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Autore: Urban BlackWolf    08/02/2017    2 recensioni
Michiru è determinata. Determinata a riprendersi ciò che le appartiene, che è suo dalla nascita. Ne va della sua stessa sopravvivenza, del suo benessere fisico e mentale.
E questa volta quella meravigliosa bionda che è la sua compagna, anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito e gioia della sua vita, non potrà aiutarla. Dovrà addirittura essere ferita, lasciata in disparte, relegata all'impotenza, perchè questo genere di lotte si debbono combattere da soli.
Ma la donna amante delle profondità oceaniche, non sa di avere un piccolo angelo custode venuto dal passato che la guiderà nei percorsi intrigati e dolorosi dei sui ricordi; Ami, giovane specializzanda in medicina, tenterà in tutti i modi di restituirle la libertà di sogni perduti. -Sequel dell'Atto più grande-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Ami/Amy, Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Re del mare

 


Michiru respirò l'odore di salsedine ed alghe sentendosi quasi commossa. Erano mesi che non aveva più avuto modo di avvicinarsi al suo immenso padre blu, come amava definirlo, ed ora che aveva la possibilità di toccarlo, di affondare i piedi nelle sue viscere sabbiose, di sentirlo andare e venire avvolgendole le caviglie in spire liquide, ora si, sentiva che forse quel viaggio ateniese avrebbe potuto farle del bene. Da quando si era affacciata nella piccola darsena dietro la pensione gestita dalla famiglia Mizuno, aveva sentito che un velo di amnistia era andato a posarsi sui suoi nervi scoperti e dopo tanto, avvertiva nell'essere di stare riguadagnando un po' di fiducia.

Era stata accolta come una parente, una neo figliol prodiga, ritornata da un lunghissimo viaggio, desiderosa solo di ricevere la pace perduta. Agapi l'aveva riconosciuta subito la “sua” signorina, rivedendo nello sguardo cobalto dell'adolescente di un tempo, quello fiero e maturo della donna di oggi. L'aveva abbracciata come una madre e lei aveva contraccambiato quella forte stretta avvertendo una felicità che aveva sorpreso la stessa Ami.

“Ragazza mia che piacere! Ti ho pensato tanto in questi anni.” Ed Agapi stessa si era spesso chiesta il perchè. Aveva voluto bene a quella creatura dolce ed affabile colpita dalla sorte in uno degli effetti più cari e fondamentali della vita; il padre, rendendosi conto che l'amore che aveva nutrito per lei in quei due anni passati a stretto contatto, non si era spento con la lontananza ed il silenzio di notizie certe, anzi, semmai si era accresciuto, arrivando a considerarla come una terza figlia. E ad una Michiru stordita da quella momentanea debolezza derivante dal mancato controllo del suo io interiore, aveva fatto un enorme piacere l'essere accolta così.

Alexios non era stato da meno. Appena tornato dal mercato con un carico di pesce e verdura, se l'era trovata davanti alla reception e sorridendo fieramente, non aveva potuto far altro che darle pacche su entrambe le spalle con cadenzata continuità.

“Oh Michiru, ma che donna ti sei fatta! Ti fermerai qui con noi per un po', vero?”

“Io veramente, non so se...”

“Niente ma e niente se, ragazza mia. E' veramente troppo tempo che non ci vediamo. Se non hai impegni improrogabili ti prego... resta.” E lei non aveva saputo ne voluto negarsi.

Ora era li, a farsi carezzare i piedi dall'acqua, attratta dal richiamo del mare come una sirena, ipnotizzata da quel frusciare continuo del vento tra gli scogli poco lontani e dal dondolio delle poche barche non ancora in rada.

“Finirai per ammalarti.” Disse la voce proveniente dalle sue spalle che lei riconobbe essere quella della giovane specializzanda.

Sorrise voltando il busto mentre alzava leggermente le spalle. “Mi è mancato troppo.”

L'altra le andò accanto stando però attenta a non bagnarsi. “Immagino, dalle tue parti il mare non c'è.”

“E no. Adesso dalle mie parti ci nevica.” E rise al brivido che scosse le spalle dell’altra.

“Per carità. Neve! Non so come tu faccia a vivere in un posto tanto freddo come le Alpi.”

Lo so io pensò rivedendo la faccia beata di Haruka nell'atto per lei quasi rituale della chiusura dei ganci a scatto degli scarponi. La sua meravigliosa Ruka.

