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Autore: Lory221B    05/02/2017    6 recensioni
Raccolta di storie di genere mistery/thriller
Prima storia: "Amnesia" John Watson si sveglia all'ospedale senza ricordare nulla del suo passato.
Seconda storia: "Il Gatto Nero" (liberamente ispirata dal racconto di Edgar Allan Poe). Sherlock e John ricevono la visita di un gatto e strani avvenimenti accadono nell'appartamento dei vicini.
Terza storia: "Il reparto" Sherlock deve affrontare il suo problema finale
[light!johnlock]
Genere: Angst, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Il Gatto Nero


5 febbraio 2017

Questo è il mio primo racconto da quando sono tornato a vivere in Baker Street. Non mi dilungherò sugli eventi che mi hanno riportato a condividere l’appartamento con quel pazzo di Sherlock Holmes, i giornali hanno già abbondantemente parlato della mia vita privata in passato. Preferisco superare tutto questo e iniziare con il caso più strano che sia mai capito a me e Holmes.

Stavo trasportando gli scatoloni in cui avevo racchiuso tutta la mia vita matrimoniale lungo le scale del nostro appartamento. La signora Hudson aveva accolto con gioia il mio ritorno e subito si era offerta di fare da baby sitter a mia figlia. Proprio in occasione del mio trascolo, la nostra padrona di casa attirò la mia attenzione su un fatto che avrebbe avuto notevoli ripercussioni nei giorni successivi.

La signora Turner, la padrona di casa dell’immobile accanto al nostro, aveva dato in affitto un appartamento ad una nuova coppia. La cosa che più infastidiva la signora Hudson era il fatto che la coppia avesse con sé un gatto. Niente di strano, se non fosse stato che spesso il micio andava in esplorazione nel quartiere, trovando sempre nuovi modi per entrare nell’appartamento della mia padrona di casa che si era rivelata essere allergica al suo pelo.

Tutta questa vicenda era stata liquidata dal mio coinquilino con un vago agitare della mano in aria, seguito da un commento su quanto fosse inutile il mio divagare su questioni non importanti quando eravamo senza casi stimolanti da settimane. Se non fosse stato così annoiato si sarebbe reso conto che avevamo davanti un caso molto interessante, ma purtroppo, cosa che avevo già avuto modo di constatare in passato, Sherlock Holmes si interessava soltanto delle vicende che apparivano da subito di qualche rilievo e due banali vicini di casa con un gatto non era tra queste.

Devo dire che, nonostante tutto, Baker Street mi era mancata. Più di quanto avessi il coraggio di ammettere. Mi era mancato stare seduto in poltrona a sentire le deduzioni di Sherlock, giocare a Cluedo e persino preparagli il tea, al punto che ogni tanto mi svegliavo di notte chiedendomi se avessi sognato gli ultimi anni della mia vita. Fortunatamente, qualcosa di buono era accaduto da quanto avevo visto il mio migliore amico saltare dal tetto fino al momento attuale: la mia piccola Rosie.

Una mattina come tante entrai in salotto e la situazione che mi si propose davanti mi lasciò interdetto per almeno un minuto. Sherlock era seduto sulla sua poltrona, intento a scrutare qualcuno che aveva occupato impudentemente il mio posto.

« Mi hai sostituito con un gatto? » chiesi, osservando l’animale dal pelo liscio e nero che non aveva mosso un muscolo al mio arrivo, ma anzi, sembrava quasi ignorarmi del tutto. Anche il mio coinquilino non sembrava aver dato peso alla mia presenza e  non seppi dire se fossi più infastidito dell’essere messo da parte per un gatto o dal fatto che avrei dovuto eliminare ogni traccia del passaggio del muovo amico di Sherlock prima dell’arrivo della signora Hudson.

« E’ il gatto dei vicini »

« Stai cercando di ipnotizzarlo o ti sta esponendo un caso? » chiesi, avvicinandomi alla mia poltrona, nella convinzione che il felino si sarebbe spostato avvertendo la mia presenza, invece era ancora lì e sembrava intenzionato a rimanere.

« Secondo la medaglietta si chiama Plutone, la versione latina di Ade, il dio dell’oltretomba »

« Un giorno mi spiegherai come selezioni le informazioni da tenere nel tuo hard disck cerebrale. Terra che gira attorno al Sole: no. Nome divinità latine e greche: sì » risposi ironicamente, guadagnandomi la ben nota occhiataccia di Sherlock.

