenerezza. Una giovane dal viso scarno di bambina,
con grandi occhi gialli e lunghi capelli neri. Ebbe un piccolo assaggio dell’ospitalità
del gruppo alla fine della riunione, quando Orihara
la invitò ad incontrarlo di lì a un quarto d’ora per raggiungere la sede della
ventitreesima insieme, dove avrebbero operato. A lei si avvicinò il solo altro
ragazzo giovane che faceva parte del team, un biondino dall’aria divertita con
il quale Masa aveva parlato già altre volte.
«Sembra
stronzo, ma non morde.» le disse divertito, facendo un cenno a Take, che
essendo il sui partner gli concedeva qualche libertà in quale senso. Di fatto
passò gli occhi sul volto dei due ragazzi, prima di alzare un sopracciglio in
direzione di Ito ricordandogli che partivano in dieci
minuti. «Se Orihara ti importuna, chiamami» proseguì Kuramoto, sempre sorridendo, mentre iniziava a camminare
lentamente all’indietro verso la porta «Diventerò il tuo angelo custode, da
oggi!»
Aiko sorrise pallidamente di fronte
a quella che le sembrava una promessa stupida.
Non
aveva idea di quanto invece sarebbe stato vero.
Capitolo cinque.
Il
lavoro nell’undicesima circoscrizione non aiutò Urie e Masa
a rendere il loro dinamico duo più coeso. Dopo sei giorni di indagini sul
campo, non avevano ottenuto assolutamente niente, nemmeno un interrogatorio al
potenziale sospettato.
Il
dottor Shinya sembrava essersi dissolto nel nulla. Ogni giorno si erano recati
alla clinica nella quale operava per sentirsi dire che era ancora impegnato ad
un convegno estero o che presiedeva a delle lezioni universitarie chissà dove.
Le sue infermiere e le impiegate della reception continuavano a coprirlo,
rendendolo al contempo la sua posizione sempre più compromessa. Non potevano emettere
un mandato di arresto senza nessuna prova materiale, se non qualche intuizione
e la riottosità del medico a vederli.
«Ditegli
che la prossima volta che verremo qui, sarà per mettergli delle manette ai
polsi. Il ccg ha di meglio da fare che perdere
tempo.»
Urie
si sentiva frustrato. Uscì dalla clinica tirandosi dietro la porta di vetro con
forza e tornando verso l’auto. La sua partner lo aspettava sul sedile del
passeggero, con un bicchiere di carta che un tempo era pieno di caffè e gli
occhiali da sole da aviatore sul naso.
«Ancora
niente, eh?» chiese con tono ovvio, mentre lui prendeva posto al volante con un
diavolo per capello «Io ho chiamato Okada per quel
mandato di perquisizione che ti dicevo ieri. Quando hanno passato al setaccio
il capannone hanno trovato tutto il necessario per degli interventi
clandestini, ma niente che potesse ricondurre a delle macchine per
l’imbalsamazione. Abbiamo trovato un chirurgo che opera illegalmente, secondo
te vale lo stesso per non farci fare la figura degli incapaci?»
Urie
l’avrebbe presa a schiaffi. Sembrava non importarle niente.
Scelse
di non rispondere, mettendo in modo e avviandosi. La meta non la conosceva,
perché che tornassero alla sede dell’undicesima o andassero direttamente al
diavolo era la stessa cosa.
Decise
di non lasciar perdere e si diresse verso l’università dove, a detta della
caposala, Shinya stava tenendo un seminario sulla correzione di Dio solo sa
cosa. Chi se ne fregava, della chirurgia estetica e dei suoi tecnicismi, Urie
non ne poteva più.
«Dovresti
prenderla meno seriamente» gli fece presente Masa,
appoggiandosi con il gomito alla portiera mentre svuotava definitivamente il
bicchiere in un solo sorso, storcendo il naso a causa del caffè ormai freddo
«Insomma, non stiamo facendo progressi in un caso impossibile, nel quale
nemmeno la créme de la créme della ccg
ha fatto un singolo progresso. Chissà che gran tragedia è.»