“Papà si è permesso di portarti la valigia in camera. E' quella lassù. - Indicò. - Così potrai vedere il Pireo ogni volta che vorrai.”

Michiru la guardò con un misto di felicità e gratitudine, accorgendosi troppo tardi che una lacrima le era sfuggita dalle ciglia. Ami la raccolse con l'indice stringendo le labbra, ma non disse, ne chiese nulla. Per lei era palese che l'altra portasse una sofferenza. I suoi studi l'avevano già messa sull'avvisaglia. Quella goccia salata era solo l'ennesima riprova. Discretamente sorrise incamminandosi verso l'ingresso secondario.

“Su, andiamo. Penso che vorrai farti una doccia e cambiarti prima di pranzare.”

 

 

Non potendo farne a meno era stata sotto il getto d'acqua calda per una quantità sproporzionata di tempo. Con la fronte poggiata alle piastrelle decorate a mano del box, aveva lasciato che quel tepore benevolo le massaggiasse la pelle rigenerandola. Ma non appena aveva fatto leva sul maniglione cromato pronta ad uscire, un senso d'oppressione l'aveva assalita costringendola ad afferrare l'accappatoio e a rannicchiarsi sul letto.

“Ruka.” Aveva mugolato iniziando a piangere a dirotto. “Mi manchi da impazzire. Perdonami amore mio. Ti prego... di perdonarmi, ma... non potevo fare altrimenti.” E i singulti erano diventati intollerabili, perchè generati dalla consapevolezza di stare ferendo la compagna anteponendo i propri sentimenti a quelli dell'altra.

Avrei dovuto dirtelo in maniera diversa, magari lasciandoti il tempo di accettarlo. Ma tu avresti fatto il diavolo a quattro per seguirmi, pensò cercando di controllarsi. Stava indubbiamente crollando. La solita Kaiou non avrebbe mai permesso allo scoramento di abbatterla così.

La loro vita insieme era appena ricominciata ed ora toccava a lei dividerle nuovamente. Prendendo il cellulare sul comodino lo guardò intenzionata ad accenderlo. Poi si trattenne. Fissò lo schermo lasciato nero dall'imbarco all'aeroporto guardando in quel vuoto l'immagine riflessa del suo volto stanco.

“No, non posso. Non devo.” E riposandolo tornò nel bagno per sciacquarsi il viso ed iniziare a vestirsi.

Poco meno di venti minuti dopo stava per uscire dalla stanza quando qualcuno bussò. Andando ad aprire convinta che fosse Ami per il pranzo, si vide di fronte un'altra donna, riconoscendo in quel sorriso ormai cresciuto, il suo primo amore.

 

 

Khloe non era cambiata molto e solo leggeri segni su un viso, comunque ancora giovanile, lasciavano intendere che anche per lei gli anni erano passati. Le sorrise come aveva fatto un'infinita' di volte vent'anni prima, quando era diventata la sua ancora di salvezza, la protezione di un'amica più grande che man mano si era trasformata in qualcosa di più intimo e profondo.

“Ho sentito dire che la signorina Kaiou è tornata ad Atene, ma francamente avevo bisogno di vederlo con i miei occhi.” Iniziò poggiando una mano allo stipite della porta continuando a fissarla.

“Khloe...” Altro non riuscì a dire.

Sorpresa guardò la donna di un paio d'anni più grande non staccandole gli occhi di dosso. Era come se il tempo trascorso non lo fosse stato affatto. Stessa corporatura longilinea, stessi capelli lunghi, neri e ricci, stessi occhi profondamente scuri. Due perle incorniciate da folte e corpose ciglia. Il sorriso accattivante dalle labbra carnose.

L'altra piegò la testa da un lato alzando le sopracciglia con una finta espressione di sorpresa. “Ti ricordi ancora come mi chiamo kaiou? Per me è quasi uno shock.”

Michiru sorrise a sua volta avanzando nel corridoio per potersi chiudere la porta alle spalle. E pensare che una volta quel comportamento dolcemente sicuro aveva avuto la capacità di irretirla portandola a lambire e superare ampiamente i confini del piacere. Ora aveva solo l'effetto di farle inarcare verso l'alto gli angoli della bocca.

“Non mi sembra che tu ti sia stracciata le vesti nel cercarmi.” Rispose iniziando a camminare verso le scale.

Rimasta ferma sul posto Khloe ne osservò le spalle, poi quasi urlò nel dirle, “sei ancora più bella di quanto ricordassi Michiru.” E vedendola fermarsi una frazione di secondo per poi riprendere la via del pianerottolo, capì che tra loro il tempo era realmente passato.

