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Autore: crazy lion    11/02/2017    5 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Dedico questo capitolo a Ciuffettina, una mia cara amica.
Ti voglio bene, tesoro! Sei meravigliosa! Mi sti vicina in questo periodo difficile e per tale motivo non ti ringrazierò mai abbastanza.
Inoltre ti ringrazio anche per avermi insegnato come sistemare quei due capitoli nei quali l'HTML era venuto male, ovvero il 43 e il 57, che ora sono a posto.
 
Vi rendete conto che questa storia ha quasi raggiunto le 200 recensioni? Io vi amo!!! Grazie, sono sinceramente commossa. Spero che il seguito avrà altrettanto successo.
 
Perdonatemi, nello scorso capitolo ho fatto un errore che poi ho corretto: avevo scritto che, dopo che Demi si era ripresa dallo svenimento, l'infermiera le diceva di mangiare qualcosa, ma mi sono sbagliata, perché dato che aveva la pressione bassa, è il caffè che la fa alzare. Ergo, ho cambiato la parola "zuccheri" con "caffè" e ho lasciato comunque che Dallas le portasse la brioche, visto che è preoccupata per la sorella e vuole che sia in forze.
Inoltre, le due cose non sono sempre collegate, ma una persona può avere sia la pressione bassa che l'ansia, a me una volta è
successo.
Il titolo di questo capitolo si riferisce al fatto che, nonostante Demi soffra tantissimo, cerca comunque di dare ad Andrew tutta la forza possibile. Non pensa a se stessa, ma solo alle bambine e a lui e cerca di trasmettergli coraggio anche solo stando nella sala d'attesa dell'ospedale, visto che per un po' non potrà vederlo.
Ah, un'altra cosa: nella storia darò un po' di rilevanza al personaggio di Bill, il collega di Andrew, presente nel capitolo 51\. Ho pensato che i due potrebbero diventare amici, quindi l'uomo comparirà, anche se non tantissimo.
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
70. NON ARRENDERTI, AMORE MIO! NON ARRENDERTI!
 
Era notte fonda. Demetria era sveglia. Sì, all'inizio aveva preso sonno, ma dopo circa un'ora si era svegliata, non facendo altro che rigirarsi continuamente nel letto. Si alzò e andò in bagno. Bevve un po' d'acqua e poi si risciacquò il viso. Appena chiuse l'acqua, sentì Hope piangere. Si asciugò in fretta e furia e corse da lei. La bambina, non sentendo più la mamma vicino, si era svegliata di soprassalto, forse spaventata.
"Ehi, piccola principessa, cosa c'è?" le domandò, avvicinandosi al letto e prendendola in braccio. Hope si calmò subito e Demi provò a rimetterla giù, in modo da farla addormentare. Appena sentì il materasso sotto di lei, la bimba ricominciò a strepitare. "Quando ti tengo in braccio sei un angelo e nel momento in cui non lo faccio strilli, stanotte, eh? Hai tanta voglia di coccole, vero?"
Si accomodò sul letto con i piedi che toccavano per terra e la bimba sulle gambe, baciandole la testolina riccia. Si voltò poi verso Mackenzie che, sveglia, le guardava.
"Tesoro!" esclamò la ragazza, allungando una mano per accarezzarle una guancia. "Come stai?"
La bambina si alzò, accese l'interruttore della luce che si trovava lì vicino e venne verso la mamma. Le si mise davanti e poi fece cenno di sì, come per farle capire che stava bene, ma i suoi occhi erano tristi.
"Ehi, lo so che sei preoccupata per Andrew e che stai male per lui" le disse Demi, comprensiva. "Si è fatto male. Ha delle cicatrici come le mie, solo che le sue sono più grandi e gli fanno tanto male" le spiegò.