«Non
capisci che il problema è che non riusciamo a fare un interrogatorio?» la
riprese subito il ragazzo, domandandosi perché doveva avere a che fare con una
tale cretina. Era quasi meglio Saiko che almeno
giocava alla psp e non rompeva le scatole «Se non
riusciamo a parlare con quello stronzo, possiamo anche darci al lavoro da
ufficio.»
«Meglio
se non ci riusciamo, no? Vuol dire che è colpevole. Ora dobbiamo solo
prenderlo, ma fidati quando ti dico che non lo troveremo all’università. Se è
furbo, è già a Tahiti.»
Stringendo
le mani attorno al volante, Kuki non rispose subito.
Se non avesse avuto un paio di guanti neri, sicuramente le sue nocche sarebbero
sbiancate tanto forte era la presa. Lanciò una breve occhiata alla sua
sinistra, dove Aiko sembrava godersi la vista del
porto baciato dalla giornata di sole.
La
voglia di prenderla a schiaffi aumentò esponenzialmente.
«I ghoul non sono furbi. Sono mostri senza anima che non
devono far altro se non aspettare la morte per mano nostra.»
A quel
punto, fu Masa a voltarsi verso di lui. Sollevò gli
occhiali da sole sul capo, fra le ciocche spettinate, guardandolo come avrebbe
guardato un totale deficiente. Anche se era fermo sulle sue convinzioni, mentre
prendeva lo svincolo per entrare sulla superstrada, Urie si sentì esattamente
così: un idiota. Quello sguardo lo aveva fucilato.
«Certo
che con questa mentalità protostorica riuscirai sicuramente a risolvere il
caso» lo prese in giro ironica, accavallando le gambe «Infatti pensa un po’,
questo ghoul è così tanto stupido da non averla fatta
franca per più di quindici anni, laureandosi in medicina e aprendo anche una
clinica piuttosto rinomata nel frattempo. Un vero idiota, sìsì.»
«Stai
zitta.» Cretina. «Se devi parlare per
dar fiato alla bocca, allora non farlo.»
«Vale
la stessa cosa per te, Cookie. Se sei incazzato con il mondo perché non sei
ancora entrato nei venti e vuoi goderti gli ultimi istanti di adolescenza, non
è un mio problema.»
Di
nuovo, si ritrovarono a litigare. Lui alterato e lei indispettita, con stizza.
Solitamente l’argomento cadeva così, con Urie che si offendeva e lei che,
vittoriosa, si infilava le cuffiette nelle orecchie isolandosi fino alla loro
destinazione.
Quel
giorno, però, Masa si sentiva particolarmente in
forma.
«Vorrei
tanto sapere come fai a lavorare pieno di pregiudizi come sei.»
Lui
continuò a tenere gli occhi fissi sulla strada, mentre l’ira si accumulava nei
suoi polsi facendoli tremare «Non sono pregiudizi, ma un solido dato di fatto.
Nessuna persona che si reputi un investigatore dovrebbe pensarla diversamente
da me.»
«Partendo
dal presupposto che io sono una fiera sostenitrice delle implicazioni morali
nell’uccidere un altro essere senziente» Masa iniziò
a fargli il verso, parlando saccentemente
«Credo che tu semplicemente non riesci ad accettare che colui che ti ha
rovinato la vita era consapevole di quello che stava facendo.»
Ci fu
un momento nel quale Urie cercò di pensare di aver capito male. Che Masa non stava andando a parare in quella zona oscura che
nessuno poteva permettersi nemmeno di citare.
Lei,
però, continuò levandogli ogni dubbio.
«Sono
una profiler. È il mio lavoro entrare nelle menti
deviate e problematiche.»
«Stai
dicendo che la mia è così?»
«Sei
una persona rovinata, ma non distrutta. Non finire il lavoro che ha iniziato
qualcun altro.»
Urie
avrebbe preferito ricevere una quinque nello stomaco
che affrontare un discorso del genere con una totale sconosciuta. Perché se
poteva considerare anche solo vagamente dei compagni gli altri membri della Quinx Squad, Aiko
non era altro che una collega fin troppo impertinente. Ormai era già incazzato,
ma lei riusciva a peggiorare la situazione con un sorprendente talento
naturale.
