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Autore: Chemical Lady    25/02/2017    1 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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僕は孤独さ  No Signal

Parte seconda: il caso Kamata

 

 

 

 

Aveva undici anni quando Hiroshi Katō entrò a far parte della sua quotidianità. Figlio di suo padre e della sua prima fidanzata del liceo, era un promettente studente di legge. Aveva quasi la stessa età di Shinichi, ma non per questo i due andavano d’accordo, anzi. Sua madre, poi, lo detestava.

Il bravo, perfetto Hiroshi, specializzando e tirocinante presso uno dei migliori studi di legge di tutta la capitale. L’orgoglio di quel padre che aveva abbandonato sua madre per un’altra donna quando il primogenito aveva poco più di un anno e mezzo. Sembrava quasi che il signor Masa cercasse di espiare le sue colpe nei suoi riguardi, in quel modo, con continui vezzeggiamenti e regali nonostante le loro precarie condizioni economiche.  Gli regalò anche una macchina per permettergli di andare al lavoro senza prendere i mezzi pubblici. Aina Masa fu costretta a chiedere alla sorella di darle i soldi per pagare la scuola di danza ad Aiko e quella di calcio per Shin.

Hachiro non  mancava mai di riempire Hiroshi di complimenti, di vantarsi di lui. Se non si vantava di lui, esaltava il modo in cui Shin stava concludendo il liceo con il massimo dei voti, complice la rivalità col fratellastro. Poi arrivava Aiko, con i suoi mediocri voti a scuola, la scrittura un po’ storta e sbavata e la risposta sempre pronta a ogni sgridata. Aiko, la quale era diventata improvvisamente invisibile.

Per questo nessuno si accorse di niente.

In fondo, Hiroshi era il solo a prestarle davvero attenzione, in quella casa.

La prima volta che successe, Aiko aveva dodici anni e Hiroshi ventiquattro.

Lei sapeva cosa stava succedendo solo in parte, eppure non lo disse per paura di perdere anche quella persona. Che smettesse di volerle bene anche lui o che venisse mandato via, a Kyoto. Suo padre l’avrebbe detestata, lo sapeva.

Era cambiato tutto, però.

Non poteva ignorare che l’odore nella sua cameretta, quando lui se ne andava, era diverso. Quelle quattro mura, che avrebbero dovuto schermarla dal male del mondo, erano in realtà il suo inferno.

E l’odore nauseabondo che rimaneva sulle lenzuola e non aveva niente di famigliare.

 

 

Capitolo nove

Miza delle Lame non si sarebbe mai abituata all’atmosfera pesante che si respirava durante le riunioni con gli altri capi di Aogiri. Non si sarebbe mai abituata agli sguardi di Tatara, alle parole apparentemente senza senso di Naki degli Smoking Bianchi o alla permanente consapevolezza che quell’equilibrio precario in cui tutti loro si trovavano era determinato semplicemente dalla paura.

Tirando le somme, non sarebbe mai riuscita a scendere a compromessi con la sensazione che quelli che avrebbe dovuto vedere come alleati, sotto sotto, erano tutti dei potenziali avversari. Delle minacce. Solo l’influenza labile del Re col Sekigan li teneva tutti buoni, sotto una coltre di incertezza, perché anche se Tatara parlava attraverso la bocca del sovrano, egli non si era mai mostrato loro. L’ultimo capo che aveva richiesto un’udienza, aveva perso la testa sotto i colpi di Noro e di conseguenza nessuno aveva più provato a incontrarlo.

Spostando gli occhi dal centro dello stanzone, dove Tatara li studiava sulle gradinate di quello che un tempo doveva essere un palazzetto dello sport ora lasciato andare in malora, trovò poco lontano da lei lo sguardo graffiante del giovane Ayato. La osservò pensieroso, senza la solita grinta, prima di tornare ad abbassare gli occhi vagamente stanchi sulla punta delle scarpe lise. Hinami era stata confinata nella Cochlea ormai da diversi mesi e nessuno si era preoccupato di aprire una breccia per lei. Non era un soldato importante in quella lunga guerra di logoramento. Guerra che da qualche tempo a quella parte, non si stava più risolvendo a favore dei ghoul.

«Ho sentito dire che abbiamo perso anche l’ultimo avamposto nella quattordicesima.» stava sussurrando qualcuno, qualche metro più avanti, colto in fragrante dall’udito sensibile di Miza «Hanno detto che è quel mostro che chiamano il Joker, Suzuya Juuzou, ad aver annientato tutta la squadra di Biichi

«Io invece ho sentito che lui controlla solo la tredicesima e che la quattordicesima se l’è ripresa quell’investigatore di classe speciale col caschetto. Quello che sembra una donna e che si dice abbia ucciso il fratello di Yanji mentre fumava una sigaretta con una mano e teneva la quinque con l’altra.»

Chiacchiere da bar, niente più. Cosa fosse successo davvero nella quattordicesima lo sapevano solo coloro che ci erano morti. Miza smise di prestare loro attenzione, abbassando gli occhi sull’orlo della vestaglietta che indossava sopra ai vestiti sudici. Che vita era, la loro? Servire un re senza nome e campare di lotte. Non stavano vivendo.

Stavano sopravvivendo.

Ne valeva ancora la pena?

