Mireya e Felipe
« Mireya? »
Sollevai lo sguardo dalle mie mani, nascoste nel velluto verde scuro dell'abito. « Mh? »
« Ti ho chiesto di andare a chiamare tuo fratello. »
« Oh sì, » sbattei appena le palpebre. « Ero assorta nei pensieri, mamà. »
« Pensi troppo » fece, agitando una mano a mezz'aria.
Afferrò poi due calici di champagne e me li porse. Mi alzai dal divano e li presi. Mi voltai a guardare il grande orologio a pendolo del salone; scandiva i secondi con un suono greve e pesante. Era già mezzanotte meno un quarto.
« Niña, forza! » mi richiamò mia madre. « Dobbiamo essere tutti qui per gli auguri! »
« Ecco, sto andando » sbuffai. Mi allontanai ed imboccai il corridoio che portava all'altra parte della casa.
Camminando, spostai lo sguardo nelle varie stanze che superavo, vuote e immerse nella penombra. Dopo pochi minuti una melodia lontana attirò la mia attenzione e raddrizzai il collo, affrettando appena il passo.
Voltando l'angolo a destra, dalla biblioteca in fondo, usciva uno spiraglio di luce e quel tango era sempre più forte. Felipe doveva essere lì.
Raggiunsi la porta e mi affacciai, restando sulla soglia. Felipe era appoggiato al tavolino del grammofono e ascoltava la voce di Carlos Gardel ad occhi chiusi.
Esitai, restando ferma e cercando di respirare piano, sperando che la musica coprisse la mia presenza. L'orologio della biblioteca mi ricordava che mancavano solo dieci minuti.
Felipe si voltò improvvisamente, aprendo gli occhi grigi e puntandoli in iridi identiche alle sue.
Sorrisi e gli porsi un calice. « Vieni di là, è quasi mezzanotte. »
Mi raggiunse lentamente, prendendo il bicchiere e sfiorandomi le dita. « Ti sta veramente bene il verde scuro. Volevo dirtelo anche prima. »
Mi lisciai la gonna con la mano libera. « Grazie. »
« La collezione di zia Blanca è infinita. Ha anche un sacco di vecchi 78 giri. »
« Por una cabeza è nell'originale del 1935? »
« Sì. Senti il suono ruvido e pieno? I vinili di adesso non sono così... affascinanti. »
« Sei troppo nostalgico » sorrisi. « Nostalgico di qualcosa che non ti è nemmeno appartenuto. »
« Ad ognuno le sue debolezze » mi sorrise di rimando, guardandomi di sbieco.
« Mamma ci sta aspettando » dissi rapidamente, quasi per ricordarlo a me stessa.
« Su boca que besa borra la tristeza, calma la amargura » cantò in un sussurro, facendo oscillare appena la testa.
« Non vuoi venire di là, vero? »
Felipe mi sorrise. « Balliamo. »
Mi prese per mano e non feci in tempo a posare il bicchiere che mi tirò a sé. Poggiò la sua tempia sulla mia, mi circondò la vita con un braccio e mi condusse lentamente sulle note di quella musica che ripartiva per l'ennesima volta.
« Mamma ci ucciderà » sussurrai contro la sua spalla.
« Non pensare a niente, adesso. »
Felipe mormorava la melodia e profumava di ambra e sandalo; mi appoggiai con la guancia sul bavero della sua giacca e socchiusi gli occhi. Ballammo per qualche minuto, oscillando e muovendoci appena, come in un lento.
« A gennaio parto per Vienna. »
Mi scostai appena per guardarlo negli occhi. « Vienna? »
« Vieni con me. »
Spostai rapidamente le pupille nelle sue. « Ma che stai...? »
L'orologio scandì la mezzanotte e delle urla festose e lontane raggiunsero le nostre orecchie.
Vieni con me disse ancora il suo labiale, poi si sporse appena e mi baciò.
Spalancai gli occhi e il calice mi cadde, infrangendosi sul tappeto in un suono sordo.
« Ragazzi! »
Mi allontanai bruscamente da Felipe ma continuai a fissarlo negli occhi.
« Oh! » esclamò nostra madre, entrando e guardando lo champagne inzuppare il tappeto. « Che disastro! Siete riusciti almeno a farvi gli auguri? »