Non le disse che gli era uscito tantissimo sangue, ma Mackenzie lo comprese da sola. Avrebbe voluto chiederle se sarebbe morto, ma non lo fece. Non ne ebbe il coraggio. Mise il visetto tra le manine e cominciò a piangere, guardando poi la mamma con occhi lucidi. Hope, non capendo, le osservava perplesse e, vedendo la sorella stare male, ricominciò anche lei a piangere, prima piano, poi sempre più forte e disperatamente. Demi si morse il labbro per non unirsi anche lei a quelle lacrime. Non voleva. Sentiva di dover essere coraggiosa per le sue figlie, così decise di fare l'unica cosa che, lo sapeva, in quel momento le avrebbe dato conforto. Iniziò a cantare:
"Come stop your crying
It will be alright
Just take my hand
And hold it tight
I will protect you
From all around you
I will be here
Don't you cry
For one so small,
You seem so strong
My arms will hold you,
Keep you safe and warm
This bond between us
Can't be broken
I will be here
Don't you cry."
Quella era una canzone di Phil Collins, che lei aveva sempre adorato. Dianna gliela cantava quando era piccola e piangeva perché aveva fatto un incubo, o se stava male. Ora lei l'aveva fatto con le sue figlie. La sua voce dolce aveva riempito la stanza di un'atmosfera rilassante e calma ed ebbe un effetto benefico sulle bambine, che non solo si calmarono, ma sorrisero.
"Non vi posso promettere che Andrew si salverà" disse, volendo essere completamente sincera. "Una cosa, però, posso dirvi: che non vi lascerò mai. Mai, capito?"
Le abbracciò forte e le baciò, tenendole strette al cuore a lungo. Quelle bambine erano la usua gioia, la luce dei suoi occhi.
"Mamma" sussurrò allora Hope.
La ragazza sbarrò gli occhi.
"Cos'hai detto, amore?" le domandò, con dolcezza.
Voleva risentire ancora una volta quelle cinque, meravigliose lettere che componevano la parola più bella del mondo. La piccola l'aveva già chiamata così più di una volta da quella sera, ma quando lo faceva, per Demi era come se fosse stata la prima.
La bimba la guardò, poi ripeté:
"Mamma!"
Lo disse con maggior enfasi, mentre il cuore di sua madre batteva sempre più forte.
Abbracciò Hope e poi strinse ancora Mackenzie.  Affondò il viso nei loro capelli. Le sue bambine profumavano di vita e con la loro sola presenza le fecero sentire un po' di meno quel dolore che le schiacciava il petto. Inoltre Hope l'aveva appena chiamata mamma, facendole un bellissimo regalo. Alla fine, in quella serata piena di sofferenza e di angoscia, c'era stato anche qualcosa di positivo.
Si rimisero tutte e tre sotto le coperte, più ù tranquille e, poco dopo, crollarono addormentate.
Il giorno dopo, quando un giornalista la fermò per strada e le chiese dove fosse Andrew, lei gli disse che stava male.
"Cos'ha? Si trova in ospedale?"
"Sì, ma non può parlare; e per favore, non mi segua. So che vorrebbe farlo, ma la prego, abbia rispetto."
Demi conosceva bene i giornalisti. Così come i paparazzi, anche loro erano sempre pronti a ficcare il naso dappertutto.
Si allontanò in fretta da quell'uomo senza nemmeno dargli il tempo per replicare. Si diresse verso casa di Andrew. Quando si erano messi insieme lui le aveva dato una copia delle chiavi, così poté entrare senza problemi. Coccolò un po' i gatti, i quali quando la videro miagolarono e cominciarono a girarle attorno alle gambe.
"Andrew tornerà presto, non preoccupatevi" sussurrò, con le lacrime agli occhi. "Intanto, finché lui non ci sarà, mi occuperò io di voi. Verrò a darvi da mangiare e da bere tutti i giorni e vi farò un po' di compagnia, va bene?"
Non poteva lasciare quelle bestiole da sole. Jack e Chloe fecero le fusa, quindi lei lo prese come un sì e sorrise appena. Cambiò loro l'acqua e versò altro cibo nella  ciotola e, dopo aver promesso che sarebbe venuta ogni mattina e sera, uscì dall'appartamento.
Aveva deciso di andare in ospedale a piedi. Camminare la rilassava sempre e a volte l'aiutava. Mentre procedeva, spedita, chiamò lo studio legale dove Andrew lavorava. Da quando stavano insieme, aveva salvato quel numero nella rubrica del cellulare, nel caso avesse avuto bisogno di lui quando era al lavoro.