« E’ un nome curioso da dare a un gatto »

« E’ nero, magari i padroni lo hanno semplicemente associato a qualcosa di oscuro come avveniva ai tempi della caccia alle streghe »

« Mi stai dicendo che i nostri vicini sono due idioti? »

« Spero davvero non ci serva mai dello zucchero in prestito » commentai, immaginando i più improbabili insulti che il mio amico avrebbe rifilato ai due sventurati.

« Perché dovremmo chiedere dello zucchero ai vicini? Se voglio conoscerli mi limiterò a riportargli il gatto » rispose, avvicinandosi piano al felino che si lasciò prendere senza protestare tra le muscolose braccia di Sherlock. Un parte inconscia di me cominciava davvero ad essere gelosa del gatto.

Seguii il mio coinquilino per evitare che causasse incidenti diplomatici con i nuovi arrivati, che avrebbero costretto la signora Hudson a scusarsi per mesi con la signora Turner. Inoltre, devo ammettere, che  una parte di me cominciava ad essere davvero interessata.

Bussammo alla porta, curiosi di vedere chi ci avrebbe aperto. Sapevamo poco della coppia, la signora Hudson ci aveva detto che era sulla cinquantina e a parte che il cognome era Philips non avevamo altre informazioni, ma ero sicuro che Sherlock avrebbe dedotto a breve anche quante volte bevevano il caffè.

Spalancò la porta un uomo dai capelli castani e la faccia noiosamente anonima (sto citando testualmente le parole di Sherlock) ma dai modi educati. Ci ringraziò molto per avergli riportato il gatto e si scusò a lungo per il fastidio che Plutone poteva averci arrecato. Quello che immediatamente notai, per la felicità di Sherlock che fu felice di vedere che dopotutto in sette anni avevo imparato qualcosa (sto citando sempre testualmente le cortesi parole del mio amico) fu che l’uomo, che si era presentato come Howard, cercava in tutti i modi di non farci andare oltre il corridoio d’ingresso, fatto che ovviamente non fermò Sherlock da oltrepassarlo ed entrare in salotto con una scusa.

Risi tra me, osservando la figura dell’uomo che non aveva di certo capito con chi aveva a che fare. Poco dopo fummo raggiunti anche dalla moglie del signor Philips, che scoprimmo chiamarsi Emily. A Sherlock bastò una rapida occhiata per congedarsi rapidamente dalla coppia, seguito da me che pazientemente gli “trotterellavo dietro” (ora sto citando Lestrade).

« Avanti, spara » feci, sapendo perfettamente che moriva dalla voglia di raccontarmi quello che aveva dedotto.

« Sposati da circa vent’anni, infelicemente da almeno cinque. L’uomo è un alcolizzato e quando esagera sfoga la sua frustrazione sulla moglie, cosa evidente dai lividi che cercava maldestramente di nascondere. Avevano altri animali ma è rimasto soltanto Plutone e quell’Howard sembra avere uno speciale attaccamento all’animale. La moglie è attratta dalla filosofia new age, ma non credo si dia a pratiche di stregoneria, almeno non dentro casa »

Avevo smesso da anni di rimanere stupito ed esclamare “fantastico” per le deduzioni di Sherlock, eppure, dentro di me, si smuoveva sempre qualcosa, come un tenero ricordo « Dobbiamo fare qualcosa per la moglie » commentai.

Sherlock mi sorrise e non seppi dire se fosse per la mia preoccupazione nei confronti di una donna in difficoltà o perché aveva compreso il mio stato d’animo relativo alla sua ultima performance deduttiva.

« Lei progetta di lasciarlo, forse una chiacchierata con la signora Hudson è quello che le serve per decidersi » rispose il mio amico.

***** * *****

Quella notte non riuscivo a prendere sonno, continuavo a rigirarmi nel letto in preda a mille pensieri. Attorno alle 2, quando finalmente credevo di essermi addormentato, infatti stavo sognando Sherlock che mi preparava un tea, fatto talmente insolito che doveva essere per forza un sogno,  fui svegliato da un urlo disumano proveniente dall'esterno.