Quasi a rispondere alle sue domande arrivò, leggera come il vento che accarezza l’acqua, Labbra Cucite. Al suo seguito, dentro a quella giacca militare nella quale Miza l’aveva visto crescere, c’era il Soldato. Mentre di quest’ultimo conosceva il nome, la guerriera delle Lame a stento avrebbe saputo dire qualcosa del capo della diciannovesima circoscrizione. Sapeva solo che era una donna, ma quello lo si poteva capire da molte cose, e che era molto vicina a Tatara. Molti fra loro sostenevano che fossero addirittura amanti e a Miza non sembrava poi così strana, come ipotesi.

La guardò avvicinarsi al cinese ammantato di bianco, senza abbassare il cappuccio della mantella color vinaccia che solitamente indossavano solo i loro sottoposti, ma che lei non aveva mancato di avere nemmeno una volta. Kenta l’aveva seguita e, al contrario della sua padrona, non s’era risparmiato di liberarsi della maschera antigas che gli celava il volto e gli appiattiva i capelli ribelli rossi come il sangue.

Labbra Cucite si era accostata a Tatara, appoggiando una mano sulla sua spalla per domandargli di chinarsi su di lei. Lui aveva eseguito e aveva ascoltato molto attentamente tutto ciò che aveva da dirgli, sibilandogli nell’orecchio e tenendo così private le sue informazioni.

Solo una volta concluso, lui la guardò facendo un impercettibile cenno di approvazione verso di lei e permettendole di andare a sedere alle sue spalle, sui gradoni, a poca distanza dalla ragazzina avvolta dalle bende che se ne stava sempre in disparte, accucciata nello sporco, nonostante potesse permettersi di camminare sulla luce.

Eto.

Kenta si accomodò accanto a Labbra Cucite, accavallando le gambe e lasciando tintinnare le lunghe catene che dalla sua schiena scendevano fino a terra, tornando poi a infilarsi nella cintura. A Miza non sfuggì lo sguardo freddo che scambiò con Ayato, registrando quella loro disputa da ragazzini per quello che era: giocavano semplicemente a chi fosse il galletto del pollaio. Erano poco più che bambini, dovevano andare a scuola, non fare rappresaglie.

«Oggi siamo qui solo per definire i ruoli nell’operazione che avrà luogo di qui a due giorni» Tatara aveva preso la parola senza prepararli e generando sin dall’inizio un silenzio assordante attorno a sé «Come già stipulato, la squadra di Ayato e quella di méi méi si occuperanno di dirottare i camion contenenti l’acciaio quinque nel punto di scambio. Dopo di che, gli Smoking Bianchi dovranno supportarli in caso di uno scontro. Le altre unità cercheranno di distrarre gli investigatori presenti nella seconda circoscrizione, anche se il diversivo migliore sarà un altro.»

Miza non si era lasciata sfuggire il modo in Tatara di solito si rivolgeva a Labbra Cucite. Aveva cercato il significato di quelle parole, méi méi, per comprendere quale fosse il loro corrispettivo in giapponese e tutto ciò che aveva trovato era ‘sorella’. Sorella minore, per la precisione, il che però aveva meno senso che mai. Non aveva mai visto il volto di Labbra Cucite, ma non sembrava cinese.

Forse però lo era, non poteva escluderlo.

Non aveva nemmeno mai visto il suo kagune e quella maschera a mezzo volto di cuoio ricordava vagamente quella di Tatara. Senza contare che non aveva nemmeno mai udito il suono della sua voce.

Ironicamente, parve che a voler aiutare a far luce su quella faccenda, fosse proprio il meno sano fra loro. Mentre Tarara spiegava come le squadre si sarebbero dovute alternare, Takizawa scese le scalinate a saltelli, reggendo in mano il macabro bottino della giornata. Con quel braccio stretto in pugno, mezzo mangiato, dalla mano senza dita, pareva più un avvoltoio che un gufo. Scese tutte le scale, evitando accuratamente Eto, che invece sporse il braccio come per cercare di afferrarlo. Poi si acquattò dietro a Labbra Cucite, portando il braccio attorno alle spalle della donna e iniziando a dondolarsi contro di lei, cantilenando qualcosa che venne coperto dal tono baritonale di Tatara, il cui rimbombo riempiva lo stanzone vuoto.

Miza, che non faceva parte dei loro piani per quell’operazione, non vi prestò più attenzione. Era affascinata dal modo in cui Takizawa sembrava interessato ad infastidire quel capo banda, nonostante solitamente preferisse rimanersene acquattato da qualche parte, nascosto.

Poi le sfilò il cappuccio dal capo, ridacchiando e facendo interrompere anche l’oratore, che si voltò a fulminarlo con una singola occhiata che ebbe come effetto quello di far rannicchiare il mezzo ghoul, timoroso.

Miza non voleva sapere cosa Tatara avesse fatto a quella povera anima.

Era più interessata al volto di Labbra Cucite, che però era celato, così come i capelli, da fitte bende  che le coprivano il viso e la nuca, lasciando come unico spiraglio gli occhi. Velocemente, rimise il cappuccio, mentre Kenta spiava la stanza cercando qualche spettatore. Quando notò Miza, lei finse noncuranza, tornando a guardare Tatara.

Ghoul strani in ogni dove, si disse. 

«Ora parliamo del nostro miglior diversivo.» facendo un passo indietro, Tatara prese una borsa sportiva, apparentemente di una palestra, nera e rossa. Dentro di essa, però, c’era qualcosa che lasciò Miza senza parole per qualche minuto.