"Pronto?" chiese una voce femminile.
"Pronto, sono Demi, la fidanzata di Andrew."
"Salve! Io sono la segretaria dello studio legale dove lavora. Posso fare qualcosa per lei, o per Andrew? Siamo tutti preoccupatissimi per lui, qui. Da quando è morta la sorella non è più tornato e, se lo chiamiamo, non risponde."
"Non lo faceva nemmeno con me. Infatti me ne sono accorta troppo tardi" disse Demi, mentre una lacrima le rigava il viso. "Andrew è in ospedale" continuò, imponendosi di non balbettare. La sua voce, però, tremava comunque. "Si è tagliato le vene e reciso un'arteria" spiegò e poi disse ciò che le aveva riferito il dottore.
All'altro capo del filo ci fu un lunghissimo silenzio. Demi poteva sentire che quella donna aveva il respiro affannoso. Era la stessa alla quale, anni prima, aveva chiesto se Andrew era libero e avrebbe potuto riceverla, quando era andata a chiedergli informazioni e delucidazioni sull'adozione. "Mi sembrava giusto avvertirvi" concluse infine Demi, visto che l'altra non parlava.
"La ringrazio per averlo fatto. Lo dirò io a tutti, non si preoccupi."
"Grazie; e arrivederci."
"Grazie a lei, Demi. Andrew è molto caro a tanti, qui dentro, anche se non si è fatto dei veri e propri amici, almeno da quel che ho potuto vedere. Il rapporto tra me e lui non è nulla di che. Ci salutiamo, ci sorridiamo, niente di più, ma non avrei mai pensato che fosse arrivato a tanto. Insomma, già sapere che sua sorella era morta dopo anni di coma e che lui non ci aveva detto mai niente ha sconvolto me, i suoi colleghi e il Capo, ma  questo è ancora più terribile!" esclamò la donna, che si sentì una stupida perché avrebbe voluto confortare Demi per quanto possibile, ma non sapeva cosa dire.
"Già" rispose la ragazza, poi diede alla segretaria il nome dell'ospedale in cui l'uomo era ricoverato.
Le due si salutarono e Demetria riattaccò. Ormai era arrivata in
ospedale. Rimase in sala d'attesa per ore. Andrew era ancora in prognosi riservata, ma lei voleva rimanere in quella stanza perché le sembrava di stargli più vicina, così. Non c'era nessun miglioramento, le condizioni del paziente rimanevano stabili ma comunque serie, dato che la febbre non accennava ad abbassarsi. A causa della temperatura così alta i medici gli somministravano ogni ora Tachipirina e Novalgina e gli misuravano costantemente la temperatura. Il trauma cranico, fortunatamente, non sembrava aver avuto conseguenze gravi. Demi veniva tenuta costantemente informata e, più le ore passavano, più lei si sentiva male perché avrebbe tanto voluto vederlo, stargli accanto anche fisicamente, tenergli la mano, parlargli, ma non poteva. Ad un certo punto chiamò Selena e Joe per dire ad entrambi di non venire, che non era necessario dato che non stava succedendo niente. Cercò di mostrarsi più tranquilla di quanto fosse in realtà e, a telefonate terminate, andò nella piccola cappella dell'ospedale, si inginocchiò e pregò per ore, con fervore.
"Signore, Andrew è ora più che mai nelle tue mani. Ti prego, non portarmelo via! Dammi la possibilità di dirgli ancora che lo amo e di aiutarlo. Non merita di morire! Ha sbagliato a farsi del male, sì, lo riconosco, ma il suo è stato solo un errore. Grande, certo, ma pur sempre un errore; e tutti sbagliamo, nella vita, no? Tu, che ami tutti i tuoi figli, per favore, perdonalo. So che puoi farlo. Io prometto che, qualsiasi cosa succeda, gli starò accanto e non lo abbandonerò mai.
Amen!"
Il giorno dopo, l'ultimo di maggio, Demi comprò il giornale e vide un articolo il cui titolo diceva:
 
Shock: Andrew Marwell, un famosissimo avvocato di Los Angeles, si ferisce i polsi con un coltello; è grave.