 

 

Re del mare? Avete realmente chiamato questo posto... Re del mare?” Chiese Michiru sapendo cosa significasse il cognome Kaiou nella lingua del paese che i suoi avi avevano lasciato ormai un secolo prima, il Giappone, e godendo di una tale coincidenza, riprese ad ascoltare Agapi.

“Ci sembrava un nome appropriato visto la posizione che occupa. Mezza struttura poggia su palificazioni che affondano direttamente nell'acqua. Forse un po' troppo pretenzioso per una piccola pensione. Ma che diamine...” Ammise mentre le porgeva l'ennesimo piatto di stufato d'agnello.

“O no, basta ti prego. Non sono abituata a mangiare così tanto.” Alzò le mani in segno di resa.

“E lascia che ti dica che si vede ragazza mia. Sei magna. Certo non dico che dovresti assomigliare a me che son rotondetta, ma... almeno fai uno sforzo per prendere un paio di chiletti. Cosa dirà il tuo ragazzo se ti sciupi?” Disse adocchiando la fede parlando talmente veloce che l'altra si perse la metà frase rimanendo sguarnita di difese. L'ennesima mestolata cadde nel piatto e la ragazza strizzò gli occhi sorridendo.

“Lo fai apposta a parlarmi tanto svelta. Lo sai che sono fuori esercizio.”

“Mamma lasciala stare. Non costringerla a mangiare se non vuole.” Intervenne Ami, da sempre in guerra con i trigliceridi della madre.

“Non importa. Lo mangio volentieri. La tua cucina è sempre impareggiabile.”

“Agapi tua figlia ha ragione. Michiru è troppo educata per dirtelo. Non forzarla.” Si unì Alexios mentre la moglie faceva una smorfia ad entrambi andando a posare la pentola sui fornelli.

Una volta finiti di servire i pochi ospiti, avevano preferito mangiare in disparte e tutti insieme in cucina, approfittando per chiacchierare un po' e ricordare i vecchi tempi. Per Michiru era stato un inevitabile scotto da pagare. Aveva infatti dovuto raccontare delle nazioni nelle quali lei ed i suoi genitori avevano vissuto dopo il trasferimento del padre dall'ambasciata ateniese a quella della capitale del sol levante, dei successi internazionali della madre, della sua rinuncia a suonare il violino e della cosa più difficile di tutte; la morte di Viktor.

A quella notizia Alexios si era fatto scuro in volto. La donna aveva visto chiaramente le nocche della sua mano sinistra premute con forza sulla bocca, ricordando che i due uomini avevano instaurato un bel rapporto di collaborazione domestica, anche se non avrebbe mai immaginato che tra loro ci fosse stata anche una sincera amicizia. Forse per via delle similari radici orientali, o forse per i caratteri affini, ma sta di fatto che nel costatare una tale reazione, Michiru evitò di parlare del come il tutto era avvenuto.

“Mi dispiace. Avremmo dovuto avvertirvi, ma... E' successo una decina d'anni dopo che siamo andati via. Ammetto di non averci pensato, mentre mia madre..., era abbastanza sconvolta.”

“Non devi scusarti. Eravamo solo la famiglia che serviva nella vostra casa. Non avevate nessun obbligo verso di noi.” Agapi le strinse una mano lasciando che Michiru la guardasse debitrice.

“Lo sapete che ha scelto il restauro pittorico come carriera? Trovo sia bellissimo.” Intervenne Ami svicolando agilmente.

“Ricordo che eri molto portata anche per il disegno. E come vanno le cose?” Chiese la madre seguendo la scia della figlia.

Michiru convenne che il mestiere che aveva scelto le portava notevoli soddisfazioni. Non aveva abbandonato la pittura, anzi, aveva anche avuto modo di esporre in qualche galleria del nord Europa, ma salvaguardare il patrimonio artistico del suo, come di altri paesi, era impareggiabilmente gratificante.

“E che cos'è che ci saresti venuta a fare qui?” Improvvisamente Khloe ruppe il mutismo che l'aveva contraddistinta dal resto della famiglia fissandola come se tutto il mondo intorno a loro non ci fosse.

Michiru non si scompose, ma in realtà non sapeva come giustificarsi.

“Sarà venuta per lavoro, no?” Chiese Ami guardando la sorella maggiore.

