PIRATE
DREAM
CAPITOLO 1
Un’ Occasione irripetibile
Mi chiamo Hazel Kington e voglio fare il pirata.
Questo è sempre stato il mio più grande
sogno fin da quando ero una mocciosetta con i capelli biondi, ma ora che sono
cresciuta e ho quasi 16 anni, il desiderio di solcare i mari con un veliero
tutto mio è sempre nitido nella mia mente. Non so bene in che occasione e come
questa passione sia esplosa in me, forse quando sentivo raccontare da mio padre
le favole sui pirati…è stato sicuramente lui a farmeli adorare, mi ricordo che alla sera, veniva sempre in camera mia appena dopo che mia
madre era uscita, non sopportava l’idea che cominciassi a idolatrare i pirati,
si sedeva sul mio letto e da sotto la sua giacca tirava fuori ogni volta un
libro nuovo e si metteva a leggere. Io lo ascoltavo con gli occhi che
brillavano, mi immaginavo le avventure che lui narrava
come se fossi io stessa a viverle, quando terminava di leggere, mi posava un
bacio sulla fronte e usciva dalla mia stanza con la promessa che il giorno dopo
avremmo inscenato la favola. Appena rimanevo sola, troppo eccitata non riuscivo mai a
chiudere occhio se non dopo una buona mezz’oretta. Alla mattina appena sveglia correvo giù a tavola per fare colazione e aspettavo
con ansia che mio padre tornasse dalla sua passeggiata mattutina, mia madre
cercava di convincermi che quelle dei pirati che erano eroi, erano solo
favolette che loro erano solo una branco di mascalzoni che depredavano ogni
casa e ogni luogo, ma difficilmente gli credevo, o se lo facevo bastava qualche
parola di mio papà per eliminare qualsiasi dubbio che come un tarlo si
insinuava nella mia mente.
Ho trascorso così la mia infanzia, continuando a
sognare insieme a mio padre, fino a che quando avevo dodici anni, lui non è
scomparso, o meglio questo è quello che piace pensare a me, mia madre è
convinta che ci abbia abbandonate, andandosene per i
mari a cercare chissà quali tesori come era solito dire, ma io non la penso
così, è vero spesse volte aveva parlato di voler lasciare tutto per inseguire i
suoi sogni, ma solitamente lo faceva quando era ubriaco e noi non davamo peso
alle sue parole e ora non sappiamo neppure dove sia né tantomeno se è ancora
vivo… no è vivo, deve esserlo.
Giù al porto sono ormeggiate varie imbarcazioni, ma
quella che fa più effetto è sicuramente la Saint Caroline, è veramente
splendida, la guardo dalla finestra della mia stanza, mentre i pensieri che
hanno affollato la mia mente fino ad adesso,
cominciano ad affievolirsi fino a scomparire del tutto. Ora dovrebbero
scaricare la merce, è la mia occasione per convincere Frank a farmici salire un
momento solo, giusto per darle un’occhiata sul serio.
Frank Pelling era un vecchio amico di mio padre
John, da quel che so si conoscevano fin da quando
erano ragazzini, anche lui come mio papà sognava di solcare i mari a bordo di
una nave pirata, la “loro” nave pirata, alla ricerca di bottini ma crescendo e a furia di seguire il padre
nel suo lavoro, la passione che Frank provava per la pirateria si assopì,
lasciando posto a quella per la marina, suo nemico giurato, ora è un ufficiale
e sono sicura che un giretto sulla nave me lo farà fare. Il vero problema a
pensarci bene non è tanto lui quanto mia madre, con la scomparsa di suo marito
non vede di buon occhio nulla che abbia a che fare con le imbarcazioni e
l’oceano, non credo che mi permetterà di andare giù al porto, ma non penso
nemmeno sia tanto sciocca da credermi se le racconto
che vado dalla signora Smith. Questo è un bel problema. Come faccio?
Mi sporgo fuori dalla mia
finestra con la speranza di avvicinarmi di più alla nave, anche se mi trovo a
miglia di distanza, quando noto il tendone che c’è proprio qualche metro sotto
e non ci vuole niente perché l’idea mi attraversi la mente, se faccio
attenzione, con una piccolo salto dovrei atterrarci sopra senza problemi e poi
riuscire a scendere a terra… non dev’essere poi tanto difficile! Deglutendo
rumorosamente comincio a mettere un piede fuori dalla
finestra e mi blocco in quella posizione. Con un piede a mezz’aria e il resto
del corpo dentro la mia stanza, mi sento un’idiota, tutto ad un tratto la
distanza che separa la mia finestra dalla strada mi
sembra enorme e sono quasi tentata di rinunciare all’impresa, quando ricordo a
me stessa che sono un pirata, o almeno è quello che voglio diventare… se mi
spavento per una cosa del genere, posso anche scordarmi di continuare a
sognare!! Faccio un respiro profondo e appoggio il piede sullo stretto
cornicione. Con le mani mi tengo ancorata al muro mentre faccio scivolare anche
l’altra gamba oltre la finestra, se qualcuno mi vede in questo momento penserà
che io voglia suicidarmi il che, se non sto attenta, non si allontana molto
dalla realtà. Ora sono seduta sul davanzale, e dovrei lasciarmi scivolare sul
tendone, ma solo adesso mi viene in mente che la spessa stoffa potrebbe non
sopportare il mio peso, oh accidenti ormai sono in ballo, tanto vale ballare mi
dico mentre molto lentamente mi lascio cadere sul telone. Nella caduta ho
tenuto rigorosamente gli occhi chiusi e ora che li apro noto che sono tutta
intera, emetto un sospiro di sollievo e con calma mi
sposto di lato, sempre rimanendo attaccata alla parete, fino a giungere alla
fine della tenda. Butto l’occhio verso terra, per vedere quanti metri sono più
o meno se mi butto e, con mia grande sorpresa noto una
cassa proprio sotto di me, sorrido e mi volto per scendere di schiena sopra di
essa. Dopo qualche tentativo, con la punta del piede riesco a sentire la
superficie solida del legno e lentamente lascio la tenda per ritrovarmi in
piedi, e saltare subito dopo a terra.