«Non
sai nulla di me.»
Masa sbuffò una mezza risata, priva
di colore «Certo, la frase tattica di chi è messo con le spalle al muro. La
dicono sempre anche nei film.» scostò lo sguardo dal profilo dell’altro,
appoggiandosi di nuovo alla portiera «Sai
che vengono uccise molte più persone negli incidenti stradali che dai ghoul? Assurdo, ma vero. La percentuale è davvero alta,
tanto che se tutti coloro che hanno perso un caro iniziassero a odiare le
automobili il mercato colerebbe a picco. Tu detesti una razza intera perché un
singolo membro ti ha fatto un torto e fai pagare a ogni ghoul
esistente il peso della colpa che provi tu stesso, banalmente, per la morte di
tuo padre.»
Aiko rischiò di mordersi la lingua
grazie a Urie, che inchiodò di colpo il veicolo. Lo guardò con gli occhi
sbarrati, mentre un camion li superava, suonando il clacson a tutta forza.
«Vuoi
ucciderci!? È proprio quello che intendo, gli incidenti stradali sono-»
«Scendi!
Scendi adesso!»
Lei lo
guardò con espressione vacua, prima di voltarsi verso la portiera.
«Non
c’è il marciapiede e siamo in mezzo alla superstrada.»
«Non
mi riguarda, scendi. Ora.»
Masa continuò a fissarlo sperando
di vederlo cedere, di guardarlo inserire la marcia e partire, ma non aveva mai
visto Urie così tanto determinato per tutta la durata della loro
collaborazione. Così stiracchiò un sorriso consapevole, prima di allungarsi per
prendere la sua valigetta dai sedili posteriore.
Fece
appena in tempo a chiudere la portiera, che l’altro ripartì di gran carriera,
senza rimorsi.
Masa sospirò «Dovremmo lavorare
sulla comunicazione….» prese il cellulare dalla
tasca, controllando l’ora.
Poi lo
spense.
«Ma
non oggi.»
Allungò
una mano, pronta a scroccare un passaggio dal primo benefattore che si sarebbe
fermato, impietosito.
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Aiko si fece scaricare di fronte a
un motel per amanti, controllando che non ci fosse nessuno a notare una colomba
nella zona. Entrò, facendo sfrusciare il cappotto argentato lungo fino alle
caviglie mentre si avvicinava alla reception.
«Buongiorno,
vorrei una stanza per un paio di ore» disse, mostrando il distintivo «Secondo
livello Masa, investigatrice del ccg.»
La
ragazza alla reception guardò con interesse la figura appena arrivata, prima di
sorridere, passando una chiave grande e metallica «Sedici b, agente-san. Posso
avere un suo documento, per cortesia?»
«Sto
lavorando sotto copertura, quindi gradirei venir registrata con il mio numero di
matricola» le lasciò un biglietto con su i suoi dati, prima di ampliare il
sorriso «E vorrei chiederle in prestito anche questa bellissima giacca, per
favore. In cambio può avere la mia.»
Dieci
minuti dopo, Aiko stava lasciando nuovamente la
struttura, dopo aver appoggiato nella stanza la sua valigetta e qualche effetto
personale, fra cui il portafoglio. Prese con sé il telefono, ancora
rigorosamente spento, giusto per precauzione.
Salutò
la giovane alla reception, che si stava pavoneggiando con un paio di clienti
circa il modo in cui aveva ottenuto in prestito un trench di ordinanza del
bureau anti-ghoul, prima di calarsi il cappuccio nero
sul capo, prendendo una mascherina e appoggiandola sul viso.
Con le
mani ben ficcate nelle tasche, si avviò alla metropolitana, recandosi verso la
zona portuale.
Era
stata dura con Urie, lo ammetteva lei stessa, ma lui era stato abbastanza
stupido da abboccare all’amo, quindi un po’ se lo meritava. Masa
voleva chiudere quel caso in fretta e non aveva intenzione di portarlo con sé
dal suo informatore. Non era come il dottor Huang, non avrebbe avuto modo di
motivare la loro conoscenza, quindi farsi scaricare le era sembrata una buona
idea.