Era un suono stridulo, qualcosa che mi fece rabbrividire e svegliare di soprassalto. Spostai il piumone e scesi dal letto, pronto alla battaglia. Rosie, fortunatamente, aveva un bel sonno pesante e niente riusciva a scuoterla, nemmeno quando Sherlock faceva esplodere la cucina con i suoi esperimenti. Scesi le scale a due a due ma quando entrai in salotto lo trovai al buio. Evidentemente il mio improbabile coinquilino aveva un sonno pesante quanto quello di Rosie. Mi avvicinai alla finestra per vedere se ci fosse qualcosa di strano lungo la via, la sorgente di quel rumore che ancora mi causava un certo scompenso, ma non notai nulla. Cominciai a credere di essermelo sognato e feci per ritornare nella mia camera quando sentii delle urla provenire dall’appartamento dei signori Philips e vidi, riaffacciandomi alla finestra, delle fiamme che stavano divorando la loro casa.

« Sherlock! » gridai, entrando con poca grazia nella sua stanza « Svegliati, c’è un incendio » affermai sempre più concitato e sconnesso, scuotendo il detective che ci mise un po’ ad aprire gli occhi e focalizzare la mia faccia a pochi centimetri dalla sua « Muoviti, c’è un incendio qui a fianco »

« Cosa a spetti ad andare a prendere Rosie? » mi rispose con la voce roca, mettendosi seduto.

Cinque minuti dopo tutti gli abitanti di Baker Street erano in strada, coniugi Philips compresi. Fortunatamente erano riusciti a scappare prima che l’incendio risultasse per loro fatale ma, da quello che mi aveva confidato tra i singhiozzi la signora Philips, il gatto doveva essere rimasto bloccato nell’appartamento. Forse avrei dovuto consolarla, ma erano arrivati gli agenti di Scotland Yard e Sherlock si stava aggirando per  la potenziale scena del crimine con addosso soltanto quello con cui era andato a dormire, ossia un paio di boxer, incurante dei soliti curiosi che lo stavano fotografando con i cellulari e a breve avrebbero diffuso le immagini su twitter.

« Per l’amor del Cielo, Sherlock. Copriti! » esclamai, trascinandolo lontano dai flash.

« Perché ti importa? » chiese, con il solito sguardo indagatore che finiva ogni volta per inchiodarmi al muro.

Boccheggiai per un attimo « Perché ti prenderai un’influenza e non ho voglia di sopportarti quando sei malato » affermai, conscio che la mia affermazione corrispondeva a verità, anche se non era stato il mio primo pensiero.

Sherlock scosse il capo, ma contrariamente a quanto mi sarei aspettato, decise di ascoltarmi, rientrò in casa e ne uscì coperto dal Belstaff.
I rilievi andarono avanti per tutta la notte; la signora Hudson fu così gentile da portare mia figlia nel lettino, lasciando me e Sherlock ad indagare sulle cause dell’incendio.

In realtà notai un certo disappunto nel mio amico, anche lui aveva qualche difficoltà a dedurre cosa avesse provocato le fiamme che avevano devastato l’appartamento dei Philips. Soltanto all’alba decise che avremmo dovuto archiviarlo come uno dei casi non risolti di cui non avrei dovuto parlare nel blog.

Alzai gli occhi al cielo, non capendo come potesse essere ancora così vanitoso riguardo ai suoi insuccessi; dopo tutto il bene che aveva fatto, nessuno lo avrebbe biasimato o considerato da meno perché non aveva risolto un caso. Io di certo non lo avrei fatto e in alcun modo avrei perso stima nei suoi confronti. Troppe volte mi ero chiesto se davvero misurasse il suo valore proporzionalmente ai suoi successi e mi ero ritrovato a preoccuparmi di come mi sarei dovuto comportare per dargli quella sicurezza che evidentemente gli mancava, sotto tutti quegli strati di superbia. La sicurezza che le persone, e in particolar modo io, tenessero a lui indipendentemente dalle sue capacità deduttive.

Ero ancora perso nei miei pensieri quando notai che qualcosa aveva attirato l’attenzione del mio amico.

Su una parte esterna della casa dei Philips il fuoco aveva lasciato una bruciatura quasi spettrale. Lo sapevo che era un po’ come per le macchie di Rorschach e ognuno poteva vederci qualcosa di diverso, magari era solo suggestione, ma a me sembrava un gatto con il cappio al collo.