I medici: "Soffriva troppo per la morte della sorella."
 
"Che cazzo è questo schifo?" chiese Demi, gettando il giornale per terra.
Dianna, che era con lei, lo prese in mano e lesse, mentre Mackenzie e Hope, che giocavano spensierate sul tappeto del salotto, non si erano accorte di nulla.
"Prima o poi sarebbe successo, Demi. Era inevitabile" le fece notare la madre, sospirando.
"Sì è vero, ma chi ha detto tutto ai giornalisti?"
"Avranno parlato con un medico. In ogni caso, le informazioni del'articolo sono molto vaghe, non dicono nulla di così particolare, il che significa che il dottore in questione dev'essere stato sicuramente molto attento a ciò che ha detto."
Demi lesse l'articolo. Diceva solo che Andrew si era fatto del male, che la sorella era morta dopo anni di coma e che lui era grave, nulla di più.
"Hai ragione" convenne, poi prese un respiro profondo.
Si sentiva già più calma.
Fu solo dal mattino seguente, quando la febbre si abbassò, che Demi poté finalmente vedere Andrew. Quando entrò nella stanza si trovò davanti una figura talmente pallida che quasi non lo riconobbe; e poi, santo Dio, com'era dimagrito! La sera in cui l'aveva salvato non se n'era accorta, ma ora notò che, anche se era sotto le coperte, poteva vedergli le costole. Scostò le lenzuola e lo guardò meglio. I polsi e le braccia erano fasciati, probabilmente per tenere meglio i punti ed era attaccato a due flebo, una che gli forniva il nutrimento e l’altra la morfina.
"Ciao amore" riuscì a dire soltanto, prima di scoppiare a piangere.
Per tutto il tempo in cui rimase con lui, quel giorno, non fece altro. Solo dal successivo riuscì a parlargli e a stare più calma. Sapeva di doverlo e volerlo fare, per dargli forza. Lui non la guardava mai, ma teneva sempre gli occhi  aperti. Demi gli prendeva la mano, lo chiamava, gli diceva di guardarla, ma Andrew non aveva nessun tipo di reazione e i medici non potevano far nulla se non
aspettare.
Per i dieci giorni successivi, la situazione non migliorò.
La flebo di morfina gli era stata tolta qualche giorno prima. La cosa che sorprendeva la ragazza era che Andrew non si era mai lamentato per il dolore. Più volte aveva fatto delle smorfie, ma mai un lamento, mai un suono, nulla. Non si muoveva nemmeno. Rimaneva sempre così, con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo perso. Le infermiere, aiutate a volte da Demi, lo sollevavano e lo facevano appoggiare a dei cuscini, sostenendolo in quella posizione per diversi minuti due o tre volte al giorno, oppure lo giravano nel letto in modo che non si formassero piaghe da decubito. Spesso il suo battito cardiaco era più lento e la respirazione difficile, tutti effetti del prolungato periodo trascorso a letto. I medici stavano decidendo il daffarsi ma a Demi non avevano detto nulla di preciso. Gli avevano rifatto tutti gli esami al cranio anche se non credevano di essersi sbagliati e infatti il risultato era stato lo stesso. Gli parlavano, gli davano degli ordini come: “Mi guardi”
o:
“Muova una mano”,
gli facevano delle domande ma non ottenevano niente. Sapevano benissimo che più passava il tempo, peggio il paziente sarebbe stato e che, una volta ripresosi, avrebbe avuto sicuramente qualche disturbo. Non potevano lasciare che rimanesse in quel letto ancora per molto. Demi li aveva sentiti discutere un giorno, da lontano. Un dottore diceva che forse, se qualcuno l’avesse portato fuori in sedia a rotelle, l’uomo si sarebbe sentito meglio stando all’aria aperta, un altro sosteneva che questo non l’avrebbe aiutato a riprendersi e il primo gli domandava come faceva ad esserne tanto sicuro. Demi andava in ospedale ogni giorno e rimaneva con Andrew più che poteva, parlandogli delle piccole, della sua famiglia, delle canzoni che stava componendo e di qualsiasi altra cosa che lo potesse far stare bene. Gli aveva tagliato le unghie un paio di volte, lo pettinava, apriva le finestre e le lasciava così per lungo tempo in modo che Andrew potesse respirare un’aria diversa, sentire il sole sul viso e ascoltare il canto degli uccelli. Sperava, in questo modo, di ridargli un po’ di quella vita che lui sembrava non avere più. Anche i familiari di Demetria, Selena e Joe venivano a trovarlo. Solo una persona alla volta poteva entrare nella stanza.