«Colpiremo il ccg diritto al cuore. Qualche volontario?»

 

 

Urie aveva iniziato a trovare confortante l’atmosfera famigliare che si avvertiva al :re. Passava anche due o tre ore del suo giorno libero seduto a uno di quei tavolini, con le cuffie nelle orecchie e la tazza di caffè americano che veniva di tanto in tanto rimboccata dalla cameriera del viso gentile.

Kirishima.

Quel giorno, però, non era lì perché voleva solo godersi un po’ di pace. Aveva un appuntamento con la persona probabilmente più insistente che avesse mai camminato per quel mondo. Khurei Shukumei, giornalista di cronaca che, da qualche tempo a quella parte, aveva iniziato ad assillarlo. Per la prima volta si erano visti alla fine della retata contro la casa d’aste e per qualche via traversa aveva ottenuto sia il suo numero di telefono che l’indirizzo dello chateau. Per evitare di ritrovarsela di nuovo accanto durante il suo jogging mattutino, Urie aveva accettato di dedicarle qualche minuto del suo tempo alla fine di ogni caso. Quando veniva chiuso il fascicolo e siglata l’indagine come risolta o congelata, allora sostenevano delle interviste informali, nelle quali lui si dichiarava teste anonimo.

Quel pomeriggio, quindi, aspettava proprio lei, pronto a rilasciare qualche esclusiva sul caso Embalmer senza però lasciarsi andare eccessivamente in chiacchiere. Sarebbe stato richiamato formalmente se si fosse scoperto che aveva contatti con la stampa, ma Shukumei era incredibilmente discreta.

Quando un paio di mani si posarono sulle sue spalle, sfilò gli auricolari pronto a salutarla e a concludere in fretta. Non era la persona che stava aspettando, però.

«Ei, sexy. Cosa ci fa un bocconcino come te tutto solo al bar?»

Era Masa. Urie la guardò ribaltando il capo all’indietro e godendosi il sorrisetto della mora visto al contrario. Non la degnò di risposta mentre le mani scivolavano verso il basso, lungo le braccia coperte dalla giacca di pelle, mentre lei si chinava.

«Stavi aspettando me?» proseguì, in un misto di malizia e divertimento, appoggiandosi con il mento alla spalla.

«No. Non so nemmeno perché sei qui.»

Per risposta, lei gli soffiò, tirandosi su in fretta dopo aver recuperato una borsa di carta riciclata da terra. Gliela mostrò con fierezza «Sono stata tutto il giorno in giro con Saiko. Abbiamo fatto shopping. Vuoi vedere?»

«No.»

«Sono manga» proseguì lei, allentando la sciarpa prima di afferrare la sedia per scostarla e prendere posto di fronte a lui, come sempre «Ho un certo kink per i fumetti americani, però. Specialmente la DC. Potremmo fare il cosplay dei miei villans preferiti se ti va. Preferisci lo Spaventapasseri o l’Enigmista? Secondo me staresti meglio come Pinguino perché-»

«Non puoi sederti, sto aspettando una persona.»

Per la prima volta da quando lavoravano insieme, Masa ci rimase sinceramente male e Urie se ne rese conto subito dal modo in cui sbatté le ciglia, tenendo quei grandi occhioni da gatto un po’ sgranati su di lui. «Oh» fu il suo commento, mentre lasciava andare la sedia come se fosse incandescente. Tirò quindi il sorriso più falso che potesse esistere sulla faccia della terra «Allora mi prendo un caffè e ti lascio ai tuoi affari.»

«Aiko-»

«Ci vediamo a casa.» La salutò come se ne stesse andando, ma andò semplicemente a sedersi al bancone, appoggiando la borsa e la giacca di jeans sullo sgabello vuoto accanto a lei «Kirishima, il solito.» disse rivolta alla giovane cameriera, incrociando le mani sotto al mento.

Urie capì che non si sarebbe voltata verso di lui per il resto della serata, scivolando fuori dal bar nell’esatto momento in cui si sarebbe distratto. Si sentì un po’ in colpa, tanto che abbassò gli occhi sulla manica della giacca di pelle, peggiorando la sensazione. Quella era la giacca che la ragazza aveva deciso di regalargli. Lui l’aveva indossata per quella serata fallimentare al locale con metà squadra Hirako e al ritorno si era dimenticato di restituirla a Masa. Quando se ne era ricordato, lei aveva deciso di lasciargliela come regalo di compleanno. “Era di mio fratello, non credo verrà a chiedermela tanto presto”.

Urie aveva chiesto perché.

“Perché mio fratello è scomparso.”

Da un paio di anni o poco meno. Urie non aveva voluto indagare le ragioni, ma era stata lei a rivelargli che non sapeva cosa fosse successo. La compagna di suo fratello era incinta e lui, dal giorno alla notte, non si era più visto. Né un biglietto, né una chiamata. Poteva essere vivo, come non poteva esserlo, per quanto ne sapevano.

Quella era solo una delle tantissime cose che lui non sapeva di lei, che probabilmente in pochi sapevano, ma nonostante questi attimi solo loro nei quali Aiko si apriva, Urie non riusciva mai a fare lo stesso. L’aveva tenuta a distanza più che aveva potuto, a dirla tutta. Prima di tutto perché, della notte del suo compleanno, non voleva parlare. Non voleva parlare del bacio né di quello che poteva seguire, mentre invece la ragazza continuava a flirtare senza ritegno, non superando però mai il limite e incassando ogni brutta uscita del partner.