“Beh, in verità. No. - Ammise senza voler iniziare un loop negativo di menzogne. Non con loro. - Diciamo che mi sto prendendo una pausa per... riposare un po'. Sono appena uscita da un periodo abbastanza stressante.”

Khloe sorrise furbescamente approfittando dell'appiglio per iniziare a sondare il pianeta sentimentale dell'altra. “Non sarà una pausa... amorosa, Kaiou?”

Michiru ne sostenne lo sguardo e con estrema naturalezza negò.

“Sotto quell'aspetto non potrei desiderare di meglio.” E la prima stoccata venne assegnata.

 

 

“Così non è una pausa amorosa. “ Disse Khloe mentre camminava al fianco della donna più giovane. Aveva insistito nel volerla accompagnare a fare un giro nei dintorni per farle visitare la struttura e Michiru aveva accettato, anche se mal volentieri. Non le stava piacendo il suo comportamento. Troppe allusioni. Frasi con spiccati doppi sensi. Tutte cose veramente poco indicate, soprattutto perchè fatte davanti alla sua famiglia. Cosa pretendeva adesso, di riprendere questioni lasciate in sospeso anni addietro? Se così fosse stato Michiru doveva fermare sul nascere qualsiasi approccio che l'altra avesse voluto riservarle.

“No, non lo è.”

“Ne sei proprio sicura Kaiou? Mi sembri strana. Si, quella stranezza che abbiamo noi donne quando siamo... in fuga da qualcosa.”

“E questo qualcosa dovrebbe essere Haruka?” Chiese stizzita. Non vedeva proprio perchè dovesse sentirsi in diritto di intrufolarsi nella sua vita privata come se non fossero passati vent'anni.

“Haruka... Dunque... è una donna.” Ne convenne arrivando a lambire la spiaggetta privata della pensione.

Sorrise divertita ed un tantino orgogliosa. “Allora lo vedi che avevo ragione?”

Michiru guardò l'orizzonte dove una grande nave da crociera si stava avvicinando al porto. Ricordava il giorno della sua “prima volta”. Ricordava la stanza di Khloe, i libri scolastici dimenticati sulla scrivania, la luce brillante smorzata dalle tende di mussola bianca mosse dal vento, le pareti dai colori pastello. E il caldo, l'afa di un'estate incredibilmente rovente, il sudore. Le loro pelli ormai recettive dopo le prime carezze. L'indecisione che l'aveva condotta sino a quel punto ed il timore di stare facendo la cosa sbagliata. E le parole sussurrate di lei, che cercavano di tranquillizzarla, di rilassarla. Lo vuoi anche tu Mich. Non c'è niente di sbagliato. Lasciati andare.

“Avevi ragione.” Confermò piatta sentendola ridere. Cosa questa che la stizzì ancora di più.

“Che ci sarebbe da ridere? Vuoi forse una medaglia per aver scoperto prima di tutti, me inclusa, la mia omosessualità?!”

Alzando le mani l'altra le chiese scusa. “Non era mia intenzione Mich.”

“Non chiamarmi a quel modo.”

“Eppure ricordo che una volta ti piaceva, ed anche... parecchio.” Si avvicinò iniziando ad accarezzarle i capelli portandone una ciocca dietro all'orecchio. Michiru non si scompose. Era ormai troppo adulta per provare imbarazzo per approcci di quel tipo. In un'altra occasione le avrebbero anche potuto far piacere, ma non ora, non li e non con il cuore impegnato.

“Cosa vuoi da me Khloe?” La sentì fermarsi. Aveva usato un timbro vagamente spazientito.

“Dovrei fermarmi Kaiou?” Chiese.

“Direi proprio di si.”

Da una delle finestre della cucina Ami sospirò rivolgendo lo sguardo alla spiaggia.

“Mamma, credo che Khloe finirà per farsi nuovamente male.” Disse mentre l'altra finiva di sparecchiare.

“Tua sorella è grande abbastanza per decidere se schiantarsi contro un muro o meno, amore.”

“Ma soffrì così tanto quando i Kaiou partirono.” La donna le andò accanto dando una rapida sbirciata fuori dal vetro.

“Che vuoi che ti dica? Anche se le parlassi farebbe comunque a modo suo. Al cuore non si comanda e lo sai tu per prima.” Le accarezzò una guancia. Quanto la sua piccola Ami aveva investito nella sua ultima relazione e quanto aveva perso quando era finita.

“Piuttosto è con Michiru che dovrei parlare, ma dopo tutto il tempo passato non saprei proprio come uscirmene. - Continuò tornando a pulire aiutata dalla figlia. - Hai notato che sguardo ha?”