"Ti amo, tesoro! Hai capito? Ti amerò per sempre" gli ripeté, per l'ennesima volta, anche quel giorno di giugno.
La porta della stanza si aprì. Era il dottor Thompson.
"Sono venuto a chiederle come si sente, Demi; è tutto il giorno che è qui da sola e mi dispiaceva non venire nemmeno a salutarla."
Quel medico era gentile, le parlava sempre un po' ogni giorno, era umano e di buon cuore.
"Sto male" disse solo, con gli occhi pieni di lacrime.
Erano passati tredici giorni da quella sera orribile, ma a lei sembrava un'eternità; e le pareva anche di continuare a ripetere quella frase ancora e ancora da innumerevoli anni, a tutti coloro che glielo domandavano. Per fortuna i suoi genitori e le sorelle non glielo chiedevano più, ma i fan sì. Le scrivevano ogni giorno su Twitter di essere forte, che erano con lei, che non l'avrebbero lasciata sola in quel momento difficile e che, nel loro piccolo, speravano di starle accanto il più possibile. Lei lo apprezzava, davvero, ma avrebbe voluto sentire o leggere un po' meno quella domanda, che le dava a volte fastidio:
Come stai?
Come diavolo volevano che stesse?
"Posso fare qualcosa per lei?"
La voce dolce del dottore la riportò alla realtà.
"Resti qui un momento con me, per favore" sussurrò Demi, quasi senza voce.
"D'accordo."
Le si avvicinò e rimase lì, di fronte alla ragazza, in silenzio. Non sapeva cosa dire e aspettava che fosse lei a parlare, ma Demi non emise fiato. Poco dopo, il cercapersone del medico iniziò a squillare.
"Devo andare, Demi, mi dispiace" le disse.
Lei lo guardò negli occhi e notò per la prima volta che erano verdi, come quelli di Andrew. Si somigliavano moltissimo, anche se nessuno li avrebbe mai avuti belli come il suo fidanzato.
"Non si preoccupi; anzi grazie, lei è sempre così premuroso!" esclamò, sorridendo appena.
"Anche questo fa parte del mio dovere" asserì e poi se ne andò, salutandola con un cenno del capo.
Una volta uscita dall'ospedale, Demi incontrò solo qualche giornalista. Le era già successo nei giorni precedenti. In uno ne aveva trovata una folla immensa davanti all'ospedale, mentre i medici cercavano di allontanarli. Ora la situazione sembrava essersi tranquillizzata.
"Come sta Andrew? Cosa ci può dire, Demi?" le chiedevano, mentre scattavano foto.
"Purtroppo non ci sono miglioramenti"rispose, cercando di avere un tono gentile, anche se la voce le uscì strozzata e piena di tristezza e dolore.
"Lei come si sente?" le chiese una donna.
"Sto male" rispose, come faceva sempre.
Non sapeva come altro esprimere il suo dolore se non con le lacrime e con quelle due parole.
Tutti la guardavano, come aspettandosi che parlasse ancora. Fu allora che la ragazza non ce la fece più ed iniziò a piangere. Dapprima le lacrime uscirono silenziose e lente, poi sempre più abbondanti, bruciandole gli occhi. I giornalisti, vedendola stare così, si allontanarono. Demi salì in macchina e pianse per tutto il tragitto. Soffriva così tanto che non riusciva quasi neanche a parlarne. Senza Andrew al suo fianco, si sentiva come se l'aria che aveva per respirare fosse sempre meno ogni giorno.