Come quella appena avvenuta. Non era stato carino dirle di non sedersi perché aspettava qualcuno, Kuki lo sapeva, ma non aveva comunque intenzione di fare niente per migliorare le cose fra loro.

Aveva riportato le cuffie nelle orecchie, fermandosi a guardarla oltre il bordo del libro che aveva riaperto sotto al naso, pronto a immergersi di nuovo nella lettura dopo l’interruzione.

Non era riuscito però a leggere più di dieci righe, visto che i suoi occhi continuavano ad alzarsi dalle pagine. Masa aveva iniziato a parlare con il signor Yomo, poi con il ragazzo dai capelli chiari che aiutava spesso nel locale e che quel giorno non sembrava in servizio. Le aveva rivolto lui la parola, sistemandosi gli occhiali sul naso e scivolando sullo sgabello accanto a lei, con il braccio mollemente appoggiato allo schienale di quello della sua partner. Le parlava con espressione confidenziale, quasi cospiratoria, sotto lo sguardo leggermente scocciato di Kirishima, che sembrava riprenderlo ogni due minuti.

Alla fine, rassegnato dalla sua stessa curiosità, Urie aveva spento il lettore mp3, senza però liberarsi degli auricolari.

«Avanti Nishio» stava dicendo la mora, con tono leggero e l’espressione sorniona sul viso, guardando quel ragazzo strano come se fossero vecchi amici. «Dimmi quello che vuoi dirmi e facciamola finita. Si vede che stai impazzendo a tenertelo per te.»

«Come se poi fosse un grosso segreto» fu la risposta sagace, a tratti sarcastica dell’altro, che si sistemò per l’ennesima volta gli occhiali. Urie pensò che quella fosse la mossa da figo più triste che avesse mai visto in vita sua. «Fai parte del progetto Quinx, no? ho letto sui giornali che siete esseri umani a cui hanno trapiantato l’organo schifoso dei ghoul. Sbaglio?»

«Sei informato quasi quanto me.» trillò Aiko, prendendo un sorso di caffè.

«Che cosa repellente» rimarcò storcendo il naso Nishiki «Voi colombe fate molte cose strane, non siete poi così diversi da quei pazzi, l’Albero di Aogiri

Urie drizzò le spalle, stava avendo un dejavù. Dove ho già sentito queste parole?

«Siamo ben diversi dall’Aogiri» Masa difese la loro posizione, dondolando la gambe che teneva accavallata all’altra come se fosse la coda di un serpente «Poi non è repellente, sai? Come direbbe un dottore di mia conoscenza; siamo dei prodigi scientifici.»

«Abomini verso la natura. Non so come si possa avere la malsana idea di offrirsi volontari per qualcosa del genere.»

«Nishiki, smettila di infastidire l’agente Masa» Kirishima li interruppe, mettendo un muffin ai frutti di bosco sotto al naso di Aiko «Questo lo offre la casa per compensare la maleducazione di questo qua

«A chi stai dicendo ‘questo qua’, stupida Touka

Un’occhiata ammonitrice della cameriera lo bloccò dal dire qualsiasi altra cosa, mentre la figura che prese posto di fronte a Urie gli impedì di origliare oltre.

«Scusa il ritardo, ho mancato la metro di due minuti e ho dovuto aspettare quella dopo.»

Nonostante parlasse come se fosse reduce dalla maratona di New York, Shukumei non aveva un singolo ciuffo di capelli in disordine. La camicetta con le maniche a sbuffo celeste non sembrava sudata, così come nemmeno la giacca di pelle marrone dall’aria costosa. Le gambe erano fasciate da un paio di pantaloni bianchi aderenti, che risaltavano le sue forme esaltate dai tacchi a spillo sottilissimi sui quali Urie era abituato a vederla ondeggiare. E con i quali lo aveva anche rincorso più di una volta.

«Facciamo in fretta» le disse spicciolo, mentre lei estraeva dalla tasca della borsetta una confezione di salviette profumate, che si passò dietro al collo e sulle mani. «Cosa vuoi sapere, di preciso?»

«Almeno fammi ordinare, prima. Maleducato.»

Shukumei lo riprese bonariamente, con l’affetto di una madre, senza malizia. Si voltò per chiamare a sé la cameriera, incontrando gli occhi di Touka «Un caffè e una fetta di torta alle fragole. Porta due forchette, per favore, il mio accompagnatore mi aiuterà a finirla.»

«Odio i dolci, Khurei

«Due forchette, grazie.»

Laddove la giornalista sembrava divertita, Urie ovviamente non lo era. La guardò prendere un blocchetto per gli appunti e aprirlo di fronte a sé, un po’ contro voglia. Shukumei preferiva di gran lunga usare il registratore, ma i loro patti erano chiari: Urie voleva poter avere la possibilità di negare ogni cosa. Vecchio volpone.

L’intervista iniziò con alcune domande di routine; come si era venuti a sapere chi fosse l’Embalmer e qualche indiscrezione sulla vita privata del dottor Shinya. Urie aveva anche pensato di fornire a Shukumei qualche dettaglio sulla tipologia delle vittime, di cui aveva discusso in una conferenza stampa il direttore, ma con qualche arricchimento. Per farla breve, aveva descritto il profilo psicologico del serial killer che aveva stilato Masa. La stessa Masa che se ne stava ancora seduta al bancone, presa da quella che sembrava una conversazione parecchio divertente.