“Si, ho notato mamma e anche io non saprei come potresti fare per non sembrare troppo invadente.”

“Forse hai ragione e poi non sono nessuno per lei. Magari tu...”

“Con gli studi che faccio non dovrebbe risultare troppo difficile approcciarmi alla sua psiche, ma devo comunque chiederle il permesso. Non voglio certo fare “giochetti” mentali proprio con lei mamma.”

 

 

Venerdì. Era venerdì ed ancora nessuna notizia. Haruka stava iniziando a diventare paranoica. Aveva toccato tutti i livelli possibili del supplizio umano. Dalla telefonata di Michiru era stata prima incredula, poi destabilizzata, furiosa, aggressiva, passando per angosciata, triste ed infine depressa. Ma non era ancora arrivata alla liberazione di un buon pianto. Ora se ne stava dall'alba seduta a gambe incrociate sul pavimento dello studio della compagna, a prendersi la sua bella dose di freddo, curva sulla schiena, con la testa bassa e l'I phone tra le mani.

Lo guardò sconsolata respirando l'odore di trementina proveniente dal tavolo da lavoro accanto a lei. Schermo irrimediabilmente spaccato.

Se fossi riuscita a tenere a bada i nervi... Dannazione! Lo aveva lanciato contro il muro nella tarda sera del giorno precedente, dopo l'ennesimo messaggio di utenza non raggiungibile, quando sentiva di essere in piena fase “furiosa”. Adesso si ritrovava nelle mani un pezzo tecnologico abbastanza costoso e soprattutto completamente inservibile.

Ti chiamo presto, le aveva assicurato l'altra. Ora anche se così fosse stato sarebbe stata lei ad essere irrintracciabile per almeno altre settantadue ore, visto che in quel venerdì ricadeva una festa elvetica e tutti i negozi di Bellinzona sarebbero stati chiusi per un weekend lungo. Non avendo il telefono fisso ora era veramente tagliata fuori da una bella fetta di mondo e con la compagna che non sopportava Skipe, non si sarebbero potute mettere in contatto in nessuna maniera fino a lunedì. Un'enormità di tempo.

“Deficiente!” Masticò mettendosi una mano sul viso. “Ma come m'è saltato in testa dico io. Ma perchè non penso alle conseguenze prima di fare le cose!?” E pensare che in pista le riusciva così bene. In tre anni di lavoro come collaudatrice alla Ducati, proprio grazie alla capacità che aveva sempre avuto nel calcolare il binomio rischi-conseguenze, non si era mai fatta male sul serio.

All'improvviso il campanello suonò un paio di volte allertandola. E se fosse stata lei di ritorno dalla sua folle fuga? No, avrebbe aperto con le chiavi. Pensò comunque alzandosi con una punta di speranza per andare a vedere chi fosse.

Arrivata alla porta girò la chiave aprendo lentamente. Una donna più bassa mani sui fianchi e sguardo omicida le mostrò di rimando una dentatura per niente rassicurante.

“Dì un po' Tenou..., ma ci siamo rincoglionite?”

 

 

Khloe non voglio farlo più.” Confessò alla ragazza più grande distesa accanto a lei.

Non ti è piaciuto Mich? Mi era sembrato di si.” Chiese poggiandosi sul gomito iniziando ad accarezzarle la pelle nuda dell'addome.

Si, mi è piaciuto, ma...”

Ma?” Continuò arrivando a lambirle il seno.

L'altra si alzò scansandole la mano e coprendosi il petto con le sue.

Che cos'è tutto questo pudore?”

Se i miei dovessero scoprirlo? O i tuoi?”

La sentì ridere e guardandola non potè che sgranarle addosso due occhioni da cucciolo. “Cosa avrei detto di tanto divertente?!”

Mich i miei sanno già dei miei gusti.”

E... non dicono nulla?” La vide scuotere la testa provando quasi un senso di invidia. I suoi non avrebbero mai usato la stessa comprensione. Ne era più che certa.

Si alzò dal letto iniziando a rivestirsi, facendolo lentamente, con movimenti accorti, non per essere seducente, ma per stare attenta a non farsi male al dito fasciato appena operato. Indossò l'intimo che l'altra le aveva sapientemente tolto, la camicetta bianca di lino e la gonna verde scuro a pieghe.

Mi fai impazzire quando sei in divisa scolastica.”