Dopo essere andata, come sempre, a dar da mangiare e a coccolare i gatti, Demi rientrò. Quella sera nemmeno stare con Jack e Chloe l'aveva tirata su di morale, al contrario d quanto accadeva di solito.
Tornata a casa, come ogni sera, Demi mangiò qualcosa di veloce e poi, dato che c'era Dianna a tenere le bambine, andò subito a letto. Spesso rimaneva un po' con le figlie, perché in fondo anche loro avevano bisogno di lei e non le avrebbe trascurate per nulla al mondo, ma quella sera era davvero distrutta e, anche se a malincuore, ammise a se stessa di non riuscire a stare in piedi un minuto di più. La notte quasi non dormì, ma in quelle settimane ci si era
abituata.
Il giorno dopo rimase con le bambine tutta la mattina. Giocò con loro, rise e si divertì, facendo star bene anche le piccole. Ne avevano tutte bisogno, soprattutto lei, che stava vivendo, ne era sicura, uno dei momenti peggiori e più difficili della sua intera vita. Sì, perché il dolore che provava ora era peggiore di quello che aveva sentito, per anni,, soffrendo di anoressia, bulimia e autolesionismo. Mentre quel pomeriggio procedeva verso l'ospedale, si ricordò di un film, "Colpa delle stelle", che parlava di due ragazzi, malati di tumore (ora non rammentava quale) che si conoscevano durante una terapia di gruppo. Erano malati terminali, ma decidevano di vivere il tempo che restava loro nel miglior modo possibile. Dopo tempo, si innamoravano. Alla fine, purtroppo, lui moriva e la ragazza, Hazel, soffriva terribilmente. Ad un certo punto diceva che quando i medici le chiedevano quanto dolore sentisse lei rispondeva sempre otto, nove, perché teneva il dieci per una sofferenza più profonda; e aggiungeva che, dopo la morte di Augustus, si era resa conto che quello era il suo terribile dieci. Andrew, grazie a Dio, non era morto, ma Demi si ritrovava comunque tantissimo in quella frase.
Quando entrò nella stanza, vide che c'erano altre due persone. Non potevano essere i suoi, loro venivano a trovarlo quando lei stava con le piccole. Erano un uomo e una donna, ma non li riconobbe.
"Tu sei Demi, giusto?" le chiese questa, una signora sulla cinquantina, con i capelli biondi, ossi e un sorriso dolce.
"Sì" rispose la ragazza.
"Io sono Janet, il Capo di Andrew."
"Io invece mi chiamo Bill, sono un suo collega. Io e Andrew, beh, non andavamo d'accordo, però tempo fa ci eravamo avvicinati un po' e quindi sono voluto venire."
"Pensavo che nessuno dei suoi colleghi l'avrebbe più fatto. Insomma, io avevo avvertito lo studio legale dell'accaduto, ma non veniva mai nessuno e così immaginavo che non vi importasse" ammise Demi in totale franchezza. "Intendo dire," continuò, "che so che Andrew non aveva molti rapporti con coloro che lavoravano con lui, mi raccontava poco di questo ma mi diceva che in pratica non aveva amici a parte me, che le sue erano solo conoscenze. Vi prego, non fraintendete le mie parole!" esclamò.
Non voleva che pensassero male di lei o che credessero che non le faceva piacere che fossero lì. I due le sorrisero.
"Sta' tranquilla, Demi, capiamo benissimo" si affrettò a rassicurarla Bill. "Andrew," disse poi, avvicinandosi al letto, "ti portiamo i saluti di tutti gli altri. Avrebbero voluto venire, ma sapevamo che non può entrare troppa gente alla volta, così hanno detto che lo faranno nei giorni a venire." Guardò Demi e continuò: "Il dottore ci ha permesso di entrare anche se siamo in due, ma staremo qui poco, non vogliamo stancarlo."
Bill parlava in tono molto dolce e Demi gli sorrise. "Mio padre è stato in coma, l'anno scorso" spiegò. "So che lui non lo è, ma io parlavo sempre così a papà, con dolcezza e quindi pensavo che con lui dovessi fare lo stesso."
