Ciao e ben ritrovati.
È esattamente da un anno che non posto nulla su EFP e sono molti mesi che non leggo storie su Merlin. Mi sono dedicata ad altro, ad altri interessi e ad altri impegni. Ma non potevo ignorare il compleanno della mia creatura più longeva, quindi eccomi qui, con un nuovo capitolo. Non so a quanti di voi interessi ancora questa storia, se siano tanti o pochi. Non so neppure più se il fandom di Merlin sia tuttora attivo oppure no. Ma mi farebbe piacere sapere se volete ancora aggiornamenti su Linette e le sue (dis)avventure, così so regolarmi di conseguenza.
Linea temporale: Questo capitolo si innesta fra l’arrivo della futura regina a Camelot, con la cerimonia magica, e il matrimonio ufficiale, qualche mese dopo. Praticamente, è un missing moment del capitolo n°4 di questa raccolta.
Dedico questo capitolo a quanti
hanno amato MerLin.
A chi ha lasciato traccia del
suo passaggio con un commento, nei precedenti capitoli e in altre mie storie, nel
corso dei mesi passati.
E per ogni meraviglioso disegno
che avete creato, ispirandovi alle mie fic. Mi sento onorata.
A chi, in questo lungo anno, mi
ha contattata per chiedermi di non smettere.
A chi ha semplicemente letto. Ma, se vi va, lasciate
un segno (che è sempre gradito).
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
The He in the She 2
Capitolo VI: The First One - (Don't)
knock on the door -
Da che Arthur era diventato re, lui e Merlin non avevano più avuto un solo momento di pace – anche se, a ben vedere, neppure prima c’era tempo di annoiarsi.
Dopo
l’incoronazione, v’erano stati i Trattati di Pace da
siglare nuovamente con i regni alleati, infinite delegazioni che sfilavano da e
verso Camelot, intervallate dalle interminabili
riunioni del Concilio, dove l’Asino Reale aveva temprato la propria pazienza
per non torcere il collo ai vetusti consiglieri del padre, mentre lottava per
avvalorare le proprie ragioni e abolire il divieto alla magia.
Anche
Merlin aveva fatto la sua parte con mille, essenziali interventi su vari fronti
(Arthur sospettava di conoscerne solo una minima quantità, ma il suo compagno godeva della sua massima fiducia e, a volte, il nobile
Somaro aveva imparato che era meglio non
sapere, per preservare la propria sanità e pace mentale).
Non
appena le cose avevano iniziato ad avviarsi per il meglio, il suo servo (e
consigliere e amante) lo aveva costretto a separarsi da lui, partendo verso
destinazioni ignote, per trasformarsi nella futura regina di cui il regno aveva
bisogno. Erano stati i due mesi più tormentati della sua vita, perché il
giovane Pendragon soffriva terribilmente la mancanza
di quell’idiota del suo valletto pasticcione e, soprattutto, temeva che
qualcosa – qualsiasi dannata, piccola cosa – potesse andare storto e lui non
avrebbe potuto vivere senza metà del cuore.
Gli Dei
avevano avuto pietà di lui, ascoltando le sue preghiere, e Merlin aveva fatto
ritorno due lune dopo, nella sua nuova forma, suggellando un’alleanza
indissolubile fra il Popolo Magico e Camelot.
Il cambiamento non era stato semplice e ne era conseguita una fase di assestamento, soprattutto per far accettare questa decisione alle fazioni più estremiste. Arthur non avrebbe potuto permettersi di perdere alleati, ma non avrebbe neppure cambiato la rotta delle sue decisioni. Albion doveva nascere, e lui avrebbe fatto in modo che accadesse.
***
Una volta, aveva amato le missioni.
Erano il modo più comodo per sgattaiolare via dalla severità del padre, per
starsene qualche giorno all’aria aperta, lontano dal peso di doveri e obblighi
di corte. Beninteso, lui aveva sempre infuso massima serietà in ogni incarico
affidatogli – che fosse semplicemente controllare i villaggi di confine, o
andare a caccia di un mostro magico che infestava qualche zona –, ma ora
sentiva la nostalgia di quella spensieratezza. Si era dovuto assentare per
settimane, calato in una missione diplomatica estenuante, andando di persona a
convincere i nobili più reticenti che lui valeva la loro fiducia. Sorridi, Arthur. Sorridi. Non importa se è tutto
falso. Sii determinato, irremovibile. Se ti dimostri debole, ti schiacceranno.