Si
ritrovò a girovagare per un quartiere sporco e fetido, cercando di andare a memoria
per trovare lo stabile di cui le avevano parlato. Lo trovò, seppure a fatica, e
prima di bussare controllò di non essere stata seguita. Un pannello si spostò,
rivelando una fessura sulla pesante porta di legno massello.
«Sei molto
lontana da casa, passerotto» ringhiò una voce bassa, pesante, dall’alito
putrido «Ti conviene voltarti e tornarci.»
Aiko sorrise, inclinando di lato il
capo e mostrandogli il sekigan
«Sono proprio dove dovrei essere, visto che devo parlare con il ragazzino.»
Il
pannello venne richiuso di colpo e poi, con un cigolare sinistro di cardini, le
venne spalancata la porta.
Urie
non si era per niente pentito della sua condotta, ma la lavata di capo di Sasaki gli aveva fatto intendere che forse, forse aveva esagerato.
«Masa ha un cappotto argentato, la noteranno prima di
investirla.»
La
scusa non aveva retto per niente e il suo capo non lo aveva giustificato. Aveva
ordinato al suo sottoposto di recuperare la sua partner, la quale però aveva
avuto la brillante idea di staccare il telefono.
L’immagine
di un tir che aveva sparso pezzi di Aiko per tutto il
tratto autostradale gli era balenato nel capo, ma poi aveva registrato che un
incidente del genere sarebbe stato sulla bocca di tutti e aveva smesso di
pensare al peggio.
Tre
ore dopo, mentre stava pensando se pranzare o meno, dell’altra non c’erano
ancora tracce. Incazzato e rassegnato, si era seduto su una panchina con la
valigetta della quinque accanto e il capo ribaltato
all’indietro verso il cielo.
Lei lo
aveva ferito di proposito, marciando sulla sola cosa su cui lui non era
disposto a discutere, ci era arrivato dopo. Perché lo aveva fatto? Era davvero
così stupida?
Così
insensibile?
Non
aveva il diritto di fare la vittima, visto che lui era certo di aver fatto
piangere Haise Sasaki e in
più di un’occasione. Portò una mano agli occhi, conscio che non poteva più
trattenere i rimorsi, quando dal suo auricolare, la voce della sua partner
arrivò chiara e soprattutto molto calma per il messaggio che stava per dare.
-Qui
agente di secondo livello Masa. Ho individuato il
nascondiglio dell’Embalmer e sto per entrare in
azione. Chiedo che le forze dell’ordine di terra facciano recintare la zona
attorno al Tokai 143, a cinquecento metri dalla zona di carico del porto nord.
La palazzina è un condominio residenziale grigio, chiedo autorizzazione per
procedere.-
Non
poteva essere vero. Quindici anni di silenzi e poi lei lo trovava così?
Urie
si mise seduto diritto, alzandosi e chiedendosi quanto lontano potesse essere
dal luogo in cui si trovava lui.
Portò
la mano all’orecchio per comunicarle la sua esatta posizione e dirle di
aspettarlo, ma Sasaki lo precedette.
-Ottimo
lavoro. Attendi Urie e agite con estrema prudenza. Non sappiamo esattamente quanto
forte sia, è stato catalogato come ghoul di classe s,
quindi non siate precipitosi. Se avete dei dubbi, attendete il supporto della
squadra incaricata di sovraintendere l’undicesima. Non fate di testa vostra.-
A quel
punto, rispose «Ricevuto.»
Cercò
di attirare l’attenzione di un taxi, mentre attendeva la risposta di Aiko.
Essa
però non arrivò.
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Forzare
la porta d’ingresso fu troppo facile. Aiko, che se ne
stava accovacciata accanto alla serratura cercando di aprirla con un paio di
ferretti dall’aria professionale quanto illegale, si rialzò afferrando la
maniglia non appena riuscì nel suo intento, per poi affacciarsi lentamente nell’androne.