Persino quel Nishiki stava ridacchiando, certo, ma Masa….

Lei aveva letteralmente buttato il capo indietro, mentre si lasciava andare a una risata che parve salirle dal cuore. Appoggiò una mano sul petto di Nishio, come a volerlo allontanare, mentre Touka li guardava entrambi in tralice.

«Sei stata tu a iniziare.»

«Va bene, allora facciamo così.» Aiko si rimise seduta diritta, voltandosi di tre quarti per guardarlo negli occhi direttamente «Sei interessato dal mio kagune, lo capisco. Facciamo un patto?»

Nishiki prese un sorso di caffè, incuriosito «Tu non stai bene, non so se voglio stringere accordi con te. Però prova a convincermi.»

«Io di faccio vedere il mio…» iniziò con voce sottile l’agente, indicandosi la schiena, laddove il suo kakuho era stato trapiantato. Poi affilò la voce, ma Urie la sentì forte e chiara come se lo avesse gridato «…Se tu mi fai vedere il tuo.»

Nisho sollevò il lato della bocca in un mezzo sorrisetto «Ma che sporcacciona. Almeno prima pagami il caffè, agente.»

Kirishima si portò una mano sulla fronte «Fermatevi voi due» disse esasperata come se stesse parlando a due bambini «Nessuno farà vedere nulla a nessuno, in questo locale.»

«Ma quella è la tua collega?» Shukumei costrinse Urie a tornare in sé. Improvvisamente si rese conto che gli faceva male la mano tanto stava stringendo il pugno. Allentò la presa, rispondendo con un leggero cenno di assenso. La giornalista si voltò a guardarla, sembrando parecchio pensierosa. Poi tornò a voltarsi verso il ragazzo «Invitiamola qui.»

«No.»

«Agente!»

Inerme, Urie guardò Shukumei presentarsi come si deve a Masa, farle un paio di complimenti sui capelli corti sparati in tutte le direzioni per poi invitarla a sedere con loro. Aiko parve tentennante, ma non si curò di guardare verso Urie per chiedergli il permesso o se si sentisse a disagio. Alla fine si sedette alla sua destra, anche lei di fronte alla donna «Quindi non è un appuntamento ma un’intervista? Mi sembrava strano che Urie potesse interessarsi a qualcosa che non fosse lavoro.»

«Troppo giovane per me» lo difese debolmente la donna, rigirandosi la penna fra le dita «So che lei è stato il profiler del caso, agente di secondo livello Masa

«Prego, chiamami pure Aiko. Posso chiamarti Shukumei

Le donne sono davvero terribili, era tutto ciò che Urie riusciva a pensare mentre le ascoltava cincischiare di profili psicologici, raptus omicidi e cura dei dettagli nella ricostruzione delle scene ‘fittizie’ dell’Embalmer. Dal momento in cui Aiko era stata invitata al tavolo, lui era diventato invisibile. Poteva anche andarsene, Khurei non sembrava più interessata a chiedere a lui.

Quando le domande furono esaurite, Shukumei passò oltre «Tu facevi parte della squadra Hirako, vero Aiko-chan

Masa annuì «Sì, è vero. Come lo sai?»

«Sono un’amica di Kuramoto Ito

L’altra ragazza sorrise divertita, finendo il suo muffin «Ovviamente, chi non lo è? Cosa vuoi sapere sulla squadra Hirako? Ti avverto, non ti venderò informazioni sui loro casi, verrei uccisa da Take in modi e maniere che non voglio nemmeno immaginare.»

«Voglio solo parlare in modo generico.» le rispose vaga Shukumei.

«Parlare di cosa?»

«L’Albero di Aogiri, per esempio.»

Masa annuì «Va bene» concesse, come se in fondo se lo aspettasse «Il caso Aogiri è ancora aperto, quindi non posso far trapelare informazioni inerenti.»

«Voglio solo scambiare due chiacchiere con te in merito.» per dimostrare la sua buona volontà, Shukumei richiuse il blocco note e appoggiò la matita «Voglio farlo per chiarezza personale, a dirla tutta.» prese un po’ della sua torta, guardando la fragola prima di portarla alle labbra, masticandola con gusto «Aogiri è un gruppo terroristico a formazione piramidale, al cui vertice c’è una figura misteriosa che viene chiamata il re con il sekigan. Almeno, questo è di pubblico dominio. Vorrei sapere qualcosa di questi sekigan, per iniziare.»

«Con sekigan si intende un ghoul che possiede un solo occhio mutato.» iniziò Masa con fare professionale «Solitamente, questo tipo di ghoul è incredibilmente raro, perché è il frutto dell’accoppiamento fra un ghoul solitamente maschio e una femmina umana.»

«Come mai raro? E perché hai specificato che la donna deve essere umana?»

«Perché a logica, il nostro sistema alimentare è molto diverso. Il nutrimento per un bambino è diverso per quello di un cucciolo di ghoul. Per nascere un ibrido devono essere equilibrati i nutrienti acquisiti e nel caso di una femmina di ghoul gravida, rischierebbe di riconoscere il bambino come cibo in quanto in parte umano e finirebbe con il mangiarlo

«Quindi il re con il sekigan è un ibrido?»