Stringi mani e denti. E poi sorridi. Se lo ripeteva giorno dopo giorno, di castello in castello, finché – con suo sommo
sollievo – il peregrinare non era finito.
E, dopo, quando aveva fatto ritorno a casa, era rimasto dì e notte sequestrato dai
suoi doveri arretrati, annegando fra mari di scartoffie che inondavano la sua
scrivania, scalando poi montagne di decreti e leggi in attesa della sua
approvazione definitiva, anche se Merlin, in qualità di reggente, aveva svolto
un lavoro meraviglioso, cercando di sgravarlo di quante più incombenze era
stato possibile.
Merlin, il suo Merlin. Arthur aveva sognato, in ogni notte di separazione durante quel viaggio, il momento in cui sarebbe tornato dal suo compagno e l’avrebbe riabbracciato e amato. Cosa che puntualmente non era avvenuta, visto che il dovere – o, meglio, Geoffrey di Monmouth – lo aveva requisito non appena messo piede al castello, incatenandolo allo scrittoio con mille richieste urgenti e improrogabili, mantenendo i due amanti in forzata castità. Dannata burocrazia.
***
Al terzo giorno d’imposta separazione, in cui si erano a malapena salutati, Merlin avanzò, a passo sostenuto e ansioso, fino al portone dello studio del re. Poi si fermò lì davanti, a prendere una grossa boccata d’aria, e quindi entrò, senza bussare.
Arthur sollevò di
scatto gli occhi dalla dichiarazione che stava scrivendo e sollevò un
sopracciglio con ironia.
“Non imparerai mai le
buone maniere, eh?” lo stuzzicò con tenera derisione mista ad affetto. Sapeva
di apparire sfinito, la barba incolta e gli abiti spiegazzati. Ma sperava anche che l’altro cogliesse ugualmente la
bramosia che lo divorava, l’attesa che acuiva il desiderio, a malapena
trattenuto dalle promesse fatte a Geoffrey. Avrebbe firmato gli ultimi
documenti richiesti entro il tramonto, si sarebbe dimostrato irreprensibile di
fronte al Concilio, affidabile e coscienzioso, non un reuccio in preda alle
bizze d’amore, ma poi… poi si sarebbe reso irreperibile per chiunque, tranne che
per la metà della sua medaglia.
Merlin gli lanciò una
lunga occhiata e stranamente non rispose a tono, si accomodò invece davanti
alla scrivania del sovrano.
“Ho una cosa
importante da riferirti”, chiarì il mago, tamburellando con le dita sul
bracciolo in pelle, uno strano luccichio negli occhi.
“Orsù, ti ascolto!”
lo invitò il compagno, posando la piuma con cautela perché l’inchiostro non
macchiasse ovunque.
“Non… non è facile da
dire…” premise, arrossendo quasi intimidito.
“Merlin?” lo richiamò
l’altro, preoccupandosi per quell’inconsueta titubanza. “Che c’è?”
“Forse è un po’
troppo presto…” farfugliò lo stregone. “Anche se ormai è tardi…”
“È presto, o è
tardi?” ripeté il re, cercando invano di raccapezzarsi. “E per fare cosa?”
Merlin risollevò lo
sguardo dalle proprie dita intrecciate sul grembo e riprese: “Hai presente
quando Sir Leon ci ha scoperti sulla torre, il mese
scorso, prima di partire per questa missione?”
Arthur sfoderò un
ghigno degno delle sue peggior malefatte.
“Oh,
sì che me lo ricordo!
Aveva una faccia impagabile!” sghignazzò, ricordando come tutti continuassero a
chiedere la sua attenzione a ridosso della partenza imminente per il suo primo
viaggio diplomatico da regnante e lui e Merlin,
stanchi di venir continuamente interrotti, erano fuggiti in cerca di un posto
appartato e un momento da trascorrere da soli. Erano ancora in luna di miele dopo la prima cerimonia nuziale, per la
miseria!
Ma il buon Sir Leon, con un grosso fiatone per
la corsa fatta, aveva spalancato la postierla del torrione a Est ed era rimasto
impalato a pochi passi da loro, mentre il re e la sua futura moglie se ne
stavano… in intimità. Lì, sul pavimento del camminamento di ronda.
Quando Arthur si era
accorto di lui, aveva bloccato il movimento ondeggiante di Merlin sul suo
bacino e gli aveva lanciato un’occhiata stupita, mentre il suo compagno
squittiva arrossendo, realizzando la presenza estranea, rassettandosi inutilmente
le gonne sgualcite. Non che si potesse
fraintendere l’interruzione sul più bello.