Michiru le voltò le spalle, ma sorrise all'idea di piacerle. ”Ora devo andare. Papà non sta bene e questo caldo non lo aiuta. Non posso star lontano troppo allungo.”

D'accordo Mich. Ma stai attenta. Ti ha già fatto troppo male.” La raggiunse stringendola per le spalle chiedendole quando si sarebbero potute rivedere.

Forse domani dopo le lezioni. Manca un professore e dovremmo rientrare un paio d'ore prima.”

Allora ti aspetto qui. Se non vuoi passare per il cancello principale, vai a quello di servizio. Ti farò trovare la porta della dispensa aperta. Da li si arriva in quest'ala della villa senza essere visti da nessuno.”

Michiru sentì le labbra calde e morbide di lei sfiorarle il collo e rabbrividendo aprì la porta uscendo velocemente per ritrovandosi in pochissimo tempo fuori dal piccolo complesso della dépendance.

Arrivando attraverso il giardino accanto al prospetto principale della villa e svoltato un d'angolo, si ritrovò nell'androne. Non c'era nessuno e così rallentò il passo approfittandone per ripensare a tutto quello che le era appena successo. Era stato bellissimo, dolcissimo e sconvolgente. A metà della scala che portava al piano delle camere da letto si fermò chiudendo le palpebre accarezzandosi le labbra, quando la voce di suo padre la ragiunse profonda.

Dove sei stata?” Chiese fissandola con lo sguardo chiaro dal pianerottolo ed il sangue le si gelò nelle vene.

Aprì gli occhi ritrovandosi pancia sotto nel letto della sua camera al secondo piano della pensione dei Mizuno e coprendosi la testa con il cuscino, cercò di difendersi dalla luce del primo mattino attendendo che i battiti cardiaci tornassero normali. Quella volta suo padre non l'aveva colpita, anzi. Si era comportato con lei come sempre; in maniera affettuosa. L'ennesimo cambiamento di quel labilissimo umore. Ma la fiducia di Michiru ormai era stata minata e bastava che ne avvertisse la presenza, ne sentisse l'odore del dopo barba o ne ascoltasse la voce, per gettarla in un panico che non poteva assolutamente manifestare.

Cos'hai fatto alla mano, tesoro mio?” Era arrivato a chiederle. Ed il suo sguardo era così preoccupato. Così triste. Così dolce.

Papà, pensò scaraventando con rabbia il cuscino lontano da lei.

Oltre al dolore fisico era stato quello a destabilizzarle i nervi da ragazza. Non sapere cosa sarebbe accaduto da li a poche ore. O giorni, o mesi. Viktor era riuscito per anni a tenersi stretto un lavoro di responsabilità come quello di Primo Consigliere anche “grazie” all'incoerenza assurda di quella malattia che lo rendeva assolutamente normale per lunghi periodi. La bravura della madre e di un paio di colleghi ben pagati avevano fatto il resto.

Voltandosi si ritrovò a guardare il soffitto e poi il comodino con il suo orologio. Aveva chiesto ad Ami di accompagnarla in un centro di telefonia mobile per farsi intestare un numero internazionale. Avrebbe chiamato la sua Ruka quella stessa mattina sperando con tutto il cuore di essere capita. Si alzò sentendosi come al solito le ossa peste, ma dopo un saluto al suo immenso padre blu sorrise dirigendosi verso il bagno vogliosa di una doccia.

 

 

“Ma che diamine ci fai qui Giò?” Chiese la bionda lasciandola entrare.

“Si! Decisamente ti sei rincoglionita Ruka. Ma come, non ricordi? Mi avete invitata per il weekend? Sei stata tu a dirmi che hai tre giorni di vacanza. Andiamo a sciare, mi hai detto. Ti faccio mangiare un po' di neve, hai minacciato. E ora mi lasci come un'imbecille ad aspettarti per due ore alla stazione?!”

Haruka ci pensò su un paio di secondi per poi mollarsi una manata sulla fronte. Aveva ragione. Che testa!

“Abbandonata come un cane. Ho provato a chiamarti, ma non sei raggiungibile. Michi meno che mai. Ma che mi combinate voi due?” Rimproverò iniziando a togliersi gli scarponcini aspettandosi di ricevere in cambio le sue pantofole. Ormai era come se fosse un po' anche casa sua.

Ma vedendo che la bionda non accennava a muoversi si fermò rimanendo in calzini. “Ruka... Che succede?”

L'altra si poggiò con le spalle al muro spostando la mano dalla fronte agli occhi. Stringendo i denti sentì di stare toccando pericolosamente il limite. No. Non doveva piangere di fronte a Giovanna!