Non mi sembra vero ma ci sono riuscita! Se penso che lo sto facendo per vedere una nave, mi viene da
ridere, avrei potuto rompermi qualche osso!
Con una mano mi porto una ciocca di capelli ramati
dietro l’orecchio e mi avvio correndo verso il porto.
Corro a perdifiato giù per la collina e giungo in
città nel giro di pochi minuti. Il panettiere mi chiama a gran voce ma non gli
rispondo e continuo la mia corsa fino a raggiungere la Saint Caroline, mi
guardo intorno per cercare di scorgere tra i marinai che stanno trafficando con
i carichi, l’ufficiale Frank e non posso trattenermi dal sorridere quando lo
vedo che spara ordini a destra e a manca. Mi avvio verso di lui aspettando che
finisca di urlare contro una povera recluta e non appena quest’ultima si
allontana con un deciso: “Sissignore!”, superandomi e unendosi al resto della
ciurma, Pelling sospira rumorosamente passandosi una mano sulla fronte
imperlata di sudore.
- Ah… queste reclute, mai una volta che non mi facciano
uscire dai gangheri!- si volta verso la città di Port Royal e finalmente mi
vede, la sua bocca si distende in un largo sorriso mentre mi si avvicina.
- Signorina Hazel, quanto tempo!!- mi dice
prendendomi la mano e baciandomela. Io fingo una smorfia e prima che possa
lasciarmi la mano lo abbraccio forte. Lo sento prima
sorpreso del mio gesto poi stringermi a sua volta.
Quando sciogliamo l’abbraccio, lo
guardo un po’ contrariata.
- Frank quante volte te lo devo
dire di non chiamarmi “Signorina”??-
- Hai ragione Hazel, ma non posso fare altrimenti,
sei diventata veramente una signorina e saresti anche
un po’ più femminile se non ti vestissi così!- aggiunge indicando con la mano i
miei pantaloni consumati, la mia camicia stroppicciata e il mio basco, insomma
il mio abbigliamento tipicamente maschile.
- Non ci posso fare niente, è molto più comodo
degli abiti che mia madre mi costringe ad indossare quando siamo invitate a
qualche festa!- ribatto sistemandomi meglio il cappello sui capelli lisci.
- Su questo non credo ci sia alcun dubbio!! Non riesco nemmeno ad immaginare come dev’essere fastidioso un
corsetto!- dice con un’espressione di pura concentrazione. Lo osservo un’attimo e scoppio a ridere.
- E ti consiglio di non
doverlo nemmeno mai immaginare! Hai ragione è veramente scomodo, te lo dice una
che ci sta passando tutt’ora!- dico sospirando.
Ride un po’ anche lui, dopodichè diventa serio
tutt’a un tratto.
- Allora… che ci fai qui?? Tua mamma lo sa che sei
giù al porto?- dice con aria severa squadrandomi.
Mi esibisco in uno dei miei miglori sorrisi ed annuisco.
- Certo che lo sa!- poi
cambiando discorso – Oh mi fai fare un giro sulla tua nave??- prima che possa
rispondere qualcosa, lo guardo intensamente e aggiungo – Per favore!!-
Contrariamente a quello che credevo, con voce
severa, mi risponde di no.
- Ma perché??- chiedo io
sinceramente confusa.
Lui ci pensa un attimo prima
di rispondermi.
- A bordo ci sono….- abbassa la voce così che solo
io possa sentirlo- dei pirati, li stiamo portando a New York per essere
giustiziati, mi dispiace ma non posso
proprio farti salire!! Non questa volta perlomeno!-
Appena le mie orecchie sentono la parola “pirati”
il mio cuore fa un capriola. Ci sono dei pirati a
bordo????!! Prima il mio era un desiderio innocente,
ma adesso è diventato impellente, devo assolutamente
salire su quella nave, o non mi chiamo Hazel!!
Annuisco fingendomi triste e mi congedo. Lo sento richiamarmi e ammonirmi a non fare
niente di stupido, ma lo ignoro e corro a casa, spero che questo mio comportamento
non l’abbia insospettito. A dire la verità mi chiedo persino, come abbia fatto
ad essere così stupido da dirmi dei pirati che ci sono
a bordo, conoscendo la mia totale stima per loro.