“Maestà, io, ehm…”
aveva farfugliato il cavaliere, raschiando la gola, tossendo. “Ho visto un
movimento sospetto quassù e sono venuto a controllare…” si era giustificato,
combattuto se parlare guardando il sovrano negli occhi o abbassare lo sguardo
per rispetto della dama e di quella situazione imbarazzante.
“Ci siamo solo noi
due, quassù”, gli aveva spiegato Arthur. “Stiamo provvedendo a fornire un erede al trono di Camelot”, gli aveva detto, in tono serio, con una punta di
spavalderia.
A quel punto, la
futura regina aveva brontolato un “Asino che non sei altro”.
E Leon, pace
all’anima sua, era rimasto lì paralizzato, per un istante, sconcertato. Poi aveva
annuito e, con doveroso ossequio e un “Allora tolgo il disturbo, Maestà”, si
era defilato.
Era stata davvero una
fortuna che, fra tutti i suoi cavalieri, fosse stato proprio Sir Leon a
pescarli in quella situazione incresciosa, perché il suo uomo più fidato era la
discrezione fatta a persona.
Se gli fosse capitato
fra i piedi Sir Duncan, per esempio, Arthur era certo
che quella bocca larga si sarebbe vantato con un “C’ero anch’io!”, anche se sicuramente non aveva alcun merito di
cui lodarsi.
Cogliere la futura
regina in atteggiamenti discinti non era decoroso e non giovava alla sua
reputazione.
Eh, sì. Decisamente gli era andata di lusso,
con Leon e il suo proverbiale riserbo. Anche se ricordare la sua espressione sconvolta era davvero uno spasso!, meditò il sovrano, ridacchiando. “E poi, quando gli ho detto che stavamo
procacciando un erede per Came-” si zittì di colpo incontrando
lo sguardo dell’altro. “Merlin!” ansimò poi.
Si alzò di scatto e girò attorno alla tavola di legno spesso.
E si accucciò davanti
al consorte.
“Vuoi dire che…”
“… Sì, c’è un bimbo
in arrivo”.
Arthur gli circondò
il viso con le mani e si chinò a baciarlo.
“È meraviglioso”, soffiò
poi, direttamente sulle sue labbra, sentendo che l’altro si rilassava pian
piano.
Eppure le spalle
magre di Merlin erano tuttora rigide, trasmettevano ancora residui di tensione.
“Tu… non ne sei
contento?” gli chiese allora il sovrano, incerto.
La futura regina
scosse il capo, sospirando.
“Sì che lo sono!”
guaì. “Però temevo…” tentennò, sospirando nuovamente e
incrociando gli occhi azzurri in quelli celesti del suo compagno. “Non sei arrabbiato?
Non è troppo presto?” lo incalzò. “Un erede è importante, ma potevamo fare le
cose con calma”.
“Non abbiamo mai
fatto niente con calma, noi due!” rise Arthur. “Si
vede che è Destino che noi due non si faccia mai secondo le regole!” E sorrise,
divertito.
“La fai facile, tu!” borbottò però lo stregone. “Come sempre, sono io quello
che deve avere buonsenso per entrambi”.
“Ma
che problema c’è?”
“Figlio…
illegittimo…” mugugnò il mago, controvoglia, rammentando quante volte da
piccolo era stato deriso per questo. Un
bambino nato fuori dal matrimonio dava sempre adito a
scandali.
“Mi hai tradito con
qualcuno?!” gemette allora il sovrano, fingendosi
mortalmente offeso. “Con Malcom, magari!” continuò la sua
farsa. “L’avevo detto, io, che siete stati sempre troppo amici!”
“Ma
che asino che sei! Provo pena per quel povero valletto, perché conosco le tue angherie”,
sbuffò lo stregone, tirandogli un pugnetto contro la
spalla più comoda. Arthur sorrise con lui; intercettandogli la mano,
bloccò il movimento per portarsela alle labbra e baciarne l’incavo delicato.
“Vivi qui da mesi,
ormai”, riprese poi, facendosi serio. “Siamo ufficialmente promessi e lo sanno
tutti. La mia gente- la nostra gente”,
si corresse “ti venera e ti ama. Nessuno avrà da ridire”, lo rassicurò.
“Ad ogni modo, se la cosa ti fa stare meglio, anticiperemo un po’ il matrimonio”.
Merlin annuì. “Sì,
grazie”.