L’odore
nauseante della decomposizione e del sangue rappreso la investì facendole
torcere le viscere, confermando che si trovava nel posto giusto. Istintivamente
prese dalla tasca del trench un pacchetto di fazzolettini profumati alle
fragole, ma non lo aprì colta da un colpo di genio.
Se
c’era un ghoul all’interno l’avrebbe fiutata
velocemente e non voleva facilitargli i lavoro. In ogni caso, sperò di non
trovarlo in casa. Agganciò la porta ed avanzò cercando di non fare rumore,
tenendo la valigetta con la quinque in una mano,
mentre l’altra andava ad aprire i bottoni del cappotto d’ordinanza recuperato
al motel, sciogliendone anche il cinturino.
Nessuno
aveva mai combattuto contro l’Embalmer, che aveva
preferito fuggire da Arima che ingaggiare un vero e
proprio scontro, ma non intendeva rischiare.
La
ricetrasmittente che aveva nell’orecchio sibilò e la voce di Sasaki le intimò di non prendere iniziative. Di aspettare l’arrivo
di Urie, il quale continuava a tenere aggiornata la sua posizione. C’era però
uno strano campo magnetico che faceva fischiare l’apparecchio elettronico e che
fece dissolvere le parole del mentore nell’etere.
Per
evitare di venire assordata, lo spense, ficcandolo in tasca.
Mano a
mano che avanzava per la stanza, il fetore aumentava. Per puro istinto portò
una mano al naso, comprendendo. Per quanto l’operazione l’avesse privata della
sua natura umana, l’essere una Quinx non la rendeva
di sicuro un ghoul. Era vomitevole.
La
fonte di quel puzzo che impregnava l’intero appartamento proveniva da un
secchio appoggiato ai piedi di un tavolo, il solo mobile all’interno della
stanza per il resto spoglia. Dentro di
esso, lasciato a marcire da parecchio tempo tra fluidi e mosche, c’era
l’apparato digerente di un essere umano. Masa si
chinò, constatando che poteva appartenere alla giovane donna ritrovata due mesi
prima, ma non poteva esserne certa.
Quelli
dovevano essere gli scarti che il ghoul aveva ottenuto
durante il processo di imbalsamazione che era avvenuto su quello stesso tavolo.
A testimonianza di questa deduzione, nascosto da un panno bianco che Masa buttò a terra, c’era un macchinario dall’aria datata
nell’angolo della stanza. Un dedalo di tubi simile a dei tentacoli si
diradavano dal corpo centrale del marchingegno, il quale era stato
sapientemente ripulito. Spostò la sua attenzione su ciò che era stato lasciato
in bella mostra sul tavolo, prendendo nella mano una delle tante boccette lì
presenti. Formalina, posta accanto al nitrato e alla glicerina, ovvero tutte le
componenti per una bella flebo di forma aldeide. Liquidi imbalsamatori molto in
voga alla fine degli anni cinquanta, in linea con il modus operandi del loro
ricercato, così come Huang aveva detto.
Mentre
analizzava attentamente la scena, era però caduta a piè pari nell’errore del
novellino: si era distratta e aveva permesso all’avversario di prendere il
vantaggio e fare la sua mossa per primo.
Non aveva
sentito quella figura sconosciuta strisciare verso di lei e prima ancora di
esserne vagamente consapevole, un paio di mani forti le avevano preso un braccio,
spingendola oltre la finestra a vista del salotto. Il vetro si infranse
nell’urto con il suo corpo e Aiko si ritrovò a cadere
da oltre tre piani.
Sotto,
ad accoglierla in un abbraccio ruvido, c’era una bella siepe, alla quale
dovette molto. Non la vita, ma le gambe e la schiena di sicuro. Ci avrebbero
rimesso un po’ a rigenerarsi e lei aveva tutto, tranne che il tempo.