Masa, a quel punto, scrollò le spalle « Non è detto. C’è una leggenda popolare fra i ghoul e gli uomini che dice che molti secoli fa, la comparsa di un ghoul imbattibile con il sekigan portò alla fondazione del ccg. Potrebbe essere un simbolo. Se lo chiedi a me, per me nemmeno esiste, ma è più che altro una figura inventata usata per tenere uniti tutti i ghoul sotto un’unica bandiera.»

«E il gufo con il sekigan, invece? Cosa sai di lui? Magari è il re?»

Istintivamente, Aiko lanciò un’occhiata alla sua destra, restia a parlare di fronte a Urie del mostro che aveva fatto di lui un orfano. Contrariamente alle sue aspettative, lui sembrava preso nell’ascolto e ciò la spinse a rispondere «Non sappiamo molto del gufo. Si è fatto vedere ben poco dopo il raid della ventesima, quasi tre anni fa. Io però dubito che sia il re, agisce spesso in solitaria.»

«Non credi faccia parte di Aogiri

«Non sto dicendo questo, ma penso che possa essere un ghoul che simpatizza per Aogiri. Ci sono molti gruppi di ghoul a Tokyo che non vantano un tale membro, ma lo vorrebbero. Poi a me, lei è sempre sembrata troppo preoccupata a perseguire scopi personali che ad aiutare attivamente Aogiri

«Lei? Il gufo col sekigan…. È una femmina?»

Ci fu un attimo di stallo, poi l’agente Masa prese un respiro «A me ha dato questa idea.»

«Quando l’hai incontrata, vero? Il giorno che ha ucciso Orihara Daisuke

«Hai incontrato il gufo col sekigan?!»

Le domande di Shukumei vennero coperte quasi per intero da quella di Urie. Tutto il bar si bloccò e molte teste si voltarono nella loro direzione. Aiko strinse gli occhi, abbassando il capo e incassandolo fra le spalle. «Sì. Sì è successo, ma non ricordo molto di quel giorno. Quindi, per cortesia, andiamo avanti.  Anche se hai fatto i compiti a casa e hai chiesto di me, Shukumei, non intendo parlare di Orihara. E del gufo ho ricordi contrastanti, mi ha rotto quattro costole e la testa contro un muro.»

«Mi sarebbe andato bene se mi avessi detto che non potevano escludere che fosse una donna» con un sorrisetto che sapeva di scusa, la giornalista lasciò perdere quell’argomento spinoso. Aveva visto il viso di Urie sbiancare ripetutamente parola dopo parola e non valeva la pena rovinare il rapporto che aveva maturato con lui per qualche supposizione stupida «Ma parlavi di gruppo di ghoul. Quali gruppi?»

«Per esempio i Clown.» visibilmente a disagio, nonostante fingesse che non fosse così, Masa andò avanti «Però non ne so molto. Non ho mai avuto il piacere di indagare molto su di loro, anche se ho conosciuto il loro capo.»

«Donato Porpora» sussurrò a denti stretti Urie. Sembrava una congiura contro di lui.

Aiko annuì «L’ho interrogato diverse volte negli ultimi anni.»

«Non ho mai provato interesse verso di loro, sono inquietanti» per sollevare il morale collettivo, Shukumei la buttò sulla battuta «Altro?»

«Bande più o meno grandi, groppi e lupi solitari. Io penso anche che alcuni ghoul potrebbero essere infiltrati nella Yakuza o addirittura essere delle intere famiglie dell’organizzazione mafiosa.»

Urie appoggiò la tazza nuovamente vuota «Smettila Masa, non parlare del caso in corso.»

«Io stavo parlando in via totalmente generica.» lo liquidò la partner, prima però di appoggiare una mano sul suo ginocchio, sotto al tavolo. Scusa, voleva dire quel gesto, perdonami se ti ho turbato. Lui non rispose, ma non poté negare che sortì un certo effetto in lui «Parlando sempre per supposizioni, ho una teoria in merito al motivo per cui molte organizzazioni muoiono prima che noi o Aogiri possiamo arrivarvi.»

«Adoro le tue teorie» con un’ultima forchettata, la giornalista terminò la torta di fragole. Passò un tovagliolo attorno alle labbra, attenta a non sciupare il rossetto.

«E se esistesse una grande organizzazione di ghoul il cui compito è quello di controllare eliminare i propri simili che passano il limite? Un gruppo così antico e nutrito da agire con segretezza, magari appoggiato dalle istituzioni, come un’agenzia di agenti segreti?»

Ci furono diverse reazioni. Urie la guardò confuso, assottigliando lo sguardo e corrugando la fronte, dimostrando che no, non aveva capito. Shukumei, invece, aveva afferrato il concetto molto bene. I suoi occhi scintillarono.

«Un’agenzia segreta, come un’intelligence interna ai ghoul…»

«Sarebbe un bel problema» da dietro di loro, la voce di Nishiki, li fece voltare. Se ne stava ancora al bancone, di spalle, ma aveva palesemente sentito tutto. Si girò per guardarli, appoggiandosi con la schiena alla superficie di legno, prima di parlare «Dimostrerebbe che sono abbastanza intelligenti da creare una sorta di impero sotterraneo, unirsi e far fronte comune, all’occorrenza.»

«Io credo che certi ghuol siano molto più intelligenti di tanti, tantissimi umani.» e con questa frase, Masa gelò nuovamente il bar.

«Molto interessante.»