"Quel che hai detto è perfetto, Bill. I medici dicono che dobbiamo raccontargli cose che lo fanno stare bene, che lo aiutano a capire che è amato" disse Demi, riportando le parole del dottor Thompson.
Gliel'aveva detto molti giorni prima, quando era venuto a trovarla e l'aveva trovata accanto al letto del fidanzato, in lacrime.
"Il medico che ci ha parlato non ce l'ha detto: ci sono novità?" chiese Janet.
"No, sta così da diciassette giorni, ormai" disse Demi sospirando.
Si sedette accanto al letto, sulla poltrona che ormai conosceva bene.
"C'ero anch'io, al funerale di Carlie, ma Andrew non mi ha vista. Le persone erano così tante e lui soffriva talmente che, soprattutto per questo, non me la sono sentita di avvicinarmi. Ho sbagliato, lo so, ma non avrei saputo cosa dirgli, il suo dolore era qualcosa che mi straziava l'anima." Una lacrima rigò il viso della donna. "Io, ecco, io gli avevo detto che ci  sarei stata, se avesse avuto bisogno e che avrebbe potuto tornare al lavoro quando voleva, ma non pensavo, non avrei mai immaginato che sarebbe arrivato a tanto! Altrimenti, te lo giuro, Demi, avrei fatto qualcosa!" esclamò, mentre le lacrime diventavano sempre più copiose.
"Io e lui non siamo granché in buoni rapporti, come ho detto" disse allora Bill, "ma non avrei mai voluto vederlo così! Ero stato a trovarlo, con altri colleghi, ma lui ci ha mandati via più di una volta."
Erano tutti e tre commossi, ora. Si sentivano in colpa; e Demi, dal canto suo, era stata toccata in profondità dalle parole sincere dei due. Capì che Janet voleva molto bene ad Andrew e anche Bill, in un certo qual modo, gli era affezionato, almeno un pochino.
"Comprendo bene i vostri sentimenti" disse Demi. "Sono gli stessi che provo anch'io. Sono contenta che siate venuti e che Andrew abbia accanto delle persone così sensibili e preoccupate per la sua salute. Credo che anche lui sia felice della vostra visita, vero, amore?" gli chiese, accarezzandogli la fronte.
Lui continuava a tenere gli occhi aperti, fissando il vuoto. Non guardava nessuno.
"Capisce quello che diciamo?" chiese Bill.
"I medici dicono che, dato lo stato di shock in cui si trova, lo ritengono molto poco probabile."
"Io purtroppo devo rientrare allo studio" riprese Janet, asciugandosi gli occhi con la mano. "Sarò fuori città per un processo in questi giorni ,ma la prossima settimana tornerò e verrò qui appena mi sarà possibile. Spero che, per allora, Andrew si sentirà meglio. Lo dico con il cuore!"
Lei e Bill si avvicinarono di più al letto, guardarono Andrew e gli dissero:
"Devi guarire presto, okay?"
Demi li ringraziò ancora e, dopo poco, entrambi se ne
andarono.
"Hai visto chi è venuto a trovarti? Sono stati gentili, vero?" gli chiese la ragazza, pur sapendo che non avrebbe risposto.
Rimase con lui per le tre ore successive, a parlargli o a cantare qualche sua canzone. Il dottor Thompson le aveva detto che anche le canzoni stimolavano i pazienti a risvegliarsi dal coma, o ad uscire dallo stato di shock.
"Non so quanto tempo ancora starai così male, amore, ma ti prometto una cosa" gli disse e poi si inginocchiò accanto a lui. "Io, Demetria Devonne Lovato, ti prometto che non ti lascerò mai e che non ci sarà nessun altro uomo nella mia vita a parte te."
Lo baciò a fior di labbra. Sapeva che forse era presto per fare una promessa così importante. In fondo, stavano insieme da appena quattro mesi, ma lei ci credeva davvero. Era  convinta di ciò che diceva.
Era tardi. Doveva tornare anche lei. Hope e Mackenzie la aspettavano.
Si alzò, si infilò la giacca e, prima di uscire, gli sussurrò:
"Non arrenderti, amore mio! Non arrenderti!"
 
 
 
credits:
Phil Collins, You'll Be In My Heart
   
 
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