Si
tirò su a tentoni, mentre dalla finestra sfondata scendeva con un salto agile
anche l’imbalsamatore in persona. Masa lo guardò,
massaggiandosi la spalla che aveva accusato un contraccolpo nel tentativo di
salvare la preziosa valigetta. Era un uomo, forse alla cinquantina, se non di
più. Non aveva avuto il piacere di incontrarlo prima, ma di fronte a lei si
ergeva il dottor Yoshiro Shinya in persona.
Take
le aveva sempre detto di non sottovalutare mai l’avversario per l’età, perché
più anni significava anche più esperienza. E un ogni ghoul
che invecchia è un ghoul che l’ha scampata in passato.
«Dottor
Shinya» pronunciò con voce determinata, anche se non riusciva a tenerla ferma
come avrebbe voluto. «Non diamo
spettacolo. Si arrenda.»
L’altro
non fece nulla. Non rise, né mutò la sua espressione. Sistemò solo il guanto
che portava nella mano destra, mentre la luce del sole rendeva impossibile la
visione dei suoi occhi a causa del riverbero sugli occhiali da vista ovali. «Mi
chiedo come reagirebbero i tuoi colleghi trovandoti seduta fuori dalla panchina
della sede centrale, signorina
investigatrice. Dovrò fare in fretta però a portarti via, prima che questo
posto si riempia di colombe.»
Capendo
perfettamente che non se la sarebbe cavata a buon mercato, Masa
si sfilò l’impermeabile. Non voleva rischiare di rovinarlo. «In realtà, sono
tutti molto abituati a vedermi seduta» gli fece sapere, cercando di mantenersi
rilassata, seppur non lo era affatto. Non aveva mai avuto buoni risultati in
uno scontro, figurarsi da sola, ma aveva avuto un aiuto chirurgico non da poco.
Aprì un paio di bottoni della camicia all’altezza dell’ombelico, prima di
prendere di nuovo in mano la quinque «Sarebbero più
sorpresi di trovarmi in piedi e in orario.»
Sganciò
i blocchi che tenevano chiusa la valigetta e in un baleno si ritrovò Izanami nel pugno. La quinque
gemella di Senza era di un caldo e vibrante magenta screziato di toni più scuri
e neri lungo tutta l’asta. Decise però di agire sfruttando anche la difesa.
La
camicetta si alzò, mentre dalle sue reni iniziava a generarsi una strana
pressione, ancora ben lontana dal sembrarle famigliare. Come un ventaglio di
spade, il suo kagune venne alla luce, per la prima
volta lontano dall’ambiente sicuro dell’ospedale interno del ccg.
Il suo
occhio sinistro mutò, tingendo la sclera nera e l’iride rossa, per poi andare a
spiare la reazione dell’avversario, il quale sicuramente non poteva aspettarsi
nulla di simile.
«Che
razza di abominio vi siete inventati ora, mostri?»
Non
gli diede però (niente però) il tempo di pensare troppo alla questione. «Non
credo che un ghoul dovrebbe essere così razzista»
Per la
prima volta in due anni e mezzo aveva la possibilità di utilizzare tutte le
nozioni che aveva appreso in quel lasso di tempo e non sarebbe sembrata
sospetta.
Il
luogo indicato da Masa nell’ultima comunicazione che
erano riusciti ad avere era un piccolo appartamento, incastonato in un palazzo
di otto piani. Urie non aveva bisogno di entrarvi per capire che lo scontro si
era spostato altrove. Guardò la facciata dalla vetrata sfondata, passando poi
gli occhi lungo la siepe semi distrutta, fino alla macchina in parte demolita
al limite dell’isolato. Si sarebbe chiesto se il CCG avrebbe pagato di tasca
propria i danni, ma era un po’ nervoso per farlo.
Non
volendo contattare nuovamente Sasaki, si ingegnò.
Dove potevano essersi cacciati? Il litorale si estendeva dopo il vicolo sulla
destra e lui sperava che non si fossero recati lì. C’erano molti turisti nella
zona. Raccolse da terra il trench argentato della collega, portandolo al volto
per sentirne l’odore. Non ci aveva mai provato, ma dopo l’intervento di
potenziamento il suo olfatto era migliorato. Magari avrebbe potuto trovarla
così.