“Scusa...” Le ginocchia cedettero lentamente ritrovandosi seduta a terra.

Giovanna le andò accanto preoccupata. “Haruka che hai? Stai male?”

“No...” Gli occhi iniziarono ad inondarsi di lacrime. Maledizione no!

“Cosa c'è allora!? Mi stai spaventando. Dov'è Michiru?!”

“Se n'è andata...” E nel dirlo a voce alta, nell'ascoltare quello che ormai era un fatto, la diga crollò, gli argini saltarono in aria e Tenou restò sguarnita. Portandosi le ginocchia al petto e nascondendo il viso tra le braccia iniziò a piangere come una bambina.

Oddio... Pensò Giovanna. “Ruka... non vi sarete mica lasciate, vero?” Chiese irrazionalmente, perchè azione troppo assurda per essere presa minimamente in considerazione.

Conosceva quelle due donne da poco meno di sette mesi e le aveva viste affrontare una grande battaglia per riconquistare la serenità che la malattia di Haruka aveva tolto loro, ma non avrebbe mai e poi mai messo in discussione l'amore che le legava. Troppo forte. Intenso. Maturo.

“No...” Mugolò tra un singulto e l'altro.

“Porca miseria Tenou. Ma che cazzo mi combini?!” Disse la donna più grande accarezzandole la schiena lasciandola sfogare prima che il cellulare non le squillasse nella tasca del giaccone.

L'afferrò pronta a riattaccare a chiunque, ma si fermò leggendo un numero internazionale. Ricordandosi quando Haruka l'aveva chiamata la prima volta da Bellinzona rispose anche se era un numero straniero.

“Pronto?”

“Giovanna?” E l’altra schizzò in piedi dirigendosi verso la sala da pranzo, ed abbassando la voce cercò di capire come muoversi con la bionda per non far danno.

“Michi sei tu?”

“Si... Giovanna sei a Bellinzona?” Chiese sperandolo. Era da quando aveva il nuovo numero che cercava di mettersi in contatto con Haruka non riuscendoci.

“Si. Sono appena arrivata... Ma cosa succede?! Non ho fatto in tempo ad entrare in casa che Ruka è sbottata a piangere a dirotto. Dove sei?! Ti prego, spiegami.”

All'altra sembrò di ricevere uno schiaffo in piena guancia. Piangeva. Il suo amore stava piangendo e la colpa era solo sua. Deglutì pregando l'amica di passargliela. “Giò, poi ti spiego. Per favore.”

Giovanna ubbidì tornando vicino alla porta d'ingresso e soffocando il microfono nella stoffa della giacca così che Michiru non potesse sentire, cercò di calmare una Tenou per lei inedita.

“Ruka basta. Stammi a sentire. Adesso risolvete tutto.”

“No... Non so dov'è. Non...” Ma francamente per quanto potesse provare non riusciva a parlare, respirare e piangere nello stesso momento.

“Ruka guardami. Dai, guardami. - Le tirò su il mento a forza meravigliandosi di non avere ancora preso un pugno in bocca. - Respira e calmati. Ora te la passo, ma stai calma.” Tirò fuori il cellulare sorridendo e cercando con la mano libera di tamponarle le lacrime.

Glielo portò all'orecchio e Michiru finalmente parlò. “Ruka... Ti prego non piangere. Anima mia, perdonami.” La voce era rotta, ma comunque determinata.

“Michi...” Disse prendendo l'apparecchio dalla mano di Giovanna che prima di allontanarsi, le lasciò un bacio sulla testa per scarmigliarle poi i capelli.

Michiru respirò profondamente cercando di prendere forza dal mare che aveva davanti. Seduta sulla sabbia umida della spiaggia privata della pensione, affondò la mano nei granelli afferrandone una manciata.

“Sei in collera?” Chiese pronta a tutto quello che l'altra le avrebbe vomitato contro. Ma con sua grande sorpresa dopo aver tirato su col naso, Haruka rispose lentamente di non esserlo ed alzandosi dal parquet andò verso la porta finestra della sala da pranzo per vedere lo scenario alpino imbiancato. Uscì sul terrazzo lasciando che l'aria fredda le riportasse la dignità liquefattasi con quell'assurdo pianto. Avvertendo le lacrime asciugarsi rapidamente si ricompose schiarendosi la voce.

“Sono delusa.”