Mi voltai verso Sherlock che a sua volta sembrava alquanto stranito da quello che stava fissando « Cosa hai detto di aver sentito? » mi chiese.

« Un urlo, un grido, non lo so. Un rumore da brivido comunque » commentai.

« Prima dell’incendio »

« Sì, direi circa dieci o quindici minuti prima »

Sherlock assunse un’espressione indecifrabile e senza aggiungere altro entrò nel nostro portone.

Nei giorni seguenti nemmeno Scotland Yard fu in grado di capire le cause dell’incendio, forse un guasto al sistema elettrico, ma nulla fu appurato.

Non potendo riestrare nell’appartamento, la signora Hudson fu così gentile da ospitare la famiglia Philips nel seminterrato proprio sotto al nostro appartamento, il posto dove anni prima Moriarty aveva nascosto le scarpe di Carl Powers. Non era esattamente un posto idilliaco ma avendo perso ogni cosa era un ottimo luogo di transito per ripartire. Sembrava che dopo l’incendio il signor Philips avesse smesso di bere e di certo non osava alzare le mani sulla moglie quando un detective e un ex medico militare abitavano proprio sopra la sua testa.

Per un po’, pertanto, archiviammo lo strano caso dell’incendio dei Philips e della macchia a forma di gatto, finché un nuovo ospite si presentò al 221B.

Sherlock aveva sentito grattare alla porta e una volta aperto un micio nero era sgattaiolato in casa, accomodandosi sulla mia poltrona. Non era Plutone, non aveva la medaglietta e sembrava più piccolo, eppure era molto simile al precedente gatto nero che era venuto a farci visita settimane prima.

« Fammi indovinare, si chiama Ade? » chiesi, rinunciando a far sloggiare il gatto dalla mia poltrona e accomodandomi su uno dei braccioli di quella di Sherlock. Il mio amico sembrò spiazzato da questa mia inaspettata confidenza e per un po’ non disse niente, finché il micio non si mise a miagolare.

« Credo abbia fame » commentò Sherlock.

« Dici che i vicini hanno preso un nuovo gatto? »

« Non sono ancora in grado di dedurre gli animali » rispose, regalandomi un sorriso allegro.

Stavamo ancora ridendo sul fatto che avremmo dovuto aprire un’agenzia investigativa per animali, quando sentimmo i rumori di qualcuno che saliva le scale, “sicuramente Howard in base all’incedere pesante” commentò Sherlock. Ma non fece in tempo a bussare alla nostra porta che il gatto si diresse verso il terrazzo e scappò per i tetti.

Uno sguardo accigliato del mio amico mi fece capire che qualcosa non andava. Aprì la porta e invitò il nostro vicino ad accomodarsi sulla sedia che riservavamo ai clienti, in maniera quasi cortese ma sapevo che stava recitando.

« Qual buon vento? Ha bisogno di zucchero? » chiese Sherlock che aveva curiosamente preso posto sulla mia poltrona, mentre io ero ancora seduto sul bracciolo della sua.

« In realtà stavo solo cercando il mio gatto. Abbiamo preso un nuovo cucciolo ma sembra essere molto sfuggente, una vera peste »

« Mi spiace ma non lo abbiamo visto » lo liquidò il mio amico « Serve altro? Ho notato che ha ricominciato ad uscire la sera e far tardi » commentò dal nulla, come se l’uomo fosse improvvisamente sotto indagine.

« Non credo siano affari suoi » rispose, irrigidendo la mascella.

« Sì, se picchia sua moglie e fa un rumore tale da svegliare la figlia del mio amico » rispose piccato e dovetti alzarmi per evitare che quell’uomo dalla faccia anonima pensasse di poter mettere le mani addosso a Sherlock e passarla liscia.

Howard Philips si trattenne a fatica ma un lampo passò nei suoi occhi, un lampo di rabbia. Si alzò dalla sedia spostandola rumorosamente sul pavimento « Si crede tanto intelligente, non è vero? » rispose l’uomo prima di sparire dall’appartamento sbattendo la porta.

Stavo ancora elaborando quello che era accaduto quando vidi mutare l’espressione del mio amico, la maschera di sicurezza che cedeva e mostrava tutta la sua fragilità. Poche volte mi era capitato di vederlo accadere ed era sempre stato in frangenti di cui vorrei eliminare il ricordo.