Non
servì.
Un
grido piuttosto distinto arrivò esattamente dal luogo in cui sperava di non
doversi recare. Affrettò il passò, stringendo la valigetta nella mano e
sbucando sulla strada per ficcarsi in quella principale, alla fine della quale,
ad attenderlo, c’era l’oceano.
E
quelli che sembravano due ghoul nell’atto di
uccidersi a vicenda.
Il
sospetto ricercato – Urie ancora non poteva crederci che l’avesse davvero
trovato dopo essere stata abbandonata da lui sulla superstrada- era di tipo bikakou. La lunga coda del ghoul,
uncinata sulla punta, fendeva l’aria rapida.
Masa però sembrava abbastanza
padrona della situazione, nonostante dei tagli sul braccio destro che
sanguinavano, macchiandole la pelle e la camicetta bianca a brandelli.
Urie
rimase fermo a guardarla, spiazzato.
Il kagune dell’agente di secondo grado Aiko
Masa era molto, molto simile a quello di Sasaki. Una serie di tentacoli sottili come le zampe di un
ragno le uscivano dalla schiena e lui si sentì un po’ stupido per non averle
mai chiesto che tipo fosse. Un rinkakou, difficile da
gestire, e poco efficace contro un bikakou.
Le
similitudini col prima classe Haise però finivano
nella tipologia.
Il kagune di Aiko comprendeva ben
otto code, dalle scaglie definite e affilate rispetto a quelle piccole e
compatte dell’altro, ma non solo. Brillavano
dei toni del viola e dell’acqua marina e quando la donna saltò indietro per schivare
un attacco, aprendole a raggiera, parevano in tutto e per tutto simili alla
coda di un pavone.
Credo che questa sia la cosa
più vistosa ed eccessiva che abbia mai visto. Trash.
Non
attese comunque di esternare quel pensiero. Lo tenne per sé, scrocchiando il
collo prima di alzare appena la spalla. Rilasciò l’aria dai polmoni, mentre una
fitta di dolore gli annunciava che anche lui si stava armando di ciò che il
buon dottore l’aveva fornito.
Con un
balzo, fu anche lui nel mezzo della lotta.
Non
l’avevano visto arrivare, dalla stradina, ed entrambi i combattenti si
stupirono. Calcolò però male le tempistiche e seppur riuscì a tranciare un
pezzo della lunga coda, non bastò per infrangere quel resistente kagune. Con una botta nello stomaco, Shinya lo lanciò
contro un bidone della spazzatura.
«Urie!»
Masa si chiese come fosse possibile fare una tale
figura, visto che fra loro, Kuki era il più forte.
Non poteva però curarsi di lui. L’occasione presentò proprio grazie all’arrivo
dell’altro agente. Distratto, l’imbalsamatore si espose, finalmente. Agitando tutte
e otto le sue code riuscì a mandarlo in confusione, ma bastò una sola per
afferrargli la coda uncinata. La tirò verso di sé, conficcando con tutte le sue
forze Inazami nello stomaco del sospetto, vedendola
sbucare dall’altra parte, oltre le sue spalle. Questi trasalì, sputandole un
po’ di sangue sul volto. Lo guardò negli occhi, mentre il bikakou
svaniva nella sua presa, leggendo nelle iridi tornate di un caldo castano dai
toni nocciola, solo paura e smarrimento.
Niente
di più umano.
Fu un
contatto breve, quello fra i loro sguardi. Urie, con un singolo colpo secco, gli
mozzò il capo dal collo, il quale rotolò via, vicino a una vecchia Audi
parcheggiata al limitare della strada, lasciando a boccheggiare la donna. Il corpo
decapitato cadde sull’asfalto con un tonfo morbido, mentre lei ancora osservava
il luogo dove il macabro feticcio sembrava ricambiare lo sguardo. Gli occhi, fissi nella plastica posa della
morte, erano rivolti in tutt’altra direzione, ma lei li sentiva pungerle la
pelle come spilli.
Cosa
aveva fatto? Come era successo?