Aiko si rivolse di nuovo a Shukumei «Ovviamente sono solo miei castelli in aria» disse con una mezza risata, scrollando le spalle «Non ho assolutamente idea se una cosa del genere possa o meno essere credibile, ma se noi abbiamo il Mossad o il KGB, che per secoli hanno portato avanti segreti che ancora il mondo ignora, perché i ghoul dovrebbero essere diversi da noi? Shinya era un chirurgo rinomato, ad esempio, con una laurea anche piuttosto altisonante. Questa è già di per sé una dimostrazione che differiscono da noi solamente per la dieta.»

«Stai esagerando» Urie soffiò fra i denti, guardandola gelidamente.

«Sto mentendo?» chiese lei tagliente, di rimando. Lui la guardò solo come se volesse spararle, ma non poteva dire che non avesse ragione, perché anche lui era a conoscenza di quei fatti. «Ripeto, sono solo stupide teorie  che faccio quando mi annoio. Niente di dimostrabile, perché hanno lo stesso peso del mostro di Lockness

«Immagino» Shukumei mise via il suo blocchetto, al sicuro nella borsa, prima di alzarsi  e pagare il conto per tutti e tre «Non scriverò niente di tutto ciò nel mio articolo, perché voglio scrivere sull’Embalmer. Ho però un’ultima domanda per te, Aiko, perché sei un agente così navigato nonostante la giovane età che mi fai venire un sacco di curiosità.» Masa annuì dandole il permesso di chiedere «Quale è il ghoul che temi maggiormente?»

Lei non ci pensò nemmeno «Tatara.» sputò fuori, con lo sguardo duro e le labbra tirate.

La giornalista la guardò sorpresa «Più del gufo?»

«Non esiste un ghoul che mi faccia rabbrividire come Tatara» insistette Masa «Se dovessi dare un volto al re col sekigan, allora sarebbe lui.»

Khurei ringraziò molte volte Masa per l’intervista, dandosi appuntamento con Urie per la prossima e pregandolo di portare nuovamente la sua partner. Quando il ticchettio delle sue scarpe venne chiuso fuori dalla porta di ingresso, Urie si voltò a guardarla furente «Non credi di avere esagerato?»

Masa non lo stava nemmeno ascoltando «Ti sei reso conto che quella donna sta cercando qualcosa?»

Kuki prese un respiro profondo per calmarsi. Era come parlare a un cane stupido che non vuole farla fuori, ma continua imperterrito a pisciarti sul tappeto. Sì, per lui, Masa era un cane incontinente. Si prese un paio di secondi per metabolizzare la stizza, poi parlò nuovamente «Perché lo pensi?»

«Ha fatto tante domande su tanti argomenti, quindi non so dirti quale sia l’oggetto della sua ricerca, ma posso garantirti che non è per un articolo di giornale.»

«Poco ma sicuro» Nishiki, che si era seduto con loro, guardava il punto in cui Shukumei era sparita, mentre Urie si chiedeva chi diavolo fosse. «Sembra pericoloso però, o sbaglio?»

Masa annuì piano «Più che pericoloso, direi mortale.»

 

 

«Ti avevo chiesto una cosa sola, Cookie! Una sola!»

«Avevi detto che ci saresti passata tu, smettila di scaricarmi le tue incombenze!»

Aiko sembrava allibita, ma quello che avrebbe dovuto indignarsi era lui. Urie aveva un chiaro ricordo della collega che sosteneva che sarebbe passata lei a prendere i documenti importanti richiesti da Sasaki quella mattina. Dopotutto, era stata lei stessa ad offrirsi di fargli quel piacere.

Ovviamente, nel loro giorno libero, Masa non si era presentata alla sede centrale, mentre Urie aveva passato la mattinata a controllare rapporti sul caso Kamata e a parlare con il dottor Shiba. Secondo la ragazza, lui poteva benissimo ritirare la documentazione urgente al suo posto e, per risposta, Urie rilanciava sostenendo che se non glielo aveva detto, allora lui non poteva leggerle la mente.

Dopo mezzora di litigata incessante in automobile, erano arrivati alla sede della prima circoscrizione e si erano infilati nell’atrio, entrambi neri in volto, incolleriti con l’altro.

Se avessero passato tutto quel tempo a conoscersi, invece che a litigare, sarebbero diventati migliori amici. O forse qualcosa in più. Se poi si fossero dati allo studio del sanscrito antico, a quel punto sarebbero in grado di usare tutti e dodici gli alfabeti.

Avevano lasciato le quinque in auto –gravissima violazione del codice- come dichiarazione dell’intento di far presto e si erano diretti spediti verso il secondo piano. Lì, però, avevano incontrato un ostacolo non da poco.

«Noriko, non ora!» aveva sbraitato Masa, improvvisamente scorbutica. Era strano vederla così, solitamente solare, diventare quasi stronza con qualcuno che non fosse Urie. In realtà, la sua faida con la psicologa del dipartimento Rico Noriko aveva radici molto profonde.

Urie aveva guardato la dottoressa seguirli imperterrita, continuando a chiamare la sua partner, non volendo cedere terreno. I capelli biondi, striati da sfumature bianche, ondeggiavano in un caschetto gonfio mentre gli occhiali le davano un’aria più altera. Anche lei solitamente gentile seppure un po’ esaurita –se esistevano investigatori in servizio come Suzuya, era chiaro che nessuno la ascoltava davvero – era strana in quelle vesti da pazza isterica.