« John, prendi Rosie e traferisciti da tua sorella finché non risolvo la faccenda »

« Cosa? » chiesi.

« Ho appena minacciato un alcolizzato violento che abita sotto il nostro appartamento e come ben sai le porte delle nostre stanze possono essere buttate giù anche solo con una spallata. Non è sicuro per voi »

« Staremo attenti, Sherlock. Pensi non sapessi cosa significava trasferirmi di nuovo qui? E poi non mi sembra un assassino »

« Non costringermi a farti prelevare da Mycroft »

« Spiegami come risolveresti la faccenda allora »

« Niente di grave, dirò alla signora Hudson che è ora che la famiglia Philips si trovi un altro appartamento, ma non sarà immediato e Howard potrebbe non prenderla bene »

« Non ti lascio da solo » mi ritrovai a rispondere senza pensarci troppo.

Litigammo lungamente sulla cosa, ma alla fine un po’ di fortuna venne in nostro soccorso e la signora Philips, qualche ora dopo, ci informò che avevano trovato un appartamento più adatto alle loro esigenze e che presto si sarebbero trasferiti.

Durante tutto il periodo di attesa del trasloco mi ritrovai a dividere la camera da letto non  solo con mia figlia ma anche con Sherlock che aveva recuperato un vecchio sacco a pelo e si era accampato ai piedi del mio letto per avere la certezza che fossimo al sicuro.

Sembrava quasi di essere al campeggio e più di una sera fui tentato di invitarlo a distendersi sulla metà libera del mio materasso, sentendomi tremendamente in colpa per lasciarlo a dormire sul pavimento, ma dentro di me sapevo che non era ancora arrivato il momento per fare un passo che avrebbe annullato un’altra barriera tra noi, non ero ancora pronto.

La fortuna, se così vogliamo continuare a chiamarla, o più che altro un caso, ci portò  via da Baker Street
per un week end e per un po’ non dovemmo più pensare a inopportuni vicini di casa e gatti dall’oltretomba.

Quando facemmo ritorno dalla nostra trasferta nel Dorset, trovammo la signora Hudson ad aspettarci sul pianerottolo. A quanto sembrava, la moglie di Howard aveva lasciato l’appartamento proprio mentre eravamo via e prima del trasloco che sarebbe iniziato proprio quella mattina. La nostra padrona di casa sembrava davvero preoccupata che in realtà le fosse accaduto qualcosa.

Scotland Yard era già stata allertata ma senza prove evidenti, nessun agente aveva intenzione di intervenire. Anche Sherlock, per quanto dubbioso, sembrava ritenere più plausibile che la donna fosse scappata dal marito e, secondo lui, smuovere troppo le acque l’avrebbe costretta a rivelarsi.

Non sapevo cosa pensare, salvo che tutta la vicenda era stata stranamente sinistra fin dall’inizio e non sarebbe stato tanto strano che il marito avesse alla fine ucciso la moglie.

Uno dei pomeriggi seguenti, mentre i mobili acquistati
dai signori Philips dopo l’incendio venivano caricati sul camion dei traslochi, decisi di scendere nell’appartamento e dare un’occhiata per controllare se qualcosa ci fosse sfuggito. Sherlock aveva già perlustrato l’appartamento mentre Howard era via e non aveva trovato tracce che lasciassero pensare ad una fine tragica della signora Philips. Eppure sentivo che c’era qualcosa che non era a posto.

Mi aggirai per le stanze sgombre ma erano solo, appunto, pareti vuote. Sconsolato feci per uscire quando sentii un miagolio. Mi ricordai del secondo gatto che ormai credevo fosse fuggito dal padrone per non fare più ritorno e iniziai a cercarlo. Perlustrai l’appartamento ormai vuoto ma non lo vidi da nessuna parte finché non sentii nuovamente il miagolio.

Ebbi un sussulto quando capii che veniva da dietro una delle pareti. Iniziai a battere contro il muro e sentii i miagolii sempre più forti.