Le
mani di Urie la afferrarono per le spalle, scuotendola «Perché hai agito senza
di me?» le urlò in pieno volto, ma lei sembrava lontana galassie. Teneva la
testa bassa, gli occhi vitrei fissi che s’erano spostati sull’asfalto e chissà
quale pensiero ad assillarla. Aveva ancora il kagune
in vista e attorno a loro iniziavano a radunarsi dei curiosi che scattavano
foto con gli smartphone.
«Masa, torna in te» le disse, guardando quella che ora pareva una coda
unica, distesa sulla pavimentazione stradale, che finiva dietro alle sue
caviglie quasi come se l’avesse lasciata correre lì per proteggerlo da
qualcosa. «Fai sparire il kagune.»
«Non
ci riesco, il mio corpo reagisce come se mi sentissi ancora in pericolo…»
«Come
è possibile?!»
«Sei
tu che mi metti ansia!»
In un
moto di cocente disperazione, la giovane portò le mani al volto. Una gamba le
tremava per il nervosismo, mentre cercava di riprendere il controllo del suo
corpo. Le sue code presero a muoversi come serpenti inquieti, prima di iniziare
a ritirarsi, fino a diventare grandi come pugnali conficcati alla base della
sua schiena. Un altro paio di respiri e svanirono totalmente, assorbite dalla
carne delle reni. Lo verificò, Aiko, portando una
mano sotto alla camicetta e sentendo contro le dita solo la sua pelle liscia.
Urie
la stava ancora guardando, impassibile, ma nel contempo aveva confermato
l’abbattimento del ghoul Embalmer
a Sasaki. Un successo rapido e lo doveva tutto alla
collega. Eppure non poteva perdonarle l’avventatezza. «Avresti dovuto obbedire agli
ordini e attendere i rinforzi. È stato stupido affrontarlo da sola, potevi
morire. Questa è la prima missione in cui usi il kagune,
poteva finire molto male.»
«Ti
stai davvero preoccupando per me?» chiese senza particolare inflessioni della
voce Aiko, andando a sedersi sul bordo del
marciapiede dopo aver recuperato il suo trench, che Urie aveva appoggiato sulla
valigetta rimasta inutilizzata.
Si
sedette lì, tenendo Inazami sulle gambe, mentre lo
guardava dal basso «Tu non lo avresti fatto? Sei famoso per la tua cooperazione
nulla, volta a farti promuovere anche a rischio della salute dei tuoi compagni
di squadra. Me lo ricordo cosa è successo durante l’operazione Asta, sai? Ero
presente. Ma non tenere, ti lascio tutto
il merito dell’uccisione di Embalmer. Io non lo
voglio. Prenditelo. »
Quello
era troppo.
Stupida, sei solo una stupida.
Ovviamente mi sono preoccupato.
Giro
sui tacchi e si curò di allontanare i curiosi, mentre i rinforzi li
raggiungevano transennando l’area.
Non
parlò più a Masa fino all’arrivo di Sasaki, ma la vide spostarsi dal nastro giallo tenendo fra
le mani una sigaretta e il cellulare all’orecchio. Si chiese chi mai fosse così
importante da dover ricevere una chiamata in quel momento, ma poi realizzò che
non gliene importava nulla. Quella ragazza era fuori controllo e la cosa
peggiore era che era stata lei a trovare tutte le prove, lasciandolo fuori.
E
questo bruciava molto più di qualsiasi traccia di preoccupazione.
Continua.
✄---------N.d.A--------
Nello scorso capitolo ho
omesso una cosa molto importante: due dei personaggi originali di questa
storia, ovvero Aizawa e Shukumei,
non mi appartengono. Sono protagonisti di una storia che si spera verrà
pubblicata presto dall’autrice RLandH.
Posta Luna.
Detto questo, ringrazio
che legge e chi mi segue, ma in particolare chi perde dieci minuti del suo
tempo per recensirmi.
Wow, ho finito il primo
caso.
Sono stupita da me
stessa per la rapidità.
Spero che questi momenti
di folle furor creativo continuino.
Detto questo, vi saluto!
Alla prossima!
C.L.