«Masa Aiko fermati!»

«Cosa c’è!»

Le due donne si ritrovano una di fronte all’altra, entrambe fiammeggianti nello sguardo. Per buona misura, Urie si levò di mezzo, facendo un passo indietro e lasciandole a scannarsi fra loro. Anche lui aveva visto il video catfight al ccg e aveva visto come si erano accapigliate. Prima di quella brutta mattinata, Noriko aveva i capelli lunghi fino a metà schiena, ma la maggior parte erano rimasti in mano a Masa.

E ancora non aveva un kagune, quindi meglio levarsi di mezzo.

«Dal cambio squadra non sei più venuta a una visita.» iniziò la psicologa, con le mani ben ficcate nel camice e lo sguardo di chi non ammette repliche «Ho già inviato otto notifiche al tuo nuovo mentore. Perché Sasaki non ti ci sta portando a calci in culo?»

«Perché magari anche lui è a conoscenza dell’inutilità del tuo mestiere» Kuki alzò un sopracciglio nel sentire tutta la grinta che Masa ci stava mettendo. Praticamente strappò dalle mani di un poveraccio ciò che Haise voleva e se lo ficcò in borsa, tornando verso l’ascensore. Nokiro continuò a seguirli, ignorando comunque la presenza di Urie «Se parlare con una pazza alcolizzata mi aiutasse a superare i problemi, chiamerei mia madre.»

«Forse anche di questo dovremmo parlare» il commento di Rico le strappò uno sbuffo profondamente seccato «Queste sono le leggi interne al dipartimento. Siete obbligati a tenere un numero di sedute bimensili. Devi fartelo andar bene, non sei al di sopra della legge.»

«Chi viene davvero a tutte le sedute?» domandò come provocazione Aiko, alzando un sopracciglio «Immagino in pochi. Eccetto Suzuya, che viene portato per mano da Abara e Arima, che penso parli con pochi esseri umani e quindi si tenga buoni quelli che lo fanno per lavoro. Magari anche Sasaki, ha troppo la faccia del bravo ragazzo per mandarti al diavolo, tu e le tue domande inconsistenti. Urie, tu vai alle sedute??»

Preso in castagna, il ragazzo guardò entrambe «Ehm.»

«Non metterlo in imbarazzo, è il tuo partner!»

«Vedi che nemmeno lui ci viene?! E lui è un leccaculo di professione, farebbe qualsiasi cosa per sentirsi dire bravo!»

«Grazie» le disse Urie, ormai anche stanco di prendersela. Uscì per primo, lasciandole a urlarsi addosso.

Stava quasi pensando di andare ad aspettare in macchina, quando un fragore forte come il rombo di un tuono lo assordò. Il pavimento tremò, mentre il suono si faceva sempre più vicino, così come le urla. Di punto in bianco, al centro dell’ingresso del palazzo principale della sede centrale del ccg di Tokyo, un enorme camion bianco sfondò completamente la facciata a vetrate, arrivando più avanti di quanto avrebbe dovuto e distruggendo il passaggio per il rilevamento delle cellule rc.

Arrivando a circa venti metri a lui.

Non ebbe la prontezza di riflessi di reagire subito, ma quando dalla cabina distrutta del velivolo uscì un uomo con in mano una grande sacca, ritrovò un po’ di lucidità. Sembrava una borsa sportiva, forse di una palestra, nera e rossa.

«Fermo!» qualcuno lo gridò, ma non fu lui. Tutto ciò che Urie fece fu estrarre il kagune, perché quello non era un essere umano.

Era un ghoul.

E aveva appena fatto irruzione con un camion.

Assurdo.

«Ho detto fermo!» a urlare nuovamente fu il classe speciale Ui. «Appoggia quella borsa immediatamente!» proseguì, padrone della situazione, tenendo bene alzata la sua quinque Ajite.

Il ghoul da parte sua, non fece ciò che gli venne richiesto. Non fece nient’altro, però. Non estrasse il kagune, né attaccò per primo. Si limitò a sorridere, appoggiando una mano sul borsone e afferrando una sottile cordicella nera, che fece venire un brutto presentimento a Urie.

Poi, con un sorriso serafico, il ghoul si mise in pace con il suo Dio, qualunque esso fosse.

«L’Aogiri vi distruggerà.»

«Urie!»

Ci fu un istante di sospensione.

Kuki avvertì la mano di Masa strattonarlo per la giacca, mentre l’assalitore tirava quella cordicella.

Poi al silenzio teso seguì il boato della bomba che, deflagrando, faceva esplodere tutte le vetrate di cui era composto quel palazzo. 

Direttamente in faccia a loro.  

 

Continua

 

 

Nda

 

Ho notato che ci sono persone che mi hanno aggiunta fra le seguite (ben sette!) e tra le preferite (due angeli)! Grazie mille a voi che avete deciso di seguire questo lavoro che è diventato incredibilmente lungo rispetto alle aspettative di partenza.

Spero di non deludervi nemmeno con questo capitolo e, se vi va, mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate.

I riscontri, sia positivi che negativi, danno sempre una mano.

 

Grazie a Maia che mi ha sistemato il capitolo, facendomi notare che Nishiki si è imbucato senza chiedermi il permesso (?).

Questi personaggi che fanno il cavolo che vogliono.

 

 

A presto,

C.L.

 

  
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