“Lo so.” E non riuscì ad aggiungere altro. Restarono in silenzio per minuti, Haruka che ad occhi chiusi ascoltava il fischio del vento e Michiru che guardava il blu del mare. Capitava spesso che accadesse, che iniziassero i loro discorsi in quel modo, ognuna persa tra se e se. Poi toccò alla bionda farle la domanda che da due giorni continuava a ronzarle nel cervello. Dov'era?!

“Ruka... non...”

“Non puoi o non vuoi dirmi dove sei Michi? Hai forse paura che venga a prenderti?”

L'altra sorrise. Ne sarebbe stata capace, ma non si trattava di quello. “Mi credi se ti dico che mi manchi da mozzare il fiato?”

Haruka attese, poi con voce profondissima disse di si. Erano troppo legate perchè mentisse alla compagna prima e a se stessa poi.

“Mi sento tagliata fuori.”

“Lo capisco e mi dispiace. Quando eri in intensiva e stavi combattendo la tua battaglia io mi sono sentita nello stesso modo.” Avrebbe sfondato il vetro che le divideva a calci, se non fosse stato un rischio mortale per la sopravvivenza del suo angelo.

“Ma io non avevo scelta, mentre... tu ce hai.”

“Vorrei che tu fossi qui con me.” Ammise sapendo già le parole che avrebbe sentito.

“Non hai che da darmi un indirizzo.”

Mettendosi la mano ancora sporca di sabbia tra i capelli sorrise scuotendo la testa. “Proprio non riesco a spiegarmi. Vedi Ruka, ci sono battaglie che vanno affrontate da soli e credo che questa sia una di quelle. Quando sono a letto, la notte e mi sveglio da un incubo e sento il cuore che mi martella nelle vene e ho paura, vorrei che tu fossi al mio fianco, che mi stringessi e mi baciassi come sei solita fare. Ho voglia delle tue braccia attorno a me, delle tue carezze, dei tuoi sguardi. Ma, sono anche consapevole che la tua mancanza mi possa dare la forza per accelerare. Voglio mettere fine a tutto questo e lo voglio fare il prima possibile per tornare a casa da te.”

Questa volta Haruka azzerò l'orgoglio. “Ho capito.” Ammise poggiandosi al parapetto vinta. Aveva perso ancora.

“Mi chiamerai?”

“Certo che ti chiamerò Ruka.”

“Anche se avrai bisogno?”

“Soprattutto se ne avrò.”

“Allora va bene Michi. Fai come ti senti.”

“Grazie amore.”

“Michi, un ultima cosa. Ho avuto un... piccolo problema con l'iphone, perciò fino a lunedì... qui c'è Giò...” Lasciò cadere la frase tornando ad ascoltare la voce del vento.

 

 

Poggiata ad uno dei pilastri che davano verso la rimessa delle barche, Khloe fissò Michiru per tutto il tempo della telefonata, studiandone i movimenti, le espressioni e i gesti pacati. Intuiva chi potesse essere l'interlocutore della donna, come sapeva che avrebbe dovuto mettere tutta se stessa in quella che stava tornando ad essere per lei una dolce ossessione. Staccando la spalla dal cemento colorato d'azzurro si girò per tornare ad aiutare il padre e solo allora si accorse della presenza della sorella minore. Si guardarono senza dire niente, ma spostando le iridi da quelle scure della donna alla sagoma di Michiru a qualche decina di metri da loro, Ami le fece intendere che sapeva a cosa stesse mirando.

“Non credevo di essere tanto trasparente sorellina.” Disse andandole vicino per tornare poi ad osservare la donna straniera.

“Stai attenta Khloe, ho rischi di farti nuovamente male.” Avvertì.

“Stai tranquilla. Questa volta nessuno la porterà via contro la sua volontà.”

“Potrebbe essere lei a volersene andare.”

Allora Khloe le sorrise con una sicurezza che al medico non piacque per niente. “Non credo agli amori eterni Ami e lo sai bene. Ogniuno di essi ha un punto debole, un'impercettibile incrinatura... Ed io la troverò.”

“Per favore, lasciala in pace. Michiru ora ha altro a cui pensare.” Pregò avvertendo la mano calda della sorella sulla testa.

“Ti ripeto di stare tranquilla Ami. Se veramente l'amore che lega Michiru alla sua compagna è forte, farò solo una figura meschina, ma se così non dovesse essere, beh...”

Tornò a camminare sparendo subito dopo all'interno della struttura.

O Khloe. Che testa dura che hai.

   
 
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