“Lo farò. Farò venire un infarto a Geoffrey già domani, cambiando i
suoi piani”, promise il re. “Ma ora… lasciami salutare
il mio erede”.
Il mago stiracchiò le
labbra, quando il compagno si piegò per baciargli il ventre, unendo le proprie
mani sopra alle sue.
“Ne
hai parlato con Gaius? Cosa dice, lui?”
volle sapere il re.
“Sì, l’ho appena
fatto”.
“E…?” l’incalzò, impaziente.
Tuttavia Merlin
sospirò.
“Dice
che la mia trasformazione in donna è troppo recente. Il mio corpo deve riequilibrarsi e che…
forse è troppo presto. È impossibile sapere di già se
sono davvero in stato interessante...” espose, riluttante.
Anche la voce di
Arthur si fece incerta.
“Quindi
non… forse…”
“Ma
io lo sento. Dentro di me. La magia è cambiata. Sento pulsare un’energia diversa, esattamente qui”. E si indicò un punto particolare della pancia. “Non mi posso
sbagliare”.
Il sorriso rifiorì
sul volto del giovane Pendragon.
“Ti credo”.
Merlin risollevò il
viso minuto di scatto.
“Davvero?”
“Certo, amore mio!”
confermò, accarezzandogli una guancia. “Mi fido della tua magia più che di me
stesso”.
Una lacrima solitaria
scivolò sullo zigomo del mago.
Arthur la raccolse
con l’indice ruvido.
“Ehi!”
“Sono gli oromoni!” sbuffò Merlin, tirando su
col naso in modo assai poco femminile.
Arthur sgranò gli
occhi. “E io che speravo il buffone
fosse andato in congedo!”
“Oh, lui sì”, ghignò stavolta
lo stregone. “Però tutti i suoi trucchetti, no”.
“Ma-ma…”
“Gaius
dice che è anche peggio…”
“NO!”
“Sììì…”
“Ma non è giusto!” protestò l’Asino Reale, sentendosi
tradito, mentre sperava almeno che, all’annuncio
ufficiale dell’arrivo di un erede, Leon non avrebbe ceduto
alla gioia e alla baldoria, vantandosi in tutto il regno con un “Io c’ero!”.
-
Fine -
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai, che subisce le mie paranoie. X°D
Note: Ok, forse speravate in qualcosa di meglio per festeggiare… ma, ehi!, non muore nessuno e nessuno soffre!
La verità è che mi sento davvero arrugginita e spero che questo sia all’altezza dei precedenti. U.U
Qualcuno potrebbe obiettare che la preoccupazione di Merlin
sul ‘figlio illegittimo’ sia eccessiva.
Come avevo scritto nelle note del lontano cap. 16, riguardo
a Sir Beltrame: i figli illegittimi sono una realtà vecchia come il mondo, sia
tra i nobili che fra la gente comune.
Nelle leggende
arturiane, sappiamo bene che i Pendragon & affini
hanno bellamente sparso seme in giro per il mondo al di fuori del sacro vincolo
del matrimonio. E non solo loro, perciò diamolo per
scontato.
Tuttavia, la
situazione di Merlin è molto precaria. Sommando la magia, lo stravolgimento epocale delle leggi di Camelot, il
periodo di transizione fra i due matrimoni e tutto il resto, un figlio
imprevisto, mentre il re era in viaggio, non è esattamente la cosa più
simpatica da fare.
Merlin vuole
proteggere la sua creatura, perché nessuno sospetti che sia ‘il figlio bastardo
del re’.
Da qualche parte
avevo letto che tre settimane è il tempo minimo per
scoprire di essere incinte, anche se generalmente ci si mette di più. Merlin,
ovviamente, con la sua magia è un caso a parte.
Fin dal primo,
traumatico ciclo (ricordate? XD), sapete che Merlin
chiama gli ormoni ‘oromoni’, distorcendo la
spiegazione scientifica di Gaius. Da allora, non ha
mai cambiato il nome delle sue paturnie.
Per il titolo, c’è una doppia valenza. Il primo, perché è il primo figlio, l’erede al trono. E, la parte tra parentesi, perché Linette scordava sempre di bussare e anche Leon lo fa, scoprendoli sulla torre, ma soprattutto perché, in futuro, ci saranno delle porte di mezzo in momenti particolarmente importanti che richiameranno questo capitolo. Dovete tenervi per un po’ la curiosità.
Per eventuali domande, sono sempre a disposizione.
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elyxyz