Appoggiai l’orecchio alla parete, preoccupato che fosse uno scherzo della mia mente, invece il miagolio c’era e iniziavo anche a sentir grattare con le unghie. Guardai attorno se ci fosse qualcosa per buttare giù la parete ma non vi era nulla che potesse aiutarmi. Dovevo recuperare qualcosa per salvare il micio e poi lasciare a Sherlock capire come fosse riuscito a infilarsi dietro ad una parete, ma quando mi voltai, trovai davanti a me il signor Philips, un’ascia nella mano destra e un ghigno stampato in faccia.

« Trovato qualcosa di interessante, dottore? Questa è violazione di domicilio »

Feci per rispondere in maniera leggera, cercando di cavarmi da quella situazione che sembrava precipitare di secondo in secondo, ma dalla parere si levò un altro miagolio.

L’espressione dell’uomo diventò di puro terrore, alzò l’ascia nell’intento di colpirmi ma fui più veloce, mi gettai a terra e l’attrezzo si conficcò nella parete. I suoi tentativi di estrarre l’ascia dal muro non fecero altro che aprire uno squarcio nella parete, proprio come era mia intenzione fare.

Mi rialzai ma nuovamente mi sbarrò la strada e fu più che una fortuna che il mio amico, coinquilino e persona più importante della mia vita, fosse arrivato in mio soccorso e con una mazza avesse messo fuori gioco il signor Philips, che cadde a terra ansimante.

« Come sapevi che ero qui? »

« Non lo sapevo. Ma mentre mi dirigevo all’obitorio mi sono reso conto che la mia mente aveva registrato un dettaglio importante riguardo all’appartamento dei Philips e in particolare a questa stanza, ma non gli avevo dato peso. La parete è stata ridipinta di recente, qualcuno deve averla ricostruita per qualche motivo. Vogliamo scoprire quale? » mi chiese, allungandomi la mano che subito afferrai per rimettermi in piedi.

Ci affacciamo alla squarcio nella parete e quello che vi trovammo dentro oltre al gatto che subito saltò fuori e si dileguò dall’appartamento, fu il cadavere della signora Philips. Howard disteso a terra ferito rideva istericamente lanciando improperi contro il maledetto gatto.

***** * *****

« Quindi ha murato il gatto con la moglie morta, senza accorgersene? » chiesi a Sherlock, servendo due tazze di tea e mettendomi comodo in poltrona.

« Credo sia andata proprio così » commentò Sherlock
.

Sapevo che si sentiva terribilmente in colpa per non averlo dedotto prima e non aver evitato la morte della signora Philips ma come gli avevo ripetuto più volte, non era colpa sua e non poteva essere presente ad ogni crimine.

« Sai cosa sembra? » affermai.

« So cosa stai per dire e io sto per riderti in faccia » rispose il mio amico.

« Davvero? »

« Sì, stai per dire che il gatto Plutone è venuto a chiederci aiuto, ci ha dato un caso ma non lo abbiamo aiutato ed è stato ucciso dal sig. Philips. Credo fosse questo l’urlo sinistro che hai sentito, Howard che uccideva il suo gatto. Poi è tornato dall’oltretomba, come il secondo gatto che è venuto a farci visita, per vendicarsi ed essere sicuro che arrestassimo quello squilibrato del suo padrone »

« In realtà stavo per dire “sembra proprio che ci serva una vacanza”, ma il tuo racconto horror è davvero più interessante »

Sherlock fece una debole risata prima di farsi insolitamente serio « Scusa se vi ho messo in pericolo »

Sorrisi a mia volta e mi ritrovai a pensare che era stata davvero una strana avventura ma mai durante il susseguirsi di quegli avvenimenti avevo provato qualcosa per Sherlock che non fosse affetto, stima, ammirazione e forse qualcosa di più che era tempo cominciassi ad ammettere anche con me stesso.

Dopo tanto tempo non c’erano né biasimo né risentimento. Finalmente avevo lasciato alle spalle tutto quello che avevamo passato negli ultimi anni e potevamo cominciare a guardare al futuro.

***** * ****

Angolo autrice:

Ciao a tutti, spero vi sia piaciuta questa storia liberamente ispirata a “Il gatto nero” di Edgar Alla Poe (spero che il suo fantasma non venga a perseguitarmi per questa rivisitazione :-D)
Ho cercato di rimanere nel canon post quarta stagione, con un lieve accenno johnlock.

Un grazie a tutti quelli che leggeranno, alla prossima!



   
 
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